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Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

Dall’anno associativo 2020/2021 il gruppo di AC di San Clemente Papa si riunisce abitualmente il secondo, il terzo e il quarto sabato del mese alle 17 e anima la Messa domenicale delle 9. Durante la pandemia da Covid 19 ci siamo riuniti in videoconferenza Google Meet. Anche dopo che la situazione sanitaria sarà tornata alla normalità, organizzeremo riunioni dedicate a temi specifici e aperte ai non soci con questa modalità.

Per partecipare alle riunioni del gruppo on line con Google Meet, inviare, dopo la convocazione della riunione di cui verrà data notizia sul blog, una email a mario.ardigo@acsanclemente.net comunicando come ci si chiama, la email con cui si vuole partecipare, il nome e la città della propria parrocchia e i temi di interesse. Via email vi saranno confermati la data e l’ora della riunione e vi verrà inviato il codice di accesso. Dopo ogni riunione, i dati delle persone non iscritte verranno cancellati e dovranno essere inviati nuovamente per partecipare alla riunione successiva.

La riunione Meet sarà attivata cinque minuti prima dell’orario fissato per il suo inizio.

Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

NOTA IMPORTANTE / IMPORTANT NOTE

SUL SITO www.bibbiaedu.it POSSONO ESSERE CONSULTATI LE TRADUZIONI IN ITALIANO DELLA BIBBIA CEI2008, CEI1974, INTERCONFESSIONALE IN LINGUA CORRENTE, E I TESTI BIBLICI IN GRECO ANTICO ED EBRAICO ANTICO. CON UNA FUNZIONALITA’ DEL SITO POSSONO ESSERE MESSI A CONFRONTO I VARI TESTI.

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Il sito della parrocchia:

https://www.parrocchiasanclementepaparoma.com/

venerdì 28 febbraio 2014

Complicazioni


Complicazioni

 

 E' curioso che una forza sociale come la nostra confessione religiosa che ha raggiunto storicamente i suoi più importanti risultati trasformando il mondo abitato dagli esseri umani, quindi con un'azione politica, rifiuti di riconoscerlo, addirittura negandolo e contrastando chiunque non lo voglia negare. Questa apparente stranezza, che è rivestita del sofisticato linguaggio della teologia, inaccessibile ai più in quanto altamente formalizzato, dipende dal fatto che ai tempi nostri la politica, nel mondo Occidentale e nelle altre parti del mondo che ad esso guardano come ad un esempio, "si fa" secondo principi e metodi democratici, quindi con un'ampia partecipazione delle moltitudini umane e proponendosi di rispettare la dignità individuale. Il senso di movimenti laicali come l'Azione Cattolica è stato storicamente quello di introdurre forme di tipo democratico nell'azione collettiva religiosa, per continuare a influire nelle incessanti trasformazioni delle società umane secondo i principi di fede, partecipando a una sovranità di tipo democratico, quindi diffusa, policentrica, pluralista, non più accentrata su famiglie regnanti e sui loro vassalli.
 In teologia, che può per certi essere vista come una specializzazione filosofica, si risente molto, ancora, l'opinione negativa che delle democrazie del loro tempo avevano antichi filosofi greci. In questa visione la democrazia veniva vista come il regno dell'opinione, della suggestione, delle decisioni poco meditate, prese d'impulso, emotivamente, e degli interessi particolari che tendevano a imporsi sulle collettività. I valori non sembrano al sicuro in democrazia. In realtà l'esperienza delle democrazie popolari contemporanee dice proprio il contrario: le democrazie del nostro tempo sono il posto più sicuro dove custodire i valori, in quanto esse sono fondate esplicitamente su un sistema di valori da cui scaturisce un sistema di diritti fondamentali. Ma questo non è ancora riconosciuto in teologia, almeno in quella cattolica, pesantemente influenzata dall'azione per così dire poliziesca di istituzioni di vertice della nostra organizzazione religiosa: essa si pone quindi sostanzialmente come una forza antidemocratica e il suo linguaggio e la sua concettuologia corrispondono in genere ai principi esplicitamente antidemocratici secondo i quali è strutturata la nostra gerarchia religiosa. Poiché io mi pongo in un diverso ordine di idee, potrete notare che in quello che scrivo non c'è il linguaggio esplicito della teologia. In questo modo formulo una specie di obiezione di coscienza: rifiuto di usare un linguaggio che è sostanzialmente espressione di un ordine di potere che deve essere superato, perché non serve più a diffondere la nostra fede nel mondo contemporaneo, ma, anzi, costituisce spesso un grosso ostacolo e un'inutile complicazione.
 
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli

giovedì 27 febbraio 2014

Democrazia, via della Chiesa?


Democrazia, via della Chiesa?

 
 Si sente spesso proclamare che "la Chiesa", intesa come gerarchia, ordinamento dei nostri capi religiosi, "non fa politica", nel senso che non dà indicazioni su come risolvere le questioni politiche, salvo che sotto il profilo etico. Devo francamente dissentire da questa affermazione, sia sotto il profilo storico, dove vuole significare che "la Chiesa non ha mai fatto politica", sia sotto quello dei propositi, dove intende che "la Chiesa non deve fare politica".
 In realtà, se guardiamo alla storia delle nostre collettività religiose, appare piuttosto evidente che, più o meno dal sesto secolo della nostra era, i nostri capi religiosi, e in particolare quelli posti al vertice della gerarchia, non hanno fatto praticamente altro che "fare politica". Anche i grandi scismi che hanno travagliato le nostre confessioni religiose hanno avuto essenzialmente motivazioni politiche, dal momento che ai tempi nostri si è riconosciuto che praticamente ogni questione teologica che fu posta alla base di quelle divisioni può essere superata, e in effetti per la gran parte dei motivi di conflitto così è accaduto, e ancora hanno motivazioni politiche, concentrandosi sulla questione della misura del potere da assegnare al nostro vertice romano, contrasto anche questo in via di appianamento dal momento che da un lato, da quello degli "altri", si richiede di prevedere minori poteri e dall'altro, da parte nostra, si tende a convenire su questa impostazione.
 Quando è stata pubblicata la recente esortazione apostolica del nostro vescovo e padre universale sulla "gioia del Vangelo", ci si è stupiti che in essa venisse criticata esplicitamente una delle teorie macro-economiche che va per la maggiore nel mondo Occidentale. In realtà quella critica si pone nel solco della dottrina sociale della Chiesa, che esordì, a fine Ottocento, proprio con un'enciclica, la Rerum Novarum (sulle "novità" del mondo di allora), che appunto era centrata sulla critica di una teoria economica, quella socialista, e che poi continuò su questo registro fino all'aspra repressione, negli scorsi anni Ottanta e Novanta, della cosiddetta teologia della liberazione, sviluppatasi in centro e sud-America, che aveva sostanzialmente il senso di una teologia politica, nel senso di teologia della politica esplicita, non coperta sotto l'aspetto di etica su base teologica.
 Il problema quindi, non è in realtà, se "fare" o non "fare" politica, ma è quello di "chi"  può e deve "fare politica" nella Chiesa e, soprattutto, "come", con quale metodo "farla".
 La nostra gerarchia religiosa "fa" politica con metodo non democratico. Infatti ancora concepisce se stessa come un impero religioso, una monarchia assoluta universale. Ai tempi nostri si comincia a riconoscere che questo assetto molto accentrato non rientra tra le cose essenziali e irrinunciabili della nostra fede. In tempi anche recenti, discutere di questo argomento poteva costare molto caro, soprattutto a chi era inserito nell'organizzazione del clero e quindi, per mestiere, faceva il pastore d'anime. Oggi invece siamo esortati all'audacia. Bene, prendiamo sul serio questo invito.
 Ai tempi nostri non si ammettono più poteri non democratici. Democrazia non è solo il metodo maggioritario di prendere decisioni collettive, ma  è soprattutto un sistema di principi supremi che, a partire da quello dell'uguaglianza in dignità tra tutti gli esseri umani, fondano un sistema corrispondente di diritti fondamentali. Ad esempio, l'affermazione di quella uguaglianza in dignità, a prescindere dalla concrete condizioni di cittadinanza, cultura, etnia, sesso e via dicendo con le distinzioni tra gli individui, fonda il diritto alla libertà di coscienza, che molto faticosamente si viene affermando, nell'estensione con cui oggi lo si concepisce, anche nella nostra confessione religiosa. Perché "faticosamente"? Perché sembra che in un sistema che accetti la libertà di coscienza poi uno sia libero di fare ciò che gli pare. E' questo il fondamento di tutte le prese di posizione in materia di indifferentismo che ciclicamente vengono riproposte nella nostra collettività religiosa. La questione non è teologica o filosofica, ma squisitamente politica. Perché ciò che spaventa non è la libertà di coscienza come libertà di pensiero, ma la libertà di coscienza come fondamento di possibili obiezioni di coscienza contro il potere che è esercitato nella nostra organizzazione religiosa. Mi pare di capire che l'atteggiamento che  i nostri capi religiosi ritengono preferibile sia quello di chi liberamente decide di obbedire alle loro decisioni. Questo metodo, se trasferito nelle questioni politiche che hanno anche valenza religiosa, come chiaramente evidenziato da ultimo nella recente esortazione del nostro vescovo, ad esempio nel valutare la bontà di un regime politico, non è accettabile. Mi pare che si stia tentando di avviarne il superamento, ad esempio, come ricordato da Enzo Bianchi nell'articolo di domenica scorsa su La Stampa, prendendo atto che nelle nostra collettività religiose si è formata un'opinione pubblica che merita di essere consultata su temi molto rilevanti.
 
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli

mercoledì 26 febbraio 2014

Necessità di un mutamento di prospettive


Necessità di un mutamento di prospettive

 

  Sembra che i problemi che nelle nostre collettività religiose si sperimentano siano tutti sostanzialmente riconducibili al tema della sessualità, di ciò che si può o non si può fare, da gente di fede, in questo campo. Per come la vedo io, questa è una prospettiva molto particolare, e da un certo altro punto di vista distorta e falsante, prodotta da fonti, il clero e i religiosi, il cui  stile di vita si differenzia da quello dei laici proprio in quella materia, negandosi del tutto la sessualità e vivendola come peccato,  e che tuttavia svolgono mansioni di insegnamento etico proprio su quel tema. Ne derivano regole che sono semplicemente impraticabili per i laici e che, di fatto, non vengono praticate se non in modo discontinuo nel corso delle storie di vita delle persone e da minoranze particolarmente motivate. Ma se ci si permette una certa disinvoltura, da parte di chi nella sessualità è coinvolto perché non ha preso né intende prendere i particolari impegni del clero e dei religiosi, è perché si tratta di materia alla quale si attribuisce molta meno importanza di quella che ad essa viene data nel magistero religioso, nella dottrina, giungendo a ipotizzare, in linea di principio, addirittura la dannazione eterna anche per traffici di minima importanza. Del resto questi orientamenti meno rigoristi sono condivisi anche nella pratica della cura d'anime, per cui si può facilmente registrare un notevole divario tra ciò che si afferma in linea di principio e ciò che poi viene detto a tu per tu con il singolo fedele, nei vari momenti, sacramentali e non, in cui questi tipi di relazioni avvengono.
 Da quello che ho osservato consegue che, anche attenuando le pretese verso i laici in materia di sessualità, sistemando quindi in teologia problemi creati dalla stessa teologia, non saranno risolti i problemi che le nostre collettività religiose hanno nel e col mondo in cui vivono. Essi oltrepassano la competenza teologica di chi nelle nostre collettività ha il compito di insegnare la fede, anche se indubbiamente anche la teologia ha qualcosa da dire su di loro. L'aver fatto appello alla creatività  di tutta la gente di fede, come è avvenuto nella recente esortazione del nostro vescovo, è stato certamente molto giusto per indicare la via per cercarne una soluzione. Essi infatti hanno molto più a che fare con le dinamiche sociali contemporanee che con il soprannaturale. Si tratta infatti di influire sulle forme di organizzazione delle società del nostro tempo, la cui complessità supera quella delle società di ogni altra epoca storica precedente se non altro per il numero di individui che raggruppano, in modo che gli esseri umani non siano trattati come giocattoli, strumenti o merce. Le concezioni del soprannaturale rientrano in questo lavoro essenzialmente per fornirne il movente e il contesto, ma non sono in grado di indicare che fare in concreto per ottenere i risultati che ci si prefigge di produrre. Ad esempio, una volta affermato il comando di natura soprannaturale, quindi assoluto, non dipendente dalle circostanze, di non uccidere, resta il problema di strutturare una società in cui gli ammazzamenti siano ridotti al minimo possibile, lavoro in cui le organizzazioni religiose non hanno sempre dato il meglio di loro stesse (nella nostra confessione la conversione alla pace è piuttosto recente). Quest'opera sulla società in cui si vive è la politica, quella che Giuseppe Lazzati, per marcarne la differenza con i sensi deteriori in cui la politica è correntemente intesa, ridenominò come costruire la città dell'uomo. La Chiesa, intesa come gerarchia, clero e religiosi, dichiara di negarsi alla politica, non però perché non faccia politica, essa anzi in Italia è uno dei più importanti attori della politica, ma perché non accetta di farla secondo metodi democratici, che comprendono il dialogo con chi ha concezioni diverse e a rinuncia a certi privilegi, volendo imporre la concezione per la quale essa ha sempre ragione, non accettando mai quindi di essere messa in minoranza o anche solo in discussione. La costruzione della città dell'uomo è quindi, nella nostra confessione, un lavoro da laici, ai quali però è negato di farlo come Chiesa. Se nel primo caso c'è gente che si nega alla politica, in questo secondo caso è la politica che è negata alla gente, almeno fin tanto che si manifesti religiosa. In questo modo non è possibile discutere le scelte politiche della gerarchia, ma neanche sottoporre quest'ultima, nella sua organizzazione, a critiche di natura politica. I risultati si sono visti nei drammatici sviluppi dello scorso anno. E non c'è possibilità di discutere tra gente di fede, nelle sedi della fede, della  politica come costruzione della città dell'uomo, nel senso in cui la intendeva Lazzati. Questa situazione non è in linea con l'aggiornamento  promosso, ormai cinquant'anni fa, nel corso del Concilio Vaticano 2°. In un certo senso, quindi, sotto questo particolare aspetto, le nostre collettività religiose sono preconciliari.
 In realtà le maggiori divisioni che si sono prodotte negli ultimi decenni nelle nostre collettività religiose hanno spiccata natura politica, per quanto vengano poi rivestite di teologhese, il gergo dei teologi usato dai non teologi. Al centro di tutto sta la grande questione dell'accettazione dei principi e dei metodi delle democrazie contemporanee. Certamente essi non si trovano nelle Scritture sacre, se non forse come embrione, per la ragione che esse provengono dagli antichi, vissuti in tempi molto lontani dai nostri. Eppure, come sono essenziali per il mantenimento della pace sociale nelle società contemporanee più avanzate, possono svolgere analoga funzioni anche in quelle religiose e, soprattutto, promuovere forme di progresso in cui le persone umane non siano mai ridotte a cose. Il personalismo e l'umanesimo integrale sono le concezioni che storicamente hanno cercato di mediare creativamente tra i valori assoluti ricevuti dal passati e le esigenze dei tempi nuovi.
 
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro,Valli
 
  

martedì 25 febbraio 2014

Enzo Bianchi - La Chiesa ascolti il mondo - sintesi dell'articolo pubblicato il 23-2-14 su "La Stampa"


Enzo Bianchi - La Chiesa ascolti il mondo - sintesi dell'articolo pubblicato il 23-2-14 su "La Stampa"
 
 Il 23-2-14 su "La Stampa" è stato pubblicato un articolo di Enzo Bianchi dal titolo "La Chiesa ascolti il mondo". Di seguito ne faccio una sintesi.
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"La Chiesa ascolti il mondo" ("La Stampa" 23-2-14)- di Enzo Bianchi - sintesi
 
 In vista del sinodo dei vescovi, il prossimo autunno, è stato inviato un questionario alle singole diocesi in modo che ogni Chiesa locale, parrocchia e comunità fosse possibile per i cristiani manifestare il proprio pensiero su temi e problemi morali che devono essere affrontati con urgenze.
 Questa iniziativa risponde a un bisogno già manifestato negli Anni Cinquanta da Pio 12°: l'emergere di un'opinione pubblica nella Chiesa, di un confronto che, invece di tacitare i conflitti o ignorare i nuovi problemi, li affronti e cerchi di risolverli con il discernimento ecclesiale. Soprattutto sui temi inerenti alla famiglia e alla sessualità era divenuto necessario ascoltare quanti vivono la realtà del matrimonio cristiano o della vita di coppia e dare voce anche a quelli che si sentono in difficoltà rispetto al magistero tradizionale della Chiesa.
 Ascoltare! Operazione non solo necessaria in tutte le relazioni umane, ma anche profondamente cristiana.
 Il questionario ha ricevuto una gran quantità di risposte, mostrando quanto le comunità siano vivaci e capaci di esprimere in modo motivato le loro considerazioni, anche nel coinvolgimento dei mutamenti culturali e di costume avvenuti negli ultimi decenni. Per due anni ci sarà un cammino davvero sinodale di tutta la Chiesa su questi temi così urgenti.
 Contemporaneamente  aziende o organismi internazionali operavano sondaggi per conoscere le differenti posizioni delle popolazioni di vari Paesi. Appare evidente  in Italia un disaccordo rispetto alle posizioni della Chiesa più marcato che in altri Paesi. Gli italiani pensano che il divorzio non costituisca peccato. Come mai in Italia - Paese in cui la percentuale (80%) di chi si definisce cattolico e frequenta la messa domenicale è la più alta di tutte le circa venti nazioni "cattoliche" occidentali - si disattende così largamente ciò che pensa la Chiesa?
  Sui media [= termine latino che, con un nuovo significato, abbiamo ricevuto dal mondo angloamericano. In latino è il plurale della parola che significa mezzo, strumento. Nell'accezione attuale si riferisce ai mezzi di comunicazione di massa, giornali, televisione, pubblicazioni su internet. Anche questo blog fa parte dei media - nota mia] appaiono molte semplificazioni  che suscitano attese e speranze sbagliate.
 La Chiesa, infatti, deve sì ascoltare l'umanità, ma deve anche essere capace di operare un discernimento per riconoscere anche la mondanità [=attaccamento alle cose del mondo invece che ai valori spirituali: ricchezza, onori, potere, piacere - nota mia] che può essere presente  nelle richieste e nelle valutazioni dei cattolici.
 C'è una precisa parola di Gesù sulla non bontà del divorzio, alla quale il cristiano deve fare obbedienza.
 Che senso ha, allora, chiedere se i divorziati devono essere ammessi alla partecipazione eucaristica? Quali divorziati? Quelli che fanno della vita di coppia un'avventura? Quelli che non hanno né esigenze etiche né saldezza nella fede. Oppure quelli che hanno vissuto il matrimonio senza le condizioni necessarie  perché fosse un vero sacramento, dunque indissolubile, e che poi in una nuova unione mostrano fedeltà, perseveranza e capacità di compiere un autentico cammino cristiano. Sì, conosciamo bene nella vita di ogni giorno quanti sono i fallimenti nella vicenda del matrimonio. E conosciamo anche molti che trovano in una nova unione una via che conosce l'amore fedele, la perseveranza, una vita rinnovata  che cerca di realizzare le esigenza cristiane.  Dopo un tempo congruo che possa testimoniare una determinazione di amore fedele e di "fare storia" nell'amore, sarà possibile la riammissione eucaristica?
 La relazione del cardinal Kasper tenuta in questi giorni ai cardinali riuniti in concistoro  è voce non solo di un grande teologo, ma di un pastore che conosce bene la situazione del gregge, così come conosce bene la parola del Signore: verità nella misericordia, sempre.
 La Chiesa non può svuotare il Vangelo o annacquarlo, ma può ricercare e leggere, più in profondità, le nuove condizioni in cui sono immessi i credenti e discernere se ci sono possibilità di considerare un nuovo cammino matrimoniale come autentico e coerente con le parole di Gesù.
 La Chiesa vuole che visibilmente appaia coerenza tra la vita pubblica e le esigenze della partecipazioni all'eucaristia, ma le situazioni sono diverse e la Chiesa deve imparare a discernerle. Del resto, come diceva già il concilio di Trento, l'eucaristia è anche per la remissione dei peccati, è viatico per il credente pellegrino e penitente. Non si dimentichi che la legge secondo il Vangelo vige finché non avviene il peccato ma, consumato il peccato, deve regnare la misericordia. Nessun legalismo, allora, nessuna rigidità, ma anche nessuna grazia a basso prezzo.
 I cristiani devono ascoltare le istanze provenienti dalla società. Ma i discepoli di Cristo devono anche avere il coraggio della "differenza", dell'essere sale della terra, capaci di dare sapore alla vita umana e di impegnarsi per l'umanizzazione e l'autentica libertà di tutti.
Nota di metodo: la sintesi, pur utilizzando solo parole dell'autore, tranne quelle comprese tra parentesi quadre, è una mia elaborazione e riflette le mie capacità di comprensione del testo. Il risultato potrebbe non essere conforme al pensiero dell'autore. 
Mie osservazioni:
 
 Non riesco a comprendere bene come si possa sostenere che "c'è una precisa parola di Gesù sulla non bontà del divorzio", intendendo per divorzio la disciplina dello scioglimento del rapporto matrimoniale che è stata introdotta nelle nazioni rette dalle democrazie contemporanee di tipo occidentale. Infatti i detti di Gesù che solitamente vengono riferiti a questo tema non trattavano di questo divorzio, che non esisteva ancora, ma di un istituto molto diverso che era il ripudio, vale a dire la decisione unilaterale di rompere il vincolo matrimoniale. E, anche in questo caso, menzionavano un'eccezione che, ai tempi nostri, dopo due millenni di lavorio interpretativo sul quale ha inciso sensibilmente una certa ideologia del matrimonio che però risale a molti secoli dopo le origini, non si sa più bene dire che cosa fosse (la parola greca che l'esprime viene tradotta con concubinato, impudicizia, relazione  illegale).
 L'istituto contemporaneo del divorzio non è in alcun modo assimilabile al ripudio che vigeva nell'antico diritto giudaico, ma nemmeno al divorzio/ripudio che, in varie forme mutate nei secoli, fu previsto dall'antico diritto romano (la disciplina canonica del matrimonio risente molto dell'ideologia matrimoniale sviluppata nelle dottrine giuridiche degli antichi giusperiti latini proprio sotto il profilo dell'indissolubililtà del contratto matrimoniale). Si tratta infatti di una scelta consensuale o di una decisione adottata dalle autorità civili dopo un procedimento giudiziario in cui le parti possono esporre le proprie ragioni e prevede in ogni caso misure di sostegno alla parte più debole e il  mantenimento delle proprie responsabilità verso i figli.
 Il problema che oggi pongono i divorziati risposati non è solo quello della partecipazione alla Comunione, ma quello, più ampio, dell'essere considerati pubblicamente particolarmente (più degli altri fedeli) bisognosi di misericordia, quindi in qualche modo pubblici peccatori, pur se le loro scelte non vengono considerate illecite per il diritto civile contemporaneo e se hanno mantenuto le responsabilità sociali che derivano per la legge civile dallo scioglimento del matrimonio, in particolare adempiendo gli obblighi verso la parte più debole del matrimonio sciolto e i figli.
 
 Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli
 

lunedì 24 febbraio 2014

Il nuovo corso della mediazione culturale


 Il nuovo corso della mediazione culturale

 

"Evangelizziamo anche quando cerchiamo di affrontare le diverse sfide che possano presentarci. A volte queste si manifestano in autentici attacchi alla libertà religiosa … In molti altri luoghi si tratta piuttosto di una diffusa indifferenza relativista … una cultura, in cui ciascuno vuole essere portatore di una propria verità soggettiva, rende difficile che i cittadini desiderio partecipare a un progetto comune che vada oltre gli interessi e i desideri personali … la globalizzazione ha comportato un accelerato deterioramento delle radici culturali … La fede cattolica di molti popoli si trova oggi di fronte alla sfida della proliferazione di nuovi movimenti religiosi … [Essi] vengono a colmare, all'interno dell'individualismo imperante, un vuoto lasciato dal razionalismo secolarista … se parte della nosra gente battezata non sperimenta la propria appartenenza alla Chiesa, ciò si deve anche ad alcune strutture e ad un clima poco accogliente in alcune delle nostre parrocchie o comunità, o a un atteggiamento burocratico per rispondere ai problemi, semplici o complessi, della vita dei nostri popoli … Il processo di secolarizzazione tende a ridurre la fede e la Chiesa nell'ambito privato e intimo. Inoltre, con la negazione di ogni trascendenza, ha prodotto una crescente deformazione etica … [Nonostante tutto, però,] la Chiesa cattolica è un'istituzione credibile davanti all'opinione pubblica, affidabile per quanto concerne l'ambito della solidarietà e della preoccupazione per i più indigenti … il sostrato cristiano di alcuni popoli - soprattutto occidentali - è una realtà viva. Qui troviamo, specialmente tra i più bisognosi, una riserva morale che custodisce valori di autentico umanesimo cristiano. Uno sguardo di fede sulla realtà non può dimenticare di riconoscer ciò che semina lo Spirito Santo. Significherebbe non avere fiducia nella sua azione libera e generosa là dove una gran parte della popolazione ha ricevuto il Battesimo ed esprime la sua fede e la sua solidarietà fraterna in molteplici modi. Qui bisogna riconoscer molto più dei «semi del Verbo», poiché si tratta di un'autentica fede cattolica con modalità proprie di espressione e di appartenenza alla Chiesa. Non è bene ignorare la decisiva importanza che riveste una cultura segnata dalla fede, perché questa cultura evangelizzata, al di là di suoi limiti, ha molte più risorse di una semplice somma di credenti posti dinanzi agli attacchi del secolarismo attuale … E' imperioso il bisogno di evangelizzare le cultura per inculturare il Vangelo. Nei Paesi di tradizione cattolica si tratterà di accompagnare, curare e rafforzare la ricchezza che già esiste, e nei Paesi di altre tradizioni religiose o profondamente secolarizzati si tratterà di favorire nuovi processi di evangelizzazione della culture, benché presuppongano progetti a lunghissimo termine. Non possiamo, tuttavia, ignorare che sempre c'è un appello alla crescita e ogni gruppo sociale necessita di purificazione e  maturazione. Nel caso di culture popolari di popolazione cattoliche, possiamo riconoscere alcune debolezze che devono ancora essere sanate dal Vangelo …. ma è proprio la pietà popolare il miglior punto di partenza per sanarle e liberarle … Esiste un certo cristianesimo fatto di devozioni, proprio di un modo individuale e sentimentale di vivere la fede, che in realtà non corrisponde ad un'autentica «pietà popolare»Nemmeno possiamo ignorare che, negli ultimi decenni, si è prodotta una rottura nella trasmissione generazionale della fede cristiana nel popolo cattolico".
[Sintesi dall'esortazione apostolica Evangelii Gaudium (=la gioia del Vangelo), del papa Francesco, promulgata il 24-11-14, n.61-70]
 
 L'esortazione apostolica Evangelii Gaudium, documento programmatico del nuovo pontificato, costituisce un deciso cambiamento di rotta rispetto ai due precedenti pontificati. Come dimostra la sintesi dei passi del documento che ho sopra riportato, nel dilemma se preferire la strategia della presenza, promossa da alcuni grandi movimenti laicali post-conciliari, o la strategia della mediazione culturale, tipica della nostra Azione Cattolica in particolare dalla metà degli scorsi anni Sessanta, si indica ora chiaramente, esplicitamente, la strada di quest'ultima per la nuova missione evangelizzatrice che si vuole organizzare. Ma con quali forze attuarla? Non basteranno pochi tratti di pena per riattivarla. Se ne sono colpite duramente le basi sociali e intellettuali. Si è trattato di un disegno lucido, determinato, intenzionale. E le risorse che servono non verranno, credo, dalla "pietà popolare", che finora è stata docile strumento del vecchio corso. E' innanzi tutto dalle università, in primo luogo da quelle più legate alla nostra collettività religiosa, che esse potranno essere ricostituite, se un nuovo clima di libertà rimuoverà gli ostacoli che finora ne hanno impedito lo sviluppo.  La ricerca in questo campo è stata a lungo (il tempo di un'intera generazione!) umiliata e addirittura costretta nella gabbia di un catechismo normativo a livello globale, valido per i bimbi come per i professori e i vescovi. Uno strumento che da utile sussidio per l'iniziazione religiosa si è voluto imporre come metro di un efficiente sistema repressivo, di una specie di Inquisizione nel nuovo Millennio.
 Eppure un animo religioso non può non convenire che "uno sguardo di fede sulla realtà non può dimenticare di riconoscer ciò che semina lo Spirito Santo. Significherebbe non avere fiducia nella sua azione libera e generosa".  Le premesse sono buone. Sono state concesse improvvisamente autorizzazioni che erano state negate da un trentennio. Si è stati esortati alla creatività  e all'audacia, senza timore. Dunque: al lavoro! Dovremo riprendere a familiarizzarci con i concetti base in tema di mediazione culturale. Sarà necessario mettere insieme ciò che abbiamo salvato dalla dispersione e aiutarci gli uni gli altri. E' necessario riprendere a incontrarci in sedi come l'Azione Cattolica e organizzazioni di simile impostazione, in cui si è mantenuta memoria di ciò che serve e si sono conservati aperti spazi di dibattito.  Bisogna cominciare a farlo a partire dal territorio in cui si è radicati, che è  quello della parrocchia. In base a quel documento del nostro vescovo sulla gioia del Vangelo, giunga quindi a tutti gli amici che vivono a Monte Sacro - Valli l'appello a incontrarci nuovamente in Azione Cattolica per ragionare insieme sui temi proposti dal nostro vescovo e padre universale. E' necessario, nel nuovo clima che improvvisamente si è creato, riattivare tutte le linee di trasmissione interpersonale, e in particolare generazionale, del metodo della mediazione culturale. Esso, in genere e per quello che so, è praticamente ignorato in Italia nel sistema dell'iniziazione religiosa a tutti i livelli, anche di quella degli adulti, e nell'approfondimento religioso collettivo. Ma non si è trattato solo di questo, purtroppo. In Italia il lavoro di mediazione culturale è stato visto con sospetto e pregiudizio e con una certa disinvoltura sono partite ciclicamente accuse di disobbedienza e addirittura di eresia. Si tratterà quindi di prendere sul serio l'esortazione all'audacia che ci viene nel documento del nostro vescovo e padre universale.
 
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli

domenica 23 febbraio 2014

Domenica 23-2-14 – 7° Domenica del Tempo ordinario - Letture e sintesi dell’omelia della Messa delle nove

Domenica 23-2-14 –  Lezionario dell’anno A per le domeniche e le solennità – 7° Domenica del Tempo ordinario - 3° settimana del  salterio – colore liturgico: verde - Letture e sintesi dell’omelia della Messa delle nove
 
Osservazioni ambientali: temperatura 16° C ;  cielo poco nuvoloso. Canti: ingresso, Beati voi; Offertorio, Sei grande Dio; Comunione, Dov'è carità e amore.
 Il gruppo di AC era nei banchi a sinistra dell'altare, guardando l'abside.
 Oggi, presso la Domus Mariae, si terrà la seconda giornata della 15° Assemblea diocesana dell'Azione Cattolica di Roma.
Buona domenica  a tutti i lettori!
 
Prima lettura
Dal libro del Levitico (19,1-2.17-18)
 
 Il Signore parlò a Mosè  e disse: "Parla a tutta la comunità degli Israeliti dicendo loro: «Siate santi, perché io, il Signore vostro Dio, sono santo. Non coverai nel tuo cuore odio contro il tuo fratello; rimprovera apertamente il tuo prossimo, così non ti caricherai di un peccato per lui. Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso. Io sono il Signore»".
 
Salmo responsoriale (dal salmo 102)
Ritornello:
Il Signore è buono e grande nell'amore
 
Benedici il Signore anima mia,
quanto è in me benedica il suo santo nome.
Benedici il Signore, anima mia,
non dimenticare tutti i suoi benefici.
 
Egli perdona tutte le tue colpe,
guarisce tutte le tue infermità,
salva dalla fossa la tua vita,
ti circonda di bontà e misericordia.
 
Misericordioso e pietoso è il Signore,
lento all'ira e grande nell'amore.
Non ci tratta secondo i nostri peccati
e non ci ripaga secondo le nostre colpe
 
Quanto dista l'oriente dall'occidente,
così egli allontana da noi le nostre colpe.
Come è tenero un padre verso i figli, così il Signore è tenero verso quelli che lo temono.
 
Seconda lettura
Dalla prima lettera di san Paolo ai Corinzi (1Cor 3,16-23)
 
 Fratelli non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui. Perché santo è il tempio di Dio, che siete voi. Nessuno si illuda. Se qualcuno di voi si crede un sapiente in questo mondo, si faccia stolto per diventare sapiente, perché la sapienza di questo mondo è stoltezza davanti a Dio. Sta scritto infatti: "Egli fa cadere i sapienti per mezzo della loro astuzia". E ancora: "Il Signore sa che i progetti dei sapienti sono vani". Quindi nessuno ponga il suo vanto negli uomini, perché tutto è vostro: Paolo, Apollo, Cefa, il mondo, la vita, la morte, il presente, il futuro: tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio.
 
Vangelo
Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 5,38-48)
 
 In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: "Avete inteso che fu detto: «Occhio per occhio e dente per dente». Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra tu pòrgigli anche l'altra, e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due. Da' a chi ti chiede, e a chi desidera da te un prestito non voltare le spalle. Avete inteso che fu detto: «Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico». Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Voi dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste".
 
Sintesi dell'omelia della Messa delle nove
 
  In questa domenica, in cui celebriamo la Resurrezione del Signore, ci viene donata una Parola importante per la nostra vita, che riguarda il centro della nostra fede: l'amore per i nemici. Il cristiano è infatti uno che ama i propri nemici. Li ama di quell'amore che è espresso nella parola greca agàpe, che è amore che si dona totalmente. Non dobbiamo che questa dell'amore sia una legge come tante altre che cerchiamo di osservare nella nostra vita. Non riusciremmo mai a farlo da soli. La paura ci vincerebbe. Noi spesso non amiamo per paure e questo è tanto più vero quando si tratta di amare i propri nemici. Ma Gesù, morendo sulla Croce, ha già compiuto tutto. Noi dobbiamo solo accogliere il suo spirito perché ci cambi interiormente. In questo consiste la perfezione, la santità, una condizione evocata sia nella prima lettura, tratta dal libro del Levitico, sia nel brano evangelico letto questa domenica.
 Innanzi tutto dobbiamo lasciare che la Parola del Signore faccia luce su noi stessi, per dirci chi siamo veramente e chi sono i nostri  nemici. Come potremo amare i nostri nemici se non riconosciamo di averne? "Non ho nemici", si dice talvolta. Ma è realmente così? E' la Parola del Signore a fare chiarezza sulla nostra situazione.
 Lasciamo dunque che lo Spirito del Signore scenda in noi  e ci trasformi in creature nuove, capaci di quell'amore agàpe, come ha cominciato a fare nel nostro Battesimo.
 
Sintesi di Mario Ardigò, per come ha inteso le parole del celebrante – Azione Cattolica in San Clemente Papa – Roma, Monte Sacro Valli
 
Avvisi parrocchiali:
- Nella prossima Quaresima saranno programmati incontri per discutere sulla recente esortazione apostolica Evangelii Gaudium (=la gioia del Vangelo). Davanti alla chiesa parrocchiale sono in vendita copia del documento al prezzo di €2,00. Il parroco invita ad acquistarlo e a leggerlo, in preparazione a quegli incontri, in cui vi sarà spazio per il dialogo mediante interventi dei presenti.
 
Avvisi di A.C.:
- la riunione infrasettimanale del gruppo parrocchiale di AC si terrà il 25-2-14, alle ore 17, nell'aula con accesso dal corridoio dell'ufficio parrocchiale. I soci sono invitati a preparare una riflessione sulle letture di domenica 2-3-13: Is 49,14-15; Sal 61; 1Cor 4,1-5; Mt 6,24-34.
- si segnala il nuovo sito WEB dall'AC diocesana: www.acroma.it ;
- si segnala il sito WEB  www.parolealtre.it , il nuovo portale di Azione Cattolica sulla formazione;
- si segnala il sito WEB  Viva il Concilio http://www.vivailconcilio.it/
iniziativa attuata per conoscere la storia, lo spirito e i documenti del Concilio Vaticano 2° (1962-1965) e per   scoprirne e promuoverne nella società di oggi tutte le potenzialità.
- si segnala il blog curato dal presidente http://blogcamminarenellastoria.wordpress.com/

 

sabato 22 febbraio 2014

La nostra collettività religiosa non è uno stato


La nostra collettività religiosa non è uno stato

 Spesso da noi in Italia si parla della nostra collettività religiosa come di uno stato e, in particolare, di uno stato straniero, ma in genere ci si riferisce solo al vertice romano della nostra collettività religiosa il quale effettivamente è organizzato come uno stato. Nessuno penserebbe al proprio parroco o al proprio vescovo come a degli stranieri. A Roma, invece, il vescovo lo è. Ciò dipende dai risultati istituzionali conseguiti ai Patti Lateranensi, conclusi nel 1929 dal Papa allora regnante con il Regno d'Italia, rappresentato dal Mussolini, capo del regime fascista. Essi infatti comprendono un Trattato con il quale venne nuovamente creato in un quartiere romano uno spazio territoriale sottratto alla sovranità dello stato italiano e attribuito a quella esclusiva del Papa, il quale in tal modo venne nuovamente a unificare in se stesso le figure di capo religioso e di capo di stato. Nel Trattato  la nuova realtà territoriale non viene denominata stato, ma Città del Vaticano, al contrario delle leggi costituzionali emanate dai Papi successivamente che invece la definirono esplicitamente come tale. Di modo che un romano, andando a trovare il proprio vescovo lì dove prevalentemente risiede, esce dalla Repubblica italiana ed entra nel piccolo regno del Papa, dove sono visibili vari segni di un sovranità di tipo statale: un piccolo e pittoresco esercito (composto esclusivamente di stranieri), francobolli e monete, un bandiera, un inno, polizia e giudici, confini territoriali e via dicendo. Tutto questo apparato non era però concepito come un modo per rendere straniera in Italia  la nostra collettività religiosa, ma come forma di protezione della libertà d'azione del nostro vertice romano. Infatti, negli anni '20 del secolo scorso la sovranità statale era espressione della massima libertà d'azione per un'istituzione: come ho osservato in un mio procedente intervento, oggi non è più così, perché anche gli stati subiscono varie e importanti limitazioni. Sebbene quindi lo scopo perseguito nell'istituire un'area territoriale di sovranità sotto il dominio del vertice romano della nostra confessione religiosa fosse un altro, di fatto tutte le volte che, per l'ubbidienza dovuta dai fedeli in base alla legge canonica, la legge della Chiesa cattolica, la gente di fede segue le indicazioni del nostro vertice romano su qualche tema,  la nostra collettività religiosa è sentita come straniera in patria, suddita di un re straniero. Bisogna però osservare che, poiché ai tempi nostri gli stati che rifiutano di subire le limitazioni stabilite a vari livelli dal diritto internazionale, innanzi tutto quelle imposte in sede di Nazioni Unite, sono considerati stati-canaglia, stati delinquenti, anche il nostro vertice romano ha compreso, come accaduto recentemente nel caso della normativa anti-riciclaggio e di quella contro gli abusi sessuali sui minorenni, di doversi sottomettere e, sia pure senza un grande entusiasmo, lo ha fatto. Oggi quindi l'essere organizzato al modo di uno stato non garantisce il nostro vertice romano da qualsiasi ingerenza esterna, anzi. Ma la nostra collettività religiosa non è uno stato, tanto meno uno stato straniero, e, in particolare, non è fatta per esercitare una sovranità territoriale al modo degli stati. I suoi scopi sono altri. La Chiesa non è mai straniera nelle varie patrie nazionali. E, in realtà, essa non ha diritto di parola tra gli altri stati del mondo e davanti alle organizzazioni internazionali in quanto staterello di quartiere romano, ma, a tutti i livelli, per ciò che veramente la caratterizza. Ciò vale anche per il nostro vertice romano, che giuridicamente viene definito Santa Sede, per indicare il complesso della burocrazia centrale della nostra confessione. Attualmente la Santa Sede,  come insegnano i giuristi, ha ancora personalità giuridica primaria di diritto internazionale, non derivata dal possedere la Città del Vaticano. I suoi ambasciatori, che vengono definiti Nunzi apostolici, non sono ambasciatori della Città del Vaticano, ma ambasciatori della Santa Sede, quindi del vertice romano della nostra confessione religiosa, e come tali sono accreditati, vale a dire riconosciuti come diplomatici, nella maggior parte degli stati del mondo.
 La burocrazia centrale della nostra confessione religiosa non si è strutturata, ovviamente, dalle origini nel modo in cui è oggi organizzata: è invece frutto di una lunga evoluzione, di una complessa mediazione culturale, che si situa abbastanza lontano dalle origini, grosso modo tra l'Undicesimo e il Sedicesimo secolo della nostra era. Concepita inizialmente al servizio di un imperatore religioso, quale i papi pensarono di farsi intorno all'anno Mille, assunse forme più vicine a quelle attuali quando i papi, ridimensionando le proprie ambizioni temporali, decisero di affermarsi come sovrani di uno stato macroregionale nel centro Italia. Quando quest'ultimo fu vinto e annientato militarmente nel conflitto ottocentesco con il Regno d'Italia, quella burocrazia subì una metamorfosi, continuando ad agire come per il governo di uno stato territoriale, che tuttavia non fu mai più ricostituito se non nelle forma più che altro simbolica della Città del Vaticano, ma essenzialmente,  su scala globale e non territoriale, per il governo della gerarchia del clero e delle organizzazioni dei religiosi (monaci e monache, frati e suore). Agendo direttamente sul clero e sui religiosi, essa, indirettamente, riuscì e ancora riesce a influire anche sul resto dei fedeli, in  misura più o mano incisiva a seconda delle situazioni locali. In Italia questo potere indiretto sulla società civile è ancora molto forte e tale da determinare addirittura la politica nazionale, pur dopo la fine dello storico partito cristiano che dominò la politica italiana dal 1948 al 1994, come chiaramente dimostrato dagli eventi prodottisi dal 2011 ad oggi. Esso è esercitato in forme non democratiche e cerca di imporsi sulle società civili in virtù dell'obbedienza religiosa dovuta al Papa e ciò anche quando non sono direttamente in questione temi di fede, come ad esempio in merito al finanziamento pubblico delle nostre istituzioni religiose e alle scuole gestite da religiosi o a misure di privilegio fiscale. In questa burocrazia centrale è originata la gravissima crisi, tuttora in corso, che ha portato lo scorso anno alla rinuncia al Papato di Joseph Ratzinger. Essa, per ciò che si è saputo e in particolare da ciò che lo stesso Ratzinger ha rivelato, è stata caratterizzata, sembra, da un degrado etico piuttosto marcato, che il Papa rinunciatario ha definito sporcizia, lamentando in particolare una accesa conflittualità tra funzionari di vertice per il potere personale e gli onori.
 L'esercizio non democratico di quel potere ha storicamente improntato di sé tutte le sottostanti collettività religiose particolari, diffondendo pregiudizi e sospetti sui principi e sui metodi delle democrazie, in particolare di quelle avanzate contemporanee. Un filosofo quattrocentesco distinse le collettività religiose organizzate come unioni da quelle organizzate come congregazioni: nelle prime, a differenza che nelle seconde, si ha la partecipazione del popolo alle scelte religiose e l'autorità religiosa non può non tenere conto del popolo, che non è un mero suddito all'altrui potere. La burocrazia religiosa centrale della nostra confessione religiosa ha cercato di organizzare le collettività sottomesse come congregazioni. L'organizzazione in cui mi pare che si sia maggiormente resistito a questa tendenza è l'Azione Cattolica. In altre organizzazioni, invece, il modello della congregazione è  molto forte, in particolare in quelle che rifiutano esplicitamente l'idea di essere associazione o movimento e, dunque, si propongono essenzialmente come  realtà a governo piramidale e dall'alto verso il basso.
 L'essere il nostro vertice romano organizzato come uno stato straniero ne ha impedito la riforma e il suo carattere sostanzialmente antidemocratico ha anche ostacolato la stessa critica delle sue degenerazioni e lo studio di soluzioni nuove. Per superare la crisi che l'ha colpito occorrerebbe, per come la vedo io, modificare entrambe le impostazioni, quella per cui concepisce se stesso come uno stato straniero  e quella per cui ha deciso di rifiutare la democrazia. Non si vede infatti come sia  possibile superare i problemi derivati dall'essere un anacronistico e ormai inefficiente regno assoluto con gli strumenti tipici di un regno assoluto. E' questa la contraddizione che caratterizza gli sviluppi in corso delle vicende del nostro vertice romano.
 
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli
 

venerdì 21 febbraio 2014

La nostra collettività di fede non cambierà per decreto romano - note sull'articolo di Eugenio Scalfari sul Papa e i mandarini del Vaticano


La nostra collettività di fede non cambierà per decreto romano  - note sull'articolo di Eugenio Scalfari sul Papa e i mandarini del Vaticano

 

 Nella nostra confessione religiosa siamo stati abituati a dare molta importanza a tutto ciò che viene da Roma. Anche chi ci guarda dall'esterno ha assunto questa particolare prospettiva. Lo si nota chiaramente nell'articolo di Eugenio Scalfari del'altro ieri.
 Bisogna però rendersi conto che, per le sue caratteristiche, la crisi che attraversa la nostra collettività religiosa non sarà superata per decreto romano e, anzi, l'intenso attivismo del nostro vertice romano l'ha acuita creando quella sorta di realtà virtuale, fittizia, alla quale si è riferito Scalfari.
 Il recente evento "i fidanzati a San Pietro", che è stato inscenato a Roma con un certo clamore mediatico, dimostra che le strategie del passato sono ancora attive. Infatti le lunghe convivenze che precedono l'atto giuridico del matrimonio, che in Italia coincide con il Sacramento, sono il campo in cui si avverte acutissima l'insostenibilità pratica della dottrina etica promulgata da Roma. Questa è la situazione che è chiarissima  a tutti e da molto tempo. Ma in quell'evento essa è stata nascosta e sovrastata da una liturgia di massa in cui il popolo dei fedeli coinvolti nel problema è stato presentato come una massa di comparse per recitare un copione scritto dagli organizzatori. Esso in realtà non ha avuto voce.
 Se effettivamente si vogliono produrre cambiamenti che mettano nuovamente in contatto il mondo con la fede collettivamente vissuta, e viceversa, e producano nuove mediazioni culturali in grado di risolvere il contrasto tra fede parlata, insegnata e professata e fede vissuta, occorre produrre un sistema di autorizzazioni che consentano a nuove realtà di uscire dall'ombra dove attualmente sono state confinate. In questo il nuovo corso romano è stato efficace. La recente esortazione apostolica Evangelii Gaudium (la Gioia del Vangelo) consiste sostanzialmente proprio in questo. Bisogna però considerare che ciò che ne conseguirà non sarà un semplice  aggiornamento, come non lo fu ciò che scaturì, nella prima metà degli  scorsi anni Sessanta, dal Concilio Vaticano 2°. E il risultato non è scontato, per la semplice ragione che il clima culturale del tempo che stiamo vivendo è profondamente diverso da quello in cui si produsse quel Concilio. Negli anni scorsi Cinquanta e Sessanta  si visse una primavera della nostra confessione religiosa, oggi siamo ancora in pieno inverno.
 Il gelo che tanto a lungo ha colpito ogni nuovo fermento, ogni nuova gemma in cui tempi nuovi si manifestavano, ha privato di risorse vitali, quelle per cui ci si rinnova di epoca, le nostre collettività religiose. Riattivarle non sarà lavoro di giorni, né di mesi, né di anni, ma forse di decenni. Si sono infatti interrotte tradizioni culturali: chi le impersonava sta uscendo di scena senza lasciare seguaci tra le nuove generazioni. Chi ancora le impersona non si trova più in età fertile, quella in cui si hanno opportunità di contribuire alla rigenerazione della società. E' un po' quello che sta accadendo, sul fronte demografico, in molte società europee: alcune componenti etniche e nazionali sono ancora numerose, ma in esse la percentuale di persone in età fertile, con concreta possibilità di riprodursi, la fascia 25/40 è talmente bassa che esse sono destinate a un rapido declino o addirittura, sostengono i demografi più pessimisti, all'annientamento.
 Naturalmente le dinamiche della riproduzione culturale sono meno rigide di quella biologica. Ma risalire la china richiede la riattivazione su larga scala di un lavoro collettivo di cui non si vedono ancora le tracce. Il tempo che stiamo vivendo è caratterizzato da un intenso attivismo del nostro vertice romano e, in fondo, questa situazione non è nuova; è, anzi, quella dalla quale si vorrebbe uscire.
 La paura è che, una volta che la voce di  Roma, che finora ha sovrastato tutte le altre e ha preteso di dirigere il coro, taccia, ciò che segue non sia un'altra musica, ma il silenzio.
 
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente Papa - Roma, Monte Sacro, Valli

giovedì 20 febbraio 2014

Articolo di Eugenio Scalfari sul Papa e i mandarini del Vaticano


Articolo di Eugenio Scalfari sul Papa e i mandarini del Vaticano

 
 Su La Repubblica  di ieri è stato pubblicato un lungo articolo di Eugenio Scalfari sul tema del Papa e dei mandarini del Vaticano. I mandarini  erano, nell'antica Cina, alti funzionari imperiali con compiti di governo locale.
 L'autore dell'articolo, che dichiara di non essere persuaso dalla nostra fede religiosa, è stato visto in passato come uno dei maggiori esponenti del laicismo italiano, quindi dell'anticlericalismo nazionale.
 Sostiene che l'attuale Papa riscuote sempre maggiori consensi, per la sua capacità di comunicare, la sua apertura al dialogo, le sue immagini di una Chiesa povera e missionari, la sua fede nel Dio misericordioso di tutti. Per merito suo Roma è divenuta nuovamente, in un certo senso, il centro del mondo.
 Tuttavia, scrive Scafari, è in atto una specie di rivoluzione che non si è ancora compiuta.
 La struttura vaticana, l'istituzione di vertice della  Chiesa, ha avuto come principale obiettivo il mantenimento del potere. L'attuale Papa la vuole ridurre al rango di intendenza, per fornire i necessari servizi alla Chiesa missionaria e combattente.
 In Vaticano lavorano i mandarini, funzionari che hanno svolto storicamente un ruolo importante anche nell'evangelizzazione, modernizzando le istituzioni e il linguaggio, combattendo guerre non solo teologiche, ma "con lance e spade e spingarde e cannoni e navi e cavalieri e inquisizioni e persecuzioni". Questo ha caratterizzato continuativamente la storia della Chiesa: una Chiesa verticale e assai poco apostolica. Ma la Chiesa è stata anche altro: la Chiesa missionaria, la Chiesa dei poveri, la Chiesa martire, la Chiesa dell'amore e della misericordia. Tuttavia essa è stato in mano all'Istituzione governata dai mandarini. Di questi tempi, per la prima volta, l'Istituzione rischia di perdere il ruolo guida. I mandarini hanno fatto atto di sottomissione, ma ancora combattono, tuttavia con cautela, prudenza, pronti al compromesso.
 Il Papa proviene dai gesuiti, ma ha scelto di chiamarsi Francesco. Come si può mettere insieme il poverello di Assisi e Ignazio di Loyola?
 Le caratteristiche del gesuitismo sono: la vocazione missionaria fondata non sul proselitismo, ma sull'ascolto e sul dialogo; la capacità di influire sui processi sociali; la capacità di dividersi nelle questioni sociali mantenendo un forte legame con l'Ordine e i suoi organi centrali.
 I gesuiti furono fondati per combattere lo scisma luterano opponendogli una forte riforma.
 L'attuale Papa, secondo Scalfari, è intrinseco della cultura e della prassi gesuitiche. Egli vuole trasformare la Chiesa, il ruolo dei vescovi e delle conferenza episcopali, il ruolo della Curia, senza smontare l'architettura dogmatica della fede.
 L'attuale Papa propone una visione plurima in cui un ventaglio amplissimo di posizioni diverse e contraddittorie vengono indirizzate verso una convivenza proficua e di reciproca comprensione e rispetto.
 Ma, prendendo il nome Francesco, l'attuale Papa ha inteso riferirsi anche al santo di Assisi. Quest'ultimo non fu solo una specie di fondamentalista della Chiesa dei poveri. Seppe mantenere rapporti con le istituzioni della Chiesa e accettò i compromessi da esse proposti, modifiche non marginali alle sue concezioni.
 Scalfari vede alcuni tratti comuni tra Ignazio di Loyola e Francesco d'Assisi: soprattutto la fede in Gesù Cristo  e nella Chiesa sua mistica sposa. Ritiene però che le differenze siano prevalenti. La fede di Ignazio di Loyola fu radicata nella sua testa, non solo nel suo cuore. Quella di Francesco d'Assisi fu caratterizzata da un misticismo e da una identificazione con Cristo quasi permanenti. Questo aspetto di misticismo, secondo Scalfari, nell'attuale Papa non c'è. L'identificazione negli orientamenti ideali espressi dai due santi si realizza nell'attuale Papa sul piano dell'amore per il prossimo, della misericordia diffusa a tutte le anime, della Chiesa povera e missionaria che dialoga con tutti e dell'identificazione della Chiesa con il popolo di Dio.
 La Chiesa come istituzione non è stata predicata da Gesù se non in parte. Per secoli, pur mantenendo consapevolezza del valore della Chiesa povera, hanno prevalso le esigenze dell'esercizio del potere. L'attuale Papa si oppone al primato dell'esercizio del potere. E' flessibile, graduale e consapevole della necessità dei compromessi, ma anche pronto a cogliere il momento dell'attacco radicale. Secondo Scalfari, nella Chiesa  - istituzione è in atto una guerra che durerà a lungo.
 Secondo Scalfari il predecessore dell'attuale Papa è vissuto in una realtà fittizia, creata dall'istituzione che lo circondava. I recenti scandali gli hanno dimostrato che il mondo in cui credeva di aver vissuto era in realtà un pantano e ha ceduto la mano, non sentendo in sé le energie necessarie per promuoverne il cambiamento, pur denunciando i problemi.
 L'attuale papa sta compiendo l'opera di trasformazione indicata dal suo predecessore. Si propone di conseguire l'obiettivo del  santo di Assisi, la Chiesa povera dei poveri, con il metodo gesuitico del dialogo e della coesistenza di visioni plurime. Storicamente i gesuiti, secondo Scalfari, trasformarono quel metodo in obiettivo, alimentando i problemi derivati dalla compromissione nelle lotte per il potere invece di combatterli. L'attuale Papa ha riportato il metodo gesuitico a strumento. Questa, secondo Scalfari, non è una riforma ma una rivoluzione e l'attuale Papa è la persona giusta per farla.
 Anche diversi non credenti si trovano ad affrontare problemi analoghi e quindi provano simpatia e amicizia per l'attuale Papa. Sentono di combattere la stessa battaglia.
 
Note mie: nelle polemiche laiciste e anticlericali del passato si avvertiva sul fronte laicista un'inadeguata conoscenza delle cose della religione. Mi ha fortemente sorpreso scoprire nell'articolo di Scalfari un evidente approfondimento su questi temi, che ha creato un terreno comune di dialogo.
 
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente Papa - Roma, Monte Sacro, Valli