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Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

Dall’anno associativo 2020/2021 il gruppo di AC di San Clemente Papa si riunisce abitualmente il secondo, il terzo e il quarto sabato del mese alle 17 e anima la Messa domenicale delle 9. Durante la pandemia da Covid 19 ci siamo riuniti in videoconferenza Google Meet. Anche dopo che la situazione sanitaria sarà tornata alla normalità, organizzeremo riunioni dedicate a temi specifici e aperte ai non soci con questa modalità.

Per partecipare alle riunioni del gruppo on line con Google Meet, inviare, dopo la convocazione della riunione di cui verrà data notizia sul blog, una email a mario.ardigo@acsanclemente.net comunicando come ci si chiama, la email con cui si vuole partecipare, il nome e la città della propria parrocchia e i temi di interesse. Via email vi saranno confermati la data e l’ora della riunione e vi verrà inviato il codice di accesso. Dopo ogni riunione, i dati delle persone non iscritte verranno cancellati e dovranno essere inviati nuovamente per partecipare alla riunione successiva.

La riunione Meet sarà attivata cinque minuti prima dell’orario fissato per il suo inizio.

Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

NOTA IMPORTANTE / IMPORTANT NOTE

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Il sito della parrocchia:

https://www.parrocchiasanclementepaparoma.com/

martedì 30 giugno 2015

Chi sono io per giudicare?


Icona raffigurante Mosé di Scete, monaco, 4° secolo


 Una volta a Scete [località egiziana a circa 90 Km da Il Cairo]  un fratello commise una colpa. Gli anziani si radunarono e pregarono abba Mosè di unirsi a loro. Questi però rifiutò di venire. Il presbitero gli mandò un messaggio di questo tenore: "Vieni, la comunità dei fratelli ti aspetta". Allora egli si alzò e si mise in viaggio, caricandosi sulle spalle un vecchio cesto bucato, che aveva riempito di sabbia.
 Gli anziani gli vennero incontro e gli domandarono: "Padre, che cos'è questo?". L'anziano rispose: "I miei peccati scorrono dietro di me, e io non li vedo; ed ecco che oggi vengo a giudicare i peccati di un altro!". All'udire queste parole, non dissero nulla al fratello e lo perdonarono.

da Detti dei Padri, Serie Alfabetica, Mosé di Scete (4° secolo), in Olivier Clément, Nuova Filocalia - Testi spirituali d'oriente e d'occidente, Edizioni Qiqajon, 2010

Tribù religiosa corazzata o centro di orientamento

Tribù religiosa corazzata o centro di orientamento?

Ufficiale dell'esercito Confederato, nella guerra di secessione dagli Stati Uniti d'America (immagine dal WEB)


 Di fronte alle novità che ci vengono dagli Stati Uniti d’America e dall’Europa c’è forte la tentazione di percorrere la vie del passato, quelle dell’arroccamento, della chiusura, riprendendo vecchie bandiere  e divise per tentare una resistenza ad oltranza. Per questo lavoro il modello sociale della tribù religiosa corazzata, ad accesso molto selettivo e forte disciplina interna intorno ad un gruppo dirigente non generato per via democratica ma selezionato dall’alto, per cooptazione, in cui la virtù principale predicata è l’obbedienza, è l’ideale.
  Ma per questa via riusciremo a riconquistare la società alle nostre idee?
  Di fatto si è rivelata fallimentare, negli ultimi trentacinque anni, e questo nonostante la grande popolarità, essenzialmente mediatica, quella della gente di spettacolo, che hanno riscosso a tratti, in società, i nostri capi religiosi supremi.  E’ stato osservato che li si ammirava, ma non li si seguiva.
 Il protagonismo mediatico dei nostri capi religiosi non ha quindi prodotto vere modifiche alle dinamiche sociali, che si sono andate progressivamente e costantemente allontanando dagli ideali religiosi. Non si è trattato tanto di una incredulità nell’assetto delle potenze celesti proposto dalla nostra fede, quel mondo invisibile in cui ciclicamente anche gli esseri umani dei tempi nostri sembrano disposti a fare affidamento, ma della concreta possibilità di vivere quella giustizia che, come proclamato nella prima lettura della Messa di domenica scorsa, è detta, in religione, immortale. O meglio, di viverla nelle società di massa dei nostri giorni, non solo in piccoli gruppi molto coesi, al modo di famiglie patriarcali.
 Eppure la gente della nostra fede è stata ed è ancora molto importante nel governo della società civili, lì dove si formano le regole del vivere pubblico e quindi si cerca di realizzare concretamente la giustizia sulla Terra. E’ così, ma in definitiva non sembra che sia possibile continuare a fare quel lavoro mantenendo rigida la teologia che definisce il suo orizzonte ideale. Lo si  è visto chiaramente nella questione dei diritti civili delle persone omosessuali.
 I nostri capi religiosi appaiono spaventati delle prospettive che si aprono, temono di perdere il controllo delle collettività loro affidate. Per certi versi vivono ancora nella cupa atmosfera, piuttosto segnata dall’eclettico pensiero del teologo/filosofo russo Soloviev (1853-1900), quello che ipotizzò che nel progressismo religioso si celasse l’Anticristo, degli anni della malattia terminale del Wojtyla, dopo il Grande Giubileo del 2000, quando il suo sempre più grave declino fisico sembrò accordarsi con quello delle nostre collettività religiose.
 La via per uscirne può essere un’altra. Invece di rinchiuderci sempre di più nel corazzare  le  nostre residuali esperienze collettive e di rincuorarci,  convergendo periodicamente in massa per riempire  di volta in volta questa o quella piazza intorno ai nostri capi religiosi, illudendoci così di essere ancora tanti,  mentre ci facciamo sempre più minoranza in società nelle nostre tribù corazzate, viste sempre più come eccentrici e innocui corpi estranei, la soluzione  può essere quella di spingere sulla modalità dell’apertura, per ricostruire relazioni positive con la società in cui siamo immersi. Fu la via consigliata dal filosofo Aldo Capitini (1899-1968), noto al grande pubblico per aver fondato la Marcia della pace Perugia - Assisi. Egli la realizzò anche, fondando Centri di orientamento sociale  e Centri di orientamento religioso. La sua esperienza fu rifiutata dal nostro mondo religioso perché si muoveva deliberatamente al di fuori del controllo della gerarchia religiosa. Ma mantiene una sua validità ai tempi nostri, proprio per la sua modalità di apertura.
  In una prospettiva religiosa, la diffusione della fede negli animi degli esseri umani non dipende  veramente da noi. Da noi dipende creare una società in cui la fede possa abitare pacificamente. E’ un lavoro collettivo che deve farsi collaborando anche con persone che non hanno la nostra fede: è la democrazia come oggi la intendiamo. E’ per questo che occorre aprirsi alla società in cui siamo immersi, innanzi tutto per capirla meglio e per individuare il tanto bene che ancora c’è in essa.


Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro Valli

lunedì 29 giugno 2015

Aut-Aut (2) e mie note in calce

Aut-Aut (2) e mie note in calce



 Nel 1975, l’anno della mia maturità classica, mio zio Achille, sociologo e ideologo, mio padrino di Cresima, mi prese da parte, come per tutta la vita ha continuato a fare diverse volte l’anno, per darmi un insegnamento esistenziale. Mi trovavo, in quel momento della mia vita, davanti ad un Aut-Aut, mi disse. Dovevo scegliere che cosa diventare.
 Per spiegarmi l’alternativa mi regalò una copia del libro Aut-Aut del filosofo danese Sören Kierkegaard (1813-1855) in cui aveva segnato con evidenziatore rosso alcuni brani.  Dopo che ebbi letto il libro, mio zio mi parlò a lungo sui temi che vi erano trattati.
 Quei testi evidenziati da mio zio Achille, e le spiegazione che poi lui me ne diede,  possono essere oggi considerati il messaggio di vita della sua generazione, in particolare  di coloro che avevano avuto un ruolo importante nella costruzione della nuova democrazia italiana dopo la disfatta del fascismo storico,  a quelli della mia  generazione.
 Ne  proseguo qui la pubblicazione. L’edizione di Aut-Aut  è quella pubblicata negli Oscar Mondadori nel 1975.
  Farò precedere o seguire alle frasi evidenziate dallo zio Achille altre, scritte in corsivo, che servono a chiarire il contesto in cui quelle evidenziate si inseriscono. Queste ultime, quelle che allo zio Achille interessava comunicarmi, le scriverò in grassetto.

[dall’introduzione Kierkegaard e la vita etica di Remo Cantoni, nell’edizione  di Aut-Aut che mi fu regalata dallo zio Achille]
[…] Se si tratta di decidere tra la vita estetica e la vita etica, è una scelta che si impone, una risoluzione che modifica radicalmente l’uomo in questa alternativa.
[…]
L’uomo che vive esteticamente, ricercando sotto tutte le forme il piacere e il godimento, si presta a tutte le trasformazioni, s’impregna di tutti gli ambienti che attraversa, altera in ogni nuova esperienza il suo tono sentimentale, e scinde la sua personalità in una serie di incarnazioni effimere, sfibrando l’unità del suo centro spirituale, della sua coscienza, in una fantasmagoria di figure divergenti, smarrendo la possibilità di ritrovarsi e di raccogliersi in se stesso. In questa dispersione, in questo frammentarismo psichico, egli ritiene di vivere la più splendida e dolce delle esistenze, che gli consente  di assaporare tutti i doni e i beni della vita, senza impregnarsi mai fino in fondo, lasciando sempre uno spiraglio aperto verso una nuova possibilità. L’etica vuol distogliere l’uomo dalla distrazione nel molteplice e nel finito, e aprirgli l’accesso all’unità infinita della personalità nel suo fondamento religioso. L’etica sta così tra l’estetica e la religione, e mentre persuade l’uomo che il senso della vita non può consistere nel finito ma in  una più alta vocazione, riassorbe in se stessa il momento estetico.
[…]
 Il tema di Aut-Aut è dunque quello della personalità nella sua solidità e coesione morale.

Aut-Aut: messaggio alle nuove generazioni (2)

[…] Non sono un filosofo e […] non è affatto mia intenzione intrattenermi con te di questo o di quel fenomeno di quel tempo ma rivolgermi a te per farti in ogni momento capire che sei proprio tu che mi stai a cuore.  Pertanto, ora che sono già giunto a questo punto, voglio indagare un po’ più attentamente come stiano le cose riguardo alla mediazione filosofica dei contrari.
[…]
 Se è vero che vi è un futuro, così è altrettanto vero che vi è un aut-aut. Il tempo in cui vive il filosofo non è affatto il tempo assoluto, è anch’esso un momento.
[…]
 La nostra epoca, a un’epoca futura apparirà come un momento discorsivo, e una filosofia di un tempo più assoluto ancora, medierà il nostro tempo, e così via.
[…]
…se si rinuncia alla mediazione, si rinuncia alla speculazione. D’altra parte dà da pensare il riconoscerlo; poiché se si riconosce la mediazione non esiste neppure un assoluto aut-aut. Qui sta la difficoltà: pure credo che essa in pare sia dovuta al fatto che  si confondono tra loro due sfere, quella del pensiero e quella della libertà. Per il pensiero il contrario non esiste; una cosa trapassa nell’altre per poi ricollegarsi in una unità più alta. Per la libertà il contrario esiste; poiché essa esclude e accoglie.
[…]
 Le sfere con cui la filosofia ha da fare propriamente, sono sfere tipiche del pensiero, e cioè, la logica, la natura, la storia. Qui impera la necessità e perciò la mediazione ha il suo valore. Che sia così per la logica e per la natura, nessuno lo può negare; per la storia invece abbiamo delle difficoltà; poiché si dice che vi regna la libertà. Pertanto credo che si giudichi impropriamente la storia e che la difficoltà sorga proprio per questo. La storia infatti è qualcosa di più che un prodotto delle libere azioni dei liberi individui. L’individuo agisce, ma questa azione entra in un ordine di cose che sostiene tutta l’esistenza. Chi agisce non sa quello che ne consegue. Ma questo più alto ordine di cose, che, per così dire, digerisce le libere azioni e le assimila nelle sue leggi eterne è la necessità, e questa necessità e il movimento della storia mondiale. […] Se considero una individualità storica, posso distinguere tra le azioni delle quali la storia scritta dice che derivano da essa e le azioni colle quali essa appartiene alla storia. La filosofia non ha nulla da fare con quella che si potrebbe chiamare azione interna; ma questa azione interna è la vera vita della libertà. La filosofia considera l’azione esterna, e non la vede nemmeno isolata, ma la vede assunta e trasformata nel processo storico mondiale. Questo processo è il vero oggetto della filosofia che lo considera sotto la determinazione della necessità. Perciò essa allontana quella riflessione che vorrebbe far notare che tutto potrebbe essere diverso e considera la storia in modo che non vi sia alcun problema circa la possibilità di un aut-aut.
[…]
  Perfino l’individuo più meschino ha in questo modo una duplice esistenza. Anch’egli ha una storia e questa non è soltanto un prodotto delle sue libere azioni. L’azione interna invece gli appartiene e gli apparterrà per tutta l’eternità; questa non gli può esser tolta né dalla sua storia né da quella del mondo, essa lo segue per sua gioia o per suo dolore. In questo mondo regna un aut-aut assoluto, ma la filosofia non ha da fare con questo mondo. Se immagino un uomo anziano che guardi indietro  ad una vita movimentata, egli nel suo pensiero ne scorge la mediazione, poiché la sua storia è intrecciata con quella del suo tempo; ma la sua azione interiore non è toccata da nessuna mediazione. Un aut-aut costantemente disgiunge ciò che era disgiunto quando scelse. Al posto della mediazione, compare qui il pentimento; ma il pentimento non è mediazione, esso non guarda desideroso quei contrari che devon essere mediati, la sua ira consuma, soffre di ciò che non avrebbe dovuto avvenire; esso esclude, al contrario della mediazione che include.  Qui appare anche che io non presumo un male radicale, poiché stabilisco la realtà del pentimento. Il pentimento è un’espressione di conciliazione, ma è anche un’espressione assolutamente irriconciliante.

Mie note operative

 Alle mie figlie, quando frequentarono in parrocchia il catechismo di secondo livello, quello per la Cresima, fu fatto un discorso che più o meno suonava così, tra detto e fatto intuire per fatti concludenti, per così dire: 
 “Tutto quello che esce dalla tua libertà è peccato e non vale niente. E’ bene che tu te ne renda conto. Qualunque risposta tu dia alle domande che ti poniamo qui a catechismo  è sbagliata, anche quando ti limiti a ripetere con precisione quello che ti abbiamo detto. Impara a conoscere te stessa: tu sei così. Gesù, però, ti ama lo stesso; noi ti amiamo lo stesso. Devi solo obbedire a Gesù, e a noi catechisti che ti portiamo la sua voce in Terra. Allora sarai accettata nella comunità, che è la manifestazione sulla Terra della nuova realtà iniziata da Gesù, nonostante le tue imperfezioni, le tue carenze. Obbedendo fedelmente a ciò che ti consigliamo, rimanendo nella comunità e  conformandoti ad essa, potrai poi cambiare, andare più avanti nel cammino di fede.
  Quando le mie figlie, ciascuna a suo tempo, mi chiesero se dovevano seguire quell’insegnamento, io dissi loro che non erano obbligate a farlo, che erano libere di non seguirlo, perché per me, con Lorenzo Milani, l’obbedienza non è più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni. La responsabilità, in quell’aut-aut della loro vita, era loro, integralmente loro, innanzi tutto quella di stabilire se gli insegnamenti dei catechisti indicassero effettivamente la via di Gesù e se fossero l'unico modo per seguire quella via.
  Questa mia convinzione era sostanzialmente in linea con l’insegnamento di vita ricevuto dallo zio Achille. Ognuno rimane personalmente responsabile delle decisioni che assume negli aut-aut  della sua vita. L’etica è molto importante nella vita di una persona. Ma una decisione non è etica se fatta solo  per obbedienza. E la possibilità di una decisione veramente etica esiste solo quando è mantenuto il senso del valore   della propria persona,  “nella sua solidità e coesione morale”. Nessuna decisione etica si costruisce sulle rovine della propria personalità ed è puramente dispotica, e contraria a quell’orizzonte etico fondato sulla libertà, l’idea di costruire sulle rovine di una personalità, di  dover demolire la personalità degli altri per poi riscostruirla in un certo modo. Questa appunto è stata una delle idee chiave di tutti i totalitarismi del secolo scorso e lo è anche del movimento politico-religioso che sta travagliando il Vicino Oriente e il Nord-Africa. Essa circola in Italia per la persistenza di spezzoni della cultura potentemente inoculata nella nazione dal fascismo storico, anche se di ciò in genere si è persa consapevolezza.
 La nostra fede è via verso la libertà, come scrisse Paolo Giuntella.
 Per questo, quando le mie figlie mi fecero quella domanda, se dovevano seguire l’impostazione dei loro catechisti, io tenni a mantenere quello spazio di libertà, la concreta possibilità di decidere sull’aut-aut che si poneva nella loro vita, e quindi dissi loro che non erano tenute a farlo, che erano libere di non seguire quell’impostazione.  E non la seguirono.
  Sento che da noi si sostiene che questo sarebbe stato, da parte mia, un abdicare alla funzione propria del padre, di dirigere autorevolmente la vita dei figli. Io non lo concepisco così. Non sono mai stato e  mai sarò  un padre come si voleva che lo si  fosse sotto il fascismo storico. La mia fede è stata sempre vissuta in una vera libertà.

Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli






domenica 28 giugno 2015

Domenica  28 giugno 2015 -, 13° del Tempo ordinario
Letture: Sap 1,13-15; 2,23-24; Sal 29 (30); 2Cor 8,7.9.13-15; Mc 5,21-43.

Jan Brueghel, il Vecchio (1568-1625), Eden


Dal Libro della Sapienza  (Sap 1,12 -15)

 Desistete dal ricercare la morte
con gli errori delle vostre mani,
e di attirarvi la rovina con le opere
delle vostre mani,
perché Dio non ha fatto la morte,
né gode per la rovina dei viventi.
 Egli ha creato tutte le cose
perché esistano:
sono sane le cose nate  nel mondo,
in esse non c’è veleno di morte,
né gli inferi dominano la terra.
La giustizia infatti è immortale.

da La Bibbia - Nuova Versione dai teesti antichi 2010, Edizioni San Paolo


Sintesi dell’omelia udita nella Messa celebrata in una cappella non lontana dalla  nostra chiesa parrocchiale


 La lettura evangelica di oggi ci mostra Gesù come Dio dei viventi e della vita. E’ scritto che era passato dall’altra riva del lago, che può essere visto come un cambiamento di prospettiva.
 Nel brano evangelico vi sono due opere di guarigione: la prima dalla malattia, la seconda è una resurrezione.
 Nella prima una donna avvicina Gesù dopo aver perso la speranza nei medici, confidando che potesse guarirla. Viene guarita. L’insegnamento è che nelle difficoltà della vita bisogna riporre la nostra speranza in Gesù.
 Nel secondo caso ogni speranza sembrava persa, la bambina malata era già morta. Tuttavia Gesù esorta Giàiro a continuare ad avere fede. “Alzati!”  dice Gesù alla piccola morta e quella si alza.
 Anche a ciascuno di noi Gesù dice “Alzati!”, “Svegliati!”. Anche quando la speranza sembra persa, continuiamo dunque ad avere fede in lui.



Mario Ardigò, Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli

L’incubo del gender

L’incubo del gender

Un tentativo di raffigurare il malvagio gender

 
Nazioni europee che hanno introdotto il matrimonio fra persone omosessuali


  Come molti altri in società non riesco a individuare le fonti dell’ideologia gender che vorrebbe corrompere i nostri figli, insegnando loro ad andare contro natura costruendosi a piacimento la propria identità sessuale. Ne ho sentito parlare e ne ho letto solo da parte degli attivisti anti-gender. I nostri capi religiosi danno loro credito. Fatto sta che la nostra scuola pubblica, secondo loro, ne sarebbe stata asservita. Giungono lettere ultimative ai dirigenti scolastici di genitori che non vogliono che i loro figli vi siano esposti. Sul banco degli accusati, in questa sorta di neo-inquisizione, ci sono quindi anche la Ministra della pubblica istruzione e gli insegnanti statali. Insieme a una parlamentare che ha proposto un disegno di legge per riconoscere le unioni civili tra persone omosessuali. Sullo sfondo, gran parte delle nazioni dell’Europa Occidentale, l’Unione Europea, le Nazioni Unite e gli Stati Uniti d’America, antesignani della lotta contro le discriminazioni a sfondo sessuale e la cui Corte Suprema  il 26 giugno scorso ha dichiarato incostituzionale il divieto di matrimoni fra persone omosessuali.
 Il giudice della Corte Suprema statunitense Anthony Kennedy, di orientamento conservatore, ha sintetizzato così le motivazioni di quella sentenza:
 “Non abbiamo creato un nuovo diritto, ma garantito un diritto già sancito nella Costituzione e non praticato per diversa cultura della società.
 Sotto la Costituzione le coppie dello stesso sesso cercano nel matrimonio le stesse condizioni legali delle coppie eterosessuali. Sarebbe discriminatorio per le loro scelte, e umiliante per la loro personalità, negare questi diritti.”
 Il medesimo argomento può valere nel nostro regime costituzionale. La nostra Costituzione e la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea sono ispirate ai medesimi principi. E’ per questo che sono convinto che anche la Repubblica Italiana seguirà la medesima via, prima o poi.
 Qui però si è in un contesto diverso da quello prospettato dagli attivisti anti-gender: ci sono persone ingiustamente discriminate, in particolare una minoranza di persone discriminate, e una legge suprema di civiltà che entra in azione contro maggioranze discriminanti. Va anche notato che non è nemmeno più sicuro che, anche da noi, quelle maggioranze siano tali. Secondo statistiche affidabili gli italiani si dividono più o meno a metà. Se però consideriamo le opinioni di chi ha meno di trentacinque anni e delle persone con istruzione più elevata, circa due terzi sono a favore dell’istituzione del matrimonio fra persone omosessuali.  La situazione è opposta tra gli ultrasessantenni, l’età della gran parte dei nostri capi religiosi.
 Anche le Linee di orientamento per azioni di prevenzione  e di contrasto del bullismo e del cyberbullismo, della Ministro dell’Istruzione, dell’aprile 2015, si muovono nella stessa ottica, vanno nella medesima direzione, del contrasto contro discriminazioni ingiuste e dolorose:
 “Il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca è impegnato da anni sul fronte della prevenzione del fenomeno del bullismo e, più in generale, di ogni forma di violenza, e ha messo a disposizione delle scuole varie risorse per contrastare questo fenomeno ma soprattutto ha attivato strategie di intervento utili ad arginare comportamenti a rischio determinati, in molti casi, da condizioni di disagio sociale non ascrivibili al solo contesto educativo scolastico.
[…]
 Gli atti di bullismo e di cyberbullismo si configurano sempre di più come l’espressione di scarsa tolleranza e della non accettazione verso chi è diverso per etnia, per religione, per caratteristiche psico-fisiche, per genere, per identità di genere, per orientamento sessuale e per particolari realtà familiari: vittime del bullismo sono sempre più spesso, infatti, adolescenti su cui gravano stereotipi che scaturiscono da pregiudizi discriminatori. E’ nella disinformazione e nel pregiudizio che si annidano fenomeni di devianza giovanile che possono scaturire in violenza generica o in più strutturate azioni di bullismo.
[…]
 Interventi mirati vanno, dunque, attuati da un lato sui compagni più sensibili per renderli consapevoli da aver in classe un soggetto particolarmente vulnerabile e bisognoso di protezione; dall’altro sugli insegnanti affinché acquisiscano consapevolezza di questa situazione come di altre “diversità”.
 Il considerare, per esempio, “diverso” un compagno di classe perché ha un orientamento sessuale o un’identità di genere reale o percepita differente dalla propria poggia le sue basi sulla disinformazione e su pregiudizi molto diffusi che possono portare a non comprendere la gravità dei casi, a sottostimare gli eventi e a manifestare maggiore preoccupazione per l’orientamento della vittima che per l’episodio di violenza in sé. Nel caso specifico, infatti, la vittima del bullismo omofobico molto spesso si rifugia nell’isolamento non avendo adulti di riferimento che possano comprendere la condizione oggetto dell’offesa.
 A tal proposito, Scuola e Famiglia possono essere determinanti nella diffusione di un atteggiamento mentale e culturale che consideri la diversità come una ricchezza e che educhi all’accettazione, alla consapevolezza dell’altro, al senso della comunità e della responsabilità collettiva. Occorre, pertanto, valorizzare i Patto di corresponsabilità educativa previsto dallo Statuto delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria: la scuola è chiamata ad adottare misure atte a prevenire e contrastare ogni forma di violenza e di prevaricazione; la famiglia è chiamata a collaborare, non solo educando i propri figli ma anche vigilando sui loro comportamenti.
 Per definire una strategia ottimale di prevenzione e di contrasto, le esperienze acquisite e le conoscenze prodotte vanno contestualizzate alla luce dei cambiamenti che hanno profondamente modificato le società sul piano etico, sociale e culturale e ciò comporta una valutazione ponderata delle procedure da adottare per riadattarle in ragione di nuove variabili, assicurandone in tal modo l’efficacia.”
  Gli attivisti anti-gender parlano invece, con tono accorato, di un’aggressione perversa  dei  pro-gender  per corrompere i nostri figli fin dalla scuola.
 Avendo sposato un’insegnante statale e conoscendo quindi piuttosto bene il mondo della scuola pubblica, posso testimoniare e garantire che nulla di simile si sta progettando nella scuola statale. Educare a non discriminare gli altri su base sessuale è un altro discorso, è la Costituzione della Repubblica, la legge suprema dello stato, alla quale gli insegnanti statali, come anche tutti gli insegnanti delle scuole paritarie, anche quelle gestite da enti religiosi, come, infine, tutti i cittadini, devono obbedienza. Ci mancherebbe altro che un genitore potesse opporsi all'insegnamento ai suoi figli dei principi fondamentali di cui all'art.3 della Costituzione, secondo il quale: 
"Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale  e sono uguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
 E' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che limitando difatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese."
 L’idea, attribuita all’ideologia gender, che ognuno possa riuscire effettivamente a costruirsi a piacimento, secondo il suo capriccio, la propria identità sessuale è piuttosto bislacca. Ma in effetti non  è questo, se ho ben capito, che sostengono i movimenti per i diritti civili delle persone omosessuali. Ognuno, comprese le persone omosessuali, ha l’identità sessuale che si ritrova al termine di un processo fisiologico e psicologico su cui in genere si ha poca possibilità di influire e che, quindi, in questo senso, è naturale. Il problema sorge quando a una persona viene negato di manifestare ed esprimere, anche in una relazione umana adeguata e corrispondente, l’identità sessuale che si ritrova. Quando una persona, per l’identità sessuale che si ritrova, è presa in giro, offesa, colpita, emarginata o esclusa in società, considerata dannosa, fin da molto piccola, fin dalle scuole. E questo solo perché la sua identità sessuale non corrisponde a determinati modelli ritenuti normativi in società, non perché sia realmente dannosa per la società, o pericolosa per il benessere fisico o psicologico, l'incolumità, la vita e la sicurezza delle altre persone con cui entra in relazione. Posta così la questione, l’evoluzione storica sul tema mostra una sua coerenza: in Occidente si va dalla discriminazione all’integrazione. Questa dinamica riguarda anche l’integrazione razziale e delle donne ed è in corso nel mondo Occidentale dall’Ottocento. Corrisponde ad una conquista culturale faticosa ma ormai molto radicata nei nostri popoli, anche tra le persone evangelizzate e ancora religiose. I tentativi di contrastarla sono destinati al fallimento, a meno di una improbabile ripresa di regimi di tipo fascista, che storicamente, ultimi in Europa il franchismo spagnolo e il salazarismo portoghese, veicolarono la discriminazione su base sessuale, appoggiati in ciò da correnti clericali o, comunque, proponendo anche motivazioni di tipo religioso. Se però c’è effettivamente un complotto gender la cosa prende un aspetto  diverso. La situazione si rovescia: invece di maggioranze che aggrediscono  minoranze per discriminarle, come avvenne storicamente con gli ebrei europei e i neri nel Continente americano, ci sarebbe una minoranza perversa che  aggredisce  per corromperla  la nostra società. Quella che diversamente sarebbe violenza discriminatoria sessista, un'aggressione discriminatoria contro una minoranza sociale appunto, prende, in questa particolare prospettiva,  l’aspetto di una difesa  contro un’aggressione di una minoranza guidata da un'ideologia perversa, il malvagio gender, per di più portata contro persone in formazione, contro i fanciulli e gli adolescenti affidati alla scuola pubblica, meno capaci di difendersi, di reagire. Ecco dunque la necessità di una reazione  dei loro genitori.
 I reazionari di ogni epoca hanno storicamente motivato le peggiori nefandezze con l’esigenza di difesa sociale. La nostra gerarchia religiosa, nei secoli passati, è stata sempre in prima fila in questo, fino ad epoca molto recente, quando le democrazie occidentali le hanno sottratto il potere di vita e di morte sulla gente. I nostri capi religiosi ci hanno infine guidati a pentircene, a promettere di non ricaderci. Ma sembra che, al dunque, non sia sempre così facile tenere fede ai solenni impegni presi.
   Per contrastare  le istanze di integrazione sociale e di libertà, si è sempre   sostenuta l'esigenza  di  evitare la contaminazione, l'inquinamento,  del popolo da parte di genti di razze   e culture  diverse, per proteggerlo  da loro. Imbastardimento, lo ha chiamato un politico del Nord Italia, l'altro giorno. Questa idea era parte dell’ideologia sudista nella guerra di secessione dagli Stati Uniti d’America nell’Ottocento, ma anche del razzismo nazifascista e lo è delle ideologie che oppongono indù e islamici nel Continente indiano. Nella stessa ottica si muovevano la millenaria Inquisizione cattolica e il sistema sovietico di polizia ideologica. Argomenti simili furono e sono portati contro i progressi nell’integrazione egualitaria delle donne nelle nostre società. E fondamentalmente stanno anche, non vi pare?, alla base dell’ideologia anti-gender. Con la differenza che, in quest’ultimo caso, l’ideologia  gender non si sa bene dove stia e  chi  la stia inoculando in società. Nemmeno gli antigender sanno dircelo  chiaramente. “Quelle visioni e intenzioni che vengono chiamate «ideologia gender», ahinoi, anche in Europa non sono un’illusione, ma una pretesa sempre più assillante, ha scritto su Avvenire  di ieri Marco Tarquinio, ma mi sarebbe piaciuto che avesse precisato in che cosa l’ideologia geneder  differisce dalla mera pretesa di non subire discriminazioni sociali su base sessista con il divieto di manifestare ed esprimere l’identità sessuale che una persona  si ritrova e dove la possiamo trovare esposta programmaticamente (io non lo so).
 Propongo l'ipotesi che ci  si stia scagliando contro quella che, a questo punto, non emergendo indizi affidabili della sua reale esistenza, andrebbe definita la fantomatica ideologia gender, in quanto, giustamente, ci si vergogna di chiamare il  nemico con il suo vero nome:  le persone omosessuali. Dopo averle tanto a lungo oppresse come malvagie,  perverse, peccatrici irredimibili  e, più di recente, malate, ora di questo abbiamo iniziato a vergognarci. Riteniamo sconveniente manifestare in pubblico l’idea che queste persone inquinino veramente la nostra società, anche  quando, in fondo, lo pensiamo. Lo sappiamo bene (e questa è una nostra recente conquista culturale) che quella è una cosa ingiusta e quindi, ora, sosteniamo di voler accettare e accogliere  di buon grado le persone omosessuali nelle nostre collettività religiose, purché però reprimano e nascondano la loro  identità sessuale e vivano quindi  in una specie di stato di penitenza permanente. Neghiamo loro quel diritto alla ricerca della felicità che fu considerato tanto importante dai padri fondatori della grande democrazia statunitense da inserirlo nella loro Dichiarazione di Indipendenza. Quel  diritto alla ricerca della felicità  che invece rivendichiamo per noi. I nostri capi religiosi sembrano pensarla ancora così. Non riescono ad andare oltre, sostengono. La loro teologia, un sistema concettuale da loro stessi ideato, sembra frenarli. Vorrebbero e non vorrebbero. Vorrebbero che si diventasse diversi, ma il peso del passato, di tutto ciò che ora andrebbe ripudiato ma che pesa come un magigno nelle loro biblioteche, e la paura  di non riuscire a governare il cambiamento, li atterra. Io, che non sono un teologo e che non ho avuto in sorte di essere un capo religioso, non so come aiutarli a uscirne. Osservo però che bisogna uscirne. Non c’è dubbio. E non lo faremo insistendo su questa storia del gender. Perché la sostanza della discriminazione sociale contro le persone omosessuali non cambia. Urliamo contro il gender,  ma è contro di loro che ce l'abbiamo. E sarebbe già  molto grave che lo facessimo solo in religione, in tal modo allontanando dalla fede le persone discriminate. Ma pretendiamo di farlo imponendo la nostra volontà anche nel fare le leggi della Repubblica. Ci mettiamo di traverso, facciamo lobby. Cerchiamo di far concordare la Costituzione con le nostre idee discriminanti, mentre essa le condanna apertamente, chiaramente. Ci inventiamo di sana pianta la famiglia costituzionale,  che sarebbe quella  come la vogliamo noi in religione. E la laicità  dello Stato, principio costituzionale supremo del nostro ordinamento civile? A tutte le altre famiglie, che ci sono, che chiedono di essere riconosciute come famiglie, sbattiamo la porta in faccia. Che si arrangino. Facciano da sé, si organizzino. Per noi non sono famiglie. Sosteniamo sempre di essere in minoranza nella società italiana, ma, se questo è vero, bisogna riconoscere che siamo una minoranza veramente molto combattiva, tanto che finora  siamo riusciti a imporre la nostra volontà, di  minoranza, alla maggioranza dei concittadini su tante questioni, sulle unioni civili, sui diritti delle persone omosessuali, sulle faccende procreative, sulla scuola privata, sul finanziamento pubblico alle nostre organizzazioni religiose, sulla tassazione dei proventi delle attività degli enti religiosi e su altro ancora.
 Infine c’è un aspetto della polemica anti-gender che mi preoccupa molto: il regolamento di conti nelle nostre collettività religiose con il pretesto della lotta al malvagio gender.  L’ideologia anti-gender  si avvia ad essere un fattore di discriminazione anche al loro interno, volendosene fare, detto in ecclesialese, una specie di nuovo criterio di ecclesialità  e di comunione. Certo, ad esempio, io e la piazza di San Giovanni di sabato scorso la pensiamo molto diversamente e, aggiungo, non c’è effettivamente alcuna possibilità di intesa tra me e quelle persone là che si basi sul mantenimento di discriminazioni ingiuste contro le persone omosessuali. Ma non sono papa e non mi permetto di scomunicarli, né pretendo che lo siano, quelli di quella piazza là, anche se da quel palco ho sentito dire cose che mi hanno veramente indignato. Critico le loro idee ma continuo a rimanere insieme a loro nel gregge. Ma respingerei al mittente le scomuniche che mi venissero da loro o su loro sollecitazione o addirittura pretesa  per il mio dissenso sulla questione gender  e, più in genere, sui temi della famiglia. Non è infatti, quello loro, l’unico modo di essere persone di fede nella nostra società. Di questo sono fermamente convinto.
 Da cittadino della Repubblica e credente mi dichiaro, sul tema dei diritti civili delle persone omosessuali, dalla parte della nostra  Costituzione, nella cui stesura i cattolici ebbero un ruolo tanto importante, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani delle Nazioni Unite, della nostra Ministra dell’Istruzione e anche, lasciatemelo dire,  della Corte Suprema degli Stati Uniti d’America. E in questo non vedo nulla che contrasti con la mia fede religiosa.

Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli




sabato 27 giugno 2015

Unioni civili fra persone omosessuali: opinioni a confronto su Avvenire

Unioni civili fra persone omosessuali: opinioni a confronto su Avvenire



Il manoscritto della Dichiarazione di Indipendenza USA, 4 luglio 1776, in cui si legge che i firmatari del documento erano convinti che tutti gli esseri umani fossero creati uguali


Da Avvenire.it sul WEB - rubrica Lettere al direttore  Marco Tarquinio:
http://www.avvenire.it/Lettere/Pagine/laiche-responsabilita-e-pensieri-lunghi.aspx

Caro direttore,
sulla manifestazione di San Giovanni, sulle polemiche successive e, ovviamente, nel merito dei temi in discussione, vogliamo proporre alcune considerazioni. Dell’iniziativa di San Giovanni non ci convince la rappresentazione (se non cercata, accettata volentieri dai promotori) di una contrapposizione etica su temi così delicati e nemmeno quello che appare come un tentativo di edificazione di nuovi steccati tra credenti e non credenti. Capiamo e condividiamo la promozione di iniziative per la famiglia, per chiedere al governo e alle istituzioni, concrete e impegnative politiche a favore della famiglia e a sostegno della natalità. E siamo convinti che molti dei partecipanti fossero lì con quello spirito. Ma le modalità, gli slogan, i messaggi scelti dai promotori, a nostro modo di vedere, hanno accresciuto il rischio, consapevolmente o meno, di animare una contrapposizione tutta ideologica, dura anche nelle parole, su temi come la famiglia, l’affettività, i figli, i diritti delle persone, questioni sulle quali occorrerebbero, al contrario, rispetto, attenzione, riflessione, capacità di ascolto, ricerca di sintesi condivise. Da molti anni si discute della introduzione di norme che regolino la condizione delle coppie omosessuali e promuovano i diritti delle persone, indipendentemente dal loro orientamento sessuale. Troppo tempo è passato senza che nelle istituzioni si arrivasse a una decisione; chi ha ostacolato gli approdi legislativi possibili ha finito per concorrere a esasperare toni e contenuti del dibattito, irrigidire ulteriormente le posizioni e rendere più complicata l’adozione di norme equilibrate. Per questo condividiamo profondamente l’impegno assunto da Matteo Renzi e dal Pd di imboccare rapidamente la strada parlamentare, individuando nel modello tedesco della civil partnership la risposta adeguata e unanimemente condivisa per il riconoscimento dei diritti civili alle coppie omosessuali. A questo lavoro abbiamo partecipato tutti con passione e convinzione e siamo certi che tutti ne sosterremo gli esiti in Parlamento. Non sappiamo dire bene, francamente, se esista invece nel contesto europeo una vera e propria “teoria gender” volta a superare la naturale distinzione di genere; se questa teoria fosse avanzata, noi saremmo per contrastarla senza esitazioni, attraverso una forte e aperta iniziativa culturale capace di costruire ponti di condivisione con tutte le culture che hanno al centro l’uomo e credono nel primato della persona.
Infine, due parole soltanto da semplici laici cattolici. Quando, qualificandoci come credenti, parliamo di persone che legittimamente chiedono alla comunità civile, allo Stato, di essere riconosciuti nella dimensione, che avvertono negata, di una piena cittadinanza come possiamo, quale che sia la nostra opinione, non partire da una parola forte di attenzione alla persona in quanto tale, alle sue speranze, ai suoi bisogni? Sono i nostri figli, i nostri fratelli, i nostri parenti, i nostri amici, persone che vivono con noi, fratelli in cammino con noi, se davvero crediamo a un comune destino dell’umanità. Dobbiamo dire, da convinti assertori della laicità della politica e lontani da ogni clericalismo, che abbiamo trovato questo respiro di comune umanità nelle parole di papa Francesco e nel testo, l'Instrumentum Laboris, messo a punto in vista del Sinodo dei vescovi del prossimo ottobre tenendo conto delle risposte di fedeli di tutto il mondo, che, dopo aver confermato, dal punto di vista della Chiesa, che le unioni omosessuali non sono assimilabili al matrimonio e alla famiglia, recita «si ribadisce che ogni persona, indipendentemente dalla propria tendenza sessuale, va rispettata nella sua dignità e accolta con sensibilità e delicatezza, sia nella Chiesa che nella società». Ci sono stati momenti in cui per sostenere con altri amici, su questi stessi temi, la impossibilità di definire, in democrazia, “valori non negoziabili” per dogma, e che la piena libertà di parola e di annuncio della Chiesa conviveva con il principio della laicità della politica e con la responsabilità ultima della coscienza individuale nel servizio alla comunità civile, abbiamo rischiato forti incomprensioni con una parte della gerarchia ecclesiastica. Oggi il vento nuovo che soffia nella Chiesa apre alla iniziativa dei laici credenti, sotto la loro piena e autonoma responsabilità, spazi significativi di dialogo, di incontro, di relazione con tutte le culture, con le crisi e le domande dell’uomo, certo anche un po’ smarrito, della modernità globalizzata. Questo lavoro nella società tocca ai laici, alla loro iniziativa, alla capacità di leggere i segni dei tempi e anche di mettersi in discussione. Non servono gli steccati e temiamo non bastino gli slogan.

Francesco Saverio Garofani e Antonello Giacomelli
Deputati del Pd

La risposta del direttore:

Apprezzo il modo di argomentare, l’idea alta della funzione politica, la preoccupazione di tenere aperti spazi di dialogo e, anche, la “volontà decidente” che animano l’onorevole Garofani e il sottosegretario Giacomelli. Ma non arrivo alle loro stesse conclusioni. E spero che le decisioni finali cui contribuiranno siano saggiamente coerenti con tutte le premesse da cui partono e la sensibilità cristiana che esprimono. Innanzitutto, da cronista, checché altri abbiano “mediatizzato”, posso e devo testimoniare ancora una volta che le persone – soprattutto, ma non solo, cattoliche – riunite sabato scorso a piazza San Giovanni non hanno scandito slogan “anti”, hanno incalzato a loro modo – modo civile e pacifico – un ceto politico e dirigente purtroppo incapace di occuparsi della famiglia e di vederla nella sua verità in un tempo in cui persino la verità sulla natura maschile e femminile dell’essere umano è stata messa in discussione (quelle visioni e intenzioni che vengono chiamate “ideologia gender”, ahinoi, anche in Europa non sono un’illusione, ma una pretesa sempre più assillante). Si è trattato di un fatto di popolo generato da un disagio e da preoccupazione crescenti che non vanno più sottovalutati, e che meritano attenzione, serena comprensione e seria risposta. Altri, in altra forma e con identica urgenza, e io sono tra questi, pongono gli stessi problemi.
Quanto alla prospettiva di introdurre anche in Italia una regolazione delle unioni tra persone dello stesso sesso secondo il modello tedesco, so bene qual è la posizione del Pd. Non la condivido. E ancor meno condivido la traduzione che ne è stata fatta nel ddl Cirinnà. Insisto per questo, da tempo, e non sono il solo, ad auspicare una esemplare “via italiana”, cioè calibrata normativa di tipo patrimoniale e non matrimoniale per questo tipo di relazioni. E penso che chi fa politica debba essere capace di pensieri lunghi, cioè di ragionare sulle conseguenze delle leggi a cui dà forma. Che unioni similmatrimoniali e veri e propri matrimoni gay abbinati in diverso modo al riconoscimento di un “diritto” ai figli e sui figli abbiano anche contribuito a incentivare fenomeni gravissimi (che riguardano, sia chiaro, anche coppie eterosessuali) di mercificazione del seme maschile e degli ovociti femminili è infatti una triste realtà. Che abbiano prodotto e fatto esplodere, attraverso le cosiddette gravidanze surrogate, una nuova e insopportabile forma di sfruttamento della donna ridotta a fattrice di figli per altri è di terribile evidenza. In mezza Europa, specialmente in Francia, anche e soprattutto nella sinistra, se ne stanno rendendo conto da qualche tempo e cominciano a fioccare appelli solenni per fermare la deriva. Tanta parte del mondo va in questa direzione? Anche ieri, da Washington ne è venuta la prova. Ma questo non consente di chiudere gli occhi, impone di aprirli di più. E io credo che i legislatori in coscienza, con (laica) responsabilità, possano e debbano pensarci prima, correggendo rischiose – queste sì – direzioni di marcia, evitando pesanti ambiguità, fermando processi di dilatazione e accettazione surrettizia per via giudiziaria di pratiche mercantili e persino schiaviste.

Chiudo sull’abbraccio della Chiesa all’umanità e sull’annuncio di Cristo che essa è inviata a portare, uscendo da sé e “facendosi prossimo” senza esclusioni. A questo siamo chiamati, non c’è dubbio. Portando la Parola, trovando le parole giuste per dare ragione della nostra speranza e comunque, soprattutto dove apparentemente non ci sono parole (in realtà ci sono sempre…), facendo parlare i gesti. Accoglienza, delicatezza e rispetto per ogni persona, in ogni momento della sua esistenza, qualunque condizione sperimenti e cammino faccia, non sono slogan. Sono vita. Fanno parte di quei valori sui quali non si deve far mercato in un mondo che di tutto tende a far mercato. Papa Francesco, oggi, ci dice che certi princìpi sono come le dita di una mano. Per me questa, oggi come ieri, è una irrinunciabile consapevolezza. I cristiani sono quelli delle mani che si incontrano, non quelli delle mani che allontanano e dei pugni che si chiudono. Per questo hanno sempre qualcosa da dire e da fare per amare umanità e mondo senza consegnarsi alle logiche «mondane».

Gestire il cambiamento - da articolo di Ignazio Sanna pubblicato su L'Arborense

Gestire il cambiamento



Immagine tratta da L'Arborense  n.22/2015, pag.2


Una immagine del Sinodo diocesano di Oristano, quest'anno [dal WEB]



[da: Occorre gestire il cambiamento, di Ignazio Sanna, pubblicato in L’Arborense -  settimanale della diocesi di Orestano - n.22/2015 - 21-6-15]

 L’esito del referendum in Irlanda, alcune proposte legislative in Italia, le norme già entrate in vigore in diversi Paesi d’Europa mettono in chiara evidenza che siamo nel pieno di una rivoluzione sociale. Tutto è in continua evoluzione; tutto è in continuo cambiamento. La legge naturale viene sostituita dalla legge dell’evoluzione. Natura, verità, umanità sono tutte categorie declinate al plurale. Non c’è un’unica verità, un’unica natura, un’unica umanità, e neppure un’unica appartenenza religiosa. Ormai il pluralismo filosofico, etico, culturale, religioso è la nuova divinità cui ci si inchina e sottomette.
 Sorge, allora, il problema, per i cristiani, su come gestire il cambiamento, in modo da non essere vittime ma protagonisti dello stesso. In altre parole, sorge il problema su come vogliamo essere uomini e donne di speranza, e affrontare con fantasia e coraggio le tante crisi e contraddizioni del nostro mondo.
 Una cosa è certa, al riguardo. La Chiesa non può rimanere alla finestra e guardare dall’alto della sua istituzione il flusso continuo di costumi, delle convinzioni, degli orientamenti sociali. Non ci si può ritirare sul monte, come cittadella dei puri, ma si deve scendere nelle vicende della storia umana per erigere tende d’ospedale da campo e gettare ancore di salvezza. La “differenza” cristiana deve trovare forme di dialogo con la cultura e l’antropologia attuali; declinare la grammatica della fede con quella della cultura secolarizzata.
***
 Per gestire il cambiamento, il papa ci esorta a cambiare il gioco. I prìncipi, le regole, la dottrina rimangono immutati. I concili di Calcedonia, Efeso, Trento Vaticano II sono gli stessi. Ma va cambiato il gioco. Come nel calcio, le regole sono le stesse, il pallone e lo stesso, ma l’allenatore cambia la strategia e la regia del gioco, così è con lo stile di Francesco. Egli fa leva più sui gesti e i simboli che sul ragionamento. Per lui, la Chiesa è di tutti e non solo dei puri e degli eroi, ossia di quelli che occupano le prime file dei banchi delle liturgie d’occasione. Egli propone la legge della gradualità, secondo la quale tutti possono arrivare alla meta. Come il navigatore riformula il percorso quando si sbaglia strada, così la Chiesa deve riformulare  il percorso della salvezza a chi sbaglia strada e vuole comunque arrivare alla mete […]

Altre famiglie in festa in USA


Ecco perché è necessaria un'educazione alla pari dignità di genere fin dalle scuole primarie 


Supporters of gay marriage rally after the U.S. Supreme Court ruled on Friday that the U.S. Constitution provides same-sex couples the right to marry at the Supreme Court in Washington June 26, 2015. The court ruled 5-4 that the Constitution's guarantees of due process and equal protection under the law mean that states cannot ban same-sex marriages. With the ruling, gay marriage will become legal in all 50 states.REUTERS - Sostenitori del matrimonio omossessuale manifestano davanti alla sede della Corte Suprema,  dopo che la Corte Suprema degli Stati Uniti, venerdì 26 giugno 2015, ha deciso che la Costituzione degli Stati Uniti garantisce alle coppie omosessuali il diritto di sposarsi. La Corte, a maggioranza di cinque contro quattro, ha sentenziato che le garanzie costituzionali di giusto processo e di eguaglianza dei cittadini davanti alla legge implicano  che gli stati dell'Unione non possono vietare i matrimoni omosessuali. Di conseguenza, i matrimoni omosessuali diverranno legali in tutti i 50 stati dell'Unione.



Ciò che è accaduto ieri negli Stati Uniti delinea il nostro futuro. Nonostante tutte le resistenze di settori della nostra società, in particolare a sfondo religioso, alla fine in Italia ognuno avrà il diritto di essere trattato come desidera, anche con riguardo alla propria identità sessuale.
 Ecco perché è necessario educare, a scuola,  i nostri figli, fin da piccoli, fin dalla primaria, alla nuova situazione che già è in atto,  a meno di non volerne fare dei piccoli disadattati, dei bulletti violenti e intolleranti, e, da grandi, dei bruti fuori della storia sociale in cui sono immersi. Non sempre i genitori sanno farlo. Anche quelli più giovani spesso si sono formati in una cultura sociale che è molto cambiata e devono ancora assimilare questa nuova situazione e trovare una via per gestirsi in questa realtà nuova. Gli ambienti sociali a cui fanno privilegiato riferimento spesso non li aiutano.Talvolta li spingono verso la via infruttuosa della negazione della novità.
 E anche la teologia dovrebbe prendere atto della sua inadeguatezza. Non ci sta aiutando ad affrontare il cambiamento. Dobbiamo fare da soli. Ma a che serve, allora, tutta questa sofisticata teologia? Solo a fare accademia tra specialisti con approvazione gerarchica, ma fuori della storia che l'altra gente, i fedeli, il popolo, stanno vivendo? Lontano dai loro problemi, vivendo in un mondo irreale, immaginario. Sognando un passato che certamente non tornerà.

Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro Valli

venerdì 26 giugno 2015

5. Laudato si'. Custodia del Creato e narrazioni bibliche

5. Laudato si'. Custodia del Creato e narrazioni bibliche





[dall’Enciclica di papa Francesco Laudato si’, 24-5-15, diffusa il 18-6-15]

66. […] L’armonia tra il Creatore, l’umanità e tutto il creato è stata distrutta per avere noi preteso di prendere il posto di Dio, rifiutando di conoscerci come creature limitate. Questo fatto ha distorto la natura del  mandato di soggiogare la terra (Gen 1,28) e di coltivarla e custodirla (Gen 2,15). Come risultato, la relazione originariamente armonica tra essere umano e natura si è trasformata in un conflitto.
[…]
67.[…] Anche se è vero che qualche volta i cristiani hanno interpretato le Scritture in modo non corretto, oggi dobbiamo rifiutare con forza che dal fatto di essere creati a immagine di Dio e dal mandato di soggiogare la terra si possa dedurre un dominio assoluto sulle altre creature. E’ importante leggere i testi biblici nel loro contesto, con una giusta ermeneutica, e ricordare che essi ci invitano a “coltivare e custodire” il giardino del mondo (Gen 2,15). Mentre “coltivare” significa arare o lavorare un terreno, “custodire” vuol dire proteggere, curare, preservare, conservare, vigilare. Ciò implica una relazione di reciprocità responsabile tra essere umano e natura. Ogni comunità può prendere dalla bontà della terra ciò di cui ha bisogno per la propria sopravvivenza, ma ha anche il dovere di tutelarla  e garantire la continuità della sua fertilità per le generazioni future. In definitiva “del Signore è la terra” (Sal 24,1), a Lui appartiene “la terra e quanto essa contiene” (Dt 10,14). Perciò Dio nega ogni pretesa di proprietà assoluta: “Le terre non si  potranno vendere per sempre, perché la terra è mia e voi siete presso di me come forestieri e ospiti” (Lv 25,23).
68. Questa responsabilità di fronte a una terra  che è di Dio implica che l’essere umano, dotato di intelligenza, rispetti le leggi della natura e i delicati equilibri tra gli essere di questo mondo, perché “al suo comando sono stati creati. Li ha resi stabili nei secoli per sempre; ha fissato un decreto che non passerà” (Sal 148, 5b-6). Ne consegue il fatto che la legislazione biblica si soffermi a proporre all’essere umano diverse norme, non solo in relazione agli altri esseri umani, ma anche in relazione agli altri esseri viventi: “Se vedi l’asino di tuo fratello o il suo bue caduto lungo la strada, non fingerai di non averli scorti […]  Quando cammin facendo, troverai sopra un albero o per terra un nido d’uccelli con uccellini o uova e la madre che sta covando gli uccellini o le uova, non prenderai la madre che è con i figlio” (Dt 22,4-6). In questa line, il riposo del settimo giorno non è proposto solo per l’essere umano, ma anche “perché possano godere quiete il tuo bue e il tuo asino (Es 23,12).


 L’apparato di citazioni bibliche è la parte più insoddisfacente, perché meno sviluppata, dell’enciclica Laudato si’. C’è sicuramente molto lavoro da fare per i teologi, in particolare per i teologi biblici.
 D’altra parte, i problemi ecologici come si presentano ai tempi nostri erano sconosciuti agli autori dei libri delle Scritture. Essi poi partivano dall’idea di una perfezione originaria della natura, deturpata dal peccato degli esseri umani, che sappiamo irrealistica. La natura veniva  concepita come manifestazione della gloria di Dio, mentre nell’era contemporanea ne vediamo anche gli equilibri instabili e, in particolare, i problemi derivati dall’evoluzione degli organismi viventi, quindi le imperfezioni. C’era infine l’idea di una Provvidenza che desse ad ogni vivente di che sopravvivere, mentre l’osservazione più realistica della natura dei tempi nostri ce la presenta come teatro di una lotta acerrima tra viventi per la sopravvivenza ciascuno a spese degli altri, uno scenario in cui tutti si nutrono di tutti, dai micro-organismi monocellulari che colonizzano anche i nostri corpi ai più grandi mammiferi. Oggi sappiamo, e siamo giunti ad accettare, che questa realtà ha preceduto di molto la comparsa delle specie umane sulla Terra.
 In definitiva tutto l’insegnamento biblico in materia di ecologia come oggi la intendiamo, al tempo dell’umanità che ha acquisito un potere straordinario di influire sull’ambiente in cui essa e gli altri viventi non umani sono immersi, può vedersi  condensata nel versetto di Deuteronomio 2,15: “Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse”; che nella narrazione biblica  viene però riferito a un immaginario stato di perfezione prima della Caduta dei progenitori.
 Nella realtà, gli esseri umani, fin dalla loro lenta differenziazione dai viventi non umani, si sono sempre trovati inseriti in una natura molto violenta e omicida, della quale solo negli ultimi due secoli hanno cominciato ad avere ragione, prima sui grandi organismi, sulle belve predatrici, e molto più di recente anche su una buona parte dei microrganismi patogeni. Il clima, i moti tellurici e vulcanici e i grandi maremoti sfuggono ancora al loro dominio. Quando al primo l’umanità può solo cercare di contenere l’influsso nocivo delle emissioni, sversamenti e accumuli velenosi nell’ambiente delle sue civiltà. E, in ultimo, le dinamiche di interazione delle società umane ricalcano ancora in gran parte quelle naturali, violente, stragiste, secondo il principio che “il pesce grosso mangia il pesce piccolo”.
 Come è stato osservato,  la teologia che sta dietro al pensiero e all’esempio di vita di Francesco d’Assisi in materia di natura non comprendeva la sensibilità ecologica contemporanea, ipotizzando sostanzialmente, sulla scorta dell’insegnamento biblico, una Creazione perfetta, manifestazione della perfezione del Creatore, a cui tornare conformandole le società umane. Si trattava, dunque, di lodare il Creatore lodando la perfezione della sua Creazione. Ai tempi nostri, invece, vorremmo farci collaboratori  nella Creazione, correggendo la brutale legge di natura (a partire dalle società umane) che, se imitata dagli esseri umani nella loro massima potenza terrena mai raggiunta storicamente, condurrebbe alla catastrofe ecologica.
 La scarsità dei riferimenti biblici si fa ancora più acuta nel campo di quelli neotestamentari.
 Quelli che mi appaiono più significativi, nell’ottica dell’ecologia integrale proposta dall’enciclica e secondo una visione realistica della natura, sono i seguenti:
La violenza che c’è nel cuore umano ferito dal peccato si manifesta anche nei sintomi di malat­tia che avvertiamo nel suolo, nell’acqua, nell’aria e negli esseri viventi. Per questo, fra i poveri più abbandonati e maltrattati, c’è la nostra oppressa e devastata terra, che « geme e soffre le doglie del parto »[…] (Rm 8,22). [n.2]
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Secondo la comprensione cristiana della re­altà, il destino dell’intera creazione passa attraver­so il mistero di Cristo, che è presente fin dall’ori­gine: « Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui » (Col 1,16). [n.99]
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 Il Nuovo Testamento non solo ci parla del Gesù terreno e della sua relazione tanto concreta e amorevole con il mondo. Lo mostra anche ri­sorto e glorioso, presente in tutto il creato con la sua signoria universale: « È piaciuto infatti a Dio che abiti in lui tutta la pienezza e che per mezzo di lui e in vista di lui siano riconciliate tutte le cose, avendo pacificato con il sangue della sua croce sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli » (Col 1,19-20) [100].
  Tutti questi brani biblici mi paiono suggerire l’idea di una natura pacificata  come orizzonte religioso ideale e quindi di un nostro impegno di umani in quella direzione. Originano dalla teologia di Paolo di Tarso.
 I brani evangelici in materia di natura citati nell’enciclica fanno invece riferimento all’azione Provvidenziale nella natura e ispirarono poi la teologia di Francesco d’Assisi. Essi non propongono una visione realistica della natura, ma mi appaiono diretti essenzialmente a liberare l’animo umano dall’ossessione del futuro e dell’accumulo di ricchezze per parare le sue avversità, nel tempi di magra.
 Che dobbiamo concludere? Che non ci siano sufficienti basi teologiche per la rivoluzione ecologica proposta dall’autore della Laudato si’?
 Non è così, a mio parere.
 E’ che siamo solo all’inizio di un percorso. Il quadro biblico e teologico  è appena abbozzato nell’enciclica. Serve una teologia nuova per tempi nuovi. C’è molto lavoro da fare. La via da seguire è indicata nell’enciclica nella costruzione di un’idea di fraternità  che comprenda anche i viventi non umani e finanche le componenti non viventi dell’ambiente:
 Così come succede quando ci innamoriamo di una persona, ogni volta che Francesco guardava il sole, la luna, gli animali più piccoli, la sua reazione era cantare, coinvolgendo nella sua lode tutte le altre creature. Egli entrava in comunicazione con tutto il creato, e predica­va persino ai fiori e « li invitava a lodare e amare Iddio, come esseri dotati di ragione ».  La sua re­azione era molto più che un apprezzamento in­tellettuale o un calcolo economico, perché per lui qualsiasi creatura era una sorella, unita a lui con vincoli di affetto. Per questo si sentiva chiamato a prendersi cura di tutto ciò che esiste. Il suo disce­polo san Bonaventura narrava che lui, « conside­rando che tutte le cose hanno un’origine comu­ne, si sentiva ricolmo di pietà ancora maggiore e chiamava le creature, per quanto piccole, con il nome di fratello o sorella ». Questa convinzione non può essere disprezzata come un romantici­smo irrazionale, perché influisce sulle scelte che determinano il nostro comportamento. Se noi ci accostiamo alla natura e all’ambiente senza que­sta apertura allo stupore e alla meraviglia, se non parliamo più il linguaggio della fraternità e della bellezza nella nostra relazione con il mondo, i no­stri atteggiamenti saranno quelli del dominatore, del consumatore o del mero sfruttatore delle ri­sorse naturali, incapace di porre un limite ai suoi interessi immediati. Viceversa, se noi ci sentiamo intimamente uniti a tutto ciò che esiste, la sobrie­tà e la cura scaturiranno in maniera spontanea. La povertà e l’austerità di san Francesco non erano un ascetismo solamente esteriore, ma qualcosa di più radicale: una rinuncia a fare della realtà un mero oggetto di uso e di dominio. [n.11]


 Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli