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Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

Dall’anno associativo 2020/2021 il gruppo di AC di San Clemente Papa si riunisce abitualmente il secondo, il terzo e il quarto sabato del mese alle 17 e anima la Messa domenicale delle 9. Durante la pandemia da Covid 19 ci siamo riuniti in videoconferenza Google Meet. Anche dopo che la situazione sanitaria sarà tornata alla normalità, organizzeremo riunioni dedicate a temi specifici e aperte ai non soci con questa modalità.

Per partecipare alle riunioni del gruppo on line con Google Meet, inviare, dopo la convocazione della riunione di cui verrà data notizia sul blog, una email a mario.ardigo@acsanclemente.net comunicando come ci si chiama, la email con cui si vuole partecipare, il nome e la città della propria parrocchia e i temi di interesse. Via email vi saranno confermati la data e l’ora della riunione e vi verrà inviato il codice di accesso. Dopo ogni riunione, i dati delle persone non iscritte verranno cancellati e dovranno essere inviati nuovamente per partecipare alla riunione successiva.

La riunione Meet sarà attivata cinque minuti prima dell’orario fissato per il suo inizio.

Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

NOTA IMPORTANTE / IMPORTANT NOTE

SUL SITO www.bibbiaedu.it POSSONO ESSERE CONSULTATI LE TRADUZIONI IN ITALIANO DELLA BIBBIA CEI2008, CEI1974, INTERCONFESSIONALE IN LINGUA CORRENTE, E I TESTI BIBLICI IN GRECO ANTICO ED EBRAICO ANTICO. CON UNA FUNZIONALITA’ DEL SITO POSSONO ESSERE MESSI A CONFRONTO I VARI TESTI.

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Il sito della parrocchia:

https://www.parrocchiasanclementepaparoma.com/

mercoledì 31 dicembre 2014

Elementi critici della ideologia religiosa corrente sul matrimonio (2)

Elementi critici della ideologia religiosa corrente sul matrimonio (2)


Fu pure detto: “Chi ripudia la propria moglie, le dia l’atto del ripudio”. Ma io vi dico: chiunque ripudia la  propria moglie, eccetto il caso di unione illegittima, la espone all’adulterio e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio [Mt 5,31-32].

Allora gli si avvicinarono alcuni farisei per metterlo alla prova e gli chiesero: “E’ lecito a un uomo ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo?”. Egli rispose: “Non avete letto che il Creatore da principio li fece maschio e femmina e disse: Per questo l’uomo lascerà il padre le la madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una sola carne? Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto”. Gli domandarono: “Perché allora Mosè ha ordinato di darle l’atto di ripudio e di ripudiarla?”. Ripose loro: “Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli: all’inizio però non fu così. Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, se non in caso di unione illegittima, e ne sposa un’altra commette adulterio.
 Gli dissero i suoi discepoli: “Se questa è la situazione  dell’uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi”. Egli rispose loro: “Non tutti capiscono questa parola, ma solo coloro ai quali è stato concesso. Infatti vi sono eunuchi che sono nati così dal grembo della madre, e ve ne sono altri che sono stati resi tali dagli uomini, e ve ne sono altri ancora che si sono resi tali per il regno dei cieli. Chi può capire, capisca. [Mt 19,3-12]


Alcuni farisei si avvicinarono e, per metterlo alla prova, gli domandavano se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie. Ma egli rispose loro: “Che cosa vi ha ordinato Mosè?”. Dissero: “Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di ripudiarla”. Gesù disse loro: “Per la durezza del vostro cuore egli scrisse pe vi questa norma. Ma dall’inizio della creazione li fece maschio e femmina, per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto”.
 A casa, i discepoli lo interrogavano di nuovo su questo argomento. E disse loro: “Chi ripudia la moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei; e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio”. [Mc 10, 2-12]

Chiunque ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio; chi sposa una donna ripudiata al marito, commette adulterio. [Lc 16,18]

[Citazioni dai Vangeli secondo Matteo, secondo Marco e secondo Luca, dalla traduzione ufficiale della Bibbia della CEI del 2008]


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L’intima comunità di vita e d’amore coniugale, fondata al Creatore e strutturata con leggi proprie è stabilita dall’alleanza dei coniugi, vale a dire dall’irrevocabile consenso personale. E così, è dall’atto umano col quale i coniugi si danno e si ricevono, che nasce, davanti alla società, l’istituzione del matrimonio, che ha stabilità per ordine divino. In vista del bene dei coniugi, della prole e anche della società, questo legame sacro non dipende dall’arbitrio dell’uomo.
[…]
Questa intima unione, in quanto mutua donazione di due persone, come pure il bene dei figli, esigono la piena fedeltà dei coniugi e ne reclamano l’indissolubile unità.
[…]
L’autentico amore coniugale è assunto dall’amore divino ed è sostenuto e arricchito dalla forza redentiva del Cristo e dalla azione salvifica della Chiesa, perché i coniugi in maniera efficace siano condotti a Dio e siano aiutati e rafforzati nello svolgimento della sublime missione di padre e di madre Per questo motivo i coniugi cristiani sono fortificati e quasi consacrati da uno speciale sacramento per i doveri e la dignità del loro stato. [n.48]
[…]
Quest’amore, ratificato da un impegno mutuo e soprattutto consacrato da un sacramento di Cristo, resta indissolubilmente fedele nella prospera e cattiva sorte, sul piano del corpo e dello spirito, di conseguenza esclude ogni adulterio e ogni divorzio [n.49]

[dalla Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes (=la gioia e la speranza), del Concilio Vaticano 2° (1962-1965)]

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L'uomo immagine di Dio Amore
11. Dio ha creato l'uomo a sua immagine e somiglianza (cfr. Gen 1,26s): chiamandolo all'esistenza per amore, l'ha chiamato nello stesso tempo all'amore.
Dio è amore (1Gv 4,8) e vive in se stesso un mistero di comunione personale d'amore. Creandola a sua immagine e continuamente conservandola nell'essere, Dio iscrive nell'umanità dell'uomo e della donna la vocazione, e quindi la capacità e la responsabilità dell'amore e della comunione (cfr. «Gaudium et Spes», 12). L'amore è, pertanto, la fondamentale e nativa vocazione di ogni essere umano.
In quanto spirito incarnato, cioè anima che si esprime nel corpo e corpo informato da uno spirito immortale, l'uomo è chiamato all'amore in questa sua totalità unificata. L'amore abbraccia anche il corpo umano e il corpo è reso partecipe dell'amore spirituale.
La Rivelazione cristiana conosce due modi specifici di realizzare la vocazione della persona umana, nella sua interezza, all'amore: il Matrimonio e la Verginità. Sia l'uno che l'altra nella forma loro propria, sono una concretizzazione della verità più profonda dell'uomo, del suo «essere ad immagine di Dio».
Di conseguenza la sessualità, mediante la quale l'uomo e la donna si donano l'uno all'altra con gli atti propri ed esclusivi degli sposi, non è affatto qualcosa di puramente biologico, ma riguarda l'intimo nucleo della persona umana come tale. Essa si realizza in modo veramente umano, solo se è parte integrale dell'amore con cui l'uomo e la donna si impegnano totalmente l'uno verso l'altra fino alla morte. La donazione fisica totale sarebbe menzogna se non fosse segno e frutto della donazione personale totale, nella quale tutta la persona, anche nella sua dimensione temporale, è presente: se la persona si riservasse qualcosa o la possibilità di decidere altrimenti per il futuro, già per questo essa non si donerebbe totalmente.
Questa totalità, richiesta dall'amore coniugale, corrisponde anche alle esigenze di una fecondità responsabile, la quale, volta come è a generare un essere umano, supera per sua natura l'ordine puramente biologico, ed investe un insieme di valori personali, per la cui armoniosa crescita è necessario il perdurante e concorde contributo di entrambi i genitori.
Il «luogo» unico, che rende possibile questa donazione secondo l'intera sua verità, è il matrimonio, ossia il patto di amore coniugale o scelta cosciente e libera, con la quale l'uomo e la donna accolgono l'intima comunità di vita e d'amore, voluta da Dio stesso (cfr. «Gaudium et Spes», 48), che solo in questa luce manifesta il suo vero significato. L'istituzione matrimoniale non è una indebita ingerenza della società o dell'autorità, ne l'imposizione estrinseca di una forma, ma esigenza interiore del patto d'amore coniugale che pubblicamente si afferma come unico ed esclusivo perché sia vissuta così la piena fedeltà al disegno di Dio Creatore. Questa fedeltà, lungi dal mortificare la libertà della persona, la pone al sicuro da ogni soggettivismo e relativismo, la fa partecipe della Sapienza creatrice.
[Dall’esortazione apostolica Familiaris consortio (=la famiglia), del papa Giovanni Paolo 2°, diffusa il 22-11-81

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Can. 1055 - §1. Il patto matrimoniale con cui l'uomo e la donna stabiliscono tra loro la comunità di tutta la vita, per sua natura ordinata al bene dei coniugi e alla procreazione e educazione della prole, tra i battezzati è stato elevato da Cristo Signore alla dignità di sacramento.
§2. Pertanto tra i battezzati non può sussistere un valido contratto matrimoniale, che non sia per ciò stesso sacramento.
Can. 1056 - Le proprietà essenziali del matrimonio sono l'unità e l'indissolubilità, che nel matrimonio cristiano conseguono una peculiare stabilità in ragione del sacramento.
Can. 1057 - §1. L'atto che costituisce il matrimonio è il consenso delle parti manifestato legittimamente tra persone giuridicamente abili; esso non può essere supplito da nessuna potestà umana.
§2. Il consenso matrimoniale è l'atto della volontà con cui l'uomo e la donna, con patto irrevocabile, dànno e accettano reciprocamente se stessi per costituire il matrimonio.
[dal Codice di diritto canonico promulgato il 25-1-83 dal papa Giovanni Paolo 2°, con la Costituzione apostolica Sacrae Disciplinae Leges (=le leggi della sacra disciplina]

1.Matrimonio-atto e matrimonio-rapporto
L’insegnamento costante  dei nostri capi religiosi sull’indissolubilità del matrimonio religioso è molto chiaro, risalente alle nostre collettività religiose delle origini, quindi ad una tradizione molto antica,  ed ha fondamenta bibliche, e in particolari neotestamentarie. Ho sopra trascritto i brani evangelici, con detti del Maestro, che vengono di solito citati sul tema dell’indissolubilità matrimoniale. Ho anche riportato brani della Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes (=la gioia e la speranza), dell’esortazione apostolica Familiaris consortio (=la famiglia) e del Codice diritto canonico che ne trattano e ne forniscono la spiegazione religiosa.  
 Rilevo che la disciplina giuridica del matrimonio di impronta religiosa, come contratto consensuale indissolubile dal quale discendono determinati effetti, in particolare doveri irrevocabili, risale al Sesto Secolo, mentre il riconoscimento del matrimonio come sacramento risale al Concilio di Firenze del 1439. Ciò ha determinato una particolare concentrazione della teologia sacramentale sul momento costitutivo del sacramento del matrimonio, quindi sul matrimonio-atto, secondo la più antica impostazione giuridica (per altro certamente influenzata a sua volta dal pensiero religioso). Infatti, in religione, si ritiene che, una volta espresso validamente il consenso reciproco sul patto matrimoniale nell’atto-contratto formale di matrimonio, la successiva volontà dei coniugi, anche consensuale,  sia  del tutto ininfluente sul permanere del vincolo insieme sacramentale e giuridico. L’attività del complesso apparato giurisdizionale, che nelle nostre collettività religiose è stato organizzato sul modello di quello degli stati fruendo degli spazi di autonomia garantiti dall’ordinamento costituzionale italiano, ha contribuito a rafforzare e dettagliare questo orientamento facendo riferimento, secondo le consuetudini giudiziarie, a un gran numero di casi concreti, ma anche, come sempre accade nell’attività di interpretazione giudiziaria, a venire incontro, nei limiti del possibile, a esigenze di giustizia emergenti dalle parti in causa.  Ciò è avvenuto, però, senza farsi lecito di uscire dall’ideologia giuridica di impronta religiosa tutta concentrata sull’atto costitutivo del vincolo sacramentale e giuridico, quindi sul matrimonio-atto. Accade quindi che venga dichiarata la nullità di matrimoni religiosi nonostante una prolungata convivenza dopo il matrimonio-atto, addirittura oltre i dieci anni ed anche in presenza di figli, come era accaduto nel caso esaminato dalla Corte di Cassazione nella sentenza più avanti citata. Va ricordato che, prima della riforma del diritto di famiglia del 1975, la dichiarazione di nullità del matrimonio non comportava, per il coniuge alla quale la nullità fosse imputabile, l’obbligo di versare periodicamente delle somme all’altro coniuge a titoli di alimenti, per aiutarlo nel caso non disponesse  di mezzi di sostentamento. Ciò rendeva il regime della nullità matrimoniale più favorevole economicamente per il coniuge che disponeva di maggiori mezzi economici, in genere il marito, rispetto a quello della separazione, che prevedeva l’obbligo di versare un assegno di mantenimento, per consentire al coniuge più debole, in genere la moglie, di mantenere  la condizione economica di cui godeva in famiglia a seguito del matrimonio.
 Nel diritto civile della Repubblica italiana si è data invece sempre più importanza al matrimonio-rapporto (inteso come vincolo rafforzato da un periodo di esperienza matrimoniale, in cui sia perdurante la volontà di vivere insieme in un nucleo caratterizzato da diritti e doveri), e, in particolare, alle concrete dinamiche della convivenza matrimoniale (concetto più esteso della semplice coabitazione). Si è ritenuto in particolare, con la sentenza delle Sezioni Unite  della Corte di Cassazione (il più importante collegio di giudici Repubblica) numero 16.379 del 17-7-14, che la rilevanza del matrimonio-rapporto sia talmente grande nel nostro ordinamento civile da costituire principio di ordine pubblico, quindi caratteristica essenziale dell’istituto matrimoniale secondo la Costituzione e le leggi fondamentali della Repubblica, tanto da affermare il principio di diritto che debba essere negata la dichiarazione di efficacia nella Repubblica di  dichiarazione di nullità matrimoniale pronunciate da tribunale ecclesiastici nonostante che dopo la celebrazione del matrimonio i coniugi abbiano convissuto al modo di coniugi per oltre tre anni. Infatti, il particolare rilievo dato al momento costitutivo del vincolo matrimoniale/sacramentale, porta il pensiero giuridico ecclesiastico a negare la rilevanza della volontà dei coniugi espressa in corso di rapporto sia in senso negativo, per sciogliere i vincolo, sia in senso positivo, per sanare un iniziale vizio del consenso confermando nei fatti, con la convivenza al modo di coniugi, la volontà di vivere da coniugi cristiani.  La disciplina dell’ordinamento matrimoniale della Repubblica italiana è diversa e prevede che, dopo un certo periodo di convivenza al modo di coniugi  non possa più essere chiesta la dichiarazione di nullità del matrimonio. Per questa via, già prima della riforma del diritto di famiglia realizzata nel 1975 si dava rilevanza al matrimonio- rapporto, pur non giungendo ad affermare che un’unione coniugale potesse costituirsi per via di fatto, a prescindere da un atto formale di celebrazione di matrimonio. Questo orientamento è stato poi determinante nell’introduzione in Italia dell’istituto del divorzio, che per quanto riguarda il matrimonio religioso con effetti civili si presenta come cessazione degli effetti civili del matrimonio religioso, nel 1970, disciplina che ha superato, nel 1974, il vaglio di un referendum, nel quale la posizione contraria all’abrogazione della legge sul divorzio riportò il 59% dei consensi popolari (deve ritenersi comprendenti anche in larga misura voti dell’elettorato cattolico). Il divorzio si presenta infatti come soluzioni per problemi insorti nel corso del matrimonio rapporto. Il medesimo orientamento poi ha inciso in diverse disposizioni della legge di riforma del diritto di famiglia del 1975 e, in particolare, in quelle che hanno allungato il tempo di convivenza richiesto perché non sia più proponibile una domanda di annullamento del matrimonio. E, in epoca più recente, ha portato i giudici italiani, in particolare la Corte Costituzionale, il giudice delle leggi, e la Corte di Cassazione, il giudice che vaglia la corretta interpretazione delle norme giuridiche da parte degli altri giudici, a distinguere anche nella norma costituzionale dedicata al matrimonio e alla famiglia
Art.29. La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio.
 Il matrimonio è ordinata sulla eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabili dalla legge a garanzia dell’unità familiare.
un distinto riferimento al matrimonio-atto (in relazione al matrimonio come atto fondante della famiglia) e al matrimonio-rapporto (in relazione alla famiglia come società naturale e all’ordinamento egualitario tra i coniugi), con analoga rilevanza.
 Questo distinto rilievo del matrimonio rapporto è ritenuto di grande importanza, in quanto lo si collega a disposizioni costituzionali che hanno natura di principi costituzionali  supremi, come tali inderogabili anche dallo stesso legislatore costituzionale, e, in particolare al principio personalistico (di derivazione dal pensiero sociale cristiano) di cui si tratta nell’art.2 della Costituzione, dove vengono riconosciuti   come inviolabili i diritti degli esseri umani nelle formazioni sociali in cui si svolge la loro personalità: la famiglia è considerata appunto una delle principali di tali formazioni sociali. Come insegnato dalla Corte Costituzionale in una sentenza del 2008:
La Costituzione non giustifica una concezione della famiglia nemica delle persone e dei loro diritti (...). E proprio da tale ultima disposizione l'art. 2 della Costituzione, appunto, conformemente a quello che è stato definito il principio personalistico che essa proclama, risulta che il valore delle "formazioni sociali", tra le quali eminentemente la famiglia, è nel fine a esse assegnato, di permettere e anzi promuovere lo svolgimento della personalità degli esseri umani" [citazione dalla sentenza della Corte costituzionale n. 494 del 2002].
 Ma la medesima grande rilevanza viene data al matrimonio-rapporto anche in documenti normativi di carattere internazionale che applicano i principi umanitari espressi dalla Dichiarazione universale dei diritti umani approvata dall’Assemblea delle Nazioni Unite nel 1948, e precisamente nell’art. 8, paragrafo 1, della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e nell’art. 7 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, norme che hanno vigore nel nostro ordinamento e vincolano la Repubblica Italiana alla loro osservanza.
 Questo, della rilevanza del matrimonio-rapporto, è attualmente uno degli elementi critici della ideologia religiosa corrente sul matrimonio, in quanto le concezioni di quest’ultima, in particolare quelle espresse dai giudici ecclesiastici, contrastano con principi ritenuti supremi e inviolabili nel diritto della Repubblica Italiana, tanto che i giudici di quest’ultima ritengono di non poterle recepire. Ma non si tratta solo di questo, di una questione di contrasti giudiziari tra giudici operanti in diversi ordinamenti. La scarsa rilevanza data al matrimonio-rapporto nelle concezioni religiose riguardanti la stabilità del vincolo matrimoniale contrasta ormai con un sentire comune diffuso anche nella gente di fede, che, essendo espressione di principi umanitari definiti come supremi da importanti norme di diritto internazionale e dalla nostra Costituzione, non può essere sbrigativamente liquidato come peccaminoso in tutti i casi in cui si manifesta.  E, infatti, come tale non  è più  considerato nemmeno dal magistero dei nostri capi religiosi, che in merito si interrogano, come è avvenuto durante l’ultima sessione, di quest’anno, del sinodo dei vescovi, convocato per discutere sulla vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporano. Trascrivo, come esempio di questo atteggiamento, alcuni passi della Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica circa la ricezione della Comunione eucaristica da parte di fedeli divorziati risposati, diffusa nel 1994 dalla Congregazione per la dottrina della fede:
2 […] una speciale attenzione meritano le difficoltà e le sofferenze di quei fedeli che si trovano in situazioni matrimoniali irregolari. I pastori sono chiamati a far sentire la carità di Cristo e la materna vicinanza della Chiesa; li accolgano con amore, esortandoli a confidare nella misericordia di Dio, e suggerendo loro con prudenza e rispetto concreti cammini di conversione e di partecipazione alla vita della comunità eccesiale.
[…]
6. Il fedele che convive abitualmente «more uxorio» con una persona che non è la legittima moglie o il legittimo marito, non può accedere alla Comunione eucaristica. Qualora egli lo giudicasse possibile, i pastori e i confessori, date la gravità della materia e le esigenze del bene spirituale della persona(10) e del bene comune della Chiesa, hanno il grave dovere di ammonirlo che tale giudizio di coscienza è in aperto contrasto con la dottrina della Chiesa. Devono anche ricordare questa dottrina nell'insegnamento a tutti i fedeli loro affidati.
Ciò non significa che la Chiesa non abbia a cuore la situazione di questi fedeli, che, del resto, non sono affatto esclusi dalla comunione ecclesiale. Essa si preoccupa di accompagnarli pastoralmente e di invitarli a partecipare alla vita ecclesiale nella misura in cui ciò è compatibile con le disposizioni del diritto divino, sulle quali la Chiesa non possiede alcun potere di dispensa. D'altra parte, è necessario illuminare i fedeli interessati affinché non ritengano che la loro partecipazione alla vita della Chiesa sia esclusivamente ridotta alla questione della recezione dell'Eucaristia. I fedeli devono essere aiutati ad approfondire la loro comprensione del valore della partecipazione al sacrificio di Cristo nella Messa, della comunione spirituale(13), della preghiera, della meditazione della Parola di Dio, delle opere di carità e di giustizia.
 Trascrivo di seguito anche alcuni passi del documento di sintesi (denominato con parola latina Lineamenta) del risultato delle riflessioni svolte nell’ultima sessione del sinodo dei vescovi, tenutasi nell’ottobre di quest’anno:
23. Con intima gioia e profonda consolazione, la Chiesa guarda alle famiglie che restano fedeli agli insegnamenti del Vangelo, ringraziandole e incoraggiandole per la testimonianza che offrono. Grazie ad esse, infatti, è resa credibile la bellezza del matrimonio indissolubile e fedele per sempre. Nella famiglia,«che si potrebbe chiamare Chiesa domestica» (Lumen Gentium, 11), matura la prima esperienza ecclesiale della comunione tra persone, in cui si riflette, per grazia,  il mistero della Santa Trinità. «È qui che si apprende la fatica e la gioia del lavoro, l’amore fraterno, il perdono generoso, sempre rinnovato, e soprattutto il culto divino attraverso la preghiera e l’offerta della propria vita» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1657). La Santa Famiglia di Nazaret ne è il modello mirabile, alla cui scuola noi «comprendiamo perché dobbiamo tenere una disciplina spirituale, se vogliamo seguire la dottrina del Vangelo e diventare discepoli del Cristo» (Paolo VI, Discorso a Nazaret, 5 gennaio 1964). Il Vangelo della famiglia, nutre pure quei semi che ancora attendono di maturare, e deve curare quegli alberi che si sono inariditi e necessitano di non essere trascurati.
24. La Chiesa, in quanto maestra sicura e madre premurosa, pur riconoscendo che per i battezzati non vi è altro vincolo nuziale che quello sacramentale, e che ogni rottura di esso è contro la volontà di Dio, è anche consapevole della fragilità di molti suoi figli che faticano nel cammino della fede. «Pertanto, senza sminuire il valore dell’ideale evangelico, bisogna accompagnare con misericordia e pazienza le possibili tappe di crescita delle persone che si vanno costruendo giorno per giorno. […] Un piccolo passo, in mezzo a grandi limiti umani, può essere più gradito a Dio della vita esteriormente corretta di chi trascorre i suoi giorni senza fronteggiare importanti difficoltà. A tutti deve giungere la consolazione e lo stimolo dell’amore salvifico di Dio, che opera misteriosamente in ogni persona, al di là dei suoi difetti e delle sue cadute» (Evangelii Gaudium, 44).
 Gli orientamenti verso chi versa in situazioni irregolari dal punto di vista della disciplina religiosa sul matrimonio, improntati alla misericordia e alla non esclusione, divergono marcatamente da quelli seguiti non molti decenni addietro, più o meno fino agli scorsi anni Sessanta, quando, in un ambiente sociale che però a differenza di oggi colpiva i divorziati con un giudizio negativo, i divorziati risposati erano considerati pubblici peccatori e duramente  emarginati dalle nostre collettività, quasi nella condizione di scomunicati.
2.La prassi nelle nostre collettività religiose
 Per ciò che ho potuto constatare nelle collettività religiose a cui partecipo e ho partecipate, in particolare nelle parrocchie che ho avuto modo di frequentare, l’atteggiamento di misericordia consigliato nella citata lettera della Congregazione per la dottrina della fede è quello prevalente.
 Devo rilevare tuttavia che persistono vari pregiudizi sfavorevoli verso le persone che si trovano a vivere in situazioni familiari che divergono da quella ritenuta ideale nella nostra dottrina religiosa, che sono sentiti come umiliati da quelle persone. Ne sono vittime le persone che vivono in famiglie basate su unioni di tipo coniugale non fondate su un matrimonio religioso, che può mancare del tutto o essersi concluso come effettiva convivenza, siano esse persone che vivono al modo di coniugi o i figli nati da tali unioni. In particolare si dà per scontato, senza verificare nei fatti se ciò corrisponda a realtà che in tali famiglie si vivano rapporti di amore imperfetti, nel senso di meno intensi e generosi di quelli che caratterizzano le famiglie basate su matrimoni religiosi. C’è anche il pregiudizio, vale a dire la convinzione a prescindere da ogni valutazione delle concrete dinamiche familiari, che le famiglie con un solo genitori, per morte dell’altro genitore, separazione dei coniugi o dei genitori che vivevano come coniugi pur non essendo legati da matrimonio, divorzio o dichiarazione di nullità di un matrimonio, siano meno valide a crescere i figli di quelle fondata su matrimoni religiosi in cui i coniugi abbiano persistito nella convivenza. La dottrina religiosa sull’indissolubilità matrimoniale non ci impone di seguire questi pregiudizi.
 La discussione in collettività religiose su questi temi presenta dei rischi specifici. Infatti l’esprimersi a favore di una maggiore rilevanza del tema del matrimonio-rapporto può essere considerato addirittura come un indizio della esclusione della indissolubilità del vincolo matrimoniale ed essere posta a base di una domanda di dichiarazione di nullità del matrimonio religioso davanti al giudice ecclesiastico.
 La scarsa rilevanza delle concrete dinamiche dei rapporti coniugali nelle concezioni religiose sul matrimonio  è difficile da spiegare nella formazione religiosa. Rimane l’idea che, in sede soprannaturale, sia stabilito una sorta di ufficio dello stato civile in cui vengono registrati i matrimoni religiosi e che tale ufficio sia del tutto insensibile, per partito preso,  alla volontà dei coniugi, anche consensuale, dopo la celebrazione dell’atto di matrimonio. Non è facile spiegare perché, dopo aver definito la famiglia come società naturale, si tenga così poco conto della naturalità  del rapporto coniugale, quindi delle concrete dinamiche dell’amore, che nei casi specifici possono superare la possibilità di dominio delle persone. Di fatto, anche i matrimoni religiosi falliscono e in sede religiosa se ne prende atto, ammettendo l’istituto della separazione personale dei coniugi. Pretendere che una persona, pur osservando gli obblighi di assistenza familiari previsti dalle leggi civili, rinunci all’esperienza coniugale con altre persone è sentito ai tempi nostri come una concezione della famiglia nemica delle persone e dei loro diritti, nel senso inteso dalla Corte Costituzionale nella sentenza che ho sopra citato.
 Lasciando ai teologi la riflessione se e come dare maggiore rilevanza al matrimonio-rapporto nel matrimonio religioso e ai nostri capi religiosi le conseguenti decisioni, penso che noi laici di fede possiamo contribuire a lenire gli aspetti critici della nostra ideologia religiosa sul matrimonio che ho sopra ricordato evitando di emarginare e umiliare chi si è trovato a vivere il fallimento del proprio matrimonio e coloro che si trovano a vivere in famiglie basate su unioni al modo coniugale che divergono dal modello previsto dalle leggi canoniche. E, innanzi tutto, non lasciandoci trascinare da pregiudizi e partiti presi sulle loro famiglie e accettando si ascoltarli in spirito di dialogo, per conoscere meglio loro e le loro famiglie. Concludo scrivendo che noi laici, che non siamo pastori nel senso in cui ciò viene inteso nelle nostre collettività religiose, vale a dire titolari di una formale autorità religiosa sugli altri, dovremmo evitare di riferire tale atteggiamento a una nostra pretesa misericordia verso persone considerate come peccatrici, ciò che viene sentito come fortemente umiliante dai supposti beneficiari di tale sentimento, ma fare quello che va fatto semplicemente nello spirito del grande ideale dell'agàpe, il sentimento di amicizia analogo a quello che ci lega a coloro con i quali stiamo  bene a tavola e che speriamo di vivere nella pienezza in ciò che chiamiamo banchetto celeste; atteggiamento amorevole che caratterizza fortemente le nostre convinzioni religiose e che è la cosa che più attira gli altri verso di noi, quando, nei nostri momenti migliori, riusciamo a metterlo in pratica.


Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli