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Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

Dall’anno associativo 2020/2021 il gruppo di AC di San Clemente Papa si riunisce abitualmente il secondo, il terzo e il quarto sabato del mese alle 17 e anima la Messa domenicale delle 9. Durante la pandemia da Covid 19 ci siamo riuniti in videoconferenza Google Meet. Anche dopo che la situazione sanitaria sarà tornata alla normalità, organizzeremo riunioni dedicate a temi specifici e aperte ai non soci con questa modalità.

Per partecipare alle riunioni del gruppo on line con Google Meet, inviare, dopo la convocazione della riunione di cui verrà data notizia sul blog, una email a mario.ardigo@acsanclemente.net comunicando come ci si chiama, la email con cui si vuole partecipare, il nome e la città della propria parrocchia e i temi di interesse. Via email vi saranno confermati la data e l’ora della riunione e vi verrà inviato il codice di accesso. Dopo ogni riunione, i dati delle persone non iscritte verranno cancellati e dovranno essere inviati nuovamente per partecipare alla riunione successiva.

La riunione Meet sarà attivata cinque minuti prima dell’orario fissato per il suo inizio.

Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

NOTA IMPORTANTE / IMPORTANT NOTE

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Il sito della parrocchia:

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lunedì 28 novembre 2022

La pace come problema religioso e storico-politico

 La pace come problema religioso e storico-politico

  Viviamo tempi che saranno ricordati nei libri di storia, ma in parrocchia, nella nostra come credo anche nella maggior parte delle altre, tutto scorre più o meno secondo la solita routine. Un confronto con le omelie degli anni passati, che ho sintetizzato su questo blog, può convincerne facilmente.
  Del resto la storia, sia quella più antica che quella più vicino a noi, non rientra nei programmi formativi religiosi che si fanno di solito, più che altro volti alla preparazione per i sacramenti. Si fa solo qualche rapido accenno alla cosiddetta "storia sacra", senza però cercare di distinguere tra ciò che è più che altro mitologia da ciò che invece non va considerato tale perché ha riscontri che gli storici ritengono affidabili.
 Un altro problema è che di tutto si parla come se ci si rivolgesse sempre a chi inizia ad acculturarsi alla religione, e questo non è il caso di tutte le persone. La proposta di esperienze formative e di riflessione per autoformazione destinate a chi principiante non è di solito cadono nel vuoto. Questo fondamentalmente perché i preti vogliono occuparsi di tutto, controllare tutto, e naturalmente questo tutto è quindi disegnato secondo le loro forze, e quindi, obiettivamente, è poco, anche se, tenendo conto di quelle loro forze, quindi soggettivamente, può essere molto. Della gente che viene in chiesa i preti in genere diffidano, spesso a ragione, ma non sempre.
  Quindi poi si vivono tempi come quelli attuali, assolutamente fuori della normalità, nei quali l'Italia rischia di essere trascinata in una guerra continentale totale, come se tutto andasse come al solito, e, dunque, nel Tempo di Avvento, si fanno le prediche degli scorsi anni, ad esempio ricordando che non si fa memoria solo di una nascita di duemila anni fa ma di un ritorno nella gloria alla fine dei tempi, aspettandoti che la gente se ne meravigli. Per un ragazzetto può darsi, ma per una persona che questo discorso se l'è sentito fare una sessantina di volte, no. Ma come si imserisce tutto questo in ciò che stiamo vivendo? E innanzi tutto c'ha qualcosa a che fare? Non emerge con chiarezza nei discorsi che in genere si sentono di questi tempi, ma naturalmenfe sì, è questo comporta alcuni riflessi etici che però ai più sembrano sfuggire, essendo la pace, in Terra e tra Cielo e Terra appunto il contesto della promessa per la cui  cui realizzazione si rimanda alla fine dei tempi, ma che già oggi orienta la nostra vita di fede perche il suo dinamismo è già in atto, proprio per l'evento di quella nascita di duemila anni fa.
  Ma, si dice, tutti i cristiani vogliono la pace.
  Nella loro tremenda storia, in realtà, i cristiani in genere non hanno voluto la pace, ma si sono limitati a sognarla per la fine dei tempi. 
 E oggi?
  Oggi ci si divide, tra una grande maggioranza che ragiona come nel passato e una minoranza che vorrebbe i cristiani costruttori di pace da subito, in particolare nei conflitti in cui si trovano coinvolti.
 Venerdì scorso il MEIC Lazio ha tenuto un incontro in Zoom sul tema della pace in cui questa divisione è emersa con molta chiarezza, in particolare nella valutazione su che pensare e che fare nella guerra in Ucraina che coinvolge da un lato la NATO e l'Ucraina e dall'altro la Federazione russa. il governo russo, lo scorso 24 febbraio ha ordinato alle proprie Forze armate di invadere l'Ucraina. Inizialmente l'obiettivo era quello di rovesciare il governo ucraino e di insediarne un altro filo-russo, ma poichè, dopo una prima fase di conflitto meno cruenta nel 2014, che portò al l'occupazione russa della Crimea e alla costituzione di due repubbliche filorusse ai confini orientali dell'Ucraina, e una seconda fase di conflitto caratterizzata da continue scaramucce lungo la linea del fronte di quelle repubbliche, la NATO, e in particolare gli Stati Uniti d'America e la Gran Bretagna, avevano potentemente armato l'Ucraina, addestrando e le Forze armate alle nuove tecnologie belliche, il progetto di invasione venne ridimensionato, ed ora i militari russi sono più che altro impegnati a difendere i nuovi territori intorno al Mare d'Azov, nell'Ucraina orientale e meridionale che erano riusciti a conquistare. Il gelido inverno ucraino ha costretto le parti belligeranti ad una durissima guerra di trincea, ma l'armata russa continua pesanti bombardamenti missilistici per distruggere il sistema ucraino di distribuzione dell'energia elettrico e così fiaccare la resistenza degli invasi.
  Il problema è come fare per far finire la guerra. La Nafo ritiene che si debba continuare a combatterla a fianco degli ucraini fino a quando il governo russo accetterà di trattare e che le condizioni della trattative debbano essere definite solo dal governo ucraino. Quest'ultimo esige, per trattare la fine della guerra, il ritiro dei russi da tutti i territori occupati fin dal 2014, compresa la Crimea, dove la Federazione Russa ha ereditato dall'Unione Sovietica, cessata nel 1991, un grande complesso di basi navali, l'unico del suo immenso territorio libero dai ghiacci in inverno.
  Qualche giorno fa il capo di stato maggiore statunitense ha stimato in centomila morti le perdite del l'armata russa e in altrettanti morti quelle ucraine. Si tratta quindi di una guerra particolarmente sanguinosa e anche devastante per la popolazione ucraina non combattente. La popolazione russa ha subito forti restrizioni della libertà di espressione del pensiero motivate, dalle autorità russe, con l'esigenza di rafforzare il consenso alle operazioni militari in corso contro gli ucraini. Ha inoltre subito una mobilitazione parziale, contro la quale molti uomini richiamabili hanno reagito fuggendo all'estero. In tutta Europa la guerra in Ucraina sta provocando una recessione economica ed alti tassi di inflazione, quali non ve n'erano tra gli stati federati nell'Unione Europea dagli anni 80.
  Tra i cattolici ci si divide tra chi ritiene che si debba continuare a combattere quella guerra a fianco degli ucraini perché aggrediti dai russi, quindi per correre in soccorso dell'aggredito, e per ragioni di giustizia perché l'aggressione russa è stata appunto ingiusta, e chi ritiene che occorra prendere parte alle trattative per la pace non lasciando al solo governo ucraino di definirne le condizioni e condizionando gli aiuti militari al immediata apertura di trattative per un cessate il fuoco, per poi passare ad un armistizio e poi a un trattato di pace, senza attendere, come richiede il governo ucraino, la vittoria sui russi.
 Per un cattolico il problema è, come si capisce facilmente, anche religioso.
  In passato i cristiani non ebbero scrupoli a provocare e combattere efferati conflitti, ora però sì, per la ragione che un conflitto globale potrebbe estinguere la vita sulla Terra se si combattesse con l'uso delle armi nucleari. La dottrina sociale è molto cambiata sul punto. La pace è ora considerata ciò che il filosofo Jacques Maritain, che ricevette il messaggio del Concilio Vaticano 2º agli intellettuali in rappresentanza delle persone di,scienza, chiamava un ideale storico politico concreto, non quindi qualcosa da attendersi solo alla fine dei tempi. Ciò non riguarda solo i governi, ma, soprattutto nei sistemi politici democratici in cui le popolazioni possono realmente incidere sul governo degli stati, tutte le persone. Si è quindi esortati a farsi costruttori di pace e, in questo senso, viene oggi letta la beatitudine evangelica relativa. La forza dalla quale ci si attende, alla fine dei tempi, il compimento della nostra speranza di pace è infatti già attiva ai tempi nostri, per quella nascita di duemila anni fa, ma, non solo: noi nell'unione mistica con colui che è già venuto e del quale attendiamo il glorioso ritorno, ne siamo qui e ora segno e strumento. Come possiamo, allora, massacrare il prossimo, per questioni di egemonia territoriale che presentiamo nei termini di giustizia, ed essere nello stesso tempo ciò che dobbiamo essere nella fede? La guerra di difesa non si combatte infatti in modo diverso da quella di aggressione. Le armi sono le stesse, così come tattiche e strategie.  Ci si difende attaccando. E gli invasori, se attaccati, si difendono. 
  La questione non è di facile soluzione, bisogna rifletterci bene sopra. 
  E la soluzione concreta non è scritta nella Bibbia, che è strapiena di violenza, nè nella teologia, che solo negli ultimi decenni sta superando le epoche in cui giustificò, in nome della fede, anche le violenze più efferate.
  Bisognerebbe rifletterci sopra, ma non lo si fa. Una religione così diventa però inutile.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa- Roma, Monte Sacro, Valli
  

domenica 27 novembre 2022

Sintesi di Mario Ardigò dell’omelia svolta nella messa domenicale delle 8 il 27 novembre 2022 nella chiesa parrocchiale di San Clemente papa

 

Sintesi di Mario Ardigò dell’omelia svolta nella messa domenicale delle 8 il 27 novembre 2022 nella chiesa parrocchiale di San Clemente papa

 

 Inizia con l’Avvento il nuovo anno liturgico.

 Facciamo memoria della venuta del Signore duemila anni fa e celebriamo la nostra speranza del suo ritorno alla fine dei tempi. Ma soprattutto, tra la sua prima e l’ultima venuta, quella in noi ogni giorno, la seconda. Ci ha detto infatti:

 

Gesù si avvicinò e disse: «A me è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Perciò andate, fate che tutti diventino miei discepoli; battezzateli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo; insegnate loro a ubbidire a tutto ciò che io vi ho comandato. E sappiate che io sarò sempre con voi, tutti i giorni, sino alla fine del mondo».

[Dal Vangelo secondo Matteo, capitolo 28, versetti da 16 a 20 – Mt 28, 16-20 – traduzione in italiano TILC Traduzione interconfessionale in lingua corrente]

 

  I mistici descrivono il nostro incontro con il Signore come la salita interiore di un monte.

 Abbiamo letto il brano di Isaia:

 

il monte del tempio del Signore
sarà saldo sulla cima dei monti
e s’innalzerà sopra i colli,
e ad esso affluiranno tutte le genti.

[Dal libro di Isaia, capitolo 2, versetto 2 – Is 2,2]

 

  La cima dei monti più alti buca le nubi e in cima si è al cospetto della luce. L’incontro con il Signore è descritto dai mistici, ad esempio da Giovanni della Croce, vissuto in Spagna nel Cinquecento, come un’illuminazione al termine di quella salita.

 Ciascuno di noi ha vissuto momenti simili, in cui ha sentito  la presenza interiore del Signore.

  Un’esperienza simile è descritta nel testo spirituale La nube della non-conoscenza,  di un anonimo del Trecento, probabilmente un monaco [pubblicato in italiano dall’editore Adelphi nel 1998 – ancora in commercio ad €15,30].

  Unendoci al Signore siamo uniti anche a tutte le altre persone che confidano e hanno confidato in lui. E’ ciò che viene descritto come comunione dei santi.  Ed è anche ciò che vivono con più continuità e profondità monache e monaci, i quali solo apparentemente si separano da noi, ma che nell’esperienza contemplativa sono sempre con noi. Ed è per questo che ci si sposa in chiesa: per rafforzare l’unione data dalla prossimità fisica con quella spirituale, nel Signore.

  Nella messa viviamo l’unione spirituale con il Signore. Egli, nostra luce, è il fondamento della nostra speranza.

 Quella luce e la speranza che ne scaturisce ci danno forza.

  Siamo come viaggiatori: se a un viaggiatore si toglie la speranza di arrivare, come può avere la forza di continuare il suo viaggio?

giovedì 24 novembre 2022

In parrocchia le persone adulte non sanno che fare

            In parrocchia le persone adulte non sanno che fare

  La parrocchia è fatta per bimbi e vecchi. Gli altri non sanno che fare. Gli sposi e i genitori, se s'avvicinano, si sentono propinare un mucchio di assurdità su come doverebbero essere sposi e genitori da persone che di matrimonio e genitorialita sembrano non sapere nulla di nulla. Della vita in società, in parrocchia non ci si vuole occupare per timore che si finisca per litigare. Iniziative non se ne possono prendere perché decidono tutto i preti che pensano essenzialmente a quello che ritengono sia il loro lavoro. Vivono attorniati da vecchi e bimbi e dalle persone che accettano di aiutarli in quel lavoro. Con le altre persone in genere manifestano poca dimestichezza. Alle persone adulte non ancora nell'età della pensione più che altro viene assegnato il ruolo di comparse liturgiche. Ci si può meravigliare, allora, se non frequentano?
  Insomma, mi pare che la sinodalitá presenti anche un aspetto propriamente generazionale, che rimane irrisolto.
  Nel pensare a una sinodalitá adatta anche per la fascia d'età, diciamo, dai diciotto ai cinquanta bisognerebbe tener conto che si ha a che fare con gente che è insofferente della condizione di mero gregge in cui in genere la si vorrebbe tenere e che vorrebbe aver una parte maggiore nelle decisioni che la riguardano. Questo significa che occorrerebbe costituire una specifica organizzazione per queste esigenze. Che ne uscirebbe fuori? Finché non si prova non lo si può sapere. In Azione cattolica, dove questo già c'è, le cose vanno bene, ma essa ha una lunga tradizione in questo campo. Probabilmente all'inizio le persone coinvolte non saprebbero bene che fare. D'altra parte, poiché hanno fatto sempre le comparse liturgiche, questo è comprensibile ed è proprio fuori luogo addirittura prenderle in giro per questo, ad esempio quando, chiamate a leggere a messa, si dimostrano impacciate. Sono cose che si imparano facendole. Ma se non le si impara per autoformazione non funzionano.
  Non bisogna avere fretta di ottenere risultati. I preti di parrocchia sono invece, di solito, assillati da questa esigenza, perché pressati dalla burocrazia della Diocesi. Sarebbe quindi consigliabile che la faccenda fosse messa nelle mani delle persone laiche, coinvolgendo inizialmente le persone che ne sanno un po' di più, ma sempre in organismi sinodali, mai attribuendo ad una persona o a piccoli gruppi posizioni di potere sull'altra gente. Altrimenti facilmente si ricasca nelle cattive abitudini del clero.
  Si potrà mai fare? Negli anni Settanta del secolo scorso, ai tempi della mia adolescenza, si cominciò, ma poi tutte quelle esperienze gelarono nel lunghissimo inverno ecclesiale che seguì. Si perse una tradizione, per cui, appunto, ora le persone laiche di quella fascia d'età, ritrovandosi in parrocchia non sanno bene che fare. Non riescono a comprendere veramente il senso religioso della loro vita fuori degli spazi liturgici. Hanno prevalentemente come modello i preti e i religiosi, la cui esperienza, per quanto fortemente in crisi, è oggetto, insieme a quella dei papi, di una plateale mitizzazione, anche in televisione e al cinema. Sfuggirne non è facile, anche perché tra santificazioni di papi e anni santi ci siamo sempre in mezzo.
Mario Ardigò - Azione Cartolica in San Clemente papa- Roma, Monte Sacro, Valli
 

martedì 22 novembre 2022

Programma per una neo-parrocchia - 2 -

             Programma per una neo-parrocchia

- 2 -

    L'apparato mitologico praticato in genere nelle parrocchie italiane è obsoleto. Questo significa che è obsoleta anche la teologia che vi fa riferimento. L'obsolescenza dell'uno e dell'altra è stata causata dalle veloci e profonde trasformazioni sociali che in Occidente, ma in special modo in Europa, si sono vissute dagli anni Cinquanta del secolo scorso. E il resto del mondo? Non va nello stesso modo. Quanto più le civiltà si allontanano dai modelli occidentali, tanto più il problema è meno serio. In occidente si sta vivendo il mutamento di uno schema antropologico, che si riflette sui modelli sociali dominanti. Al suo centro vi è l’affrancamento della persona dal semplice servaggio nelle collettività in cui è immersa, con la costruzione politica di un sistema di diritti della persona umana come tale. La gerarchia cattolica vi ha strenuamente resistito, perché la sua presa sociale era fondata sul precedente assetto e ancora la teologia che alla gerarchia fa riferimento tende a scomunicarlo, e anche a diffamarlo. Quando ancora ci si scaglia contro l’individualismo  che caratterizzerebbe l’Occidente contemporaneo è  a questo che si fa riferimento, non, come da alcune parti si fraintende, a una sorta di socialismo cristiano.

  La gerarchia cattolica, vale a dire il ceto che dal punto di vista giuridico accentra il governo ecclesiale, reagì però prontamente, celebrando un concilio dedicato proprio a questo tema, il Vaticano 2º, a Roma, dal 1962 al 1965, cercando di apportare variazioni all’apparato mitologico che sacralizzava il governo ecclesiale secondo certi antichi canoni, lavorando sulla teologia di riferimento. Il tentativo finora ha avuto scarso successo, fondamentalmente limitato a certe prassi liturgiche.  I suoi deliberati ebbero infatti una rilevantissima importanza dogmatica, creando le basi teologiche della riforma sinodale che però solo l'anno scorso, a quasi sessant’anni dalla fine di quel Concilio,  un Papa ha ordinato, dopo averla annunciata praticamente fin dall'inizio del suo regno, ma esplicitamente dal 2015. Tuttavia non si ottenne, in quella grande assemblea dei vescovi del mondo, un consenso sufficiente per riorganizzare realmente il governo ecclesiastico, sia a Roma, quello sinteticamente definito Santa Sede, sia a livello locale, intorno alle Diocesi, ai Patriarcati nazionali e alla Conferenze episcopali. Quindi fondamentalmente esso ancora riflette l'impostazione datagli nel Cinquecento durante il Concilio di Trento, sulla base di un processo ideologico iniziato nell'Undicesimo secolo e portato alle estreme conseguenze nel 1870, con il travagliatissimo e incompiuto Concilio Vaticano I, che diede un assetto autocratico e assolutistico al primato papale.

  Da qui, poi, una progressiva perdita di attrazione, in Occidente, della Chiesa cattolica, che negli ultimi decenni si è manifestata particolarmente tra i giovani, e anche tra i giovanissimi, e da ultimo anche tra le donne, le quali erano rimaste la parte maggiore del popolo praticante le liturgie.

  Ciò che allora si tentò di ottenere dall’alto per ordine gerarchico e per imposizione di una nuova teologia di legittimazione del governo ecclesiale, si vorrebbe ora ottenere dal basso, o meglio partendo da un’inculturazione nella popolazione  delle persone di fede.

  In questo quadro parte del clero viene affascinato da alcuni movimenti neo-tradizionalisti, che inscenano i costumi di un tempo, nelle liturgie, nella formazione e nel vestiario dei preti, nella mitologia di riferimento, ma si tratta solo di fatti effimeri e largamente minoritari, sovrastimati da gerarchi ecclesiastici con un'età media molto alta ai quali pare di riconoscere in quelle aggregazioni la Chiesa di una volta, la loro Chiesa. L'abbaglio è accentuato dal costume dei neo-tradizionalisti di ammassarsi con il ruolo di comparse nei grandi eventi organizzati dalla Santa Sede, nell'illusione di recuperare in tal modo credito sociale che in realtà non ha più. È l'effetto del popolo-gregge. A ben vedere, in particolare in base ai risultati delle indagini demoscopiche sulla religiosità si tratta di moti che coinvolgono piccole, ma rumorose, minoranze. Le quali però non di rado, e replicando i tristi costumi di sempre delle nostre Chiese, una vera e propria tradizione anche se deleteria, si presentano come l'unica e vera Chiesa, cercando di attrarre gente con quel l'argomento ingannevole e in tal modo pescando di frodo, se appunto si pensa alla missione come un pescare gli uomini, secondo l'immagine evangelica.

  In qualche modo è simile la strategia dei movimenti fondamentalisti, i quali, costruita una neo-mitologia religiosa utilizzando liberamente elementi tradizionali insieme ad altri di nuova loro invenzione, la propongono come un complesso di verità, vale a dire di enunciati che devono essere condivisi e proclamati se si vuole essere inclusi, non tanto in un movimento, ma nella Chiesa,  altrimenti non lo si è. Qui l'abuso è nell'esercitare un potere che, in base agli statuti vigenti, compete solo alla gerarchia ecclesiastica. Quei movimenti cercano allora di formare un proprio clero e di ottenergli l'elevazione all'episcopato e al cardinalato, per portare la gerarchia dalla propria parte, e, alla fine, anche per conquistare il papato. Nulla di nuovo, per altro. In passato però erano gli ordini religiosi a fare così. La riforma imperiale del papato nel Primo secolo  fu progettata e cominciò ad essere attuata da un Papa che nella sua formazione era stato fortemente influenzato, o addirittura proveniva. dal potente ordine benedettino di osservanza cluniacense, la grande federazione monastica che faceva riferimento all'abazia di Cluny, in Francia, rapidamente eclissatasi dopo circa tre secoli e poi spazzata via definitivamente alla Rivoluzione francese, secondo la legge sociale che ciò che non riesce a trasformarsi seguendo l’evoluzione culturale del mondo di riferimento scompare.

  La situazione attuale della Chiesa italiana è ancora marcatamente caratterizzata dal vivo contrasto tra conciliari anticonciliari, in cui il discrimine sono il principi di libertà e dignità della persona umana del Concilio Vaticano 2º: in questo contesto esprimono tendenze fortemente anticonciliari i neotradizionalisti, moderatamente ma complessivamente anticonciliari i fondamentalisti (sfruttano le libertà del nuovo corso per affrancarsi dalla gerarchia ecclesiastica) e  quelli del partito della gerarchia, che vorrebbero ci si attenesse all'interpretazione riduttiva teologica e giuridica data a quei principi dai papi Giovanni Paolo 2º e Benedetto 16º. La componente più importante dei conciliari è costituita dall'Azione Cattolica, che ha fatto dell’attuazione  del Concilio  il suo principale campo d’azione. Gli anticonciliari ostacolano, criticandoli apertamente o esprimendo una specie di resistenza passiva i processi di sinodalitá totale avviati l'anno scorso in tutto il mondo da papa Francesco.

 E’ bene essere realisticamente consapevoli di tutto ciò, perché altrimenti non ci si riesce a spiegare ciò che travaglia anche le nostre parrocchie. Esse hanno forza sociale che il cosiddetto alto  della struttura di potere ecclesiastico non possiede, perché sono realtà sociali di base, le uniche veramente esistenti come popolazione, mentre tutto il resto, compreso ciò a cui si allude quando in senso giuridico si parla di Chiesa universale, è solo burocrazia ecclesiastica, struttura di governo, per quanto struttura sacralizzata, vale a dire espressa teologicamente in una mitologia che la vuole voluta dalle Potenze superne e quindi sostanzialmente irriformabile. Prima della riforma del Concilio Vaticano 2° quella popolazione la si pensava addirittura come appiccicata alla Chiesa dall’esterno, non indispensabile.

  Il metodo ricorrente degli anticonciliari è di cercare di saturare  le realtà di base, trasformandole secondo la propria mitologia. Per i clericali il segno del successo è dato dalla partecipazione della popolazione alle liturgie. Per i neotradizionalisti la partecipazione a liturgie inscenate con i riti preconciliari e l’adozione di  modi di esprimere la propria religiosità e le relazioni nel clero e tra clero e persone laiche. Per i fondamentalisti è l’assoggettamento della popolazione ai propri ordinamenti comunitari e l’assunzione della propria neo-mitologia come linea guida per la fede. Avvenuta la saturazione  di un ambiente religioso, le persone che non si adeguano vengano spinte verso l’esterno.

  I conciliari cercano invece di produrre l’inculturazione dei nuovi principi mediante la mediazione culturale. Si valgono del fatto che essi caratterizzano già, in Occidente, le società in cui si vive immersi. Ciò che viene oggi viene definito come sinodalità totale, vale a dire estesa a tutta la popolazione di fede, è appunto ciò che si vuole ottenere. Un risultato che, sotto certi aspetti, può essere espresso e vissuto come una liberazione. E la libertà e dignità della persona umana è appunto al centro di questo movimento.  

  Nella nostra parrocchia mi pare che prevalgano largamente gli anticonciliari fondamentalisti e clericali, mentre è assente il neotradizionalismo. Ma questo tenendo conto di chi in parrocchia ancora ci va con una certa assiduità. Come la pensano le altre persone che si limitano a gravitarvi intorno? Mantenendo la situazione attuale,  è prevedibile un ulteriore declino della partecipazione alle attività sociali, quelle che interessano la dottrina sociale  e che sono favorite dallo sviluppo di atteggiamenti  e organizzazioni improntati alla sinodalità, che significa anche maggiore reale partecipazione, anche nelle fasi decisionali, con conseguente maggiore assunzione di responsabilità,  mentre la parrocchia potrebbe continuare a funzionare bene come semplice erogatrice di servizi religiosi, intesi come formazione, liturgie e sostegno assistenziale. Almeno se non si deciderà di affidare nuovamente la parrocchia a un movimento fondamentalista che, come a lungo avvenuto, cercherà di saturare l’ambiente, il che potrebbe avvenire incaricando un parroco che si è formato in uno di quei movimenti e ancora vi aderisce. Nell’attuale situazione il peso del potere parrocchiale del parroco è ancora rilevantissimo, specialmente da quando è caduto in desuetudine il nostro Consiglio pastorale parrocchiale. In definitiva, nulla può pretendersi come legittimato se non ha l’assenso del parroco, neppure nelle minime cose. Questa è appunto la situazione che il movimento sinodale vorrebbe cambiare.

  Se si vuole tentare di sviluppare una qualche sinodalità parrocchiale, aderendo ai processi sinodali in corso, anche in questa situazione oggettivamente sfavorevole, una via è quella di cercare di mettere in secondo piano l’aspra controversia tra conciliari e anticonciliari, e, in particolare, ogni autorità di fazione che pretenda obbedienza gerarchica dai propri adepti. L’obbedienza è gerarchica quando non può essere legittimamente messa in discussione se il gerarca di riferimento impedisce la discussione, ciò che, ad esempio è avvenuto, nella deludente fase di ascolto  del povero Popolo di Dio organizzata in Italia secondo le regole della Conferenza episcopale nazionale e del Sinodo dei Vescovi. Si doveva parlare, dicendo la propria, senza dialogare. Come ciò sia compatibile con l’obiettivo della sinodalità è stato spiegato facendo ricorso alla teologia, che, come sempre avvenuto nelle nostre Chiese fin da quando essa si è manifestata, può essere piegata ad ogni cosa. Di fatto la mancanza di dialogo non è stata espressione di consenso  e tanto meno di comunione, in particolare di quella che si vuole espressione del soprannaturale, ma solo della mancanza di reale sinodalità, con il che ci si è vietati di raggiungere l’obiettivo dichiarato.

  Per tentare la sinodalità parrocchiale, dunque, occorre costruire un organismo di partecipazione paritaria in cui le gerarchie particolari vengano messe in secondo piano e che, come primo atto, definisca due principi di coesistenza pacifica (anche se non necessariamente armoniosa, questo sarà il risultato di una sinodalità realmente attuata), vale a dire il vietarsi  il controllo totale sui propri adepti, il vietarsi  il considerare la propria via alla fede come l’unica legittima ed efficace e, soprattutto, il principio inclusivo “Non senza di me, ma non solo da me”. Il controllo totale  dei propri adepti da parte di una gerarchia di movimento rende impossibile la partecipazione sinodale, così come il considerare le via degli altri pretestuose, eretiche o addirittura dannose per lo sviluppo della fede e il proporsi di fare tutto da sé, appunto saturando l’ambiente parrocchiale.

  Va detto che probabilmente non si otterrà inizialmente neppure il consenso all’avvio di un organismo di quella sorta, che potrebbe anche essere un ricostituito Consiglio pastorale parrocchiale, ma che, se il parroco non ne è convinto, non può essere riorganizzato, perché la sua attuale disciplina lo mette nelle sue mani. Potrebbe allora pensarsi a qualcosa di diverso come una Conferenza sinodale parrocchiale che si proponga di sperimentare la sinodalità, innanzi tutto inculturandola, spiegandone le basi, secondo progetti limitati e obiettivi precisi. Già il solo fatto di creare una nuova  rete di relazioni  ispirata alla sinodalità sarebbe un importante passo avanti. Bisognerebbe che questo nuovo organismo fosse in qualche modo realmente rappresentativo  della popolazione parrocchiale, sia per cultura, che per orientamento sessuale ed età, il che, allo stato, non può essere ottenuto ancora con procedure elettorali, perché si è ancora troppo indietro per organizzarle e si viene dalla storia che sappiamo, ma può essere conseguito con un lavoro preliminare per coinvolgere le varie fasce di popolazione che gravitano  intorno alla parrocchia e che si dimostrino anche disposte a un impegno continuativo (del quale, per la verità, la gente in genere diffida, sempre per la storia a cui ho fatto riferimento).

 Infine una raccomandazione molto importante. Nella nostra situazione ai tentativi di saturazione  si può reagire allargando  il processo sinodale alle parrocchie dei dintorni, in particolare a San Frumenzio, al Redentore e agli Angeli Custodi, cercando di avanzare insieme conoscendosi meglio. Qui potremmo incontrare difficoltà nella radicata diffidenza reciproca, perché, anche se si è molto vicini, è come se si vivesse in città diverse. Eppure, mai come nell’attuale situazione, è l’allargamento  della partecipazione che potrebbe rafforzare i processi sinodali. E’ del resto una soluzione che si trova anche nelle raccomandazioni dei vescovi per i processi sinodali in corso.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro Valli.

 

lunedì 21 novembre 2022

Programma per una neo-parrocchia -1-

 Programma per una neo-parrocchia

-1-


  Tirando le fila di quanto s’è scritto in precedenza, possiamo individuare gli elementi per progettare la costruzione di una neo-parrocchia intesa come società organizzata in grado di replicarsi, quindi feconda.

  Perché neo-parrocchia? Per il motivo che non sarà la riproduzione  di qualcosa che già esiste altrove (modello conservatore) o la ricostituzione  di qualcosa che è già esistito prima e che aveva perso vigore o si era estinto (modello reazionario). Infatti i tempi nuovi  richiedono una diversa struttura sociale.

  L’esperienza ci insegna che è tempo perso iniziare pasticciando con la teologia. Essa, infatti, funziona solo a posteriori,  per colorare  un assetto che si è già consolidato, dandogli legittimità. Di solito, invece, è proprio da lì che si inizia e quindi poi ci si impantana. Lasciando da parte la teologia, inoltre, si scanseranno le trappole delle accuse di eresia che i reazionari invariabilmente lanciano per blindare sacralizzandolo arbitrariamente ciò che c’è e che, sebbene non funzioni più, a loro sta bene per vari motivi.

 Dunque, ciò a cui miriamo è una sinodalità totale, vale a dire che tenda a coinvolgere ogni persona di fede che gravita intorno alla parrocchia, a cominciare da quelle che vi abitano vicino. Il concetto del gravitare  ci eviterà di impelagarci nei problemi che derivano dal considerare la parrocchia come possesso di chi ci va (concezione condominiale). Come mi fu insegnato da bambino, a religione, alle elementari, proprio da un prete della nostra parrocchia, dobbiamo distinguere la parrocchia come complesso immobiliare dalla parrocchia come ambiente sociale. Nel primo caso si può fare questione di possesso e di proprietà, nell’altro si tratta di come si è insieme agli altri. Le altre persone  non devono cadere nelle mani di nessun altro, come si può immaginare possibile se le si pensa, ad esempio, realmente  come un gregge e quindi le si disumanizza. Nella sinodalità totale  devono invece diventare protagoniste di una trasformazione sociale.

  Una persona gravita intorno a un luogo o ad un ambiente sociale se in qualche modo li include nel proprio immaginario, vale a dire in una di quelle narrazioni che danno senso  all’esistenza. Quindi ecco che gravita intorno la parrocchia sia il parrocchiano d’elezione,  che quindi la considera come luogo e come ambiente sociale in cui già è   o vuole essere incluso, sia il parrocchiano per prossimità che vive  nei pressi della parrocchia e del suo ambiente sociale, vi passa accanto anche se non entra  e non cerca il contatto sociale, ma sa che ci sono e non esclude di prendervi familiarità, come invece un vegetariano accanito escluderà di servirsi di una macelleria e aborre chi ci lavora e chi ne è cliente, oppure vi è già coinvolto  in qualche modo, anche solo perché se si sposa chiede al parroco,  e lo stesso se gli nasce un figlio e allora chiede che sia battezzato (pur potendo in questo caso, come sappiamo, anche fare da sé).  Quindi già solo il suo pensare alla parrocchia come a una possibilità  rende interessante una persona per il nostro lavoro, quindi ancor più chi vi è più coinvolto di così. Questo modo di ragionare ci libera dal burocratismo  canonistico che considera la parrocchia come creazione  di un gerarca e quindi di includere o escludere a seconda dei criteri che egli, sempre con un certa arbitrarietà, determina. Naturalmente essi sono utili per certi affari, ad esempio per delimitare certi poteri di certificazione del parroco o i suoi poteri nell’organizzazione del clero, ed anche nelle questioni riguardanti i beni ecclesiastici, ma deve essere sempre chiaro che la comunità preesiste ed è definita dalla sua forza di attrazione, per cui la gente vi gravita intorno.

  Poiché la nostra parrocchia ha vissuto un forte fenomeno di parrocchiani d’elezione questo è il solo modo di costruire relazioni inclusive pacifiche e, inoltre, è anche il solo modo per pensare non solo a chi in parrocchia già ci va,  ma anche a tutti coloro che ci piacerebbe ci venissero, perché appunto li vediamo gravitare intorno a noi o che, comunque, sappiamo o immaginiamo che gravitino  perché pensano a noi come a una possibilità. Nel gergo teologhese questo viene definito missionarietà ecclesiale, ma noi non abbiamo bisogno di usare quella terminologia perché si presta ad equivoci, per come in passato è stata praticata la missionarietà, anche, per la verità, in modi efferati. Diciamo invece così: sinodalità  significa in primo luogo amicizia, farsi amici e vivere da amici. Ad alcuni può sembrare poco. Ma non leggiamo forse nel Vangelo:

 Il mio comandamento è questo: amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. Voi siete miei amici se fate quel che io vi comando.  Io non vi chiamo più schiavi, perché lo schiavo non sa che cosa fa il suo padrone. Vi ho chiamati amici, perché vi ho fatto sapere tutto quel che ho udito dal Padre mio. Non siete voi che avete scelto me, ma io ho scelto voi, e vi ho destinati a portare molto frutto, un frutto duraturo. Allora il Padre vi darà tutto quel che chiederete nel nome mio.  Questo io vi comando: amatevi gli uni gli altri.

[Dal Vangelo secondo Giovanni, dal capitolo 15, versetti da 12 a 17 – Gv 15, 12-17  - versione in italiano TILC – Traduzione interconfessionale in lingua corrente]

 Ατη στν ντολ μ να γαπτε λλήλους καθς γάπησα μς· μείζονα ταύτης γάπην οδες χει, να τις τν ψυχν ατο θ πρ τν φίλων ατομες φίλοι μού στε ἐὰν ποιτε ⸀ἃ γ ντέλλομαι μνοκέτι λέγω μς δούλους, τι δολος οκ οδεν τί ποιε ατο κύριος· μς δ ερηκα φίλους, τι πάντα κουσα παρ το πατρός μου γνώρισα μνοχ μες με ξελέξασθε, λλ γ ξελεξάμην μς, κα θηκα μς να μες πάγητε κα καρπν φέρητε κα καρπς μν μέν, να τι ν ατήσητε τν πατέρα ν τ νόματί μου δ μντατα ντέλλομαι μν να γαπτε λλήλους

Dal Vangelo secondo Giovanni, dal capitolo 15, versetti da 12 a 17 – Gv 15, 12-17  - testo in greco dagli antichi manoscritti proposto in Bibbiaedu.it]


 L’amicizia, dunque la pace fra  noi,  è addirittura il comandamento fondamentale del vangelo riguardo alla vita sociale. Ma è anche un’esperienza profondamente umana e alla portata di tutti, colti e incolti, sapienti e non. E poiché alla portata di tutti, è anche doverosa per tutti: è infatti l’obbedienza a un comandamento, secondo quanto si ritiene in religione.  

 Ogni società è caratterizzata da una forza d’attrazione, che è appunto l’amicizia. E’ anche capace di violenza, in quanto è una forza della natura e la natura è violenta. L’amicizia trasfigura la natura. Probabilmente l’amicizia è riscontrabile anche, in qualche forma, nei viventi non umani con un apparato neurologico più evoluto, ma negli umani assume un aspetto particolare, caratteristico, che  è poi quello che ci permette di immaginare di organizzare la sopravvivenza degli ormai otto miliardi di  persone in cui consiste l’umanità, che o è pacifica o non è. E’ densa di aspetti culturali e si è fatta tanto distante dalla natura da cui emergiamo e di cui continuiamo ad essere fatti da assumere  i connotati del soprannaturale. Certo, poi, ci costruiamo sopra mitologie appropriate e talvolta sembrano proprio esse l’essenziale, ma non è così. Nei momenti di transizione culturale, nell’eclissi delle mitologie del passato e nella genesi di nuove, è necessario capire ciò che è essenziale nell’amicizia tra gli umani.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli.