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Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

Dall’anno associativo 2020/2021 il gruppo di AC di San Clemente Papa si riunisce abitualmente il secondo, il terzo e il quarto sabato del mese alle 17 e anima la Messa domenicale delle 9. Durante la pandemia da Covid 19 ci siamo riuniti in videoconferenza Google Meet. Anche dopo che la situazione sanitaria sarà tornata alla normalità, organizzeremo riunioni dedicate a temi specifici e aperte ai non soci con questa modalità.

Per partecipare alle riunioni del gruppo on line con Google Meet, inviare, dopo la convocazione della riunione di cui verrà data notizia sul blog, una email a mario.ardigo@acsanclemente.net comunicando come ci si chiama, la email con cui si vuole partecipare, il nome e la città della propria parrocchia e i temi di interesse. Via email vi saranno confermati la data e l’ora della riunione e vi verrà inviato il codice di accesso. Dopo ogni riunione, i dati delle persone non iscritte verranno cancellati e dovranno essere inviati nuovamente per partecipare alla riunione successiva.

La riunione Meet sarà attivata cinque minuti prima dell’orario fissato per il suo inizio.

Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

NOTA IMPORTANTE / IMPORTANT NOTE

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Il sito della parrocchia:

https://www.parrocchiasanclementepaparoma.com/

martedì 30 novembre 2021

Clericalismo e sinodalità

 





Per informarsi sul WEB sui cammini sinodali

 

Sito del Sinodo 2021-2023 (generale)

https://www.synod.va/it.html

Siti del cammino sinodale delle Chiese italiane

https://camminosinodale.chiesacattolica.it/

https://www.chiesacattolica.it/cammino-sinodale-delle-chiese-che-sono-in-italia-i-testi-approvati-dal-consiglio-permanente/

Clericalismo e sinodalità

 [dal discorso tenuto il 9 maggio 2019 da papa Francesco ai partecipanti al convegno ecclesiale della diocesi d Roma]

 

  La prima tentazione che può venire dopo avere ascoltato tante difficoltà, tanti problemi, tante cose che mancano è: “No no, dobbiamo risistemare la città, risistemare la diocesi, mettere tutto a posto, mettere ordine”. Questo sarebbe guardare a noi, tornare a guardarci all’interno. Sì, le cose saranno risistemate e noi avremo messo a posto il “museo”, il museo ecclesiastico della città, tutto in ordine… Questo significa addomesticare le cose, addomesticare i giovani, addomesticare il cuore della gente, addomesticare le famiglie; fare calligrafia, tutto perfetto. Ma questo sarebbe il peccato più grande di mondanità e di spirito mondano anti-evangelico. Non si tratta di “risistemare”. Abbiamo sentito [negli interventi precedenti] gli squilibri della città, lo squilibrio dei giovani, degli anziani, delle famiglie… Lo squilibrio dei rapporti con i figli… Oggi siamo stati chiamati a reggere lo squilibrio. Noi non possiamo fare qualcosa di buono, di evangelico se abbiamo paura dello squilibrio. Dobbiamo prendere lo squilibrio tra le mani: questo è quello che il Signore ci dice, perché il Vangelo – credo che mi capirete – è una dottrina “squilibrata”. Prendete le Beatitudini: meritano il premio Nobel dello squilibrio! Il Vangelo è così. 

  Gli Apostoli si sono innervositi quando veniva il tramonto e quella folla – cinquemila solo gli uomini – continuava ad ascoltare Gesù; e loro hanno guardato l’orologio e dicevano: “Questo è troppo, dobbiamo pregare i Vespri, la Compieta… e poi mangiare…”. E hanno cercato la maniera di “risistemare” le cose: si sono avvicinati al Signore e hanno detto: “Signore, congedali, perché il posto è deserto: che vadano a comprarsi da mangiare”, nella pianura deserta. Questa è l’illusione dell’equilibrio della gente “di Chiesa” tra virgolette; e io credo – l’ho detto non ricordo dove – che lì è incominciato il clericalismo: “Congeda la gente, che se ne vadano, e noi mangeremo quello che abbiamo”. Forse lì c’è l’inizio del clericalismo, che è un bell’“equilibrio”, per sistemare le cose. 

Ho preso nota delle cose che ascoltavo e che mi toccavano il cuore… E poi, su questa strada del “sistemare le cose” avremo una bella diocesi funzionalizzata. Clericalismo e funzionalismo. Sto pensando – e questo lo dico con carità, ma devo dirlo – a una diocesi – ce ne sono parecchie, ma penso a una – che ha tutto funzionalizzato: il dipartimento di questo, il dipartimento dell’altro, e in ognuno dei dipartimenti ha quattro, cinque, sei specialisti che studiano le cose… Quella diocesi ha più dipendenti del Vaticano! E quella diocesi, oggi – non voglio nominarla per carità – quella diocesi si allontana ogni giorno di più da Gesù Cristo perché rende culto all’“armonia”, all’armonia non della bellezza, ma della mondanità funzionalista. E siamo caduti, in questi casi, nella dittatura del funzionalismo. È una nuova colonizzazione ideologica che cerca di convincere che il Vangelo è una saggezza, è una dottrina, ma non è un annuncio, non è un kerygma. E tanti lasciano il kerygma, inventano sinodi e contro-sinodi… che in realtà non sono sinodi, sono “risistemazioni”. Perché? Perché per essere un sinodo – e questo vale anche per voi [come assemblea diocesana] – ci vuole lo Spirito Santo; e lo Spirito Santo dà un calcio al tavolo, lo butta e incomincia daccapo. Chiediamo al Signore la grazia di non cadere in una diocesi funzionalista. Ma io credo che, secondo quello che ho sentito, le cose sono ben orientate. E andiamo avanti.

Poi, questa sera, vorrei comprendere meglio il grido della gente della diocesi: ci aiuterà a comprendere meglio cosa chiede la gente al Signore. Quel grido è un grido che spesso anche noi non ascoltiamo o che facilmente dimentichiamo. E questo succede perché abbiamo smesso di abitare con il cuore. Abitiamo con le idee, con i piani pastorali, con la curiosità, con soluzioni prestabilite; ma bisogna abitare con il cuore. Mi ha colpito quello che don Ben [direttore della Caritas] ha provato per quel ragazzo [che aveva visto prendere un pezzo di pane da un cassonetto]: si è vergognato di sé stesso, non è stato capace di andare a domandargli: “Cosa pensi, com’è il tuo cuore, che cosa cerchi?”. Se la Chiesa non fa questi passi, rimarrà ferma, perché non sa ascoltare con il cuore. La Chiesa sorda al grido della gente, sorda all’ascolto della città.

Vorrei condividere qualche riflessione che ho qui – che mi hanno preparato e che io ho “ricucinato” un po’ –, riflessioni che illuminino il cammino per il prossimo anno. Possiamo partire da un brano evangelico; poi richiamerò qualche passaggio del discorso che ho fatto alla Chiesa italiana a Firenze [10 novembre 2015], che è proprio lo stile della nostra Chiesa. “Che bello, quel discorso! Ah, il Papa ha parlato bene, ha indicato bene la strada”, e dagli con l’incenso… Ma oggi, se io domandassi: “Ditemi qualcosa del discorso di Firenze” – “Eh, sì, non ricordo…”. Sparito. È entrato nell’alambicco delle distillazioni intellettuali ed è finito senza forza, come un ricordo. Riprendiamo il discorso di Firenze che, con la Evangelii gaudium, è il piano per la Chiesa in Italia ed è il piano per questa Chiesa di Roma.

Possiamo incominciare con un brano del Vangelo.

[Lettura di Matteo 18,1-14]

1In quel momento i discepoli si avvicinarono a Gesù e gli domandarono: «Chi è il più importante nel *regno di Dio?». 
2Gesù chiamò un bambino, lo mise in mezzo a loro 3e disse: «Vi assicuro che se non cambiate e non diventate come bambini non entrerete nel regno di Dio.
4Chi si fa piccolo come questo bambino, quello è il più importante nel regno di Dio. 5E chi per amor mio accoglie un bambino come questo, accoglie me».

6«Ma se qualcuno farà perdere la fede a una di queste persone semplici che credono in me, sarebbe più conveniente per lui che lo buttassero in fondo al mare, con una grossa pietra legata al collo. 
7«È triste che nel mondo ci siano scandali. Ce ne saranno sempre, ma guai a quelli che li provocano. 
8«Se la tua mano e il tuo piede ti fanno compiere il male, tagliali e gettali via: è meglio per te entrare nella vera vita senza una mano o senza un piede, piuttosto che essere gettato nel fuoco eterno con due mani e due piedi. 
9«Se il tuo occhio ti fa compiere il male, strappalo e gettalo via: è meglio per te entrare nella vera vita con un occhio solo, piuttosto che essere gettato nel fuoco dell’inferno con tutti e due gli occhi».

10«State attenti! Non disprezzate nessuna di queste persone semplici, perché vi dico che in cielo i loro *angeli vedono continuamente il Padre mio che è in cielo. [ 11] 
12«Provate a pensare: se un tale possiede cento pecore e gli accade che una si perde, che cosa farà? Non lascerà le altre novantanove sui monti per andare a cercare quella pecora che si è perduta? 13 E se poi la trova, vi assicuro che sarà più contento per questa pecora, che non per le altre novantanove che non si erano perdute 14 Allo stesso modo, il Padre vostro che è in cielo vuole che nessuna di queste persone semplici vada perduta».

 

Tenete bene nella mente e nel cuore che, quando il Signore vuole convertire la sua Chiesa, cioè renderla più vicina a Sé, più cristiana, fa sempre così: prende il più piccolo e lo mette al centro, invitando tutti a diventare piccoli e a “umiliarsi” – dice letteralmente il testo evangelico – per diventare piccoli, così come ha fatto Lui, Gesù. La riforma della Chiesa incomincia dall’umiltà, e l’umiltà nasce e cresce con le umiliazioni. In questa maniera neutralizza le nostre pretese di grandezza. Il Signore non prende un bambino perché è più innocente o perché è più semplice, ma perché sotto i 12 anni i bambini non avevano nessuna rilevanza sociale, in quel tempo. Solo chi segue Gesù per questa strada dell’umiltà e si fa piccolo può davvero contribuire alla missione che il Signore ci affida. Chi cerca la propria gloria non saprà né ascoltare gli altri né ascoltare Dio, come potrà collaborare alla missione? Forse uno di voi, non ricordo chi, mi diceva che non voleva incensare: ma fra noi ci sono tanti “liturgisti” sbagliati che non hanno imparato a incensare bene: invece di incensare il Signore, incensano sé stessi e vivono così.

[…]

Pensiamo di dovere offrire altro al mondo, se non il Vangelo creduto e vissuto? Vi prego, non scandalizziamo i piccoli offrendo lo spettacolo di una comunità presuntuosa...

[…]

A Firenze chiesi poi a tutti i partecipanti al Convegno di riprendere in mano la Evangelii gaudium [esortazione apostolica, 2013]. Questo è il secondo punto di partenza dell’evangelizzazione post-conciliare. Perché dico “secondo punto di partenza”? Perché il primo punto di partenza è il documento più grande uscito dal dopo-Concilio: la Evangelii nuntiandi [esortazione apostolica di Paolo VI, 8 dicembre 1975]. L’Evangelii gaudium è un aggiornamento, un’imitazione dell’Evangelii nuntiandi per l’oggi, ma la forza è il primo. Prendete in mano la Evangelii gaudium, ritornate sul percorso di trasformazione missionaria delle comunità cristiane che è proposto nelle pagine dell’Esortazione. Lo stesso chiedo a voi stasera, indirizzandovi in particolare a una parte del secondo capitolo dell’Evangelii gaudium, quello delle sfide all’evangelizzazione, le sfide della cultura urbana: i numeri che vanno dal 61 al 75. Faccio due sottolineature, che, in vista del cammino del prossimo anno, rappresentano anche i due compiti che vi affido.

 

https://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2019/may/documents/papa-francesco_20190509_convegno-diocesi-diroma.html

 

 

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 1. I cammini sinodali che sono in corso sono stati voluti da Papa Francesco.

 Nel discorso del quale sopra ho trascritto uno stralcio ne spiegò il senso, rivolgendosi proprio a noi, della Diocesi di Roma. Avevamo ignorato la sua esortazione del 2015, al convegno ecclesiale nazionale di Firenze ad ascoltare la gente, di procedere ad una revisione sinodale del nostro essere e fare Chiesa. Nel 2019 il Papa ci ha duramente rimproverato dandoci dei clericali che incensano solo loro stessi. Vi è arrivato qualcosa di tutto questo? Probabilmente ai più no. Al convegno di Roma del 2019 erano presenti solo gli integrati: non era un evento sinodale, ma ad inviti, secondo come in genere si faceva. Chi c’era si tenne la strigliata, sperando che passasse la buriana. Ciò secondo i costumi clericali. I panni sporchi, come si suol dire, si lavano in famiglia. Della reprimenda non si fece parte a chi non c’era, temendo, giustamente, di perderci la faccia. Si è arrivati, poi, così seguitando, nel far finta di nulla,  alla primavera di quest’anno, quando papa Francesco  ha preso l’iniziativa.

  Ma che cos’è questo clericalismo che ci ha rimproverato?

2. Clericalismo è pensare che il clero, che ora comprende solo diaconi, preti e vescovi debba essere il solo a comandare in chiesa, e che, comunque, debba avere sempre l’ultima parola su tutto, anche fuori, qualora ritenga di prendersela.

  Uno dei vertici di questo atteggiamento fu raggiunto nel mezzo dell’efferata persecuzione di coloro che vennero diffamati di modernismo, nel 1906, quando nellenciclica Veementemente noi - Vehementer nos, occasionata dalla legge francese del 1905 di separazione tra stato e chiesa, il papa Pio 10°, deliberò:

[…] la Chiesa è per sua natura una società ineguale, cioè una società formata da due categorie di persone: i Pastori e il Gregge, coloro che occupano un grado fra quelli della gerarchia, e la folla dei fedeli. E queste categorie sono così nettamente distinte fra  loro, che solo nel corpo pastorale risiedono il diritto e l'autorità necessari per promuovere e indirizzare tutti i membri verso le finalità sociali; e che la moltitudine non ha altro dovere che lasciarsi guidare e di seguire, come un docile gregge, i suoi Pastori.

  Durante il Concilio Vaticano 2º, sulla base scritturistica e patristica, la medesima tenuta presente da quel Papa, circa sessant’anni più tardi vennero deliberati principi diametralmente opposti.

  Dal  Seicento, dall’idea che tutto il potere religioso competesse al clero è derivata quella che ritiene il clero bastante a se stesso nell’essere Chiesa, senza che sia necessaria tutta l’altra gente, che, dunque, potrebbe esserci come non esserci e non mancherebbe nulla di essenziale se non ci fosse.  Da ciò la convinzione che moltitudini di persone non potrebbero essere Chiesa senza almeno un  prete.

  Queste concezioni non risalgono alle origini, in particolare all’insegnamento del Maestro (del resto un vero e proprio clero non si manifestò prima della fine del Primo secolo). Cominciarono a svilupparsi dall’inizio del Secondo secolo, ad esempio nel magistero di Clemente romano, il nostro  “san Clemente papa”, in Occidente e, a Oriente, in quello del vescovo Ignazio di Antiochia.  Storicamente furono strettamente collegate allo sviluppo di un ordinamento ecclesiastico gerarchico, che risale essenzialmente al Quarto secolo, quando il clero diventò progressivamente un corpo di funzionari pubblici, con una carriera  parallela a quella dei funzionari civili, divenuti sempre più numerosi dopo la riforma della stato attuata dall’imperatore Diocleziano. La carriera ecclesiastica divenne appetibile perché meno onerosa dal punto di vista tributaria e perché i vescovi, a differenza dei funzionari pubblici civili di grado corrispondente, erano nominati a vita. A quell’epoca il clero non aveva l’obbligo del celibato se non per i monaci. Tutto questo emerge con chiarezza da questo brano di una lettera del papa Siricio (che esercitò il suo ministero tra il 384  e il 399 – non ancora un regno) al vescovo di Tarragona (in Spagna) Irnerio in merito ai requisiti da pretendere per essere ammessi e mantenuti nel clero [riportata il Giovanni Filoramo – Storia della Chiesa. L’età antica – EDB 2019]




Al Quarto secolo risale anche la formulazione della cristologia in base alla quale si sacralizzò, vale a dire si volle rendere intangibile in quanto presentata come voluta dal Cielo, l’organizzazione del potere ecclesiale che vedeva al vertice dei vicari del Cristo, che consacravano poi il clero, suddiviso in vari gradi gerarchici, in un sistema in cui gli inferiori erano in potere assoluto dei superiori. Fino al Qattrocento circa i poteri gerarchici non erano esercitati in religione solo dal clero, ma anche da sovrani e funzionari civili da loro delegati – la religione era infatti diventata un affare di stato.  Non v’era ancora, infatti, la distinzione che c’è ora tra centri di potere politico e di potere ecclesiastico. Di solito si ricorda, a questo proposito, che per tutto il Primo millennio i concilio riconosciuti come ecumenici (ma anche altri e i sinodi locali) furono convocati e presieduti, direttamente o comunque sotto la loro autorità) da imperatori romani che regnavano da Costantinopoli, in Tracia, l’attuale Istambul.  E a quell’epoca che risale l’uso di vesti rosse per gli altri gradi ecclesiastici, che ora sono in uso tra i cardinali, e ciò secondo il costume degli antichi alti funzionari civili.

  Progressivamente i vescovi, e il Papa romano fra loro, divennero sostanzialmente dei principi, che in Occidente vennero inquadrati nell’ordinamento feudale degli stati portato dai Popoli del Nord che conquistarono quella parte dell’Impero, recependone gran parte dell’organizzazione dello stato. In Oriente, nelle Chiesa controllate da Costantinopoli, lo sviluppo fu diverso per la presenza del potere imperiale sacralizzato che si ingeriva negli affari ecclesiastici.

  Nel Secondo millennio, il Papato romano cercò di rendersi realmente indipendente dai poteri civili espressi dalle dinastie sovrane del tempo, con alterne fortune.

  La separazione tra stati e chiese, come oggi la concepiamo, risale fondamentalmente al Seicento.  A quell’epoca la pace religiosa europea, dopo lunghi ed efferati conflitti, si basò sul principio che ognuno dovesse seguire la religione dello stato in cui viveva. Questo comportava che i sovrani civili potessero determinare la religione dei loro sudditi e quindi, una pesante ingerenza nelle questioni di fede. Comunque agli apparati ecclesiastici fu lasciata maggiore autonomia ed essa fu sfruttata dai cattolici per teorizzare e provare a praticare un assolutismo clericale, che divenne sempre più pervasivo. La Chiesa cattolica si diede un ordinamento modellato su quello degli stati assolutistici dell’epoca. Il culmine di ebbe nel 1870 con il Concilio Vaticano 1°, che quell’anno fu interrotto e mai più ripreso, in dipendenza degli eventi politici europei e specificamente italiani, portando questi ultimi all’abbattimento dello stato territoriale che il Papato aveva nel Centro Italia, con capitale Roma.  In questo sistema i vescovi divennero sostanzialmente alti funzionari pontifici, distaccandosi marcatamente dalla condizione sinodale che avevano avuto per tutto il Primo millennio. Diaconi e preti divennero solo loro collaboratori e ciò può essere considerato l’origine della crisi  del ministero del prete che ancora stiamo vivendo, i preti essendo come schiacciati tra vescovi e persone laiche. Assunse sempre più rilievo la gerarchia, in particolare nell’aspro conflitto con le nuove concezioni della società che si vennero diffondendo nel mondo moderno, prime tra tutte quelle relative alla libertà di coscienza e alla dignità della persone umana, fondamento delle democrazie contemporanee.

  Tuttavia bisogna dire che i preti trovarono un loro ampio spazio, collaborando con le persone laiche e rimotivando il loro ruolo sociale, nella nuova dottrina sociale contemporanea, diffusa dal Papato da fine Ottocento, assecondando moti spontanei manifestatisi nel laicato europeo.  In Italia ciò fu particolarmente sensibile, in un modo che chi  è digiuno di storia difficilmente riesce a immaginare, tenendo conto di ciò che c’è oggi.  Il Concilio Vaticano 2°, negli anni Sessanta, proseguì per quella via, ma dal 1983 dal Papato si diede delle sue delibere un’interpretazione restrittiva in materia di ordinamento gerarchico. Dal 2013, e con particolare intensità dal 2018, con la riforma dell’ordinamento del Sinodo dei vescovi, papa Francesco si è proposto di proseguire l’attuazione dei principi di riforma della Chiesa di quel Concilio. In esso non si deliberò della sinodalità ecclesiale totale  come oggi viene proposta, al più si tratto di sinodalità episcopale, ma della nuova sinodalità vennero poste le premesse teologiche, con l’affermare che la persona cristiana partecipa all’apostolato in virtù della sua relazione con il Cristo e non per delega gerarchica.

  Ho riassunto per sommi capi una storia millenaria per dare consapevolezza dei problemi che il clericalismo crea in materia di sinodalità. Clericalismo  e  sinodalità totale  corrispondono a due modi radicalmente diversi di concepire la Chiesa e la sua missione.

 Al centro della sinodalità vi è l’idea che la pari dignità  dei battezzati, in virtù del loro rapporto con il Cristo riguardi anche la loro posizione nella  Chiesa. Il clericalismo li spinge invece verso ruoli passivi o meramente ausiliari nella Chiesa.

 Va detto che stando al diritto canonico, che è stato riformato per dare attuazione ai principi conciliari (a detta di molti esperti in modo non completamente soddisfacente)

 

PARTE I

I FEDELI CRISTIANI

 

TITOLO II

OBBLIGHI E DIRITTI DEI FEDELI LAICI

(Cann. 224 – 231)

 

Can. 224 - I fedeli laici, oltre agli obblighi e ai diritti che sono comuni a tutti i fedeli e oltre a quelli che sono stabiliti in altri canoni, sono tenuti agli obblighi e godono dei diritti elencati nei canoni del presente titolo.

Can. 225 - §1. I laici, dal momento che, come tutti i fedeli, sono deputati da Dio all'apostolato mediante il battesimo e la confermazione, sono tenuti all'obbligo generale e hanno il diritto di impegnarsi, sia come singoli sia riuniti in associazioni, perché l'annuncio divino della salvezza venga conosciuto e accolto da ogni uomo in ogni luogo; tale obbligo è ancora più urgente in quelle situazioni in cui gli uomini non possono ascoltare il Vangelo e conoscere Cristo se non per mezzo loro.

§2. Sono tenuti anche al dovere specifico, ciascuno secondo la propria condizione, di animare e perfezionare l'ordine delle realtà temporali con lo spirito evangelico, e in tal modo di rendere testimonianza a Cristo particolarmente nel trattare tali realtà e nell'esercizio dei compiti secolari.

Can. 226 - §1. I laici che vivono nello stato coniugale, secondo la propria vocazione, sono tenuti al dovere specifico di impegnarsi, mediante il matrimonio e la famiglia, nell'edificazione del popolo di Dio.

§2. I genitori, poiché hanno dato ai figli la vita, hanno l'obbligo gravissimo e il diritto di educarli; perciò spetta primariamente ai genitori cristiani curare l'educazione cristiana dei figli secondo la dottrina insegnata dalla Chiesa.

Can. 227 - È diritto dei fedeli laici che venga loro riconosciuta nella realtà della città terrena quella libertà che compete ad ogni cittadino; usufruendo tuttavia di tale libertà, facciano in modo che le loro azioni siano animate dallo spirito evangelico e prestino attenzione alla dottrina proposta dal magistero della Chiesa, evitando però di presentare nelle questioni opinabili la propria tesi come dottrina della Chiesa.

Can. 228 - §1. I laici che risultano idonei, sono abili ad essere assunti dai sacri Pastori in quegli uffici ecclesiastici e in quegli incarichi che sono in grado di esercitare secondo le disposizioni del diritto.

§2. I laici che si distinguono per scienza adeguata, per prudenza e per onestà, sono abili a prestare aiuto ai Pastori della Chiesa come esperti o consiglieri, anche nei consigli a norma del diritto.

Can. 229 - §1. I laici, per essere in grado di vivere la dottrina cristiana, per poterla annunciare essi stessi e, se necessario, difenderla, per potere inoltre partecipare all'esercizio dell'apostolato, sono tenuti all'obbligo e hanno il diritto di acquisire la conoscenza di tale dottrina, in modo adeguato alla capacità e alla condizione di ciascuno.

§2. Hanno anche il diritto di acquisire quella conoscenza più piena delle scienze sacre, che vengono insegnate nelle università o facoltà ecclesiastiche oppure negli istituti di scienze religiose, frequentandovi le lezioni e conseguendovi i gradi accademici.

§3. Così pure, osservate le disposizioni stabilite in ordine alla idoneità richiesta, sono abili a ricevere dalla legittima autorità ecclesiastica il mandato di insegnare le scienze sacre.

Can. 230 - §1.n I laici che abbiano l’età e le doti determinate con decreto dalla Conferenza Episcopale, possono essere assunti stabilmente, mediante il rito liturgico stabilito, ai ministeri di lettori e di accoliti; tuttavia tale conferimento non attribuisce loro il diritto al sostentamento o alla rimunerazione da parte della Chiesa.

§2. I laici possono assolvere per incarico temporaneo la funzione di lettore nelle azioni liturgiche; così pure tutti i laici possono esercitare le funzioni di commentatore, cantore o altre ancora a norma del diritto.

§3. Ove lo suggerisca la necessità della Chiesa, in mancanza di ministri, anche i laici, pur senza essere lettori o accoliti, possono supplire alcuni dei loro uffici, cioè esercitare il ministero della parola, presiedere alle preghiere liturgiche, amministrare il battesimo e distribuire la sacra Comunione, secondo le disposizioni del diritto.

Can. 231 - §1. I laici, designati in modo permanente o temporaneo ad un particolare servizio della Chiesa, sono tenuti all'obbligo di acquisire una adeguata formazione, richiesta per adempiere nel modo dovuto il proprio incarico e per esercitarlo consapevolmente, assiduamente e diligentemente.

§2. Fermo restando il disposto del can. 230, §1, essi hanno diritto ad una onesta rimunerazione adeguata alla loro condizione, per poter provvedere decorosamente, anche nel rispetto delle disposizioni del diritto civile, alle proprie necessità e a quelle della famiglia; hanno inoltre il diritto che in loro favore si provveda debitamente alla previdenza, alla sicurezza sociale e all'assistenza sanitaria.

 (n: Indica che il testo corrisponde alla nuova versione)

[Redazione originaria dell'articolo modificato da Sua Santità Papa Francesco (cfr. Lettera Apostolica in forma di Motu Proprio Spiritus Domini del 10 gennaio 2021)]:

Can. 230 - §1. I laici di sesso maschile, che abbiano l'età e le doti determinate con decreto dalla Conferenza Episcopale, possono essere assunti stabilmente, mediante il rito liturgico stabilito, ai ministeri di lettori e di accoliti; tuttavia tale conferimento non attribuisce loro il diritto al sostentamento o alla rimunerazione da parte della Chiesa.

 

 le sole funzioni riservate esclusivamente al clero sono la presidenza della messa, la consacrazione eucaristica, l’omelia nella messa, il ministero di confessore nel sacramento della penitenza, la consacrazione clero, la definizione di ciò che deve  essere creduto dai cattolici per essere riconosciuti come tali, in questo senso essendo la verità, compito che può farsi rientrare in quello più generale dell’episcopato di confermare  gli altri nella fede.  Tutto il resto potrebbe essere partecipato dagli altri fedeli. In realtà, ancora oggi  a quasi sessant’anni dall’ultimo concilio ogni funzione ecclesiale è egemonizzata dal clero, la cui caratteristica più eclatante e stridente con la civiltà europea contemporanea è di essere composto da soli uomini.  L’altra, pure stridente con i principi umanitari della civiltà europea contemporanea, è l’asservimento gerarchico  delle coscienze dei suoi membri.

 La sinodalità come oggi è proposta vorrebbe correggere questa millenaria impostazione, mantenendo ciò che per il clero, e per la Chiesa tutta, è essenziale, l’essere pastori. Su questa via si scontra con il clericalismo che, naturalmente, è prevalentemente espresso dal clero, e se ne capisce il motivo.

  Una manifestazione del clericalismo particolarmente dannosa si ha quando il clero dà delle clericali  alle persone laiche che vogliono avere ruoli partecipativi nella Chiesa, per negarglieli. Le si accusa di voler  fare  i preti. Sospetti di clericalismo laicale, così, sono stati disinvoltamente lanciati nei confronti del nuovo ministero laicale del catechista da poco istituito da papa Francesco, recependo una situazione di collaborazione già in atto fruttuosamente da decenni. Tuttavia va sottolineato che le persone laiche che esercitano ministeri nella  Chiesa e per  la Chiesa nel vari campi e modi in cui possono essere svolti, in misura che è sempre più necessaria per la scarsità del clero, lo fanno con spirito molto diverso da chi è inquadrato nella sacra  gerarchia, e ciò anche quando lo fanno per professione, come correntemente accade in Germania, e più precisamente non rinunciando alla libertà di coscienza, e quindi non da sudditi  della gerarchia. Se non fosse loro consentito questo, allora sarebbero indistinguibili dal clero e, in quanto pretendessero anche di esercitare un qualche potere, ricadrebbero certamente nel clericalismo. Ma credo che questo pericolo sia remoto, con riferimento ai ministeri laicali istituiti, connotati da un marcato spirito di servizio,  e possa invece manifestarsi in quei movimenti e confraternite che non abbiano organizzazione sinodale ma gerarchica, venendo i loro capi a costituire una sorta di para-clero.

 Le funzioni proprie del clero sono molto importanti nella Chiesa cattolica, ma esercitarle con spirito clericale è molto dannoso, perché porta a silenziare, emarginare o addirittura escludere la stragrande maggioranza dei fedeli, quindi del Popolo di Dio, senza la quale, nel mondo di oggi, la Chiesa è destinata a finire (la possibilità che ciò accada c’è, come finirono tante grandi religioni del passato) e il residuo clero a trasformarsi in un ceto di custodi di musei religiosi, come paventa papa Francesco. La sinodalità  totale  è presentata come la cura di questo  male. Secondo i suoi principi, non si fa a meno di nessuno, ma nemmeno si prevarica: ad ogni fedele è consentito, ed anzi richiesto, di esprimere attivamente la propria vocazione battesimale.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli


Manuale di sinodalità - L’incontro sinodale

 




Per informarsi sul WEB sui cammini sinodali

 

Sito del Sinodo 2021-2023 (generale)

https://www.synod.va/it.html

Siti del cammino sinodale delle Chiese italiane

https://camminosinodale.chiesacattolica.it/

https://www.chiesacattolica.it/cammino-sinodale-delle-chiese-che-sono-in-italia-i-testi-approvati-dal-consiglio-permanente/

 

Manuale di sinodalità

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L’incontro sinodale

 

 Affronto il tema dell’incontro sinodale tenendo conto delle condizioni in cui sarà tenuta la nostra assemblea sinodale di domenica 5 dicembre, che sono costretto a stimare approssimativamente non conoscendo nulla della fase preparatoria, se mai c’è stata. Sicuramente i fedeli convocati non hanno finora avuto alcuna informazione su ciò che ci si propone di fare. Queste premesse sono obiettivamente sfavorevoli, ma non c’è tempo per rimediare. Ci si potrà pensare per le prossime volte,  se si è deciso o si deciderà  che ci saranno.

  Osservo che, per organizzare la sinodalitá, anche la preparazione delle attività dovrebbe essere sinodale, vale a dire partecipata e pubblica. Se tutto viene deciso, senza minimamente informarne la comunità,  dai preti e dai consulenti che essi si sono scelti, si comincia male. La sede di queste decisioni, in base al diritto canonico, dovrebbe essere il Consiglio pastorale parrocchiale, la cui istituzione è obbligatoria nella Diocesi di Roma. Ciò implica naturalmente l’obbligatorietà della sua “manutenzione” e anche del suo regolare esercizio. In ciò nella nostra parrocchia siamo in difetto. La responsabilità è di noi tutti parrocchiani, ma quella delle persone laiche e più grave perché siamo la stragrande maggioranza del popolo della parrocchia. E non dobbiamo accampare scuse in merito perché, almeno noi adulti, siamo abituati ad esercitare i nostri diritti e doveri democratici nella società civile e quindi non abbiamo alcun pretesto di fare i finti tonti e la figura di chi cade dal metaforico pero.  I ragazzi più freschi di studi, un privilegio non comune nel mondo quello di poter raggiungere gratuitamente l’istruzione superiore, devono rimproverarsi di non aver saputo mettere a frutto ciò che hanno imparato a scuola. Non era stato forse detto loro che studiare serviva a poter partecipare alla società? E la Chiesa non è forse parte della società? Noi adulti, poi, siamo pigri. Pretendiamo, in religione, di farci portare per mano come i bambini. Poi, allora, abbiamo ciò che ci meritiamo. La Chiesa, però, così sta andando in rovina. La realtà è esattamente questa; non mi convincono le chiacchiere confuse degli spiritualisti. Occorre darsi da fare. Se il Consiglio pastorale parrocchiale appare in fase agonica è colpa nostra che non ne abbiamo avuto cura. Come potevamo pensare che provvedessero i preti, quando quell’organismo è pensato proprio limitarne i poteri, insomma come antidoto al clericalismo del clero? Naturalmente, visto che pareva non interessarci, l’hanno lasciato scivolare in obsolescenza. Ora che ci servirebbe, ci troviamo in impaccio.

  Abbiamo un riferimento per prevedere che si farà all’assemblea sinodale del 5 dicembre, vale a dire ciò che si fece  nella Quaresima del 2016, per tentare una ricomposizione della frattura radicale tra le componenti della parrocchia di orientamento fondamentalista, conciliare e spiritual/devozionale, esperimento abortito essenzialmente a causa del partito fondamentalista che disse che della riconciliazione non sentiva alcuna necessità, in fondo ricambiato. Nessuna meraviglia, perché la storia della nostra Chiesa è piena di fatti del genere, si ebbe infatti l’anatema  facile nonostante tutta la sinodalitá che si predicava e anche si provava a praticare,  ora va meglio perché la consuetudine con i principi democratici evita certe efferatezze, le quali, almeno nei confronti delle persone laiche,  in genere rimangono a livello di chiacchiere e letteratura (a preti e religiosi va peggio). Insomma all’epoca si fece una assemblea nella Chiesa parrocchiale, con una sorta di liturgia della Parola, e poi ci si divise in gruppi estemporanei di discussione. Mi parve che la presenza nei vari gruppi dei capi delle aggregazioni laicali che abitavano la parrocchia  coartasse un po’ la libertà d’espressione. Ma bisogna anche osservare che le persone non sapevano che dire, perché non si era presentato loro un progetto chiaro di attività. Tutti s’era d’accordo di volersi bene alla lontana, comunque. La situazione è ancora questa. Di fatto essa impedisce di allargare e intensificare il coinvolgimento della gente del quartiere alle attività parrocchiali, anche se indubbiamente ha ripreso a venire numerosa in chiesa e ad affidarci tanti giovani per la formazione religiosa di base. Questo risultato va ascritto a merito dei preti, diaconi e catechisti che hanno lavorato con grande impegno dall’autunno del 2015, quando si è iniziato a correggere alcuni problemi, molto evidenti, che si erano manifestati. Due anni prima era venuto in visita pastorale da noi l’Ausiliare di Settore, nel corso di un’assemblea nella Chiesa parrocchiale aveva potuto avere un panorama affidabile delle idee che circolavano in parrocchia e, sembra, da alcune di esse era parso un po’ scioccato.

  Questa volta sarebbe bene che si impiegasse un po’ di tempo, diciamo una decina di minuti, per spiegare a)chi ha deciso di convocarci, b)perché siamo stati convocati, c) che cosa ci si propone di ottenere da noi. Infatti, dalle domande che ho sentito fare in giro, mi pare che in genere non si sappia nulla in merito. Questo, naturalmente, non riguarda il nostro gruppo di Azione Cattolica, in cui da tempo stiamo approfondendo e in merito sono state diffusi due manualetti, uno di settanta pagine e l’altro, molto sintetico, di sei. Inoltre abbiamo già preso a riunirci come gruppo sinodale.

 Chi ha deciso di convocarvi? Il Papa.

 Perché siamo stati convocati. Per ascoltarci come comunità, non individualmente, uno per uno, come in un sondaggio demoscopico. La parrocchia ne riferirà in Diocesi, quest’ultima alla Conferenza episcopale nazionale e,poi, da qui si arriverà a una sintesi per Continenti e, infine,tutto perverrá all’esame del Sinodo dei vescovi della Chiesa cattolica: questo per il cammino sinodale mondiale del quale si farà  sintesi nell’ottobre 2023. Quello nazionale durerà più a lungo, fino all’ottobre 2025, e prevede altri momenti di ascolto.

 Che cosa ci si attende da noi? Che ci esprimiamo liberamente, dialogando tra noi, fino a mettere a punto una sintesi che corrisponda ad impegni collettivi, cercando di creare, come frutto del dialogo, che implica stabilire relazioni tra i dialoganti, il più ampio consenso sugli impegni collettivi che saranno decisi dal gruppo e nel gruppo. Questa appunto è sinodalitá.

  Si partecipa all’attività in quanto Popolo di Dio. Questa è un’espressione con una forte valenza teologica, che non sto qui ad approfondire. È importante, però, capire questo: di quel popolo fanno parte tutti coloro che affidano a Cristo la propria vita e la propria speranza. Quindi anche clero e religiosi. Uno degli scopi della sinodalitá è di sanare l’emarginazione di clero e religiosi dal Popolo di Dio. Dunque anche clero e religiosi sono chiamati a partecipare alla consultazione, in condizione di pari dignità con le altre persone. Ma nella fase di consultazione non hanno il potere di chiudere la bocca agli altri, perché, altrimenti, chi fosse costretto a tacere non sarebbe consultato. I nostri vescovi lo hanno scritto chiaramente: devono essere ammessi alla consultazione non solo coloro che sono integrati nelle attività ecclesiali, i quali sono sempre meno, ma anche tutti gli altri, compresi gli emarginati, gli esclusi, i poveri. Se devono essere consultati, allora si deve riconoscere loro diritto di parola.

  Naturalmente, in occasione dell’assemblea sinodale del 5 dicembre, non siamo andati a cercare gli esclusi, abbiamo dato un annuncio in parrocchia, per coloro che volessero venire, e allora verranno solo quello che già sono integrati in qualche modo, ma, riconoscendo libertà  di parola, si potrebbero comunque avere delle sorprese. In realtà non si sa che pensano anche gli integrati, perché, in genere, nella vita ecclesiale non si ha modo di esprimersi veramente.

  La missione  è al centro del processo sinodale: significa diffondere il vangelo, che non è tanto una dottrina, come purtroppo non di rado viene presentato e inteso, ma un modo di vivere e di relazionarsi. In definita nel processo sinodale ci si confronta con il vangelo e sul vangelo. Le persone laiche, a causa di consuetudini e concezioni  ecclesiali distorte, frutto di degenerazioni di origine storica, spesso non hanno consapevolezza di praticare il vangelo nella loro vita e allora pensano di prendere a modello preti e religiosi, i quali però, nati laici, sono poi stati chiamati a svolgere specifiche e particolari  funzioni nella Chiesa che hanno accettato di accollarsi al servizio di tutti, ma che non sono assolutamente le sole ad essere adempimento della missione, né per la loro specificitá  possono essere un esempio per tutti.

  Chiarito questo bisognerebbe esplicitare il programma delle attività sinodali. Quanti saranno gli incontri? Con quale periodicità? Come avverrà la sintesi?

  Nel caso si preveda un’attività che si sviluppi fino alla sospensione estiva delle attività, sarebbe bene creare una specifica organizzazione sinodale, ben distinta dai gruppi arrivi in parrocchia, che garantisca una certa circolarità del dialogo tra i vari gruppi e la sintesi. Nell’assegnazione dei vari compiti dovrebbe esserci una certa turnazione e nessuno dovrebbe rimanere senza un incarico. Ci si deve abituare a partecipare attivamente ad ogni attività, non rimanendo mai semplice platea. Tra le varie attività dovrebbe essere compresa quello di ufficio di presidenza, che sarebbe meglio istituire collegiale e a rotazione, comunque sottoponendolo al’assenso dei membri del gruppo.

  Poiché, nel processo sinodale parrocchiale, partiamo a freddo, senza alcuna preparazione a ciò che ci si propone di fare,all’inizio sará necessaria l’opera di animatori, i quali, scrivono i vescovi italiani nelle loro indicazioni metodologiche, devono mantenere un profilo neutrale, resistendo alla tentazione della predica, della catechesi o dell’omelia, e devono proporsi di suscitare autonomia nei gruppi loro affidati, e, in particolare, la costituzione di uffici di presidenza.  Da questi ultimi dovrebbero trarsi le forze per organizzare assemblee di verifica e sintesi e la circolarità delle esperienze, con la partecipazione anche ad altri gruppi sinodali, per condividerne e valutarne i risultati.

  Nella costituzione dei gruppi che il 5 dicembre proseguiranno le attività dopo il primo momento di sintesi, suggerisco, sulla base dell’esperienza:

a)  Di confinare i capi di associazioni, movimenti, confraternite operanti in parrocchia in un gruppo a sé, perché non limitino la libertà di espressione dei loro adepti;

b) Di organizzare i gruppi per fasce d’età;

c)  Di scegliere gli animatori solo tra coloro che credono nella sinodalità.

d) Di dare indicazioni perché in ciascun gruppo ci sia una persona che si occupi di stendere per iscritto la cronaca di quello che s’è fatto. Infatti, si ascolta per riferire, e quindi, prendendo coscienza di come si è come comunità, per cambiare collettivamente con l’apporto di tutti e tenendo conto di tutti. I gruppi sinodali non sono proposti come esperienze in cui si pratica l’autocoscienza a fini di edificazione privata.

Mario Ardigó – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

 

 

 

lunedì 29 novembre 2021

 



 

Per informarsi sul WEB sui cammini sinodali

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 Manuale di sinodalità

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L’organizzazione del lavoro

 

 1.  Da agosto scorso mi sono messo d’impegno per informarmi sul tema “Sinodo e sinodalità”. 

  Credo di aver letto su questo argomento più di quanto in genere facciano le persone laiche, anche se certamente non sono un esperto. Può dirsi tale solo chi abbia conseguito un dottorato in ecclesiologia e poi si sia specializzato nella teoria e storia dei processi sinodali, conseguendo una sufficiente consapevolezza della vastissima letteratura mondiale sul tema secondo gli standard della comunità dei teologi specialisti nel ramo. Per ciò che ho capito al volo, opere fondamentali in questo campo sono state scritte in tedesco e francese, ma è necessario sapere anche di greco antico e latino, il primo essendo la lingua del Nuovo Testamento e di buona parte dei più antichi scrittori cristiani e il secondo l’idioma dell’altra parte dei più antichi scrittori cristiani e della teologia e Magistero almeno fino all’inizio del Novecento. I documenti tipici  deliberati durante il Concilio Vaticano 2° furono scritti in latino (infatti sono intitolati con le prime parole del testo latino).

  Nello studio su questa materia ho cercato di formarmi diligentemente come persona colta, nel tempo libero, perché mi guadagno il pane in altro modo.

  Dall’agosto scorso, quasi ogni giorno, scrivo anche un pezzo sul blog acvivearomavalli.blogspot.com dando conto di ciò che ho imparato, in modo di farne parte anche agli altri, in particolare alle amiche e agli amici del mio gruppo parrocchiale di Azione Cattolica.

   Nel pomeriggio di domenica 5 dicembre, alle 16, è stata indetta un’assemblea sinodale parrocchiale. Naturalmente non sono stato coinvolto nella sua organizzazione. Dico “naturalmente” perché era prevedibile che andasse così. Infatti la mia iniziativa del blog, mediante il quale ho raggiunto in dieci anni migliaia di persone su temi religiosi, come anche quella di altre attività su sinodo e sinodalità,  è stata presa autonomamente, non deriva minimamente dal clero. Del resto, nel 2012, quando ho cominciato, il clima della parrocchia mi pareva fortemente sfavorevole per l’Azione Cattolica della quale sono parte viva e nella quale ho imparato gran parte di ciò che so, per cui, se avessi atteso l’assenso del clero, non sarei mai partito. Ricordo che un caro amico del gruppo mi confidò che lui non collaborava al blog, come gli avevo proposto di fare, per obbedienza. Ah, aveva ragione Milani: l’obbedienza non è più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni. Ciò che è frutto dell’autonomia delle persone laiche è, in genere, semplicemente ignorato dal clero. Si fa come se non esistesse. Questa è una manifestazione di clericalismo che viene del tutto spontanea a clero e religiosi, non dipende da una loro cattiveria o da loro malanimo. Lo capisco. Voglio comunque molto bene ai nostri preti. Mi viene in  mente la celebre battuta di uno dei personaggi a cartoni animati  del film Chi ha incastrato Roger Rabbit (1988 – Robert Zemeckis):  «Non sono cattiva, è che mi disegnano così». La prima origine del clericalismo è nei seminari.

   Lo ricordo spesso: mia madre negli anni ’70 fu catechista nella nostra parrocchia; ad un certo punto prese l’iniziativa di iscriversi ad un corso di laurea in catechetica presso la vicina università salesiana; quando il parroco lo seppe e vide che stava mettendo in atto ciò che aveva imparato – si era nei tempi entusiasmanti del rinnovamento della catechesi – la esonerò senza tanti complimenti, probabilmente anche su delazione di altre catechiste, che infatti, saputo della sua estromissione, non dissero nulla. Diverse di loro erano state coinvolte nella catechesi proprio da mia madre.

  La nostra Chiesa funziona così e, penso, non cambierà tanto presto. Funziona male, certo. C’è tanto spreco di umanità. Poi ce se ne pente, ma quando è troppo tardi. E’ anche proprio per porvi rimedio che il Papa ci vorrebbe più sinodali. Egli infatti ci presenta la sinodalità come rimedio al clericalismo ancora imperante.

  Del resto, non so se avrei veramente la pazienza di resistere con fair play  a certe enormità fondamentaliste che talvolta sento in giro da noi, e anche a uno spiritualismo nostalgico da antico libretto devozionale che pure si manifesta. Certo non mi terrei senza reagire l’epiteto da parte di persone palesemente inconsapevoli di tutto: “Tu non sei di Cristo!”. Le manderei francamente, con evangelica parrèsia come si dice, a quel paese. Una cosa che mi rimprovero sempre è di aver troppo a lungo tollerato. “Ma allora tu sei un violento! Eppure stai lì sempre a criticare la violenza della nostra Chiesa!”,  mi si potrebbe ribattere. No, io sono dalla parte di chi della violenza ecclesiastica ha fatto le spese, per non accettare di tollerare certi stravolgimenti del vangelo. Con tutto il cuore sono con chi ha patito il rogo o anche solo l’esclusione e l’emarginazione per non essersi piegato,  con gli scomunicati per ragioni di coscienza, ad esempio come gli italiani Girolamo Savonarola, frate domenicano,   don Roberto Ardigò, don Romolo Murri, don Ernesto Buonaiuti, grandi anime. E la richiesta di perdono che venne in una giornata nel Grande Giubileo dell’Anno 2000 mi parve un po’ troppo superficiale e piena distinguo per convincermi.

2. Insomma, comunque si inizia. Così, anche se nessuno mi ha chiesto nulla, penso sia  mio dovere dare qualche consiglio, anche perché in Azione Cattolica è da una vita che pratico la sinodalità.

 I vescovi italiani ci hanno recentemente dato delle indicazioni metodologiche.

 Non tutto si esaurisca in un’unica giornata.

 Si lavori per piccoli gruppi, ma vi siano momenti di sintesi.

 Si pratichi realmente  la sinodalità, non si riduca tutto a conferenze o lezioni. La fase dei cammini  che è in corso è dedicato all’ascolto  del Popolo di Dio, gli esperti devono agire da facilitatori.

 Si tenga presente, nel dibattito, la Domanda fondamentale, articolata poi in altre Dieci domande tematiche,  indicata nel Documento preparatorio  elaborato dalla Segreteria del Sinodo dei vescovi: “Come si realizza oggi, a diversi livelli (da quello locale a quello universa­le) quel “camminare insieme” che permette alla Chiesa di annunciare il Vangelo, conformemen­te alla missione che le è stata affidata; e quali passi lo Spirito ci invita a compiere per crescere come Chiesa sinodale?”.

Si faccia riferimento, come schema per l’ascolto, ai temi trattati nell’esortazione apostolica La gioia del Vangelo – Evangelii Gaudium  [2013].

 Gli incontri siano preparati, nel senso che devono prepararsi coloro che, nella fase iniziale assumeranno i ruoli di animatore  o coordinatore, ma anche che devono farlo coloro che vi partecipano. Sinodalità è partecipazione, non si va solo a sentire. Si partecipa per assumere impegni verso la comunità di fede, per continuare a lavorare insieme.

 Chi anima  e  coordina  lo faccia senza pretendere di egemonizzare il dialogo: altrimenti che sinodalità sarebbe? I vescovi parlano di un’esigenza di neutralità. Non bisogna emulare le cattive abitudini clericali.

 Si vedano tutte a

https://camminosinodale.chiesacattolica.it/wp-content/uploads/2021/11/Schede.pdf

 Tutto condivisibile.

 Aggiungerei qualcos’altro.

 L’obiettivo principale dei cammini sinodali, quello per l’Assemblea generale del Sinodo dei vescovi che si terrà nell’Ottobre 2020 e quello per le Chiese italiani, del quale si tireranno le conclusioni nell’ottobre 2025, è innanzi tutto quello di suscitare da subito  una Chiesa sinodale, per via di tirocinio e apprendistato, non quello di fornire materiale per scrivere un qualche nuovo documento. Come osservato qualche giorno fa da un professore di ecclesiologia della Lateranense in una conferenza per il mio gruppo MEIC – Movimento ecclesiale di impegno culturale, non si tratta quindi di organizzare un evento, ma di iniziare un processo popolare  che sarà destinato a proseguire, del quale il popolo dovrà diventare protagonista. Ciò richiede di organizzare, anche nelle parrocchie, strutture dedicate, insomma un contesto istituzionale specifico. Lo si può fare utilizzando i margini di autonomia regolamentare dei Consigli pastorali parrocchiali. Il nostro, purtroppo, è caduto in desuetudine, essenzialmente a causa delle aspre contrapposizioni suscitate da orientamenti fondamentalisti e integralisti che rifiutano di lasciarsi coinvolgere veramente in qualsiasi cosa che comporti commistione con fedeli non inquadrati, temendo la contaminazione culturale dei propri adepti.

  Rivitalizzare il Consiglio pastorale parrocchiale significa mettere in chiaro chi ha  il diritto di parteciparvi, perché dirigente di gruppi o responsabile di attività, responsabile di istituti religiosi operanti nella parrocchia, nominato da parte del parroco, eletto da parte dell’Assemblea parrocchiale (procedura, mai svolta a mia memoria da noi), prete o diacono. L’elezione popolare e la nomina da parte del parroco dovrebbero servire a garantire un certo pluralismo dell’organismo, ma è indispensabile anche procedere con metodo democratico, correggendo la tendenza prevaricare con fantasiose e incolte accuse di eresia che taluni talvolta si permettono disinvoltamente e arbitrariamente di lanciare.

  Il gruppo sinodale  di base non dovrebbe essere tanto piccolo da non rendere necessaria l’emergere di una sua politicità collettiva, quindi sollevandosi al di sopra delle semplici relazioni interpersonali nell’affrontare i temi del governo sociale, sia pure  a partire dalle piccole cose, - sinodalità è anche compartecipazione alle fasi decisionali, ma nemmeno troppo grande da impedire ai suoi membri di chiamarsi per nome. La dimensione di dieci persone al massimo suggerita dalle Indicazioni metodologiche  della CEI mi pare troppo piccola. Si potrebbe pensare almeno al doppio dei membri.

  L’ufficio dell’animatore  o del coordinatore  dovrebbe tendere a lasciare il posto a un ufficio di presidenza, man mano che il tirocinio di sinodalità avrà prodotto risultati e il gruppo sarà diventato capace di darsi autonomamente una programmazione, tenendo conto anche del lavoro che si fa negli altri gruppi e dell’esigenza di produrre una sintesi comune a tutti a livello parrocchiale. In sostanza: voglio dire con questo che il ministero dell’autorità deve progressivamente essere legittimato dagli stessi membri del gruppo.

  La composizione dei gruppi sinodali  deve farsi tenendo conto che, per natura, si vive confinati all’interno di fasce d’età, alle quali in genere corrispondono diversi livelli di maturità e cultura. Un gruppo nel quale ci si trovi in mezzo ad una maggioranza di persone di diversa età non coinvolgerà emotivamente e difficilmente potrà essere produttivo. Andrà invece accuratamente evitato di comporre gruppi sinodali  a seconda delle appartenenze ai gruppi. Questi ultimi esercitano talvolta una pressione indebita e gravemente controproducente. Così come bisognerà evitare di incaricare come animatori e coordinatori i responsabili di quei gruppi. Anzi, sarebbe meglio confinarli in un gruppo sinodale a loro dedicato. La libertà di espressione è essenziale in un processo sinodale. Purtroppo ho osservato che i capi dei gruppi talvolta si comportano come una sorta di para-clero, non avendo avuto però la lunga e completa formazione che il clero in genere ha. Il clericalismo è un male, certo, ma il para-clericalismo lo è anche di più. Quando manca la libertà di espressione, e le attività vengono egemonizzate da persone laiche il cui ruolo è in qualche modo arbitrariamente  sacralizzato  si ricade nel para-clericalismo.

 Nel gruppo sinodale  non ci si dovrebbe limitare a discutere, lo osservano giustamente i vescovi nelle Indicazioni metodologiche  di cui sopra. Ciascuno, quindi,  prenda degli impegni, abbia delle mansioni, dia  un contributo non solo a parole. Nessuno rimanga come semplice spettatore, platea. Poi sia il gruppo stesso a prendersi impegni collettivi e a rispettarli, procedendo a verifiche. Nel gruppo sinodale  di faccia tirocinio del prendersi cura  degli altri al modo dei pastori. Non si tratta di predicare, per carità!, ma proprio di cogliere le esigenze degli altri e di cercare di soddisfarle, al modo dei genitori con i figli. Ogni persona del gruppo sia importante per le altre, non si accetti facilmente di rinunciarvi. Detta così sembra cosa ovvia, facile, ma non lo è: di solito dagli altri ci si difende.

 Nel gruppo sinodale  vi sia una mansione che consista nel tenere i rapporti con gli altri gruppi sinodali e sia esercitata  a turno e non da una sola persona solamente. Quelli che la svolgono partecipino anche alle riunioni degli altri gruppi sinodali che si è riusciti a far partire e ne riferiscano nel proprio gruppo.

  Si prevedano momenti assembleari generali, anche usando le grandi possibilità offerte dalle videoconferenze.

 Si costituisca un organismo centrale di coordinamento e sintesi del lavoro sinodale in parrocchia, avendo cura che vi partecipino a rotazione più persone possibile. In quella sede si formulino proposte al Consiglio pastorale parrocchiale per ampliare gli spazi di co-decisione. Si cominci dal poco, per poi ampliare: ad esempio dalla decisione di dove piazzare la statua di uno dei santi che abbiamo in uso. Oggi ogni decisione è presa del clero.

  Infine: ad animare  e coordinare  i gruppi sinodali, nella fase delicata di inizio delle attività, non si piazzi gente che non crede alla sinodalità, anzi l’avversa, a volte come una eresia. Persone che, ad esempio, iniziano a presentare il lavoro da fare dicendo “Io, però,  non sono tanto d’accordo con il Papa” nel senso che fa la cosa controvoglia. Meglio allora non farla proprio! Eccolo lì cardinale in pectore! Da che pulpito, poi,  verrà mai questa predica? Non dico che occorra essere teologi professionisti per mettere bocca nelle cose della Chiesa, ma sapere qualcosina sì. Certo anch’io ho criticato alcune cose di Papi e vescovi, ad esempio il loro ostinato rifiuto della democrazia che tanto danno ha fatto, ma ai miei Papi ho sempre voluto bene, più come fratelli che come padri, in particolare ora che ne sono diventato quasi coetaneo, consapevole dei nostri comuni limiti e però della buona volontà. Se un Papa mi dice di collaborare ad un lavoro, lo faccio, di cuore, senza riserve, cerco di essere costruttivo perché tutto vada per il meglio.  Per nostra buona sorte, non viviamo i tempi di certi tremendi Papi violenti e lussuriosi del lontano passato. Oggi abbiamo un Papa che, addirittura, ci vuole tutti  sinodali. Tenendo conto dei precedenti, mi pare che solo dallo Spirito possa essere venuto.

 Ricordiamoci anche di pregare, nei gruppi sinodali, come ci esortano a fare in nostri vescovi.

 La sinodalità, in definitiva,  è parte della missione che abbiamo ricevuto dal Signore. Non si diventa sinodale per farsi belli. Ricordiamoci, allora,  del salmo: “Da chi ci verrà l’aiuto?...”. Per chi ha consuetudine con le Scritture, nel cuore dovrebbe sorgere spontanea e immediata la risposta.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli