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Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

Dall’anno associativo 2020/2021 il gruppo di AC di San Clemente Papa si riunisce abitualmente il secondo, il terzo e il quarto sabato del mese alle 17 e anima la Messa domenicale delle 9. Durante la pandemia da Covid 19 ci siamo riuniti in videoconferenza Google Meet. Anche dopo che la situazione sanitaria sarà tornata alla normalità, organizzeremo riunioni dedicate a temi specifici e aperte ai non soci con questa modalità.

Per partecipare alle riunioni del gruppo on line con Google Meet, inviare, dopo la convocazione della riunione di cui verrà data notizia sul blog, una email a mario.ardigo@acsanclemente.net comunicando come ci si chiama, la email con cui si vuole partecipare, il nome e la città della propria parrocchia e i temi di interesse. Via email vi saranno confermati la data e l’ora della riunione e vi verrà inviato il codice di accesso. Dopo ogni riunione, i dati delle persone non iscritte verranno cancellati e dovranno essere inviati nuovamente per partecipare alla riunione successiva.

La riunione Meet sarà attivata cinque minuti prima dell’orario fissato per il suo inizio.

Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

NOTA IMPORTANTE / IMPORTANT NOTE

SUL SITO www.bibbiaedu.it POSSONO ESSERE CONSULTATI LE TRADUZIONI IN ITALIANO DELLA BIBBIA CEI2008, CEI1974, INTERCONFESSIONALE IN LINGUA CORRENTE, E I TESTI BIBLICI IN GRECO ANTICO ED EBRAICO ANTICO. CON UNA FUNZIONALITA’ DEL SITO POSSONO ESSERE MESSI A CONFRONTO I VARI TESTI.

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Il sito della parrocchia:

https://www.parrocchiasanclementepaparoma.com/

domenica 29 maggio 2022

Compiti per le vacanze

 Compiti per le vacanze


 Ieri sera, con la Messa vespertina dedicata a Ciccio e la cena in pizzeria, abbia concluso il primo ciclo delle riunioni infrasettimanali in presenza di quest’anno. Riprenderemo ad ottobre.

  Non siamo veramente costretti, tuttavia, a sospendere tutte le attività, specialmente in un momento come quello che stiamo vivendo, nel quale la riforma sinodale richiede un impegno maggiore.

  Durante l’emergenza sanitaria da Covid 19 abbiamo imparato a familiarizzarci con le riunioni in videoconferenza, che sono il modo in cui possiamo continuare a vederci anche durante i mesi estivi, in cui di solito, non ci si incontra in parrocchia, salvo che per la messa delle nove. Nel MEIC Lazio sono diventate il modo ordinario per vedersi. Questo rende possibile una partecipazione più  ampia, perché chi lavora non ha il tempo di perdere come minimo tre ore la sera per andare alla Cappella universitaria della Sapienza, dove di solito tenevamo le riunioni. Abbiamo fatto un lavoro molto produttivo, che ora vorremmo condensare in una pubblicazione che stiamo preparando.

  Una parte dei soci non sono mai riusciti a collegarsi e ci siamo mantenuti in contatto con loro con la lettera mensile. Ieri sera c’erano.  

  Agli altri propongo un lavoro in videoconferenza Meet con sullo sfondo la sinodalità (che cos’è, come farla in pratica) ma articolato in incontri di quarantacinque minuti in due sessioni: il gruppo del Vangelo, suggerito anni fa da Cardinal Vicario Vallini quando venne in parrocchia, e un gruppo di lettura. 

  Tra noi molti non sono più giovanissimi e quindi hanno avuto una lunga frequentazione con la predicazione e anche una consuetudine personale con il Vangelo. Mettere insieme queste risorse è essenziale per costruire un modello di sinodalità che possa funzionare ed essere proposto anche alle altri persone della parrocchia. Abbiamo la fortuna che i testi biblici che di solito abbiamo tra le mani sono ricchi di note e di altre spiegazioni per riuscire a intendere meglio ciò che si legge.  Inoltre possiamo aiutarci con le meditazioni pubblicate su Avvenire (anche quello sul Web). Non ci è stato ancora assegnato un nuovo assistente ecclesiastico, ma sarà l’occasione per sperimentare una nostra presidenza di questi incontro, facendo tirocinio di sinodalità in materia specificamente religiosa. Ognuno di noi dovrebbe provarsi ad esercitarla. 

  La lettura condivisa di altre opere letterarie è un altro modo di fare gruppo, riflettendo insieme. Si sceglie un libro e  se ne legge a casa un capitolo alla settimana, alla riunione i primi quindici minuti sono dedicati alla lettura ad alta voce di alcuni brani di quel capitolo e poi, nel tempo rimanente ci si confronta su ciò che si è letto.  Il primo passo è decidere quale libro leggere insieme. Ognuno propone un titolo e illustra le ragioni per cui vorrebbe utilizzarlo nel lavoro condiviso. Poi si decide a maggioranza. Chi ha proposto il libro assume la presidenza del gruppo di lettura mentre si legge quel testo. 

 Prossimamente, e in particolare, nella Lettera ai soci  di giugno, vi proporrò qualcosa di più preciso.

 Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli


sabato 28 maggio 2022

Cristianesimi, sinodalità e agàpe

 Cristianesimi, sinodalità e agàpe

 

Ciò che definiamo cristianesimo  è legato a modi di vivere insieme, quindi a collettività, a gruppi. In questo senso, non vi è un cristianesimo, ma tanti cristianesimi quanti sono i modi di viverli. Anche la nostra parrocchia, nella sua storia che risale agli scorsi anni Cinquanta, ne ha vissuti di diversi, corrispondenti a stagioni  di socialità. Vi ha avuto importanza il clero, in particolare i parroci, ma non solo. Ogni generazione ha lasciato una sua traccia e le generazioni che hanno convissuto hanno esercitato influenze le une sulle altre. All’interno della parrocchia sono coesistiti e coesistono altri gruppi minori, alcuni dei quali sono parte di altri maggiori o facenti parte di confederazioni che esprimono comuni orientamenti. La coesistenza determina  sempre  reciproca influenza, anche se può anche produrre conflitti, quando le posizioni si radicalizzano. Il conflitto è sempre  anche un modo di stabilire relazioni e quindi se ne esce diversi e questo anche se ideologicamente si può pensare di stare combattendo per liberarsi di influenze altrui che si pensano cattive.

  Il comandamento supremo dell’agàpe, che traduciamo di solito con amore ma che significa un modo di convivenza solidale, sollecito e misericordioso non rientra nelle definizioni che distrattamente recitiamo la domenica a messa nel Credo. Questo perché  l’agàpe  non è da credere, ma da vivere.

 

— Maestro, qual è il più grande comandamento della Legge?

Gesù gli rispose:

— Ama il Signore, tuo Dio,

con tutto il tuo cuore,

con tutta la tua anima

e con tutta la tua mente.

Questo è il comandamento più grande e più importante.

Il secondo è ugualmente importante:

Ama il tuo prossimo

come te stesso.

Tutta la legge di Mosè e tutto l’insegnamento dei profeti dipendono da questi due comandamenti.

[dal Vangelo secondo Matteo, capitolo 22, versetti da 36 a 40 – Mt 22, 36-40 – versione in italiano TILC]

 

nel greco evangelico suona così:

 Διδάσκαλε, ποία ντολ μεγάλη ν τ νόμ δ φη ατ· γαπήσεις κύριον [agapèseis kùrion = fai agàpe con il Signore] τν θεόν σου ν λ τ καρδίᾳ [cardìa, cuore] σου κα ν λῃ ⸁τ ψυχ [psiché, vita interiore] σου κα ν λ τ διανοίᾳ [dianòia, ragione] σου· ατη στν ⸂ἡ μεγάλη κα πρώτη ντολή. Δευτέρα δ μοία ατ· γαπήσεις τν πλησίον [plesìon, il vicino] σου ς σεαυτόν [òs seautòn, come te stesso]ν ταύταις τας δυσν ντολας λος νόμος [nòmos, la legge di Mosè) κρέμαται κα ο προφται⸃[profètai, i profeti].


  La norma dell’agàpe è semplice: trattare le altre persone come vorremo essere trattati noi. Si suppone infatti che ciascuno voglia essere trattato bene, ma non è sempre detto, perché gli esseri umani sorprendono. Ma anzitutto c’è l’agàpe, vale a dire una forma di convivenza solidale, sollecita, misericordiosa, in cui si prevengono i bisogni altrui, così come il genitore con il figlio.

  Perché non si è sentito il bisogno di costruire un vero e proprio dogma sull’agàpe? I dogmi storicamente sono scaturiti da conflitti di potere e può pensarsi che l’agàpe, come tale, non ne abbia mai originati, perché quando c’è non c’è il conflitto. Tuttavia rimane il comandamento supremo.

  L’agàpe è al centro di ciò che chiamiamo sinodalità, che è appunto agàpe ecclesiale, vivere come Chiesa nel modo dell’agàpe.

  Bisogna aver studiato per capire veramente i dogmi, ma non per capire e vivere l’agàpe. Nel corso della nostra vita la pratichiamo istintivamente, ad esempio verso i figli, verso i genitori e talvolta verso altri parenti. E’ per questo che la metafora padre-figlio-figlia e madre-figlio-figlia è tanto importante nel dire la nostra fede.

  La parabola del Samaritano misericordioso fa eccezione ed è considerata una delle spiegazioni più avvincenti dell’agàpe cristiana, in particolare, come spiegano i predicatori, per spiegare come farci prossimi  alle altre persone. Al centro della parabola c’è il sofferente, un uomo che è stato lasciato malconcio dai rapinatori. Di solito abbiamo molte pretese verso le altre persone, ma da un uomo ridotto come quello là non c’è molto da aspettarsi. Il Samaritano pratica l’agàpe verso il sofferente e, in questo, gli si fa prossimo. La parabola esprime una conseguenza del comandamento dell’agàpe che non sempre è intesa: il dovere religioso di farsi prossimi alle altre persone. Fai agàpe con il tuo prossimo, era il comandamento, ma c’è anche quello di farsi prossimi, vale a dire di includere: significa incidere sulla società intorno in modo da tramutarla in un mondo di prossimi, di persone vicine, verso la quali quindi non si è indifferenti, con le quali fare agàpe. L’azione sociale dei cristiani è stata connotata anche in questo senso, non solo dalle tristi dinamiche di dominio che ha condiviso con tutti i poteri storici delle varie epoche. Se ne rende l’idea quando si parla di fare dell’umanità un’unica famiglia.

  Ci si può avvicinare a un cristianesimo per tanti motivi, e anche per conseguire un certo benessere, pur se solo spirituale. I cristianesimi storicamente hanno inglobato forme di spiritualità, molte delle quali mutuate dagli antichi Orienti, che effettivamente possono costruire quello che intendiamo come pace dell’anima, ad esempio mediante tecniche di meditazione, e i consigli che talvolta si danno per la preghiera consistono proprio in questo. Ma non è questo il centro dei cristianesimi, Anzi, proprio perché il centro è l’agàpe il cristiano è in genere una persona inquieta, che non si appaga di ciò che vive perché vede sempre una forma più estesa o intensa di agàpe possibile e doverosa. E’ sempre impegnato a farsi prossimo di sempre più gente, ed è per questo che è spinto a varcare i confini.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

venerdì 27 maggio 2022

Allargare gli spazi delle decisioni condivise

 Allargare gli spazi delle decisioni condivise

  La prima fase dei processi sinodali della nostra Chiesa sta sostanzialmente fallendo. Non  c'è stato complessivamente nessun ascolto e tutto, dove qualcosa si è fatto, si è risolto in mere formalità. Incredibilmente la CEI nelle sue linee guida aveva scoraggiato il dibattito e così, in genere, ogni persona ha tirato fuori quello che le veniva in mente sul momento, questo almeno dove non si è tentato di organizzare una qualche preparazione. Chi dovrà poi mandare in Diocesi le due paginette di sintesi si inventerà qualcosa, ma il popolo c'entrerá poco, saranno solo idee sue. Incontrarsi per parlare serve ad allargare le prospettive inevitabilmente limitate delle singole persone. In definitiva si è parlato poco e non ci si è ascoltati, perché si era stati diffidati dal farlo, raccomandando di evitare il dibattito; così ognuno è rimasto confinato nei propri limiti, comprese le persone che hanno l'ingrato compito di mandare in Diocesi i resoconti.
  Riscontro un grosso deficit formativo, in particolare tra le persone laiche. Dalle domande che pongono, mi pare che, in genere, sappiano poco di religione. Quando vengono chiamate a leggere in Chiesa i brani biblici delle letture della messa, a volte mi pare, da come leggono, che sia quella la prima volta in cui li incontrano, e a volte si tratta di persone anziane. Parlo delle cose fondamentali, non delle astruserie della nostra complicata, efferata e spesso inutile teologia.
  Il clero decide tutto e ha il potere di includere ed escludere a suo capriccio, senza dover rendere conto a nessuno. Spesso le persone laiche, associandosi, ne imitano i poco virtuosi costumi, senza però averne almeno la preparazione,che per il clero cattolico è lunga e completa. 
  Le persone laiche vengono tiranneggiate con il sacro, che sembra voler insegnare loro solo a "obbedir tacendo", secondo il motto dei Carabinieri. Ma la Chiesa non è l'Arma. La gente poi si stufa e si allontana, e, tutto sommato, fa bene. Il tempo della nostra vita non è lungo e bisogna impiegarlo bene. La democrazia in cui viviamo ci consente di emanciparci dalle condizioni umilianti.
   Educarci alla sinodalitá significa anche cercare di imparare qualcosa di più. L'ignoranza emargina. Ma bisogna mantenere consapevolezza che ciò che si sa non è mai abbastanza e che bisogna dialogare con gli altri per superare le nostre inevitabili insufficienze. Nessuno deve mai arrogarsi la pretesa di fare da sé solo, e mi riferisco anche ai gruppi. Il principio fondamentale della sinodalitá ecclesiale è proprio questo. 
  Chi si è occupato da esperto di sinodalitá ha osservato che mancano procedure adatte. Una procedura è quando si definiscono preventivamente diritti e doveri, finalità e modi di operare. Così le persone laiche rimangono nella loro umiliante condizione di emarginazione e di ignoranza, e le due cose si implicano reciprocamente. 
  Chi fa il prete oggi è sommerso dalle cose da fare e vede la sinodalitá come una cosa in più di cui occuparsi, e per di più nemmeno essenziale, tanto che finora se ne è fatto a meno. Dovrebbe invece considerarla come una via per uscire dalla schiavitù delle troppe cose da fare, mediante la collaborazione di molte altre persone. La collaborazione, però, va organizzata, perché possa produrre frutto: è innanzi tutto necessario fare tirocinio di un costume di relazioni interpersonali per il quale una realtà di base come la parrocchia può essere il luogo giusto. In altre parole, bisogna imparare a confrontarsi positivamente con le altre persone, sulla base delle cose  concrete da fare, senza presuntuosamente pretendere di cambiarle sulla base di proprie "verità". 
  Nella nostra parrocchia si è molto indietro su questo. Da anni non funziona più il Consiglio pastorale parrocchiale, in violazione del decreto del Cardinal Vicario che invece lo prevede come obbligatorio a Roma. La cosiddetta "equipe" pastorale non può sostituirlo perché non è un organismo di partecipazione. E a noi serve più partecipazione, altrimenti la sinodalitá non si fa.
  L'attuale processo sinodale è praticamente sorretto solo dal Papa, che visibilmente manifesta sempre di più gli acciacchi dell'età. Dunque coloro che non apprezzano la sua linea probabilmente pensano di fare la cosiddetta "melina" in attesa del prossimo. Ma la sinodalitá ci serve per sopravvivere, quale che sia il Papa del momento. Indietro non si tornerà. La storia ce lo insegna, per questo è tanto importante conoscerla realisticamente. Essa dovrebbe rientrare nella formazione catechistica insieme alla cosiddetta storia sacra. Ma difettano i formatori.  E per il ministero laicale del catechista ancora siamo più o meno al punto di partenza. Potrebbe essere un valido aiuto nella formazione delle persone laiche, ma clero e religiosi  mi pare che ne temano la concorrenza. In merito sento talvolta dei discorsi un po' sciocchi.
  Sul cammino della sinodalitá noi dell'Azione Cattolica siamo avvantaggiati perché la pratichiamo già correntemente. La sfida è di farla conoscere alla gente intorno per coinvolgervi più persone possibile. Una campagna che potremmo decidere di organizzare è quella per ottenere la ripresa del funzionamento del Consiglio Pastorale parrocchiale, che innanzi tutto va revisionato stabilendo chi ha il diritto di parteciparvi. Temo che a questo non si provveda da tanto tempo e, da quello che mi era stato raccontato, quando il Consiglio si riuniva la partecipazione era un po' fluida nel senso che ci andava chi voleva, e questo non va bene. Nessuno deve legittimarsi da sè, altrimenti è quello che viene definito autocrate. Di questi tempi diamo dell'autocrate, in senso negativo, al Presidente russo, ma lui, che formalmente è stato eletto, lo è sicuramente meno dei nostri gerarchi, compresi quelli che purtroppo ne hanno assunto le sembianze nei movimenti laicali.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli

mercoledì 25 maggio 2022

Bilancio di una stagione di attività

     Bilancio di una stagione di attività 


   Sabato prossimo, con la Messa alle 19 e la successiva cena al ristorante "Rigatoni" si chiude la prima stagione di incontri settimanali in parrocchia. Riprenderanno ad ottobre.
  Siamo stati, credo, l'unico gruppo della parrocchia a incontrarsi in presenza ma con la possibilità di partecipare anche in videoconferenza Meet. Nelle ultime due riunioni non è stato possibile per il cambiamento dell'apparato di proiezione in sala rossa, fatto senza avvertirci e senza spiegarci come funziona. Si è sentita la mancanza di una sala regia, che coordini l'uso delle risorse della parrocchia. Di questi tempi gli strumenti detti di multimedia sono importanti e non è accettabile sentirsi rispondere che se ne sono installati di nuovi, ma che non si sa come funzionano. La sinodalitá comincia anche da questo, ma nelle parrocchie, per ciò che sento e sperimento, siamo ancora ai suoi albori, a voler essere ottimisti.
   Abbiamo avuto nuovi arrivi, ma non giovani e nemmeno della fascia d'età 30-50, che in società comprende le persone che hanno la forza di sorreggere le innovazioni: non è difficile pensarle, molto di più lo è attuarle. Le società umane procedono per fasce d'età per ragioni principalmente biologiche e ci si stufa presto a stare con chi è molto più giovane o molto più anziano. È una "legge di natura", come si suol dire, e lo è realmente, a differenza di molte altre cose che passano per esserlo e non lo sono. La carenza di persone di quella fascia d'età è la ragione per cui si prevede che, se la tendenza non verrà corretta, la nostra Chiesa finirà per estinguersi in una ventina d'anni. 
  C'è chi propone come rimedio la riproposizione del sacro e i giovani preti, purtroppo, sembrano essersi formati in questa prospettiva. Ma pochi, in Occidente, danno più credito al sacro, che, del resto, non è l'essenziale della nostra fede. Le religioni precristiane erano basate sul sacro, ma furono surclassate dai cristianesimi, in parte con la violenza politica, ma molto più perché il sacro non soddisfaceva più e la gente ne ebbe abbastanza di essere tiranneggiata da esso. Il contrasto tra sacro e vangelo rimase però endemico, perché la politica ambiva la,sacralizzazione come strumento di dominio.
   Ma, senza l'espediente  in fondo poco onesto del sacro, come coinvolgere di nuovo tutte le fasce della popolazione? La soluzione che ci viene proposta è quella della sinodalitá, che Papa Francesco ci ha indicato con molta determinazione e che  ora ha affidato in Italia all’arcivescovo  di Bologna Zuppi, che, bisogna dire,  è romano, ha studiato al liceo di mia moglie, il Virgilio, ed è stato ordinato prete a Palestrina, dal vescovo Spallanzani, che mia madre conobbe bene e stimò molto. Alla sinodalitá è legato un modo diverso di fare comunità, con più gente che partecipa realmente, decidendo e impegnandosi, e meno che si fa solo trascinare. Un impegno che potremmo prendere in questo momento di bilanci a metà del 2022 è quello di farci più trascinatori che trascinati.
   So che molte persone, pensionate, non hanno gradito lo spostamento delle riunioni al sabato, mentre prima ci si riuniva di martedì alle cinque del pomeriggio. Quest'ultimo era, appunto, un orario da persone pensionate. Oggi si lavora fino al tardo pomeriggio e si sta a casa il sabato (tranne chi come me ha turni anche nei festivi e il sabato). Se si vuole trascinare gente più giovane da noi, per ricostituire una continuità generazionale interrotta dalle scelte pastorali fatte negli anni '90 in parrocchia, occorre riunirci quando le persone più giovani sono libere. Soprattutto  quando sono proprio loro ad animare in concreto il gruppo.
  Abbiamo cercato di mantenere il legame con le persone che per malattia o per acciacchi dell'età non potevano venire alle riunioni con una lettera mensile. Però si è constatata una certa disaffezione alla messa domenicale delle nove e alla riunione del sabato anche da persone che non avevano impedimenti assoluti. Non partecipare significa anche non contribuire con il proprio impegno, farsi semplici trascinati che, ad un certo punto, si piantano e non si riesce più a trascinarli.
  Quest'anno abbiamo seguito il percorso formativo di Azione cattolica "Questione di sguardi" e, unici in parrocchia, abbiamo proseguito la formazione alla sinodalitá, ben oltre gli incontri organizzati in parrocchia, un po' mi pare per dovere di ufficio, poco preparati e,credo, senza alcun seguito. Sono state "ascoltate" una quarantina di persone su circa mille "praticanti". Al termine di quella fase di "ascolto" in parrocchia si dovrebbero mandare in Diocesi due paginette di sintesi. Chi le scriverà e che cosa vi scriverà? In parrocchia non se ne parla. Il Consiglio pastorale parrocchiale non funziona, e dovrebbe essere il primo promotore della sinodalitá parrocchiale, che infatti non c'è e nemmeno si vuole organizzare, mi sembra. Chi ha partecipato ai nostri incontri ne sa un po' di più su molte cose,e in particolare sulla sinodalitá, e questo potrebbe tornare utile anche ai più giovani.
  La gente che ci manca tanto era numerosa, ad esempio, nel pellegrinaggio parrocchiale a Bolsena che s'è fatto domenica scorsa, a conclusione dell'anno catechistico. Ma l'Azione cattolica non è stata proposta in quell'ambito come possibile prosecuzione dell'iter formativo dei catechizzati e dei loro genitori. Eppure l'associazione, con la sua casa editrice, le sue riviste, i suoi progetti formativi,, centrati su cittadinanza e sinodalitá, ha tutto quello che serve per creare le condizioni di un nuovo protagonismo dei cristiani nella società nazionale, secondo gli auspici dei nostri vescovi. Ma i preti, ormai, la conoscono poco e, specialmente i più giovani, sono stati formati a diffidare dei laici, che invece sono realmente protagonisti in Azione Cattolica. In un passato per nostra buona sorte ormai lontano ai giovani venne proposto un altro iter formativo, piuttosto integralista, e il quartiere lo rifiutò. Questo non significa che il rimedio sia non proporne più alcuno, quanto piuttosto proporne di vari, in modo che chi è portato all'integralismo e, in genere, al "passatismo" possa avere ciò che cerca (si può essere cristiani anche così, purché non si pretenda di rompere l'anima, letteralmente, agli altri), ma ci sia anche la possibilità, ad esempio, di formarsi alla sinodalitá.
  Potendo disporre della piattaforma di videoconferenza Meet, in realtà le nostre attività possono proseguire con quella modalità. So che diverse persone pensano di essere troppo anziane per questo, ma a torto. Nel MEIC Lazio da un anno ci riuniamo in videoconferenza, ci sono diverse persone anziane, le attività sono state molto produttive, in particolare sui temi della sinodalitá, e anche i più anziani non hanno avuto difficoltà a collegarsi, bastando imparare a toccare una figurina sullo schermo. Ci riescono bambini di cinque anni, perché non dovrebbe riuscirci una persona di settanta che nella sua vita ha trattato cose molto più complesse? Certo, a volte si tratta di imparare cose nuove e questo, lo sto sperimentando personalmente, diventa più difficile con gli anni. Ma siamo pur sempre seguaci di una fede in cui ci è promesso che tutte le cose saranno fatte nuove.
  Prossimamente proporrò a chi fosse interessato di costituire un gruppo di lettura in videoconferenza Meet, come "compito per le vacanze".
Mario Ardigo - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli
  

mercoledì 18 maggio 2022

Il conflitto intorno al popolo

                        Il conflitto intorno al popolo                                      

  I popoli non esistono in natura, dove invece ci sono le popolazioni. In genere si parla di popolazioni riferendosi agli animali, per gli altri viventi si parla di vegetazioni. Ma solo per gli umani si parla di popoli. Questo perché l'idea di popolo ha a che fare con quella specifica caratteristica delle popolazioni umane di esprimere un governo delle loro societá. È quindi di natura politica; la politica è, appunto, il governo di una societá umana. La presenza di un governo caratterizza le società umane dalle altre popolazioni animali. Alle origini la politica ebbe un senso religioso e questo spiega perché nelle società umane più antiche la politica fu espressa in modo da costituire il primo nucleo delle teologie e i re furono anche sacerdoti, vale a dire mediatori tra il loro popolo e la divinità di riferimento. Nell'antica Roma il collegio sacerdotale più importante era quello dei Pontefici. Il suo capo era chiamato Pontefice massimo, carica che gli imperatori romani poi si arrogarono, come anche in seguito i Papi romani. Questo può far intuire che nelle cose della politica, in particolare di quella a sfondo teologico, non vi sono brusche fratture, ma il passato rimane in qualche modo inglobato nel presente. Sotto certi aspetti, certe forme della nostra adorazione religiosa riflettono costumi precristiani: da un punto di vista politico gli antichi dei non sono del tutto trapassati. Naturalmente non hanno più i nomi di un tempo.
   Ogni forma di governo costruisce la sua idea di popolo. Quella cristiana di Popolo di Dio ebbe storicamente molte configurazioni e iniziò a formarsi nel Primo secolo nel duro confronto con il giudaismo delle origini, che ne aveva sviluppata una propria, molto caratteristica, legata al mito della "promessa di una terra per un popolo", e nello sviluppo di autoritá proto-episcopali che cercavano di mantenersi in contatto per mantenere principi di governo condivisi. Questa fu la culla della sinodalitá, che, a differenza della collegialità, possiamo considerare caratteristica dell'esperienza cristiana, anche se storicamente declinata in modi molto diversi. Di questo processo troviamo tracce evidenti nella Lettera ai Romani di Paolo di Tarso, molto vicina alle origini, essendo datata negli anni Cinquanta del Primo secolo, ad un ventennio circa dalla morte del Maestro.
  I processi  sinodali che l'anno scorso sono stati avviati da papa Francesco possono essere rappresentati anche come la ricerca di un popolo da parte di un'autoritá emergente dalla storia contemporanea. Ancora l'immagine che si dà di questo popolo che si vorrebbe radunare è però incerta e confusa. Si attribuisce a questo popolo la capacità di intuire la giusta direzione, e ciò del tutto contro l'evidenza, ma anche contro la prassi dei secoli passati, nei quali il popolo fu considerato solo un gruppo da guidare e da correggere, anche estirpandone le parti devianti. Si vuole così legittimarlo ad esprimersi. Togliendo di mezzo, in questo campo specifico in cui conta tanto la pratica, la fissa per la verità, sarebbe tutto più semplice e meno angoscioso. Anche ciò che di solito si intende per verità ha un senso quasi esclusivamente politico, come ciò che deve essere ritenuto per essere considerati dentro una collettività che si è costituita anche come corpo politico. L'altro uso della verità è nel campo della logica, in cui, in un certo contesto di significati, vengono convenzionalmente poste le condizioni del vero e del falso. La costruzione di un popolo inevitabilmente si riflette sulla forma dell'autorità che dirige il processo e sul contenuto delle sue veritá. Quando in questo, ad esempio nei processi sinodali in corso oggi, si tira di mezzo la verità si vuole significare che si sta cercando un nuovo equilibrio tra popolazione che si sta facendo popolo e la struttura di governo di riferimento.
  Il precedente assetto prevedeva che il popolo avesse solo il diritto di essere guidato. La categoria dell'ascolto da parte del potere costituito risponde a questa impostazione. Nei processi sinodali oggi in corso si è cercato di inscenare ritualmente un ascolto che ha coinvolto pochissimi. Bisogna ora andar oltre, costruendo una partecipazione di popolo alla fase decisionale. Ma non abbiamo ancora un popolo capace di questo: va costruito pazientemente a partire da ciò che c'è, in un processo progressivo. Vi sono molte resistenze, mi pare, anche veri e propri conflitti. Non ogni centro di potere costituito tollera un popolo realmente decidente. Nel sinodo della Chiesa tedesca, iniziato anni fa, si è molto avanti su questa via. La teologia soccorre poco, perché fa riferimento ai vecchi assetti politici, e non mi pronuncio su quelli religiosi perché non sono, nè vorrei mai essere, un teologo. Nella teologia cattolica corrente fino a qualche decennio fa l'idea di un popolo decidente  semplicemente non c'era. Veniva ritenuta incompatibile con l'idea di verità che si aveva. Va anche detto che storicamente le atrocità verso i dissenzienti vennero giustificate con l'esigenza di proteggere il popolo, visto come popolazione in condizione di minorità intellettuale e morale, schiavo delle proprie passioni.
  Ora bisognerebbe approfondire, ma non dal punto di vista teologico, le dinamiche di popolo, cominciando con il fare qualche distinzione al suo interno. Non è fatto solo di persone, ma di gruppi connotati nel modo più vario e portatori di interessi diversissimi.
Mario Ardigò- Azione Cattolica in San Clemente papa- Roma, Monte Sacro, Valli
  

martedì 17 maggio 2022

Rovelli teologici

 

Rovelli teologici

 

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[da Riccardo Battocchio – Livio Tonello (a cura di), Sinodalità. Dimensione della Chiesa, pratiche nella Chiesa, - Edizioni Messaggero Padova, 2020], Carismi e sinodalità di Severino Dianich

 

  Il carattere sinodale delle procedure decisionali della Chiesa e della sua  missione, come forma di rispetto dei diversi carismi dei fedeli e delle loro responsabilità, è tutt’altro che un’aspirazione del popolo di Dio del nostro tempo. Se oggi si tratti di una questione molto sentita, è perché la grande tradizione sinodale dei secoli passati, gradualmente, lungo l’età moderna, è venuta meno. Anche a causa della travagliata storia delle frequenti eresie, di volta in volta insorgenti, si è verificato un processo di crescente protagonismo dei pastori e di un progressivo estendersi dell’esercizio della loro autorità. Il fenomeno è stato così dilagante da produrre quella forma del linguaggio, ancora oggi molto diffuso per cui, quando si dice: «La Chiesa ha detto…la Chiesa ha fatto…» si intende il papa o i vescovi hanno detto, hanno fatto.

  La tradizione antica e medievale era molto meno esclusiva e ha sempre riconosciuto valido il principio Quod omne tangit debet ab omnibus approbari («Ciò che riguarda tutti deve essere approvato da tutti»), che appare, lungo la storia, a tutti i livelli della vita ecclesiale e, in maniera particolarmente significativa, in ordine alla questione della nomina dei vescovi. Papa Celestino 1° nel 428 disponeva che «mai si dia un vescovo ai fedeli che non lo vogliono», così come Leone magno nel 445 stabiliva che «chi deve presiedere a tutti sia eletto da tutti». Sono affermazioni che vengono accolte nel Decretum Gratiani [raccolta di leggi ecclesiastico del 12° secolo] e nella canonistica medievale. Innocenzo 3°, convocando il concilio Lateranense 4° (1215), per la  «recuperatio Terre Sanctae» [per promuovere una guerra contro i “mori” che in Palestina avevano occupato la cosiddetta “Terra Santa”] e la «reformatio universalis Ecclesiae», ne giustificava la convocazione adducendo che «questi temi riguardano lo stato comune di tutti i fedeli». Anche i sovrani venivano invitati a parteciparvi o inviare «idonei rappresentanti», poiché in concilio si sarebbe discusso di molti temi che attengono all’ordine delle cose temporali. Il principio sarà anche codificato nelle Regulae iuris  di Bonifacio 8° [vissuto tra il 13° e il 14° secolo]. Oltre a questo, non bisognerebbe dimenticare che la stessa elaborazione delle procedure per le decisioni collegiali nella società civile ha trovato proprio nella prassi sinodale della Chiesa antica uno dei luoghi più determinanti per il  loro sviluppo successivo.

 Il Codice [di diritto canonico, il diritto della nostra Chiesa], per fedeltà al dettato conciliare di AG 2 [ Decreto sull’attività missionaria della Chiesa Alle genti – Ad gentes, del Concilio Vaticano 2°] e di LG 9 [Costituzione dogmatica sulla Chiesa Luce per le genti – Lumen gentium, del Concilio Vaticano 2°], attribuisce a ogni fedele, come diritto e dovere, il compito di evangelizzare: canone 211 «Tutti i fedeli hanno il dovere e il diritto di impegnarsi perché l’annuncio divino della salvezza si diffonda sempre più fra gli uomini di ogni tempo e di ogni luogo» (vedi anche il canone 781). Essi sono caricati quindi della responsabilità più decisiva di tutto l’operare della Chiesa: la comunicazione della fede a coloro che non la conoscono o non la condividono. Quando però si tratta delle decisione da prendere nella comunità, sia per la sua vita interna che per la sua missione, l’ordinamento attuale non dà ai fedeli alcun ruolo specifico che ne determini gli esiti, salvo il riconoscimento della libertà di dare il proprio giudizio e il diritto di essere ascoltati. Escluso, inf atti, il caso dei vescovi nel concilio ecumenico, quello dei membri degli istituti di vita consacrata nelle loro comunità e quello dei membri delle associazioni private di fedeli per la loro vita associativa, i quali prendono decisioni con procedure sinodali, non si dà alcuna istanza nella quale il fedele, sia un fedele laico che un diacono o un prete, debba assumersi la  responsabilità di pervenire a una sua decisione, con la quale determinare sinodalmente, al di là della facile espressione di un suo parere, una qualche decisione  che si prende nella vita della Chiesa. Non manca naturalmente nelle comunità una circolazione di giudizi e pareri sui problemi esistenti, la quale influenza le decisioni dei pastori. Recentemente la pratica della consultazione  ha assunto una sua particolare rilevanza in occasione dei sinodi dei vescovi nella Chiesa universale. Con tutto ciò,  a mio giudizio, l’attuale ordinamento canonico non risponde in maniera adeguata all’esigenza della partecipazione responsabile dei fedeli con il loro carismi, alle decisioni che vengono prese per la vita della Chiesa.

 

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   Una delle decisioni della mia vita di cui non mi pento è di non aver mai voluto studiare teologia. Apprezzo, però, quando un teologo raffinato come Severino Dianich scrive chiaro sul gravissimo problema della mancanza di sinodalità ecclesiale senza tirare in ballo le immaginifiche elucubrazioni della sua disciplina: a parte i gerarchi e i loro delegati nessuna persona, nella nostra Chiesa, può partecipare a decidere nulla, anche nelle minime cose. E questo non si riesce proprio a correggere. E’ la realtà. Ed è sbagliato, dicono molti.

  Noi persone laiche, comunque, in genere ci siamo piuttosto emancipati dalle pretese dei nostri gerarchi e dalla loro efferata teologia, che, prima dell’affermarsi dei processi democratici europei, nel corso dell’Ottocento, giustificò i tremendi e mortiferi costumi della nostra Chiesa. E dobbiamo continuare così, almeno finché non ci sarà dato modo di partecipare realmente.

  Un teologo cattolico è assillato dalla questione dell’infallibilità, che ha notevoli riflessi sulla sinodalità.

  Va detto che noi cattolici siamo obbligati a sperare solo nell’infallibilità del Papa, quando decide di enunciare in modo solenne certe definizioni di fede, e di nessun altro. Dicono che il popolo, vale a dire tutti noi insieme, avremmo una sorta di infallibile intuizione  per cui saremmo portati a credere ciò che è giusto credere. Francamente non è cosa che mi risulta molto evidente (ma, appunto, non ho studiato teologia): mi pare che, noi popolo, istintivamente siamo piuttosto portati a credere le cose più strane e fantasiose, salvo poi talvolta ripensarci sopra e mutare avviso. Lo dico più esplicitamente: ci beviamo tutto. Non è poi molto difficile prenderci per il naso. E quando sembriamo recalcitrare ci incatenano con le questioni di verità, con minaccia di sanzioni eterne. Questa sarebbe la Chiesa della misericordia? Io nella misericordia del Cielo confido reamente e quindi non temo nulla per questioni di verità. Mi confesso fallibile, fallibilissimo.

  Decidere insieme che fare, cercando di mantenere la pace tra noi, ciò che è al centro della sinodalità, significa confrontarsi, senza cercare di prevalere di forza, con la mentalità di molti, e anche preferire il compromesso alla rottura. Si decide, mantenendo però il proposito di correggersi se risultasse necessario, ripensandoci meglio. Si cerca di capire il proprio ambiente e le esigenze di una comunità, non si tratta di dedurre qualcosa dai massimi principi, per via di razionalità logica. Il vantaggio è che più persone hanno in genere una visuale più vasta di una sola. La molteplicità aiuta, perché noi siamo viventi limitati, per natura. Ciò che definiamo unità non deve significare pensarla come uno solo, ma cercare di mantenere l’agàpe, la coesistenza pacifica, benevola, solidale, misericordiosa, negli affari sociali. Quando si riesce a parlarsi in tanti ci si accorge quanto bisogno abbiamo di correggerci continuamente, o, come è stato detto in uno degli scorsi incontri di riflessione del MEIC Lazio, della nostra indigenza. Altro che infallibilità!

  Cercare di introdurre procedure sinodali in una parrocchia come la nostra, una grossa parrocchia anche se la gente intorno va indubbiamente scristianizzandosi, lo capiamo bene, appare attualmente impossibile. Ogni richiesta viene semplicemente ignorata. Uno volta andava peggio, certo, ti prendevano a brutto muso. Abbiamo affisso la lapide in ricordo di don Miraldi vicino al portone della Chiesa: nel suo epistolario si capisce che se ne andò missionario in Brasile anche per le difficoltà che sulla via del rinnovamento sinodale dovette affrontare anche nella nostra parrocchia. Però nell’America latina gli andò anche peggio.

  Questo blog, che dura da oltre dieci anni, è un’iniziativa autonoma di persone laiche che vorrebbero essere utili alla parrocchia. Probabilmente utile lo è effettivamente stato. Ma è come se non esistesse, per la parrocchia.

 La nostra parrocchia aveva aperto un sito sul Web, ma è stato chiuso. Non si è ritenuto di dar conto del perché.

  Si fanno le cose senza sentire il bisogno di rendere conto di nulla. D’altra parte come si potrebbe farlo? Il Consiglio pastorale parrocchiale, obbligatorio nella nostra Diocesi, da anni non si riunisce. In Diocesi certamente lo sanno, perché periodicamente vengono inviate relazioni, ma penso che lo si tolleri, perché anche chi comanda là è stato formato così, a diffidare della sinodalità. Il male meno grave, forse si pensa, è farne a meno. E, certo, da ciò che mi è stato narrato, le esperienze nel nostro povero Consiglio pastorale parrocchiale erano di quelle forti, diciamo così: tra noi vi sono divisioni radicate e radicali.  

  Intendiamoci: i nostri preti sono persone buone. Fanno così come sempre si è fatto e non ci vedono alcun male. E’ stato loro insegnato a diffidare di chi propone di fare diversamente. D’altra parte non possono essere considerate persone libere, soggette come sono ai capricciosi rivolgimenti della gerarchia, che, se la prende male, può privarli in un attimo del ministero e del lavoro, vale  a dire della loro vita. La comunità parrocchiale non conta nulla in queste cose. Dianich ricorda che non è sempre andata così, in particolare nei primi secoli, quelli che spesso si vuole (troppo) idealizzare. Ma non starei troppo a prendere esempi sulla sinodalità del lontano passato, nonostante la teologia che ci si è costruita sopra: troppa violenza.

 Il Maestro morì sulla croce, lo sappiamo: esaminando superficialmente la storia stragista delle nostre Chiese si sarebbe tentati di dire che i nostri gerarchi presero esempio da chi lo spedì al Calvario, piuttosto che da lui stesso.

 Perché ho iniziato manifestando una certa disaffezione per la teologia, che pure  è capace di affascinanti costruzioni intellettuali? Perché storicamente ha giustificato ogni genere di atrocità. La giudico dai suoi frutti. Eppure, certo, essa serve anche se vogliamo migliorare, per discostarci da quelle vie. Ma io non ho mai avuto cuore di collaborare  a quest’opera. Forse perché, da pratico del diritto, questa è stata la professione che mi ha dato da vivere finora, voglio cercare di  capire bene i fatti, le persone, le situazioni, dando udienza, l’attività fondamentale di questo mestiere. In teologia si parla di ascolto. E anche di ascolto reciproco. Proviamo a inscenarlo!

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli.

 

 

lunedì 16 maggio 2022

Futuri religiosi

 

Futuri religiosi

 

  Pensare il nuovo significa pensare  il presente o il futuro.   

  Nella prima prospettiva le novità incombono: è quella della prima enciclica della dottrina sociale contemporanea, appunto intitolata Delle novitàRerum novarum, del 1891. All’epoca le novità a cui in quel documento si fece riferimento erano i moti sociali in difesa del proletariato (definito proprio così in quel testo), in particolare quello cittadino e industriale. Si trattò sostanzialmente di un magistero sul socialismo, duramente criticato  nelle sue pretese di riforma sociale e nei suoi metodi, quindi sia nel futuro immaginato che nel presente praticato, pur condividendone l’analisi dell’origine delle sofferenze sociali del proletariato, inteso come i lavoratori che dipendevano dai capitalisti per la propria sussistenza. La soluzione proposta: tornare all’ordine medievale europeo in cui corporazioni di artigiani avevano avuto un ruolo politico, in particolare nell’esperienza dei Comuni diretti da propri Consigli. Una riforma del tutto irrealistica nell’Europa di fine Ottocento, nella quale le riforme sociali cominciavano ad essere sostenute da forme più aperte di democrazia politica, con il coinvolgimento di sempre più gente negli affari sociali. Irrealistica perché pensata da persone con scarsa competenza in quest’ultimo campo. Ci volle quasi mezzo secolo perché anche il magistero religioso ne prendesse atto e tentasse di porvi rimedio. In mezzo ci sta l’abbaglio per i fascismi europei, in particolare, in Italia, per quello mussoliniano e per quelli della penisola Iberica, durati addirittura fino agli anni ’70, per non parlare di quelli latino-americani. Negli anni ’30 fu raggiunto un concordato anche con il regime nazista hitleriano, accordo nella conclusione del quale fu protagonista Eugenio Pacelli da Segretario di Stato della Santa Sede.

  Nella seconda prospettiva le novità sono principalmente quelle progettate, che quindi ancora non ci sono, se non in germe. La riforma sinodale che stiamo cercando di impersonare e praticare da qualche mese è di questo tipo, perché, appunto, ancora non c’è. Risponde al problema dell’irrilevanza sociale della nostra fede, in particolare in Europa occidentale, ma anche ad una vera e propria dissoluzione delle esperienze religiose, molto marcata nell’Europa settentrionale. In Italia essa ha cominciato a manifestarsi da quando è entrata in crisi l’organizzazione del cattolicesimo democratico, che aveva retto le sorti della nuova Repubblica popolare dal 1946 al 1994, un arco temporale molto lungo. Lo stato in cui appare meno sensibile è la Germania in cui fino a pochi mesi fa i cristiani democratici erano al governo e dove, forte di un imponente finanziamento pubblico, la Chiesa cattolica nazionale ha coinvolto potentemente il laicato negli affari religiosi, in particolare con un’originale esperienza sinodale tuttora in corso. In quella nazione da decenni si è formato un ceto di teologhe  e teologi laici ai quali sono state affidate importanti responsabilità nelle parrocchie. Ciò che finora è risultato impossibile ottenere in Italia, in particolare per il fatto che la teologia a livello universitario è confinata, per ragioni storiche, nelle università pontificie che, per vari motivi, non possono essere considerate organismi del tutto liberi, soggiacendo alla pesante pressione della polizia ideologica dell’istituzione che, nella Santa Sede, è succeduta alla triste e tragica Inquisizione romana.

  Si progetta ciò che si pensa possa essere utile per il futuro. Ma l’utilità dell’esperienza religiosa non è più molto evidente. E infatti, nel fare pubblicità per ottenere la destinazione del cosiddetto 8xmille  nelle dichiarazioni dei redditi, più o meno tutte le Chiese mettono in luce anzitutto le loro attività caritative, cosa non del tutto onesta, perché sono principalmente altro. Ma, ad esempio, in Italia la pesante pressione che la gerarchia cattolica esercitava nei confronti della politica, arrivando a bloccare le procedure legislative su certi temi, un tempo era considerata positivamente, ora invece non più tanto. L’imponente finanziamento pubblico in Italia rende indipendenti clero e religioso dai fedeli laici: anche questo un tempo veniva considerato positivamente, ora è diverso. Finisce con l’ostacolare il processo sinodale che viene oggi proposto, perché pressati dal laicato, ad un certo punto clero e religiosi possono liberarsi d’impaccio decidendo di fare da sé, tenendo intorno a sé solo la gente che ci sta. E’ quello che, in fondo, accade nella gestione delle parrocchie, dove sembra impresa quasi impossibile cambiare anche le minime cose dal basso e spesso anche le direttive dall’alto vengono disinvoltamente ignorate, come quella che impone  che i Consigli pastorali parrocchiali siano convocati e funzionino.

   Oggi la funzioni prevalenti nelle strutture religiose territoriali, quindi nelle articolazioni locali della gerarchia che si vorrebbe trasformare in vere comunità, sono quelle di prima formazione etica dei più giovani, compito in cui gli adulti sono sempre più incerti, di liturgizzazione, quindi spettacolarizzazione, degli eventi della vita personale, di assistenza sociale sussidiaria e di sostegno psicologico, dove ci sono abbastanza preti, queste due ultime attività rispondenti all’esigenza dello star bene  personale. Troppo poco per avere un qualche impatto sociale.

  In realtà, mi pare che prevalga la paura delle novità, soprattutto in un clero e tra religiosi in prevalenza molto anziani, e la difficoltà di rivolgere un pensiero ad un futuro in cui la religione conti ancora qualcosa in società.

  Si è visto, di questi tempi, sulla questione della guerra europea che è in corso in Ucraina, con il crescente coinvolgimento dell’Europa occidentale, e anche dell’Italia. A parte poche scontate parole di circostanza, non ve ne è traccia, mi pare, nella predicazione, salvo che in quella del Papa, che mai come ora mi pare una persona sola.

  Anzi, la concentrazione della società sulle questioni poste dalla guerra, praticamente ignorate nelle nostre Chiese, mi pare sia stata l’occasione colta per mettere in sordina i processi sinodali in corso, quando invece la sinodalità doveva e poteva esservi principalmente coinvolta, perché essa ha al proprio centro proprio la gestione pacifica dei conflitti sociali, che ora nella nostra Chiesa si preferisce piuttosto negare o nascondere con una certa ipocrisia.

 Ad esempio, dove la conflittualità parrocchiale è più sensibile, come indubbiamente nella nostra realtà, si preferisce non convocare il Consiglio pastorale parrocchiale, che dovrebbe essere la sede principale per discuterne e cercare vie d’uscita. Così però si fa sempre meno esperienza di sinodalità, che è anzitutto pratica prima che teoria, e così, come accaduto negli incontri cosiddetti sinodali  che si sono fatti nella nostra parrocchia, quando ci si ritrova almeno per parlarne, non si sa che dire. E, del resto, le indicazioni venute dalla Diocesi erano nel senso di non fare un dibattito, quindi negando il dialogo, in cui si parla ma anche si ascolta, dimensione che, nell’incontro del Meic Lazio  di venerdì scorso ci è stato detto essere addirittura costitutiva  della Chiesa, lì dove anche i laici hanno una propria competenza in base al proprio vissuto.

  Non bisogna perdersi d’animo, però, è stato detto alla conclusione di quell’incontro. Qualcosa cambierà sicuramente, perché le società evolvono e le Chiese in esse, e come sarà il futuro, se sarà ancora religioso o non, dipenderà anche da noi, da una miriade di piccole iniziative di sinodalità pervicacemente praticate, che poi potrebbero costituire una rete. Come ad un certo punto, nella storia dell’evoluzione biologica, ai grandi rettili seguirono i mammiferi, così accadrà nelle nostre Chiese. La settimana prima il relatore aveva osservato che nel giro di dieci anni, per consunzione naturale, il sistema della parrocchie come ancora lo stiamo vivendo, svanirà. Bisogna progettare il nuovo futuro che ne seguirà.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli