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Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

Dall’anno associativo 2020/2021 il gruppo di AC di San Clemente Papa si riunisce abitualmente il secondo, il terzo e il quarto sabato del mese alle 17 e anima la Messa domenicale delle 9. Durante la pandemia da Covid 19 ci siamo riuniti in videoconferenza Google Meet. Anche dopo che la situazione sanitaria sarà tornata alla normalità, organizzeremo riunioni dedicate a temi specifici e aperte ai non soci con questa modalità.

Per partecipare alle riunioni del gruppo on line con Google Meet, inviare, dopo la convocazione della riunione di cui verrà data notizia sul blog, una email a mario.ardigo@acsanclemente.net comunicando come ci si chiama, la email con cui si vuole partecipare, il nome e la città della propria parrocchia e i temi di interesse. Via email vi saranno confermati la data e l’ora della riunione e vi verrà inviato il codice di accesso. Dopo ogni riunione, i dati delle persone non iscritte verranno cancellati e dovranno essere inviati nuovamente per partecipare alla riunione successiva.

La riunione Meet sarà attivata cinque minuti prima dell’orario fissato per il suo inizio.

Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

NOTA IMPORTANTE / IMPORTANT NOTE

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Il sito della parrocchia:

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lunedì 11 marzo 2024

Consegnarsi al mito - 3 - conclusione

Consegnarsi al mito – 3 – conclusione

  L’antropologia è la scienza che studia come vivono gli esseri umani, in particolare nei loro rapporti sociali, perché gli umani sono viventi che creano società tra loro.

  Da qualche giorno sto leggendo di Enrico Comba, Antropologia delle religioni. Una introduzione, Laterza 2008, anche in e-book e Kindle (io l’ho in quest’ultimo formato). Vi ho trovato una interessante informazione: sono pochi gli studi antropologici sui cristiani.

  Non parlo dell’antropologia teologica, che è una branca della teologia e studia le concezioni sull’essere umano che stanno dietro le dottrine cristiane, ma parlo proprio dello studio su come tra persone cristiane si  vive la fede (le teologie, invece, si interrogano sul come e sul perché si debba viverla in un certo modo).

  Tendiamo a fare antropologia sugli altri per misurare la differenza tra noi e loro.

   Le religioni possono essere vissute e pensate  in molti modi. Sulla base della mia esperienza di fede, e ormai sono arrivato ad un’età in cui ne comincio a tirare le somme, la loro verità sta proprio nell’antropologia, perché fino ad oggi ci sono state indispensabili in quell’attività caratteristica della nostra specie che consiste nel creare e mantenere  vive società molto vaste ed evolute tra individui consapevoli di esistere, come anche   di aver avuto un’origine biologica  e di essere destinati ad una fine biologica.

  Si è detto “penso, dunque sono”, ma, a ben vedere, le cose non vanno così: la realtà è che “siamo, dunque pensiamo”, pensiamo per quello che siamo. Insomma, la fisiologia della nostra mente è inseparabile dal pensiero da essa espresso, come le neuroscienze ci avvertono. Il nostro, insegnano, è un pensiero emotivo. Chi è interessato può leggere in merito un testo divulgativo che ho trovato molto interessante, di Daniel Kahneman, Pensieri lenti e veloci, Mondadori 2020, anch’esso disponibile il e-book e Kindle (io l’ho letto in questo formato).

  Le emozioni provengono dalla nostra fisiologia. Essa è rimasta fondamentalmente la stessa, nella nostra specie, da 200.000 anni ed è illusione pensare di affrancarcene.

  I miti, fondamentali nelle narrazioni religiose, fanno appello alle nostre emozioni e questo spiega come le religioni demitizzate non aggregano, vale a dire non funzionano.

  Quindi possiamo serenamente consegnarci ai miti religiosi, purché si acquisisca la capacità di individuarli come tali.

  Il soprannaturale religioso, vale a dire ciò che riteniamo il fondamento e il senso della nostra esistenza personale e sociale può essere evocato solo nel mito. È cosa diversa il paranormale, vale a dire il complesso delle nostre sensazioni sul soprannaturale, che percepiamo con la nostra mente e dipendono sostanzialmente da quest’ultima. Le neuroscienze ci avvertono anche di questo: la realtà come ci appare intorno a noi è una creazione della nostra mente. Questo non significa che non sia una delle realtà.

  Così i miti religiosi, e naturalmente le religioni, manifestano la realtà di come siamo, parlano dunque di noi, e penso convenga giudicarle in base a questo, non illudendosi che possano cogliere altre realtà, come invece in passato, e in passati neanche tanto lontani, si ritenne, e per questo, ad esempio, il nostro Galileo Galilei ebbe guai cercando di spiegare una nuova cosmologia basata sull’osservazione della natura.

  Non tutte le religioni, sotto quel profilo, sono dunque equivalenti, perché non lo sono, e non lo furono, le società umane di cui parlano e parlavano. E, va anche detto, noi non vivemmo e viviamo un solo cristianesimo nel praticare la nostra fede, ma molti cristianesimi, alcuni dei quali purtroppo furono caratterizzati da forme assai efferate di violenza stragista.

  Questo sotto il profilo, per così dire, antropologico.

  Ma sotto quello religioso, e anche per quanto riguarda quello teologico, che considera le cose all’interno della religione, è diverso, molto diverso.

   Ciò che una religione può dirci su di noi, nessun altro può. La religione è alimento dell’anima, altra realtà della quale siamo ben consapevoli. La fede religiosa ci guida e ci fortifica ed è il fondamento di ciò che si spera, e la speranza ci guida poi all’agape universale, la benevolenza e solidarietà cristiane senza limiti che vorrebbero far spazio, vicino, ad ogni altra persona. E questa può essere considerata come una realtà molto importante nei cristianesimi, per i quali il fondamento santo è agàpe. Considerando le cose dal punto di vista di un cristianesimo, non ci sarà dato altro segno, e questo è vangelo, se ho ben compreso.

  Poi, certo, ci sono dottrine teologie, ma bisogna avere ben chiaro che si tratta di narrazioni, quindi di cultura, che non esauriscono il fondamento, che può essere colto solo nell’esperienza mistica, in cui di quelle narrazioni si deve fare a meno e nella quale cessa ogni divisione tra mente corpo percepiamo  vivendola la nostra più autentica realtà personale.

Mario Ardigó – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

   

 

giovedì 7 marzo 2024

Consegnarsi al mito -2-

                                            Consegnarsi al mito - 2 -

 

   Ogni mito è legato alle società che lo condividono, non necessariamente a quella da cui originò.

   L'estensione della mitologia a società diverse da quella originaria è particolarmente evidente nella storia dei cristianesimi, che recepirono teogonia e cosmogonia dalle tradizioni dell'antico giudaismo. Quest'ultimo ne può essere considerato come il progenitore, che è tale anche per gli ebraismi contemporanei. La condivisione di un certo patrimonio culturale non comporta però che le genti che esprimono cristianesimi ed ebraismi attuali costituiscano ancora, per questo,  una qualche unità sociale: in particolare le rispettive mitologie sul "popolo" sono incomponibili, quella dei cristianesimi carica com'è di un caratteristico messianismo divinizzato costruito dogmaticamente nel Quarto secolo.  Questo non esclude che, prescindendo dalla mitologia, possano essere condivisi certi valori umani. Di fatto solo con il Concilio Vaticano 2º la Chiesa cattolica abbandonò il precedente orientamento conflittuale.

  Poiché i miti sono legati a certe società, essi creano problemi nelle ere in cui società diverse prendono ad intersecarsi e, poi, a ibridarsi componendo le rispettive culture, scambiandosene elementi. E noi si è attualmente proprio in una situazione di questo tipo. I cristianesimi delle origini si vennero organizzando ibridando elementi del giudaismo con quelli dell’ellenismo: via via ne integrarono altri di altre culture. Da qui la loro capacità di espansione, per la verità sorretta anche dall’estrema violenza espressa dagli europei nelle guerre scatenate nel mondo intero per imporre la loro egemonia, fase storica che raggiunse il culmine tra la seconda metà dell’Ottocento e la Prima guerra mondiale (1914-1918).

  L'esperienza ha dimostrato che le società umane non possono fare a meno dei miti e nemmeno delle religioni. Essi sono strumenti indispensabili per orientarsi, superando i limiti cognitivi che dipendono dalla fisiologia che sorregge i nostri processi mentali.

  I miti, e di conseguenza le religioni che li contengono, sono carichi di elementi emotivi, e l'emotività caratterizza fortemente la fisiologia dei nostri processi mentali. In un certo senso non pensiamo solo con la "testa", ma, veramente, con tutto il corpo, dalla quale la nostra emotività scaturisce.

 Questa struttura della nostra mente ci limita: possiamo interagire solo in gruppi di individui molto piccolo, grosso modo di  una trentina di persone o poco più. Proprio le dimensioni dei gruppi dei nostri progenitori ancestrali e anche quello al cui interno vivono ancora i primati non umani.

  Si ritiene che sia stata la "rivoluzione cognitiva" manifestatasi cifra 70.000 anni fa per l'homo sapiens, quando la nostra mente ci rese capaci della cultura, e quindi anche di parlare di cose che non vedevamo ma solo pensavamo, a consentire alle società umane di integrare molta più gente, fino agli otto miliardi di oggi. E appunto a quell'epoca che verosimilmente si divenne anche capaci del pensiero religioso, e quindi di pensare a teogonie e cosmogonie. Insomma, in qualche modo gli dei iniziarono ad apparirci tali proprio allora. La religione divenne un potente fattore di costruzione di grandi società. Da essa prese a distinguersi il diritto. Religione e diritto sono tuttora gli elementi fondamentali delle dottrine organizzative delle entità politiche.

   Si pensa che inizialmente gli dei siano stati identificati con le potenze della natura, indifferenti verso l'umanità, poi che ne siano stati pensati altri, intermediari tra quelli e gli umani, attivi in società, fino a manifestare le nostre stesse emozioni. Di questo ci parla l’antropologia delle religioni. Io mi sono informato su un testo considerato datato dagli specialisti, ma che ha due pregi: vuole comprendere tutto ed è disponibile in e-book, del romeno Mìrcea Eliàde (si pronuncia mìrcia eliàde, 1906-1986), Trattato di storia delle religioni, pubblicato tra il 1949 e il 1964, disponibile in traduzione italiana pubblicato da Bollati  Boringhieri, appunto anche in e-book e Kindle.

  Tempo fa ho sentito per radio una riflessione interessante: è stato un bene che le lingue fin dall’antichità sia state molte  e non una sola, ha detto la persona intervistata (ho ascoltato la trasmissione in macchina e mi è sfuggito chi fosse). Così infatti hanno potuto seguire l’evoluzione delle società umane, in modo da  non dover affrontare il problema di organizzare una  società troppo grande per le capacità dei tempi più antichi. In realtà, mi sembra più convincente dire che la formazione delle lingue  è stata una produzione sociale e che quindi la costituzione delle aree linguistiche ha accompagnato l’integrazione sociale e la costruzione delle società, anche nelle loro migrazioni. Insomma, ogni società si è creata la sua lingua. L’intensità delle interazioni linguistiche è stata fondamentale. Ai tempi nostri essa è ancora in corso, ma fatica ad affermarsi una lingua globale, salvo che in una ristretta classe di quelli che il sociologo polacco, trasferitosi nel 1971 in Inghilterra dove insegnò a lungo e dove  morì, Zygmunt Bauman (1925-2017) definì cittadini globali. Infatti la grande maggioranza delle persone rimane confinata nell’area culturale originaria o in quella in cui si è trasferita definitivamente. Per lo stesso motivo fatica ad affermarsi una religione globale. Le dinamiche sociali delle lingue e delle religioni mi appaiono simili.

  Anche i cristianesimi si sono andati differenziando per aree culturali e questo nonostante che lo strutturarsi giuridico delle Chiese tendesse a ridurre la differenziazione. In realtà essa è ancora molto marcata, tra le Chiese e anche a loro interno, come, anche solo frequentando una parrocchia come la nostra, ci si può avvedere.

  Dalla seconda metà dell’Ottocento si è costruito, a partire dalle Chiese protestanti, il movimento ecumenico, fino alla Costituzione, nel 1948, ad Amsterdam (Paesi Bassi) del Consiglio ecumenico delle Chiese, alla quale la nostra Chiesa partecipa del 1965 (anno in cui si concluse il Concilio Vaticano 2°) come osservatrice:

 

In quanto fenomeno storico dotato di una sua peculiare fisionomia, l'ecumenismo è sorto all'interno del variegato mondo protestante nel corso della seconda metà dell'Ottocento. Negli anni venti del Novecento si è poi avuto un allargamento all'ortodossia, che però soltanto nel secondo dopoguerra è diventata una componente veramente significativa del CEC; quanto alla Chiesa cattolico-romana, fino al Concilio Vaticano II (1962-1965) essa ha mantenuto nei confronti dell'ecumenismo una posizione di rigida chiusura.Se è vero che, dal punto di vista teologico, i tentativi di promuovere una riunificazione delle Chiese hanno una lunga e complessa preistoria che si può far risalire almeno alla Riforma (v. Rouse e Neill, 1967, una raccolta fondamentale di studi promossa dal CEC in occasione della sua costituzione), è altresì vero, da un punto di vista storico-sociale, che soltanto nel corso dell'Ottocento si sono venute costituendo le condizioni generali per un'organizzazione internazionale del protestantesimo, la quale a sua volta è poi diventata, nel corso del Novecento, il motore propulsivo di un ecumenismo esteso a tutte le Chiese cristiane. In quest'ottica, storicamente più corretta, il problema delle tensioni alla riunificazione della cristianità dispersa, che attraversa tutta la storia del cristianesimo europeo moderno, assume le forme istituzionali della riorganizzazione di un mondo protestante che corre ormai il rischio della dissoluzione.

[dalla voce Ecumenismo  dell’Enciclopedia delle scienze sociali Treccani on line https://www.treccani.it/enciclopedia/ecumenismo_(Enciclopedia-delle-scienze-sociali)/ )

 

  Il movimento ecumenico non mira attualmente alla creazione di un’unica Chiesa cristiana, intesa come organizzazione ecclesiastica,  sopprimendo tutte quelle storiche e quelle altre che successivamente si sono andate organizzando. Cerca invece di promuovere l’integrazione pacifica delle varie teologie e di promuovere la collaborazione nell’evangelizzazione. Tra le Chiese protestanti italiane questo lavoro mi sembra aver prodotto buoni risultati. Ne sono stati raggiunti anche con la collaborazione della Chiesa cattolica. Ad esempio, con la Dichiarazione congiunta sulla dottrina della Giustificazione, sottoscritta  nel 1999 a Augsburg\Augusta (Germania – Baviera) da luterani e cattolici, si è superato uno dei temi storicamente più controversi tra le rispettive Chiesa: negli anni a seguire diverse altre Chiese protestanti hanno aderito. Ma gli sviluppi sono lentissimi e, soprattutto, molto difficoltosi, perché si procede essenzialmente lasciando fare ai teologi, i cui discorsi sono fortemente legati alle rispettive mitologie religiose. Problemi ancora maggiori si hanno, sul fronte teologico, nelle relazioni con le religioni non cristiane.

  Questo anche se, in Europa e altrove, l’integrazione sociale tra culture diverse, realizzata su larga scala in particolare a seguito degli imponenti fenomeni migratori dall’Asia, dall’Africa e dall’America latina, è andata molto più avanti non avvalendosi più delle mitologie religiose, in fondo incomponibili, ma di quelle democratiche.

  L’integrazione sociale precede sempre di un passo quella linguistica, religiosa e, in senso più ampio, culturale. Lingua, religione, diritto e culture ci appaiono come strumenti per intensificare quell’integrazione e per prevenire conflitti. E lo sono, naturalmente, anche i miti. Modificare questi ultimi presenta però degli aspetti problematici, per l’emotività che vi è collegata. Bisogna tener presente anche che la fascinazione dei  miti è tanto più marcata quanto più essi appaiono antichi e questo può essere considerato uno sviluppo dell’autorevolezza degli ancestrali culti degli antenati.

  Ormai anche i cristianesimi appaiono religioni antiche, benché, quando si formarono, a partire da una prima fase tra la metà del Primo secolo e la metà del secolo successivo, essi furono in realtà nuove religioni, costruite per distacco culturale, in un drammatico processo,  dal giudaismo delle origini.

  Se il processo di evoluzione culturale dei miti che creano problemi all’integrazione è troppo veloce, la religione in tal modo riformata perde capacità di fascinazione.

 Tentativi di costruire una nuova integrazione dei miti religiosi cristiani con le culture moderne sono stati incessanti nei cristianesimi degli ultimi due secoli, a partire dal pensiero del filosofo illuminista tedesco Immanuel Kant (1724-1804) al teologo protestante tedesco Rudolf Karl Bultmann (1884-1976).

 

Procedimento critico-ermeneutico, applicato soprattutto a testi religiosi, teso a eliminare da una figura, da un racconto ecc. gli elementi considerati irrazionali o leggendari, per farne emergere la realtà storica o il significato razionale. Il termine (ted. Entmythologisierung) è stato adoperato da R. Bultmann per indicare il metodo di interpretazione critica del Nuovo Testamento, tesa a cogliere il significato esistenziale, in rapporto all’uomo d’oggi, del messaggio evangelico, una volta liberato dalle forme di espressione mitica che l’avvolgono.

[voce Demitizzazione in Enciclopedia Treccani on line https://www.treccani.it/enciclopedia/demitizzazione/ )

 

  Tuttavia l’esperienza ha dimostra che le religioni demitizzate  perdono presa popolare e fascino: segno che i miti ci sono ancora essenziali. Non ne possiamo fare a meno. Senza di essi le religioni decadono, sia quelle basate su soprannaturali divinizzati, sia quelle basate su elementi immanenti, come in fondo è la religiosità insita nelle dottrine democratiche. Fanno la fine della neo-religione dell’Essere supremo che i rivoluzionari francesi di fine Settecento si proposero di sostituire ai cristianesimi storici.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli



mercoledì 6 marzo 2024

Consegnarsi al mito - 1 -

Consegnarsi al mito -1-

 

  Qui non trovate i discorsi di spiritualità che potete leggere in genere sui siti su temi religiosi. Né trattazioni specialistiche, nemmeno nella materia sulla quale ne so un po’ di più: esse non sono alla portata se non di cerchie limitate e per capirle bisogna esservi stati introdotti mediante una formazione propedeutica. L’attenzione è invece centrata su come portare i valori evangelici nella società che condividiamo, quindi su un particolare tipo di azione sociale.

  Do per il momento per scontato che si sappia con sufficiente chiarezza che cosa si intende parlando di “vangelo” e di “valore evangelico”.

    Viviamo vangelo e valori evangelici in una Chiesa cristiana, e in particolare in una di quelle che vengono definite “storiche” perché c’erano già, con una propria organizzazione e con proprie culture, nel Settecento, quando in Europa e nelle parti del mondo della colonizzazione europea le religioni cominciarono ad essere messe in discussione. Al centro di queste critiche, oltre che la deplorazione per l’efferata violenza della quale i cristianesimi erano stati concausa, vi era la squalificazione dei miti dei quali le loro narrazioni erano infarcite, così come anche le loro teologie e i loro riti.

  Definiamo “mito” una narrazione semplificata, socialmente condivisa e posta alla base della costruzione sociale, sul senso degli eventi in cui una certa società è coinvolta per le persone che ne fanno parte. Fin dalle epoche più antiche che hanno prodotto documenti (tracce della vita vissuta, opere d’arte, scritti) che si è riusciti a decifrare, ci è chiaro che le società umane si sono organizzate intorno a miti, vale a dire che la costruzione sociale dei miti è stata sempre costante in tutte le società umane dell’era storica, che convenzionalmente si fa iniziare 5.000 anni fa, a quando risalgono i primi documenti scritti che conosciamo. Non tutti i miti  consistono in narrazioni su soprannaturali divinizzati. Quelli religiosi in genere sì. Ma abbiamo praticato anche religioni non basate su quegli elementi. I miti costruiti sui capi e i regimi politici spesso sono evoluti in vere e proprie religioni, con proprie dogmatiche di propri riti. Il culto della salma imbalsamata del capo bolscevico Lenin, ancora praticato nella Russia contemporanea, nella quale pure è stata abbandonata l’ideologia da lui insegnata, mi pare avere carattere religioso. 

  Definiamo “religiosa” una narrazione che contrasta con come appare andare il mondo, che non accetta quindi il mondo come appare andare, e in cui si vuole vivere in un modo diverso da quella logica. Il filosofo Aldo Capitini definiva “religioso” il suo atteggiamento che non accettava la crudele logica della natura secondo la quale il pesce grosso mangia il pesce piccolo.

  Nella società in cui viviamo, che segue le culture dell’Europa occidentale, le religioni storiche, basate su soprannaturali divinizzati,  hanno perso presa, ma la mitopoiesi rimane incessante, religiosa e non, e,  a ben vedere, si possono anche cogliere indizi dell’incipiente formazione di neo-religioni, che si aggiungono a quelle costruite dall’Ottocento in poi.

 I miti delle religioni storiche basate su soprannaturali divinizzati hanno cominciato a costituire un problema serio dal Settecento, quando, affermatasi la cultura scientifica accreditata dai sempre più rilevanti successi della tecnologia, in particolare di quella industriale,  si parla di quell’era come quella della “rivoluzione industriale”, ci si cominciò a manifestare indifferenti verso spiegazioni del mondo basate su dogmatiche con pesanti riflessi politici costruite fondamentalmente  nel Medioevo a prescindere da osservazioni sistematiche della natura. Contrasti su questi temi erano cominciati dal Cinquecento, ma furono i Settecenteschi “illuministi” europei a trattarne sistematicamente in filosofia allo scopo di produrre mutamenti politici, che effettivamente vi furono alla fine di quel secolo, con il costituirsi nelle colonie inglesi nel nord  America degli Stati Uniti d’America e con il rovesciamento della monarchia assoluta in Francia e la costituzione di una repubblica. Va ricordato che nella Francia rivoluzionaria fu tentata la costruzione di una neoreligione dell’Être Suprême, dell’ “Essere Supremo”, che però ebbe scarso seguito per la scarsa capacità di fascinazione dei suoi miti. L’antichità di una religione e dei suoi miti ne aumenta il fascino: questo è il motivo per cui diverse neoreligioni si presentano come un ritorno all’antico, per correggere degenerazioni di culti che le hanno precedute.

  Nel cattolicesimo attuale la religione insegnata e praticata è piena di elementi mitici, ma è stata accettato che scienze e tecnologie abbiano una loro autonomia nel campo loro proprio e che, in esso, i miti non debbano imporsi. Questa dottrina è stata definita con autorevolezza durante il Concilio Vaticano 2º (1962-1965), ma anche prima era praticata. Insomma, per far volare un aeroplano e per progettare un farmaco bisogna far riferimento alle rispettive scienze e tecnologie, anche se durante il volo e nella malattia si prega.

  Nella nostra religione si è avuta una ridefinizione dei suoi  miti di riferimento, e questo è del tutto naturale perché miti e religioni sono costruzioni sociali, e ogni società, nell’evolvere, li cambia, e, se non ci riesce, li sostituisce, come i cristianesimi fecero, in un processo durato circa tre secoli all’inizio della nostra era.

Mario Ardigó – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

 

 

venerdì 1 marzo 2024

Allargare gli orizzonti

        Allargare gli orizzonti 

  Osservo diversi modi di essere persone religiose e, in genere, mi sembrano interessanti. Io stesso, nel corso della mia vita, ho espresso diverse, e anche molto differenti, religiosità. C'è anche chi pratica rinchiudendosi in immaginari a sfondo teologico\mitologico, dai quali di quando in quando emerge o non. La spiritualità dei santuari e delle personalità miracolanti è fatta sostanzialmente di questo. La si vive, essenzialmente, in massa, o altrimenti non funziona, ma quando si è nell'ambiente sociale giusto funziona. È quello che emerge dai racconti su certi pellegrinaggi.
  C'è chi si sente a suo agio in piccole comunità al seguito di un maestro, riattualizzando in questo il contesto evangelico. Comunque, in certe fasi della vita di una persona religiosa, questa religiosità emerge, specialmente nel tempo della formazione personale. Può essere molto arricchente: dipende dalle qualità del maestro. 
  Io e mia moglie, ad esempio, siamo rimasti molto legati all'antico nostro assistente ecclesiastico del gruppo degli universitari cattolici della Fuci che frequentammo da giovani, un fine teologo e anche una persona umanamente coinvolgente, un vero pastore.
  C'è chi,in certe fasi della vita o per sempre, si dedica molto alla preghiera, che comunque costituisce un elemento fondamentale della spiritualità delle persone cristiane, o si dedica a forme di volontariato sociale o religioso, che è comunque anche una forma di preghiera, come sa bene chi vi ci si dedica.
  Io accetto e mi compiaccio di tutto questo universo religioso, salvo che per quelle forme di religiosità che sorreggono violenza e discriminazioni, che storicamente sono state ampiamente praticate nelle cristianità e ancora, sia pure in misura più limitata, lo sono.
  Fin da ragazzo, però, mi affascina il pensiero e l'azione sociale. Da anziano mi sono piuttosto distaccato dalle forme di religiosità legate all'immaginario e non sopporto più tanto la teologia più formale, vale a dire quella dogmatica. Non confido nel conforto legato all'emotività, che mi pare superficiale. Non mi attendo che dal Cielo si intervenga in mio soccorso secondo i miei auspici, perché l'esperienza mi ha insegnato che ciò non accade e le cose, in particolare quelle della natura, vanno come devono andare, salvo che qui da noi si possa fare qualcosa. Posso apparire come un materialista, e non nego di esserlo, pur rimanendo una persona religiosa. Del resto, fin dal Medioevo, si segnarono i limiti tra le cose della Terra e le cose del Cielo, e tutte le volte che le si confusero sorsero gravi problemi.
  Non ho difficoltà ad ammettere che quasi tutte le critiche alla religione colgono nel segno, in tutto o in parte. Nondimeno rimango religioso.
  Penso che l'aspetto più importante della religione risieda nel suo contributo nell'organizzare le società e nell'orientare, in quel quadro, il modo di comportarsi e di relazionarsi della gente. Per questi obiettivi non basta il diritto. Diritto e religione sono stati e sono ancora le basi della costruzione sociale, e quando mi riferisco alla "religione" non intendo solo quelle basate su cosmogonie e teogonie soprannaturali. 
  Qual è, allora, lo specifico della religione?
  L'altro giorno ho accennato alla distinzione tra cultura e natura, un tema sul quale filosofi e teologi hanno scritto moltissimo. Rientrano nella cultura le narrazioni che sono socialmente condivise su come va il mondo e i costumi sociali, compresi i riti. Natura è tutto il resto. È natura, ad esempio, il nostro corpo, con la sua fisiologia, che ci rende capaci di sviluppare una mente capace di narrare e di capire le narrazioni, e quindi di cultura. È poi tutto il resto di ciò che c'è, dall'infinitamenfe piccolo agli universi più lontani. La natura resiste alla cultura. Resistere alla natura è religione. 
  Ma la natura non ci parla del Creatore? Lo sostenne, ad esempio, il nostro grande Galileo Galilei, che nondimeno ebbe i suoi guai, nel campo della cultura religiosa, in merito alla natura. Nel suo caso, la cultura religiosa delle autorità ecclesiastiche del suo tempo resistette alla natura come il Galilei sosteneva di averla osservata con lo scrupolo del saggiatore di metalli preziosi.
  Religiosità prive di teogonie furono quelle praticate nei regimi europei comunisti di stampo stalinista,  che promossero veri e propri "culti" della personalità dei loro gerarchi, come dimostrato dal "mausoleo" organizzato a Mosca intorno alla salma imbalsamata di uno dei padri della rivoluzione bolscevica, Lenin. Culto che, tra l'altro, resiste anche sotto il nuovo regime, e questo dimostra chiaramente la sua natura religiosa.
  Le cristianità considerarono molto precocemente di grande importanza religiosa gli orientamenti per l'azione sociale, anche se le questioni dibattute nei primi tre secoli furono piuttosto lontane dalle nostre esperienze. E questo nonostante che indubbiamente il Maestro non avesse agito come un organizzarore sociale. Non lo fece neppure nella sua Galilea, non istituì suoi delegati per governare localmente le comunità di simpatizzanti che indubbiamente cominciarono a sorgere nel corso della sua attività pubblica. Si ritiene che abbia dato all'apostolo Pietro un mandato di governo, ma certamente  senza dirgli dove lo dovesse esercitare, a Gerusalemme, In Galilea, ad Antiochia di Siria, o a Roma, dove la tradizione ci dice che si stabilì e morì martire, e, soprattutto, come. Roma era diventata da quasi un secolo fondamentale per la politica nella Palestina al tempo del Maestro e vi si era stabilita una numerosa comunità giudaica, nella quale ci furono poi anche dei cristiani provenienti dal giudaismo. Se si ritiene attendibile la tradizione di Pietro a Roma, e in genere la si ritiene tale, probabilmente  l'apostolo si trasferì a Roma seguendo quel flusso migratorio del giudaismo della sua epoca, mentre non vi sono elementi per sostenere che lo abbia fatto per ordine del Maestro.
  Il movimento sinodale che comincia ad essere documentato dall'inizio del Terzo secolo, come ricordato nel documento del 2018 sulla sinodalità nella vita della Chiesa della Commissione teologica internazionale, dimostra l'importanza che si iniziò a dare all'azione sociale. Non ci si contentò di vivere la fede nelle varie comunità locali che si venivano formando e nelle quali emerse l'episcopato monarchico come fattore di unità, ma ci si cercava per raggiungere intese sulle questioni controverse, a volte riuscendoci e a volte no, e allora erano guai. Quei sant'uomini infatti ci appaiono piuttosto bellicosi, prodighi com'erano di anatemi, vale a dire di scomuniche, quando non ci si intendeva. Questa esperienza "politica" fu talmente importante, anche perché sorretta da un sofisticato pensiero teologico, da guidare addirittura, nel Quarto secolo, una grandiosa riforma dell'impero dei romani, che fece scuola fino alla metà dell'Ottocento.
  In Italia l'azione sociale ridivenne importante anche per le masse popolari (per le gerarchie ecclesiastiche non cessò mai di esserlo) da metà Ottocento, nel radicarsi di processi democratici, e portò i cattolici italiani ad egemonizzare il governo nazionale nell'era post-fascista, dal 1946 al 1994. In questa era, da metà Ottocento ai giorni nostri, si situa la "dottrina sociale" contemporanea, che vuole insegnare la costruzione sociale, espressa nei documenti del Magistero, in particolare di quello papale e poi del Concilio Vaticano 2^, sulle cose sociali, ma anche del più vasto pensiero sociale ispirato dalla fede. 
  Tuttavia da circa vent'anni, per vari motivi, questa forma di religiosità centrata sull'azione sociale che, a partire dal magistero del Papa Pio 11^ (regnante dal 1922 al 1939), si fa rientrare nel campo più vasto della carità come carità sociale, è diventata meno praticata e, in particolare, non sembra rientrare più nella formazione religiosa di base, nonostante che l'Azione Cattolica continui a lavorare in questo campo. Mi pare addirittura che talvolta non sia nemmeno più riconosciuta come espressione di religiosità, a vantaggio di forme di spiritualità più intimistiche o per piccoli gruppi. 
  La religiosità nelle cose sociali richiede di allargare i propri orizzonti, laddove invece ai tempi nostri si immagina che la spiritualità religiosa conduca a chiudersi in "ovili" sicuri. Così, però, l'influenza sulla società dei nostri valori religiosi va riducendosi rapidamente. E, conseguentemente, la società sta diventando anche un ambiente meno ospitale per le nostre comunità. Se ne lamentano i nostri vescovi, ma sembra che sia molto difficile risalire la china.
  Una iniziativa molto interessante in questo campo è l'organizzazione a Trieste, dal 3 al 7 luglio, di una Settimana sociale dedicata a questi temi, intitolata "Al cuore della democrazia". Il MEIC Lazio sta organizzando incontri in videoconferenza Zoom, con la partecipazione di autorevoli esperti in varie discipline, per dare un proprio,contributo.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli

  
  

giovedì 29 febbraio 2024

Religiosità adulta

Religiosità adulta

 

  All’inizio del nuovo Millennio, ricordo che ci fu una polemica sui “cristiani adulti” nella quale l’aggettivo “adulto” veniva inteso come “indisciplinato”. Ai pastori piace la gente che si lascia guidare, fa quello che le si dice e sta dove le viene detto di stare, un po’ come si vorrebbe che si comportassero i bimbi. Sono insofferenti verso chi obietta. Si mostrano poco convinti dell’insegnamento del Concilio Vaticano 2º, dove si convenne che essi non sono buoni a tutto e che anche l’altra gente di fede può, e anzi deve, dare una mano: in questo consiste appunto la sinodalità come oggi la si immagina. E questo senza bisogno di dover fantasticare su un senso per la fede per il quale una persona per virtù soprannaturale saprebbe intuire in chi e in che cosa fidarsi nelle questioni religiose. Dicono che ci sia, ma allora com’è, ci si può chiedere, che storicamente si è ritenuta indispensabile tanta e così efferata violenza per tenere in riga la gente?

  La fede bambina stufa presto, anche se non sempre è così.

  In particolare le persone giovani sanno, in questo caso veramente per intuito,  che il loro compito è crescere, non rimanere piccole. Siamo organismi biologici, e questo è scritto nella nostra fisiologia.

  Da persone adulte in genere si capiscono meglio il mondo e la vita in esso, e non corrispondono alle storie che ci raccontavano da bambini. C’è chi non lo sopporta e vorrebbe regredire: addirittura questo talvolta è presentato come virtuoso, il credere come bambini.

  Nella mia esperienza il  credere c’entra poco, anche se una persona può cercare di sforzarsi di farlo.

  Il fatto è che noi non vediamo e non ci si può fare nulla. Certo, in natura ci sono molte cose che non vediamo, ma si tratta di tutt’altro. 

  La biologia ci ha insegnato molte cose su come siamo fatti e su come funziona la nostra mente. Quest’ultima è legata al nostro corpo molto più intensamente di come un tempo si era portati ad ammettere. Così, sforzandosi di credere, si può cadere in abbagli  clamorosi. Una persona adulta si sforza di mantenere, come si dice, i piedi a terra.

  La religiosità è una manifestazione della nostra mente che ci è necessaria per organizzare la vita sociale, al pari del diritto. È anche espressione della nostra emotività, che è un potente  strumento di comprensione e di orientamento nella decisione, i teologi ne parlano come di discernimento. È tanto vero che i regimi ateistici promuovono una propria religiosità alternativa, non teistica. Non ho mai conosciuto una persona che ne potesse fare a meno, a parte alcune persone la cui mente vacillava o si era spenta del tutto.

  Ma certamente la mia religiosità è profondamente diversa da quella di quand’ero bambino.  Ci metto molta meno fantasia. Ma così mi è molto più appagante. Del resto i maestri di spiritualità, ad esempio Ignazio di Lojola, proprio a questo ci guidano, a fare a meno dell’immaginazione.

  Se non si cresce, poi non si riesce a partecipare alla sinodalità,  che è fatta per persone adulte.

  L’età aumenta senza che ci si possa fare nulla, la nostra fisiologia muta e con essa anche la nostra mente. C’è chi si sforza di illudersi, ma, per quanto ci si provi, è difficile che il tentativo soddisfi.  Così, se ci si vuole mantenere religiosi bisogna crescere.

Mario Ardigó – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

 

mercoledì 28 febbraio 2024

Natura, cultura, tradizione

 

Natura, cultura, tradizione

 

   Incontro persone mie coetanee le quali da tempo hanno perso dimestichezza con la religione e la cercano come le venne spiegata quand’erano molto piccole. Per molta gente il catechismo dell’infanzia rimane l’unico della sua vita.

 

Quando ero bambino

parlavo da bambino,

come un bambino

pensavo e ragionavo.

Da quando sono un uomo

ho smesso di agire così.

Ora la nostra visione è confusa,

come in un antico specchio;[…]

[dalla Prima Lettera ai Corinzi di Paolo, capitolo 13, versetti 11 e 12 – 1Cor, 13, 1-12 – versione TILC – Traduzione interconfessionale in lingua corrente]

 

  Da persone adulte dobbiamo dismettere le illusioni di                       quando si è bambini. Questo però  non significa abbandonare la fede.

  La fede è un modo di orientarsi nel mondo intorno a noi e naturalmente da grandi lo si deve fare in un modo diverso da quando si era piccoli.

  Nelle cose della fede c’è una grande cultura, che però i più sembrano ignorare. Così la loro religiosità è superficiale.

  La persona religiosa non è per statuto un’illusa. Tutt’altro. Però certamente lo si può rimanere, e  non averne neanche la colpa. Questo accade talvolta ai più anziani: si tratta di generazioni ancora poco scolarizzate da giovani. Le persone più giovani, invece, hanno avuto una migliore scolarizzazione, che però nella prima formazione religiosa viene in genere ignorata.

 Da persona adulte bisogna saper distinguere tra natura  e cultura.

  La cultura  è un fatto sociale ed è costituita fondamentalmente di narrazioni e di costumi. Religione e diritto sono fatti di questo: sono fenomeni affini, molto vicini. Diciamo che, al dunque hanno la stessa origine, funzione e consistenza.

 La natura  è tutto ciò che in noi e intorno a noi non è cultura. Anche la nostra fisiologia è natura. In particolare sono natura  le nostre emozioni, che sono molto importanti nella comprensione del mondo in cui viviamo, perché la nostra mente comprende emotivamente.

 Siamo divenuti capaci di cultura  per l’evoluzione della fisiologia della nostra mente.

 Anche la tradizione  è cultura. Ci orientiamo tenendo conto di quello che s’è sempre fatto più  o meno nello stesso modo fin da epoche remote.

  Comprendiamo la natura cercando di rappresentarne le dinamiche in elementi culturali. In questo modo le attribuiamo un senso  che in sé non avrebbe. Dobbiamo esserne consapevoli.

 Le immagini religiose delle quali sono piene Scritture  e liturgie ci provengono da una lunga tradizione culturale. La loro verità  non sta però in questo essere state tramandate fin da epoche remote. E nemmeno nel rappresentare realisticamente fatti della natura. Bensì nella capacità di essere un elemento unitivo in un contesto sociale. Questo  l’aspetto veramente caratterizzante di una verità.

 La natura  resiste alla nostra tendenza sociale a costruire verità e anche di questo dobbiamo essere consapevoli. La natura e le sue dinamiche possono solo essere osservate per studiare come si presentano. Quanto più la cultura si basa su osservazioni sistematiche della natura, tanto più è affidabile  per comprenderla. Però le nostre società non si basano solo su questo, ma anche su religione e diritto, che in molti aspetti sono basati su elementi mitici. Il mito  è una narrazione culturale semplificata e carica di elementi emotivi che serve a rendere il senso  di certi eventi che ci riguardano.  Il mito funziona nella costruzione sociale anche se non si basa su osservazioni sistematiche della natura. Ad esempio, le narrazioni religiose sulla condizioni del primo uomo  e della prima donna  prima della Caduta e sul bel giardino in cui vivevano hanno natura mitica. 

 Anche le nostre società, compresa la nostra Chiesa, possono essere studiate come elementi naturali. Ci pensano antropologia e sociologia. Sotto questo aspetto, la situazione della nostra Unione Europea è profondamente diversa da tutto ciò ce c’è nel resto del mondo, e questo, in particolare nelle sue manifestazioni religiose.  

 Esercitarsi a distinguere natura, cultura e tradizione è molto importante per non avere una fede superficiale, da bambini.

Mario Ardigò – Azione cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

 

 

 

 

 

venerdì 23 febbraio 2024

Giurisfera

 

Giurisfera

 

 Nei giorni scorsi in parrocchia si è riorganizzato il Consiglio pastorale secondo il nuovo statuto di papa Francesco. Si è iniziato, mi è stato riferito, in un clima molto  positivo. Potrà essere l’occasione per riprendere progressivamente un tirocinio di azione sociale.

  I cattolici sono stati molto importanti nella politica italiana del secondo dopoguerra, vale a dire dal termine dalla Seconda guerra mondiale. Hanno improntato dei loro valori la nuova Repubblica.

  Nel MEIC – Movimento ecclesiale di impegno culturale del Lazio (un tempo si chiamava Movimento dei Laureati cattolici  ed era parte dell’Azione Cattolica) quest’anno rifletteremo su quella storia e proveremo a pensare come proseguirla, questo in vista della Settimana sociale sul tema “Al cuore della democrazia” che si terrà a Trieste dal 3 al 7 luglio.

  In genere mi pare che si sia persa dimestichezza con quest’impegno, che il papa Pio 11°, rivolgendosi nel 1927 agli universitari della Federazione universitaria cattolica italiana, definì «il campo della politica, che riguarda gli interessi di tutta la società, e che sotto questo riguardo è il campo della più vasta carità, della carità politica, a cui si potrebbe dire null'altro, all'infuori della religione, essere superiore»

 

I giovani talora si chiedono se, cattolici come sono, non debbano fare alcuna politica. Ed ecco che, dedicando il loro studio ai suddetti argomenti, vengono a porre in se stessi le basi della buona, della vera, della grande politica, quella che è diretta al bene sommo e al bene comune, quello della polis, della civitas, a quel pubblico bene, che è la suprema lex a cui devono esser rivolte le attività sociali. E così facendo essi comprenderanno e compieranno uno dei più grandi doveri cristiani, giacché quanto più vasto e importante è il campo nel quale si può lavorare, tanto più doveroso è il lavoro. E tale è il campo della politica, che riguarda gli interessi di tutta la società, e che sotto questo riguardo è il campo della più vasta carità, della carità politica, a cui si potrebbe dire null'altro, all'infuori della religione, essere superiore. È con questo intendimento che i cattolici e la Chiesa debbono considerare la politica; poiché la Chiesa e i suoi rappresentanti, in tutti i gradi di tal rappresentanza, non possono essere un partito politico, né fare la politica di un partito, il quale per natura sua attende a particolari interessi, o se pur mira al bene comune, sempre vi mira dietro il prisma di sue vedute particolari. [Papa Pio 11° - discorso del 18-12-27]

 

  La Repubblica democratica e poi l’Unione Europa ci ha inseriti in un contesto politico di giurisfera,  caratterizzato dalla sicurezza nel riconoscimento dei diritti fondamentali della persona in tutti i campi, sia in quello pubblico che in quello privato, compresi molti diritti sociali, che sono quelli per cui si è assistiti nelle difficoltà della vita, in particolare nella malattia e nella vecchiaia. Non si tratta solo di enunciazioni formali e programmatiche, ma pretese che possono essere fatte valere effettivamente attraverso i meccanismi giudiziari, e che per questo definiamo giustiziabili.

  Questa situazione ci ha illusi di poter fare tutto da noi, senza associarci per influire sulla società. Da qui poi una certa disaffezione a tutte le istituzioni partecipative del passato, compresa anche quella ecclesiale.

  La politica viene vissuta quindi con una certa superficialità, nella convinzione che, comunque vadano le cose, rimarremo protetti nella giurisfera. Le campagne elettorali si fanno quindi puntando all’emotività della gente, sia sulle sue paure che sulla sua avidità, promettendo protezione ed elargizioni. Spesso non si riesce a distinguerle dai sondaggi demoscopici e sono organizzate con gli stessi metodi delle campagne pubblicitarie.

  Questo è divenuto particolarmente sensibile dall’inizio degli anni ’90, all’inizio di  un’epoca in cui l’Europa è profondamente cambiata.

  E’ molto interessante, su questi temi,  studiare un documento molto importante della dottrina sociale, vale a dire l’enciclica Il Centenario – Centesimus annus promulgata dal papa Giovanni Paolo 2° nel 1991,  in occasione dei cent’anni dalla prima enciclica sociale dell’era contemporanea, la Delle novità – Rerum novarum del 1891. La trovate qui sul WEB:

https://www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/encyclicals/documents/hf_jp-ii_enc_01051991_centesimus-annus.html

  Il Papa all’epoca ci chiamò a un rinnovato impegno nella società per costruire una nuova Europa

 

28. Per alcuni Paesi di Europa inizia, in un certo senso, il vero dopoguerra. Il radicale riordinamento delle economie, fino a ieri collettivizzate, comporta problemi e sacrifici, i quali possono esser paragonati a quelli che i Paesi occidentali del Continente si imposero per la loro ricostruzione dopo il secondo conflitto mondiale. È giusto che nelle presenti difficoltà i Paesi ex-comunisti siano sostenuti dallo sforzo solidale delle altre Nazioni: ovviamente, essi devono essere i primi artefici del proprio sviluppo; ma deve esser data loro una ragionevole opportunità di realizzarlo, e ciò non può avvenire senza l'aiuto degli altri Paesi. Del resto, la presente condizione di difficoltà e di penuria è la conseguenza di un processo storico, di cui i Paesi ex-comunisti sono stati spesso oggetto, e non soggetto: essi, perciò, si trovano in tale situazione non per libera scelta o a causa di errori commessi, ma in conseguenza di tragici eventi storici imposti con la violenza, i quali hanno loro impedito di proseguire lungo la via dello sviluppo economico e civile.

L'aiuto degli altri Paesi soprattutto europei, che hanno avuto parte nella medesima storia e ne portano le responsabilità, corrisponde ad un debito di giustizia. Ma corrisponde anche all'interesse ed al bene generale dell'Europa, che non potrà vivere in pace, se i conflitti di diversa natura, che emergono come conseguenza del passato, saranno resi più acuti da una situazione di disordine economico, di spirituale insoddisfazione e disperazione.

Questa esigenza, però, non deve indurre a rallentare gli sforzi per il sostegno e l'aiuto ai Paesi del Terzo Mondo, che soffrono spesso di condizioni di insufficienza e di povertà assai più gravi.59 Sarà necessario uno sforzo straordinario per mobilitare le risorse, di cui il mondo nel suo insieme non è privo, verso fini di crescita economica e di sviluppo comune, ridefinendo le priorità e le scale di valori, in base alle quali si decidono le scelte economiche e politiche. Ingenti risorse possono essere rese disponbili col disarmo degli enormi apparati militari, costruiti per il conflitto tra Est e Ovest. Esse potranno risultare ancora più ingenti, se si riuscirà a stabilire affidabili procedure per la soluzione dei conflitti, alternative alla guerra, ed a diffondere, quindi, il principio del controllo e della riduzione degli armamenti anche nei Paesi del Terzo Mondo, adottando opportune misure contro il loro commercio.60 Ma soprattutto sarà necessario abbandonare la mentalità che considera i poveri — persone e popoli — come un fardello e come fastidiosi importuni, che pretendono di consumare quanto altri han prodotto. I poveri chiedono il diritto di partecipare al godimento dei beni materiali e di mettere a frutto la loro capacità di lavoro, creando così un mondo più giusto e per tutti più prospero. L'elevazione dei poveri è una grande occasione per la crescita morale, culturale ed anche economica dell'intera umanità.

29. Lo sviluppo, infine, non deve essere inteso in un modo esclusivamente economico, ma in senso integralmente umano. Non si tratta solo di elevare tutti i popoli al livello di cui godono oggi i Paesi più ricchi, ma di costruire nel lavoro solidale una vita più degna, di far crescere effettivamente la dignità e la creatività di ogni singola persona, la sua capacità di rispondere alla propria vocazione e, dunque, all'appello di Dio, in essa contenuto. Al culmine dello sviluppo sta l'esercizio del diritto-dovere di cercare Dio, di conoscerlo e di vivere secondo tale conoscenza. Nei regimi totalitari ed autoritari è stato portato all'estremo il principio del primato della forza sulla ragione. L'uomo è stato costretto a subire una concezione della realtà imposta con la forza, e non conseguita mediante lo sforzo della propria ragione e l'esercizio della propria libertà. Bisogna rovesciare quel principio e riconoscere integralmente i diritti della coscienza umana, legata solo alla verità sia naturale che rivelata. Nel riconoscimento di questi diritti consiste il fondamento primario di ogni ordinamento politico autenticamente libero.  È importante riaffermare tale principio per vari motivi:

a) perché le antiche forme di totalitarismo e di autoritarismo non sono ancora del tutto debellate, ed esiste anzi il rischio che riprendano vigore: ciò sollecita ad un rinnovato sforzo di collaborazione e di solidarietà tra tutti i Paesi;

b) perché nei Paesi sviluppati si fa a volte un'eccessiva propaganda dei valori puramente utilitaristici, con la sollecitazione sfrenata degli istinti e delle tendenze al godimento immediato, la quale rende difficile il riconoscimento ed il rispetto della gerarchia dei veri valori dell'umana esistenza;

c) perché in alcuni Paesi emergono nuove forme di fondamentalismo religioso che, velatamente o anche apertamente, negano ai cittadini di fedi diverse da quelle della maggioranza il pieno esercizio dei loro diritti civili o religiosi, impediscono loro di entrare nel dibattito culturale, restringono il diritto della Chiesa a predicare il Vangelo e il diritto degli uomini, che ascoltano tale predicazione, ad accoglierla ed a convertirsi a Cristo. Nessun autentico progresso è possibile senza il rispetto del naturale ed originario diritto di conoscere la verità e di vivere secondo essa. A questo diritto è legato, come suo esercizio ed approfondimento, il diritto di scoprire e di accogliere liberamente Gesù Cristo, che è il vero bene dell'uomo.

 

  In questo nuovo lavoro i cristiani dell’Europa occidentale sono sono stati protagonisti, portando a compimento un’unione politica continentale con lo scopo principale di realizzare un ordine pacifico e benefico tra popoli che si erano aspramente combattuti fin dall’antichità. Ad un certo punto, però le cose hanno iniziato a cambiare, fino ad arrivare ad oggi in cui essi, nonostante una perdurante capacità di interdizione politica, nel senso che sono in grado di bloccare l’approvazione di certe norme, sono diventati politicamente irrilevanti per tutto il resto. In altre parole: la società è progettata a prescindere da loro.

  In Italia il fenomeno è diventato più marcato verso la fine del primo decennio del nuovo Millennio e particolarmente acuto in occasione di una gravissima crisi, con risvolti anche politici, del Papato romano, che portò alla rinuncia al Papato da parte di Joseph Ratzinger, protagonista con il suo predecessore della stagione ecclesiale apertasi nel 1985, con il Sinodo che fece il punto sull’attuazione dei principi del Concilio Vaticano 2°, in occasione dei vent’anni dalla sua conclusione.

  L’idea che associarsi per l’azione sociale non serva più è stata smentita dall’esperienza.

  La situazione dei lavoratori dipendenti, indicati nella Delle novità  - Rerum novarum  come proletari, con termine tratto dal socialismo, si è progressivamente deteriorata nel campo dei diritti sociali. Il lavoro si è fatto più precario, i salari hanno perso potere d’acquisto, i giovani non riescono a trovare casa a prezzi compatibili con  i propri redditi, la sanità pubblica si è deteriorata a vantaggio di quella privata, accessibile solo a chi può pagare, e altri servizi pubblici hanno seguito le stesse dinamiche. Si è determinata una sempre più marcata concentrazione della ricchezza in poche mani, in mancanza di quella che un tempo veniva indicata come politica dei redditi. Ma non si tratta solo di questo: è scoppiata una nuova guerra europea in Ucraina, che vede  combattere Stati Uniti d’America e Unione Europea contro la Russa post-sovietica. Non c’entra più il marxismo. Nei due fronti regna l’economia capitalista. Si tratta puramente di politiche di potenza.  Le parti belligeranti confidano di poter tenere limitato il conflitto, mentre fino alla fine degli anni ’80 si pensava che una guerra europea che coinvolgesse l’esercito russo sarebbe sfociata in una catastrofe nucleare. Ma si vede bene, invece, che la possibilità di un’estensione del conflitto a tutto il continente è sempre più concreta, in particolare man mano che l’esercito ucraino perde posizioni, come era facilmente prevedibile data la sproporzione del numero dei combattenti.

  Ma che si può fare?

  Ogni persone è ormai confinata nel proprio micromondo e non ha idea di come incidere al di fuori di esso. Questa è una notevole differenza rispetto alla vita sociale e politica che caratterizzava l’Italia fino alla fine degli anni ’80.

  La giurisfera che circonda e protegge i cittadini europei sta svanendo, man mano che si fa strada l’ideologia bellica e che l’economia capitalista è sempre meno governata.

  Gli storici, riflettendo sulle cause della Prima guerra mondiale, che sconvolse l’Europa tra il 1914 e il 1918, e anche allora tante cose cambiò, capirono che la decisione della catastrofe fu presa da una decina di persone. In qualche modo quella situazione si sta riproponendo.

  La lunga pace europea alla quale noi italiani siamo stati abituati si basava anche sull’attivismo di massa, che esercitava una pressione sulla politica. Era ciò che si intese bene tra i cattolici all’inizio del Novecento, quando il Papato, di fronte alla grande riforma del suffragio universale maschile, svincolato quindi da livelli minimi di reddito e di istruzione, abbandonò lo sconsiderato interdetto alla gente che le vietava di partecipare alle elezioni politiche nazionali nel nuovo Regno d’Italia. Questo fu decisivo nella fondazione dell’Azione Cattolica, che anche oggi, pur ridimensionata a circa 250.000 aderenti,  rimane la maggiore scuola politica nazionale.

  Certo, i cattolici italiani sono profondamente divisi sui temi sociali e politici, e l’unità di una volta, imposta dal Papato, non è più recuperabile. Del resto essa era anche umiliante per la gente, la stragrande maggioranza, che non aveva scelto di legarsi a particolari vincoli d’obbedienza con la gerarchia ecclesiastica. Eppure ci sono valori ancora condivisi, sia pure con diverse accentuazioni. Essi possono avere un notevole impatto sociale. Ma perché ciò avvenga occorre riorganizzarsi in forme nuove, tutte da ripensare. E, per partire, occorre prendere coscienza delle cose della società, cercando di essere meno superficiali di fronte alla mera propaganda. Poi si deve cominciare a pensare non solo al proprio bene, ma anche a quello altrui, finanche a quello degli avversari. Un esercizio non facile, ma è proprio su di esso che si basa l’idea di un bene comune, che è stata sempre al centro della dottrina sociale.

 Ed è importante ricominciare a fare cultura  su questi temi,  perché le organizzazioni di massa, dove non sono più possibili le relazioni interpersonali forti che caratterizzano i piccoli gruppi, hanno bisogna proprio di cultura  per essere edificate. Però, paradossalmente, la cultura scaturisce sempre da relazioni forti in gruppi di prossimità, piccoli gruppi: è l’esperienza di sempre. Guardiamo all’esempio evangelico, che vide protagonista un piccolo gruppo di tredici persone, dodici più un Maestro.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli