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Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

Dall’anno associativo 2020/2021 il gruppo di AC di San Clemente Papa si riunisce abitualmente il secondo, il terzo e il quarto sabato del mese alle 17 e anima la Messa domenicale delle 9. Durante la pandemia da Covid 19 ci siamo riuniti in videoconferenza Google Meet. Anche dopo che la situazione sanitaria sarà tornata alla normalità, organizzeremo riunioni dedicate a temi specifici e aperte ai non soci con questa modalità.

Per partecipare alle riunioni del gruppo on line con Google Meet, inviare, dopo la convocazione della riunione di cui verrà data notizia sul blog, una email a mario.ardigo@acsanclemente.net comunicando come ci si chiama, la email con cui si vuole partecipare, il nome e la città della propria parrocchia e i temi di interesse. Via email vi saranno confermati la data e l’ora della riunione e vi verrà inviato il codice di accesso. Dopo ogni riunione, i dati delle persone non iscritte verranno cancellati e dovranno essere inviati nuovamente per partecipare alla riunione successiva.

La riunione Meet sarà attivata cinque minuti prima dell’orario fissato per il suo inizio.

Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

NOTA IMPORTANTE / IMPORTANT NOTE

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Il sito della parrocchia:

https://www.parrocchiasanclementepaparoma.com/

sabato 30 giugno 2018

Comunità diseducanti


Comunità diseducanti



La foto che troviamo su gran parte dei quotidiani di oggi: una delle vittime di un naufragio di  migranti al largo delle Libia. Si stima che cento persone siano disperse, cioè annegate. Sullo sfondo si vede il gommone della Guardia costiera libica mandato in soccorso della gente in mare, degli oltre cento naufraghi che erano finiti in acqua. Non se ne vedono altri. Le imbarcazioni inviate in soccorso erano sufficienti?
«Dov’è il tuo fratello?», la voce del suo sangue grida fino a me, dice Dio. Questa non è una domanda rivolta ad altri, è una domanda rivolta a me, a te, a ciascuno di noi. Quei nostri fratelli e sorelle cercavano di uscire da situazioni difficili per trovare un po’ di serenità e di pace; cercavano un posto migliore per sé e per le loro famiglie, ma hanno trovato la morte. Quante volte coloro che cercano questo non trovano comprensione, non trovano accoglienza, non trovano solidarietà! E le loro voci salgono fino a Dio!»
Dall’omelia di Papa Francesco alla Messa celebrata l’’8 luglio 2013, nel corso di un viaggio apostolico nell’isola di Lampedusa


  Mi dispiace che a una persona buona come Jorge Mario Bergoglio sia toccato di fare il papa con il nome di Francesco in questa tremenda Italia di oggi, che consapevolmente rifiuta la pietà verso i sofferenti rendendosi empia. Egli è sulla via per condividere il destino che toccò al suo predecessore Eugenio Pacelli, che pure tanti meriti ebbe, in particolare per aver riaperto la via alla democrazia in Europa e per aver indotto i cattolici, molti dei quali erano stati complici dei fascismi, a costruire un nuovo ordine continentale pacifico. Come ai tempi di Pacelli, è la prudenza che non va. Non sono risuonate di questi tempi parole come quelle (le trascrivo nuovamente di seguito) che nel 2013 furono molto importanti nel determinare il nostro governo a disporre una grande missione di soccorso per impedire tragedie nel mare tra l'Italia, la Libia e la Tunisia, del tipo di quella accaduta solo poche ore fa. La si denominò Mare Nostro. Ora non lo è più?
 Ma, si dice, “La Chiesa non fa politica”. Quando mai non l’ha fatta?, mi domando. Tutto il nostro Risorgimento e poi i primi settant'anni del Regno d'Italia furono travagliati dalla Questione Romana, che era politica del Papato. E poi il fascismo Mussoliniano si avvalse dell'appoggio politico del Papato, che lo definì provvidenziale  e indusse le migliori menti del laicato italiano a lasciarsi coinvolgere. Poi il Papato condizionò la vita del partito cristiano  e, finito quello, contrattò direttamente con la politica nazionale. Nell'84 contrattò una revisione del Concordato lateranense che ora gli vale un flusso di finanziamenti pubblici di circa un miliardo di euro all'anno, indipendentemente dalle condizioni dell'economia nazionale. Si mise di traverso su questioni politiche come le leggi su divorzio, aborto, procreazione assistita, unioni omosessuali, fine vita e molte altre. Scomunicò i comunisti italiani quando ancora erano molto legati all'Unione sovietica, osteggiò la collaborazione con i socialisti e poi con i comunisti italiani, divenuti pienamente democratici dopo la rottura con i  sovietici. La Chiesa ha sempre fatto politica, fin dal Quarto secolo della nostra era.  Proprio ora decide di non farla più?
  La Santa Sede possiede uno stato, qui a Roma, anche se gli accordi con il Regno d’Italia non lo chiamano mai così, ma solo Città del Vaticano. Ma, comunque, lo considera uno stato, e tale è ritenuto anche dalla comunità internazionale. Uno stato può molto, ancora oggi, anche se molto piccolo. Può accordare protezione e in questo viene rispettato. Lo si fece in vari modi al termine della Seconda Guerra Mondiale, scrivono gli storici, in modi che molti criticarono, per favorire la fuga  e la salvezza di gente in pericolo dopo la caduta dei  regimi fascisti vinti.
[Su questo ha scritto Pier Luigi Guiducci, Oltre la leggenda nera - Il Vaticano e la fuga dei criminali nazisti, Mursia, 2015, saggio in cui, nel contestare la tesi di una copertura della Santa Sede ai nazisti in fuga, ha ricordato la protezione data a quell'epoca a gente in fuga dopo la caduta dei regimi fascisti. In una intervista a La Stampa del 2015, 
(http://www.lastampa.it/2015/10/16/vaticaninsider/oltre-la-leggenda-nera-il-vaticano-e-la-fuga-dei-criminali-nazisti-RvtssyJ18NOY6rhTnxaCYM/pagina.html) ,disse:
«Si parte dal dramma dei civili in fuga dalle truppe sovietiche. Quest’ultime, penetrano nella Germania e poi entrano a Berlino, con tutte le atrocità che ne sono seguite: stupri, esecuzioni sommarie, violenze di ogni tipo. In tale contesto [...] abbiamo il dramma del movimento dei profughi, in maggioranza civili. Si trattava di anziani, malati, disabili, bambini, sofferenti a livello mentale, donne violentate. Erano profughi senza casa, apolidi in più casi, che non avevano reti di assistenza. Chiedevano letteralmente la carità. E quindi si rivolgevano a parrocchie, conventi e case religiose. A una rete essenzialmente cattolica. Ciò avveniva perché in Germania una parte del mondo evangelico-protestante aveva sostenuto il regime hitleriano. Quindi i profughi badavano a non farsi passare né per evangelici, né per sostenitori del regime, e nemmeno per atei (per non essere associati ai sovietici). A questo punto non restava loro che chiedere l’appoggio cattolico, che era fondamentalmente gratuito e che superava la concezione nazionalistica.»]
 Ma lo si è fatto anche di recente. Il caso? Un diplomatico della Santa Sede presso gli Stati Uniti d’America è accusato di un reato commesso in Canada. Le autorità canadesi emettono un ordine di cattura e lo notificano agli Stati Uniti d’America, che a  loro volta lo notificano alla Santa Sede. Il diplomatico viene fatto rientrare a Roma, sottraendolo alla giustizia canadese in forza dell'immunità diplomatica, e viene processato dai giudici della Città del Vaticano per il reato commesso in Canada. Lo si è condannato, in modo da precludere una estradizione in Canada per lo stesso fatto. Perché, però, non lo si  è privato della condizione di diplomatico e dell’immunità  e consegnato alle autorità canadesi perché fosse processato dove, secondo l’accusa, aveva commesso il reato? Aver privato gli investigatori canadesi del contributo informativo che l’accusato poteva dare, e che in effetti ha dato dal momento che si è saputo dalla stampa che ha reso confessione, non ha avuto effetti negativi sulle indagini canadesi? L’aver fatto rientrare il diplomatico in Italia, non revocandogli l’immunità, può essere visto come una forma di protezione. Certo poi egli è stato condannato dai giudici vaticani. Ma la Santa Sede non dispone di penitenziari. Sostanzialmente, quando la pena diverrà definitiva, avrà probabilmente  un trattamento migliore di quello che gli sarebbe toccato in Canada. 
  Che cosa impedisce di estendere una protezione simile ad altre persone, come, qui a Roma e altrove ma su direttive di Roma,  si fece durante la Seconda Guerra Mondiale in favore di molti politici antifascisti, e poi, nel dopoguerra, di  tanti migranti che oggi definiremmo economici? Qualcosa del genere si  è fatto, ma su scala troppo piccola rispetto al fenomeno da affrontare. Lo stato posseduto dal Papa qui a Roma è piccolo? Ma egli è pastore di oltre un miliardo di fedeli e l'Europa  è dominata dai democratici cristiani tedeschi, che ora sono spinti a politiche più dure sulle migrazioni da un ministro dell'interno della bavarese CSU, nella quale i cattolici predominano. La sua autorità morale in Europa è ancora molto grande, anche se in Italia la dottrina sociale è, ma non da molto, ignorata. 
  Il problema del Papato, oggi come ai tempi di Pacelli, si chiama prudenza. Per la sua prudenza, sostanzialmente debolezza politica, non credo che Pacelli sarà mai fatto santo, pur essendo una persona buona, un mistico. Ma le condizioni in cui si trovò a regnare, nel corso della Seconda Guerra Mondiale, erano tremende: egli effettivamente poteva temere crudeli e stragiste ritorsioni di massa, in particolare da parte dei nazisti hitleriani. Ai nostri  giorni,  però, in Europa si vive in democrazia. Al massimo potremmo avere un po’ meno gente che viene in chiesa e forse un po’ meno scelte per la Chiesa cattolica nel riquadro dell’8 per mille della dichiarazione dei redditi. La prudenza  è meno giustificata.
 Ieri il Papa, creando nuovi cardinali, ha pronunciato nobili parole, invitandoli al martirio, alla testimonianza fino al rischio della vita. Eppure, di questi tempi, erano altre le parole che occorrevano. Appunto parole, e gesti, come quelli del 2013,
  Dagli anni ’70 la catechesi è molto legata a comunità educanti. Non è più qualcosa come una lezione scolastica, ma un’esperienza di vita. Poi la  cultura della presenza  ha ancora di più posto l’accento sulla vita comunitaria come prima forma di catechesi, lì dove si impara, soprattutto da piccoli, per imitazione. Ebbene, il risultato è quello che è. Nella mia Bologna la diocesi ha organizzato una veglia di preghiera per i migranti morti in mare. E qui a Roma? Questa è la diocesi del Papa. Dovrebbe dettare la linea e dare l’esempio. Probabilmente si teme che iniziative di quel tipo vadano deserte. Il male si è profondamente radicato anche nelle comunità di fede. Non sono più capaci di liberarsene. Danno ascolto  a guide empie, quelle che negano la pietà ai sofferenti. Anche tra i fedeli, in particolare tra i più anziani, ai quali la vita dovrebbe aver insegnato la saggezza, si sentono discorsi tremendi, spietati, e per questo empi, perché, come insegna papa Francesco sulla base della nostra Tradizione religiosa, il Creatore è misericordia. Le nostre sono così diventate comunità diseducanti. Qual è, in questa condizione, il compito di un pastore?
  Sulla carta, per la legge della Chiesa,  un Papa può tutto. La realtà è molto diversa.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli



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VISITA A LAMPEDUSA
OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Campo sportivo "Arena" in Località Salina
Lunedì, 8 luglio 2013
dal Web: http://w2.vatican.va/content/francesco/it/homilies/2013/documents/papa-francesco_20130708_omelia-lampedusa.html 
  Immigrati morti in mare, da quelle barche che invece di essere una via di speranza sono state una via di morte. Così il titolo dei giornali. Quando alcune settimane fa ho appreso questa notizia, che purtroppo tante volte si è ripetuta, il pensiero vi è tornato continuamente come una spina nel cuore che porta sofferenza. E allora ho sentito che dovevo venire qui oggi a pregare, a compiere un gesto di vicinanza, ma anche a risvegliare le nostre coscienze perché ciò che è accaduto non si ripeta. Non si ripeta per favore. Prima però vorrei dire una parola di sincera gratitudine e di incoraggiamento a voi, abitanti di Lampedusa e Linosa, alle associazioni, ai volontari e alle forze di sicurezza, che avete mostrato e mostrate attenzione a persone nel loro viaggio verso qualcosa di migliore. Voi siete una piccola realtà, ma offrite un esempio di solidarietà! Grazie! Grazie anche all’Arcivescovo Mons. Francesco Montenegro per il suo aiuto, il suo lavoro e la sua vicinanza pastorale. Saluto cordialmente il sindaco signora Giusi Nicolini, grazie tanto per quello che lei ha fatto e che fa. Un pensiero lo rivolgo ai cari immigrati musulmani che oggi, alla sera, stanno iniziando il digiuno di Ramadan, con l’augurio di abbondanti frutti spirituali. La Chiesa vi è vicina nella ricerca di una vita più dignitosa per voi e le vostre famiglie. A voi: o’scià!
  Questa mattina, alla luce della Parola di Dio che abbiamo ascoltato, vorrei proporre alcune parole che soprattutto provochino la coscienza di tutti, spingano a riflettere e a cambiare concretamente certi atteggiamenti.
  «Adamo, dove sei?»: è la prima domanda che Dio rivolge all’uomo dopo il peccato. «Dove sei Adamo?». E Adamo è un uomo disorientato che ha perso il suo posto nella creazione perché crede di diventare potente, di poter dominare tutto, di essere Dio. E l’armonia si rompe, l’uomo sbaglia e questo si ripete anche nella relazione con l’altro che non è più il fratello da amare, ma semplicemente l’altro che disturba la mia vita, il mio benessere. E Dio pone la seconda domanda: «Caino, dov’è tuo fratello?». Il sogno di essere potente, di essere grande come Dio, anzi di essere Dio, porta ad una catena di sbagli che è catena di morte, porta a versare il sangue del fratello!
  Queste due domande di Dio risuonano anche oggi, con tutta la loro forza! Tanti di noi, mi includo anch’io, siamo disorientati, non siamo più attenti al mondo in cui viviamo, non curiamo, non custodiamo quello che Dio ha creato per tutti e non siamo più capaci neppure di custodirci gli uni gli altri. E quando questo disorientamento assume le dimensioni del mondo, si giunge a tragedie come quella a cui abbiamo assistito.
  «Dov’è il tuo fratello?», la voce del suo sangue grida fino a me, dice Dio. Questa non è una domanda rivolta ad altri, è una domanda rivolta a me, a te, a ciascuno di noi. Quei nostri fratelli e sorelle cercavano di uscire da situazioni difficili per trovare un po’ di serenità e di pace; cercavano un posto migliore per sé e per le loro famiglie, ma hanno trovato la morte. Quante volte coloro che cercano questo non trovano comprensione, non trovano accoglienza, non trovano solidarietà! E le loro voci salgono fino a Dio! E una volta ancora ringrazio voi abitanti di Lampedusa per la solidarietà. Ho sentito, recentemente, uno di questi fratelli. Prima di arrivare qui sono passati per le mani dei trafficanti, coloro che sfruttano la povertà degli altri, queste persone per le quali la povertà degli altri è una fonte di guadagno. Quanto hanno sofferto! E alcuni non sono riusciti ad arrivare.
  «Dov’è il tuo fratello?» Chi è il responsabile di questo sangue? Nella letteratura spagnola c’è una commedia di Lope de Vega che narra come gli abitanti della città di Fuente Ovejuna uccidono il Governatore perché è un tiranno, e lo fanno in modo che non si sappia chi ha compiuto l’esecuzione. E quando il giudice del re chiede: «Chi ha ucciso il Governatore?», tutti rispondono: «Fuente Ovejuna, Signore». Tutti e nessuno! Anche oggi questa domanda emerge con forza: Chi è il responsabile del sangue di questi fratelli e sorelle? Nessuno! Tutti noi rispondiamo così: non sono io, io non c’entro, saranno altri, non certo io. Ma Dio chiede a ciascuno di noi: «Dov’è il sangue del tuo fratello che grida fino a me?». Oggi nessuno nel mondo si sente responsabile di questo; abbiamo perso il senso della responsabilità fraterna; siamo caduti nell’atteggiamento ipocrita del sacerdote e del servitore dell’altare, di cui parlava Gesù nella parabola del Buon Samaritano: guardiamo il fratello mezzo morto sul ciglio della strada, forse pensiamo “poverino”, e continuiamo per la nostra strada, non è compito nostro; e con questo ci tranquillizziamo, ci sentiamo a posto. La cultura del benessere, che ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla, sono l’illusione del futile, del provvisorio, che porta all’indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione dell’indifferenza. In questo mondo della globalizzazione siamo caduti nella globalizzazione dell'indifferenza. Ci siamo abituati alla sofferenza dell’altro, non ci riguarda, non ci interessa, non è affare nostro!
  Ritorna la figura dell’Innominato di Manzoni. La globalizzazione dell’indifferenza ci rende tutti “innominati”, responsabili senza nome e senza volto.
  «Adamo dove sei?», «Dov’è il tuo fratello?», sono le due domande che Dio pone all’inizio della storia dell’umanità e che rivolge anche a tutti gli uomini del nostro tempo, anche a noi. Ma io vorrei che ci ponessimo una terza domanda: «Chi di noi ha pianto per questo fatto e per fatti come questo?», Chi ha pianto per la morte di questi fratelli e sorelle? Chi ha pianto per queste persone che erano sulla barca? Per le giovani mamme che portavano i loro bambini? Per questi uomini che desideravano qualcosa per sostenere le proprie famiglie? Siamo una società che ha dimenticato l’esperienza del piangere, del “patire con”: la globalizzazione dell’indifferenza ci ha tolto la capacità di piangere! Nel Vangelo abbiamo ascoltato il grido, il pianto, il grande lamento: «Rachele piange i suoi figli… perché non sono più». Erode ha seminato morte per difendere il proprio benessere, la propria bolla di sapone. E questo continua a ripetersi… Domandiamo al Signore che cancelli ciò che di Erode è rimasto anche nel nostro cuore; domandiamo al Signore la grazia di piangere sulla nostra indifferenza, di piangere sulla crudeltà che c’è nel mondo, in noi, anche in coloro che nell’anonimato prendono decisioni socio-economiche che aprono la strada ai drammi come questo. «Chi ha pianto?». Chi ha pianto oggi nel mondo?
  Signore, in questa Liturgia, che è una Liturgia di penitenza, chiediamo perdono per l’indifferenza verso tanti fratelli e sorelle, ti chiediamo Padre perdono per chi si è accomodato e si è chiuso nel proprio benessere che porta all’anestesia del cuore, ti chiediamo perdono per coloro che con le loro decisioni a livello mondiale hanno creato situazioni che conducono a questi drammi. Perdono Signore!
Signore, che sentiamo anche oggi le tue domande: «Adamo dove sei?», «Dov’è il sangue di tuo fratello?».


Al termine della Celebrazione il Santo Padre ha pronunciato le seguenti parole:
  Prima di darvi la benedizione voglio ringraziare una volta in più voi, lampedusani, per l'esempio di amore, per l'esempio di carità, per l'esempio di accoglienza che ci state dando, che avete dato e che ancora ci date. Il Vescovo ha detto che Lampedusa è un faro. Che questo esempio sia faro in tutto il mondo, perché abbiano il coraggio di accogliere quelli che cercano una vita migliore. Grazie per la vostra testimonianza. E voglio anche ringraziare la vostra tenerezza che ho sentito nella persona di don Stefano. Lui mi raccontava sulla nave quello che lui e il suo vice parroco fanno. Grazie a voi, grazie a lei, don Stefano.



giovedì 28 giugno 2018

Popoli


Popoli

1.  I grandi problemi dell’umanità sono spesso proposti e affrontati da noi in modo bambinesco. Questo fa presa soprattutto tra i più anziani, di solito meno scolarizzati. E’ la cattiva politica che usa quel modo di argomentare. Cerca di spaventare la gente per avere mano libera e le riesce tra chi è più fragile e sa di meno. Poi però utilizza male il potere che ha, sprecando tempo e risorse nel migliore dei casi, andando a cacciarsi, e a cacciare la nazione, in seri guai, se va peggio. Va nel pallone, entra in contraddizione, suscita il caos. Ad esempio: lamenta che l’Italia sia stata lasciata sola, e poi è proprio il fare da soli che propone come soluzione. Isola l’Italia mentre dovrebbe integrarla meglio tra gli altri europei. Disperde un patrimonio di credibilità faticosamente conquistato in tanti anni, ed è certamente vero che talvolta in venti giorni fa quello che non si era riusciti a produrre in vent’anni, ma non c’è d’andarne fieri.
  La dottrina sociale ragiona diversamente ed è un buon punto di partenza per chi voglia migliorare la comprensione del proprio tempo e collaborare a contrastarne i mali sociali.  A volte viene presentata come un tutto unitario, come se fosse un manuale di istruzioni scritto una volta per tutte e valido per ogni tempo. Invece ha avuto una evoluzione. Così come le istituzioni della nostra Chiesa, ad esempio il Papato. Quest'ultimo si sviluppò nei primi quattro secoli della nostra era, fino a diventare un importante organismo politico-religioso nella parte occidentale dell’antico Impero romano, soprattutto dopo che il centro imperiale si trasferì a Costantinopoli, nella parte greca dello stato. Dopo la rovina dell’Impero d’Occidente, e dopo un breve periodo in cui fu integrato nell’Impero romano d’Oriente,  divenne vassallo dei nuovi sovrani invasori giunti dal nord riuscendo a plasmare la cultura e le istituzioni dei loro regni. Da loro ebbe, nell’Ottavo secolo,  un piccolo regno territoriale nell’Italia centrale.  Nell’Undicesimo Secolo il Papato fu riorganizzato come impero politico-religioso, cercando di affrancarsi dal vassallaggio feudale verso l’Impero germanico. Dal Cinquecento si trasformò in un stato tra altri stati, regno tra altri regni. Sempre di più affidò al possesso di uno stato la garanzia di libertà della sua missione spirituale. Nell’Ottocento venne coinvolto nei moti nazionalisti italiani, venendo spodestato come sovrano territoriale dal nuovo Regno d’Italia, nel 1870. Entrò allora, in Italia, nella politica di massa, esprimendo una potente formazione politica antisistema, che agli inizi del Novecento ristrutturò per partecipare alle elezioni politiche con suffragio universale maschile (le prime furono nel 1913). Questa azione sociale gli consentì di conciliarsi  con il Regno d’Italia, riavendo, a seguito dei Patti Lateranensi del 1929, un piccolo regno territoriale a Roma. Dal ’39, entrato in crisi il rapporto con il fascismo mussoliniano, prese a trasformarsi velocemente, aprendosi sempre più al mondo,  e questo sempre più rapidamente dalla fine degli anni Cinquanta, fino ad assumere l’aspetto di una ONU religiosa. Immaginò la nostra nuova Europa, che ideologicamente dipende da principi della dottrina sociale, in particolare nel fondamentale principio di sussidiarietà che ne regge il sistema istituzionale. La troviamo tratteggiata fin dal radiomessaggio del papa Eugenio Pacelli - Pio 12° del 24 agosto 1939 diffuso nell’imminente pericolo della guerra mondiale.
  Vedete? Per parlare di Chiesa ho dovuto riassumere in poche righe oltre venti secoli di storia europea. Il credente ha grandi orizzonti. La cattiva politica ne è incapace.
2.   Nell’evoluzione della situazione internazionale, in particolare di quella europea, la dottrina sociale è stata modificata, adattandola, per fronteggiare i  problemi che si presentavano.
   E’ rimasta costante la prospettiva di fare dell’intera umanità un’unica  famiglia umana. Ma essa preesiste  o  va costruita? La fede ci rassicura che preesiste, per volontà soprannaturale; la sociologia ci avverte che va costruita, perché non è mai veramente esistita prima in epoca storica; unificando le visioni si può arrivare a concludere che vada costantemente restaurata, perché l'abbiamo nell'anima prima che sia realizzata in società. Per farlo occorre una cultura adeguata. E' appunto quella che manca ai nostri tempi.
  Tra tutti gli esseri umani si avverte effettivamente una certa aria di famiglia. Fondamentalmente siamo fatti nello stesso modo e ragioniamo in modi simili. La genetica ci ha confermato in questa convinzione. Dal punto di vista biologico differiamo per inezie. Ma le differenze culturali e sociali sono molto grandi, in particolare tra i maggiori aggregati di gente, i popoli.
  Avere una visione realistica di moltitudini quali sono i popoli supera le nostre capacità cognitive, i nostri limiti di specie. Accade anche per quanto riguarda il nostro corpo, fatto di miliardi di cellule, ognuna con una sua vita e con le sue relazioni con le altre che la circondano. Viviamo, ma senza avere precisa consapevolezza di ciò che accade alle nostre singole cellule:   ora cominciamo a saperne di più della nostra vita biologica, ma le conoscenze che sono implicate superano largamente la possibilità di sapienza anche di più sapienti, figuriamoci quella della gente comune.
 Insomma, di come va il mondo abbiamo una consapevolezza approssimativa, basata su elementi culturali che prevalgono tra certe popolazioni, ad esempio la lingua o la religione, e, secondo criteri più precisi, facendo ricorso a osservazioni e valutazioni di tipo statistico. Quest’ultimo criterio è usato, in particolare dai sociologi e dagli economisti, che utilizzano comunque anche il vaglio delle culture. Le culture sono maggiormente utilizzate, come fonte di comprensione dei popoli, dalla politica e dalle religioni. Spesso però si cercano scorciatoie bambinesche, favolistiche, del tipo di quelle propinate dalla cattiva politica a chi le vuole credere. Come accorgersene? Fanno tutto troppo semplice, troppo simile al nostro micromondo di prossimità, alla nostra vita di tutti i giorni, in cui, ad esempio, basta dare una mandata alla porta di casa per pensare di essere (relativamente) al sicuro. 
  Una moltitudine stanziata su un certo territorio e caratterizzata da più intense relazioni culturali, sociali, economiche e politiche costituisce una popolazione. Quando però si parla di popolo  si ha presente essenzialmente la dimensione politica. Un popolo è un insieme di popolazioni che si è organizzato per dominare un certo territorio e certe risorse economiche e ci è riuscito. Questa è anche, sostanzialmente, la concezione giuridica prevalente quando si parla di popolo. Anticamente era la soggezione ad un sovrano che faceva un popolo. Si cercò di rendere stabile il potere del sovrano, sacralizzandone la dinastia, riconducendo il suo potere alla volontà divina. In questa prospettiva il sovrano vanta ascendenza e poteri divini. Caratteristica del cristianesimo, derivante dal particolare ambiente politico e multiculturale in cui si sviluppò, il Vicino Oriente sotto dominazione dell’Impero Roma in cui il potere religioso locale cercava spazi di autonomia verso quello politico-religioso degli occupanti, fu la  desacralizzazione  della politica, che lo portò nei primi tre secoli in rotta di collisione con le autorità pubbliche romane. In questa prospettiva, nessun potere politico può obbligare se non rispetta la legge divina. Quest’ordine di idee, che risale alle origini della nostra ideologia religiosa tanto da essere documentato addirittura negli scritti sacri derivati dalle nostre prime comunità di fede,  si ritrova, ad esempio, in questo brano dell’enciclica  La pace in terra - Pacem in Terris  del papa Angelo Roncalli, del 1963 (che ho sintetizzato lo scorso 23 giugno) :

L’autorità non è una forza incontrollata: è invece la facoltà di comandare secondo ragione. Trae quindi la virtù di obbligare dall’ordine morale.
 L’autorità che si fonda solo o principalmente sulla minaccia o sul timore di pene o sulla promessa e attrattiva di premi, non muove efficacemente gli esseri umani all’attuazione del bene comune; e se anche, per ipotesi, li movesse, ciò non sarebbe conforme alla loro dignità di persone, e cioè di esseri ragionevoli e liberi. L’autorità è, soprattutto, una forza morale; deve, quindi, in primo luogo, fare appello alla coscienza, al dovere cioè che ognuno ha di portare volonterosamente il suo contributo al bene di tutti.
 L’autorità, come si è detto, è postulata dall’ordine morale. Qualora pertanto le sue leggi o autorizzazioni siano in contrasto con quell’ordine,  esse non hanno forza di obbligare la coscienza.

3.  Nell’Alto Medioevo europeo, nella seconda metà del Primo millennio della nostra era, i re presero a non occuparsi in dettaglio di tutto ciò che accadeva nei loro regni, ma principalmente della riscossione dei tributi e del mantenimento di un esercito, oltre che di ciò che serviva alle loro corti. Lasciarono che i loro feudatari, monarchi meno potenti e legati da loro da un vincolo di fedeltà, e le società civili si dessero autonomamente le loro regole di vita: questo creò una realtà sociale molto articolata che durò fondamentalmente fino al Settecento e da cui il Papato prese l’idea della sussidiarietà, che è quando, appunto, i poteri superiori non comprimono l’ordine che le società inferiori si sono date, ma anzi le promuovono e sostengono, intervenendo solo dove si manifestano insufficienti. Questa idea fu al centro della prima enciclica sociale dell’età moderna, Le novità  -  Rerum Novarum,  del papa Vincenzo Gioacchino Pecci - Leone 13°, del 1891.

1 - Necessità della collaborazione di tutti
36. Finalmente, a dirimere la questione operaia possono contribuire molto i capitalisti e gli operai medesimi con istituzioni ordinate a porgere opportuni soccorsi ai bisognosi e ad avvicinare e udire le due classi tra loro. Tali sono le società di mutuo soccorso; le molteplici assicurazioni private destinate a prendersi cura dell'operaio, della vedova, dei figli orfani, nei casi d'improvvisi infortuni, d'infermità, o di altro umano accidente; i patronati per i fanciulli d'ambo i sessi, per la gioventù e per gli adulti. Tengono però il primo posto le corporazioni di arti e mestieri che nel loro complesso contengono quasi tutte le altre istituzioni. Evidentissimi furono presso i nostri antenati i vantaggi di tali corporazioni, e non solo a pro degli artieri, ma come attestano documenti in gran numero, ad onore e perfezionamento delle arti medesime. I progressi della cultura, le nuove abitudini e i cresciuti bisogni della vita esigono che queste corporazioni si adattino alle condizioni attuali. Vediamo con piacere formarsi ovunque associazioni di questo genere, sia di soli operai sia miste di operai e padroni, ed è desiderabile che crescano di numero e di operosità. Sebbene ne abbiamo parlato più volte, ci piace ritornarvi sopra per mostrarne l'opportunità, la legittimità, la forma del loro ordinamento e la loro azione.

   Questa estesa articolazione sociale avvolgeva gli individui, li sorreggeva e li proteggeva. Non le era più essenziale la soggezione al sovrano, ma trovava fattori unificanti in diversi elementi culturali, primo fra tutti la religione cristiana. Quando i papi parlano di radici cristiane  dell’Europa è a questo che si riferiscono.
  Dal Cinquecento si cominciarono a formare, da società magmatiche, molto articolate e differenziate ma unificate su basi culturali, gli stati come li conosciamo: il motore di questo processo furono alcune monarchie europee che vollero farsi nazionali, esprimere quindi la volontà politica di una  nazione, intesa come l’insieme delle popolazioni unificate da un progetto politico di costituzione di una stato, da un ordine politico unitario che non riconosceva nessuno sopra di sé entro i confini del proprio dominio e che era impersonato da un sovrano e dalla sua dinastia. Quando si parla di sovranità è a questo che ci si riferisce. Premetto che l’attuale ordine internazionale non riconosce più a nessuno stato e a nessun potere una sovranità di quel tipo.
 In questo quadro di rafforzamento del potere del sovrano nazionale  furono depotenziate le comunità minori e il diritto da esse espresso, a favore delle leggi del sovrano e, più avanti, dei suoi  codici, documenti legislativi che intendevano regolare settori molto ampi della società nazionale, come il diritto civile, quello penale e quello commerciale. Sviluppandosi dal Settecento processi democratici, nel quadro di essi fu teorizzato un  popolo  sovrano, in sostituzione o affiancamento delle dinastie sovrane, privo però di tutti gli elementi culturali che ne caratterizzavano le popolazioni, fatto sostanzialmente di individui solitari che esaurivano il loro potere nel delegare i propri rappresentanti, liberi da qualsiasi vincolo a comunità intermedie. Individui così non esistono in natura: si è sempre inseriti in comunità intermedie che costituiscono i nostri mondi vitali,  che ci sorreggono e motivano.  Faccio notare che questa, del popolo composto da individui solitari,  è l’ideologia che sta sotto alcune concezioni contemporanee di democrazia diretta telematica.
  Creandosi quegli stati nazionali, essi presto vollero anche sacralizzarsi  in modo da far corrispondere la volontà del sovrano a quella del Cielo, perché anche di questa i sovrani erano insofferenti in quanto in teoria a loro superiore.  Ognuno segua la religione del proprio sovrano, fu deciso nel Cinquecento  e nel Seicento, a chiusura di lunghi e sanguinosi conflitti tra i sovrani  europei. Nei processi democratici si seguì la stessa strada, anche dove si presero vie irreligiose o addirittura antireligiose, costruendo sostanzialmente religioni politiche alternative. I primi a farlo furono, a fine Settecento, i rivoluzionari francesi. Ma anche vari fascismi e comunismi e altri regimi politici costruirono proprie religioni politiche, con propri culti, liturgie e una classe sostanzialmente sacerdotale. 
  Questa idea della religione come elemento culturale unificante dello stato, quindi sostanzialmente legata al dominio del sovrano civile e in questo senso religione civile,  di rafforzamento del potere politico,   contrastava con quella del Papato che rivendicava il monopolio del potere religioso. Questo creò, tra il Settecento e l’Ottocento quello che venne definito  conflitto di civiltà  e che il Papato affrontò,  in particolare con la propria dottrina sociale diffusa dalla seconda metà dell’Ottocento, proponendo un proprio modello di civiltà. In ogni documento della dottrina sociale del Papato  ne è proposta una versione. Il passaggio di fase  storica prodottosi nel mondo all’inizio degli anni Sessanta è segnalato con tutta evidenza dal fatto che il papa Angelo Roncalli - Giovanni 23° diffuse nel giro di pochi anni ben due encicliche sociali:  la  Madre e Maestra - Mater et magistra, del 1961, e La pace in terra - Pacem in terris, del 1963.
4.   Il conflitto di civiltà divenne più acuto quando, affrontandolo sullo stimolo dei problemi che gli erano causati dal nazionalismo italiano, il Papato iniziò a riflettere sul problema della guerra. La prima occasione storica fu quando, nel 1848, il papa Giovanni Mastai Ferretti - Pio 9°, uno dei sovrani italiani dell’epoca in quanto monarca politico dello Stato pontificio nell’Italia centrale, decise di inviare un contingente militare contro l’Impero d’Austria che occupava Lombardia e Veneto. La guerra era stata iniziata dal regno piemontese detto Regno di Sardegna, della dinastia Savoia, a sostegno dei nazionalisti italiani che erano insorti a Milano. Il 29 aprile del 1948 il Papa ordinò il ritiro delle sue truppe (che in gran parte non obbedirono), con un’allocuzione in cui disse:
Inoltre non potrebbero poi lamentarsi di Noi i sopraddetti Popoli della Germania se non Ci fu possibile frenare l’ardore dei Nostri sudditi che vollero applaudire alle imprese compiute contro di loro nell’alta Italia, e vollero con gli altri popoli d’Italia far causa comune, infiammati anch’essi, come gli altri, dell’amore verso la propria Nazione. Tanto è vero che molti altri Principi d’Europa, di gran lunga a Noi superiori nella forza militare, non poterono neppur essi resistere alla commozione dei loro Popoli.
In tale situazione Noi però ai Nostri Militi mandati ai confini dello Stato non volemmo che fosse ordinato altro che di difendere l’integrità e la sicurezza dei domini Pontifici.
  Ma siccome ora alcuni desidererebbero che Noi unitamente agli altri Popoli e Principi d’Italia entrassimo in guerra contro i Germanici, abbiamo ritenuto Nostro dovere dichiarare chiaramente e palesemente in questo solenne Nostro Convegno che ciò è del tutto contrario alle Nostre intenzioni, in quanto Noi, benché indegni, facciamo in terra le veci di Colui che è Autore della pace e amatore della carità, e per dovere del Nostro Supremo Apostolato Noi con eguale paterno affetto amiamo ed abbracciamo tutti i popoli e tutte le nazioni. Ché, se nonostante ciò non mancassero fra i Nostri sudditi coloro che sono trasportati dall’esempio degli altri Italiani, in qual modo potremmo Noi frenare il loro ardore?
  Qui poi, al cospetto di tutte le genti, non possiamo non rigettare i subdoli consigli, manifestati anche per mezzo dei giornali e dei libelli, di coloro che vorrebbero il Romano Pontefice Presidente di una certa nuova Repubblica da farsi, tutti insieme, dai popoli d’Italia. Anzi, in questa occasione, per la Nostra carità verso i popoli d’Italia li esortiamo caldamente e li ammoniamo a guardarsi da questi consigli astuti e perniciosi per la stessa Italia, e di stare fedeli ai loro Principi, dei quali hanno già sperimentata la benevolenza, e di non lasciarsi staccare dal debito ossequio verso di loro. Infatti operando altrimenti non solo mancherebbero al proprio dovere, ma incorrerebbero anche nel pericolo che l’Italia di giorno in giorno finisse divisa da discordie ed intestine fazioni. In quanto a Noi, però, di nuovo dichiariamo che il Romano Pontefice dirige ogni suo pensiero, ogni cura, ogni studio perché si accresca ogni giorno il regno di Cristo, che è la Chiesa; ma non perché si dilatino i confini del Civile Principato che Iddio volle dato a questa Santa Sede per la sua dignità e per difendere il libero esercizio del Supremo Apostolato. Errano dunque grandemente coloro i quali ritengono che il Nostro animo possa essere lusingato dall’ambizione di più largo temporale dominio, al punto che Noi Ci gettiamo in mezzo ai tumulti delle armi. Per certo al Nostro cuore paterno sarebbe carissimo se Ci fosse dato con l’opera Nostra, con le cure, con gl’impegni di far qualche cosa per estinguere i fomiti delle discordie, per conciliare gli animi che si guerreggiano e per ristabilire fra loro la pace.

 Il magistero sulla pace è il cardine della dottrina sociale contemporanea. L’altro è il bene comune.  Quest’ultimo  è così definito nell’enciclica  Madre e Maestra - Mater et Magistra,  del papa Angelo Roncalli - Giovanni 23°, del 1961:
"il bene comune consiste nell’insieme di quelle condizioni sociali che consentono e favoriscono negli esseri umani lo sviluppo integrale della loro persona".
  In quest’ottica c’è un bene comune nazionale  che comprende anche elementi culturali che caratterizzano gruppi etnici della popolazione, comprese alcune tradizioni religiose,  e un bene comune  universale  in cui quegli elementi non devono trasformarsi in uno scompartimento stagno in cui degli esseri umani vengano impediti di comunicare con gli esseri umani appartenenti a gruppi etnici differenti (come insegnato nell’enciclica La pace in terra - Pacem in terris,  del medesimo Papa, del 1963); infatti, ciò sarebbe in stridente contrasto con un’epoca come la nostra, nella quale le distanze tra i popoli sono state quasi eliminate. Nessuna persona, né nessuna nazione,  deve poi ritenersi superiore alle altre per quegli elementi culturali (sempre nell'enciclica La pace in terra -Pacem in terris). La Patria  è ritenuta, nella dottrina sociale, un  bene comune nazionale, ma essa non deve impedire di fare dell’intera umanità un’unica famiglia, realizzando una Patria mondiale, prefigurazione di quella Celeste, la sola, cantò Agostino d'Ippona, nella quale un fedele può intonare l'alleluia della Patria.  In questo mondo si è sempre per via, tutto rapidamente si trasforma, e ci  è possibile cantare solo l'alleluia della strada.

Gli elementi che caratterizzano un gruppo etnico non devono trasformarsi in uno scompartimento stagno in cui degli esseri umani vengano impediti di comunicare con gli esseri umani appartenenti a gruppi etnici differenti: ciò sarebbe in stridente contrasto con un’epoca come la nostra, nella quale le distanze tra i popoli sono state quasi eliminate. [il brano dell’enciclica La pace in terra - Pacem in terris  citato sopra]

 5. Ad un magistero sociale fortemente universalista dei papi Angelo Roncalli - Giovanni 23° e Giovanni Battista Montini - Paolo 6°, centrato sul bene comune universale, fece seguito quello più nazionalista del papa Karol Wojtyla - Giovanni Paolo 2°, sulla base dell’esperienza sociale polacca di resistenza al regime comunista. La cultura nazionale e nazionalista, comprensiva di un certo modo di essere religiosi, era stata utilizzata per contrastare la cultura cosmopolita del comunismo di impronta sovietica imposto in Polonia. In Italia  questo orientamento produsse i movimenti della cultura della presenza, che pensavano che la religione dovesse essere restaurata a noi innanzi tutto ricostruendo un popolo religioso caratterizzato e  animato da consuetudini culturali, vivendo religiosamente prima di ragionarci sopra. L’universalismo religioso si esprimeva invece  nella cultura della mediazione, che riteneva via giusta quella di far emergere, nel dialogo, quindi ragionandoci sopra,  i valori religiosi che c’erano nelle culture che vivevano in Italia, anche se non o non ancora espressamente religiose. Questo orientamento era stato incoraggiato nell’enciclica La pace in terra- Pacem in terris.  Nella prima via l’evangelizzazione avveniva per contatto sociale e imitazione, nella seconda mediante il dialogo. Nella prima via il dialogo è sentito come contaminante l'integrità culturale, nella seconda ogni cultura, anche quella religiosa e in particolare quella delle tradizioni religiose, è sottoposta ad un vaglio critico nel dialogo, ma se ne possono far emergere valori di rilevanza religiosa. Con tutta evidenza l'impostazione del Wojtyla risentiva del duro scontro con il regime comunista polacco, che aveva tentato, con le buone o con le cattive, ma più spesso con queste ultime, l'annichilimento per assimilazione delle tradizioni religiose locali, fortemente permeate di elementi politici, in particolare dal culto delle antiche dinastie polacche. In quel contesto il dialogo era possibile solo in una forma che conduceva alla perdita della propria identità culturale. Divenuto sovrano religioso universale Wojtyla affrontò con il medesimo ordine di idee anche altri ambiti culturali, profondamente diversi, ad esempio quello italiano, nel quale il dialogo aveva potentemente preso piede sullo stimolo della distinzione tra errore  ed errante  del magistero di Angelo Roncalli, in particolare nell'enciclica La pace in terra - Pacem in terris,  del 1963, di cui trascrivo un brano molto importante:

 Non si dovrà però mai confondere l’errore con l’errante, anche quando si tratta di errore o di conoscenza inadeguata della verità in campo morale religioso. L’errante è sempre ed anzitutto un essere umano e conserva, in ogni caso, la sua dignità di persona; e va sempre considerato e trattato come si conviene a tanta dignità. Inoltre in ogni essere umano non si spegne mai l’esigenza, congenita alla sua natura, di spezzare gli schemi dell’errore per aprirsi alla conoscenza della verità. E l’azione di Dio in lui non viene mai meno. Per cui chi in un particolare momento della sua vita non ha chiarezza di fede, o aderisce ad opinioni erronee, può essere domani illuminato e credere alla verità. Gli incontri e le intese, nei vari settori dell’ordine temporale, fra credenti e quanti non credono, o credono in modo non adeguato, perché aderiscono ad errori, possono essere occasione per scoprire la verità e per renderle omaggio.
  Va altresì tenuto presente che non si possono neppure identificare false dottrine filosofiche sulla natura, l’origine e il destino dell’universo e dell’uomo, con movimenti storici a finalità economiche, sociali, culturali e politiche, anche se questi movimenti sono stati originati da quelle dottrine e da esse hanno tratto e traggono tuttora ispirazione. Giacché le dottrine, una volta elaborate e definite, rimangono sempre le stesse; mentre i movimenti suddetti, agendo sulle situazioni storiche incessantemente evolventisi, non possono non subirne gli influssi e quindi non possono non andare soggetti a mutamenti anche profondi. Inoltre chi può negare che in quei movimenti, nella misura in cui sono conformi ai dettami della retta ragione e si fanno interpreti delle giuste aspirazioni della persona umana, vi siano elementi positivi e meritevoli di approvazione?
 Pertanto, può verificarsi che un avvicinamento o un incontro di ordine pratico, ieri ritenuto non opportuno o non fecondo, oggi invece lo sia o lo possa divenire domani. Decidere se tale momento è arrivato, come pure stabilire i modi e i gradi dell’eventuale consonanza di attività al raggiungimento di scopi economici, sociali, culturali, politici, onesti e utili al vero bene della comunità, sono problemi  che si possono risolvere soltanto con la virtù della prudenza, che è la guida delle virtù che regolano la vita morale, sia individuale che sociale
  
  Il lungo prevalere della cultura della presenza in religione, in particolare in Italia,  ci ha fatti trovare impreparati davanti ai problemi suscitati dalla globalizzazione dell’economia e dalle grandi migrazioni intercontinentali. In un certo senso, il magistero di papa Jorge Mario Bergoglio - Francesco, per quanto sotto molti aspetti differente da quello di Karol Wojtyla - Giovanni Paolo 2°, sulla questione del popolo si muove ancora nello stesso ordine di idee, ad esempio nella critica del cosmopolitismo livellatore delle culture, e questo sostanzialmente per l’ambiente di origine di papa Francesco, l’America Latina, che non conosce le differenze culturali che caratterizzano gli europei (basti pensare che fondamentalmente si parlano due lingue, lo spagnolo e il portoghese, e prevale largamente la religione cattolica), né fenomeni migratori recenti quali quelli sperimentati in Europa.
  Nell’era della globalizzazione spostarsi è divenuto meno costoso e, soprattutto, possibile alle masse. Quindi le masse hanno ripreso a spostarsi, come sempre avvenuto tra gli umani, fin dalle epoche preistoriche. Gli europei sono stati sorpresi da questo movimento, quando il processo di superamento delle aggregazioni politiche nazionali non era stato ancora concluso, in particolare per il rilevantissimo sforzo di assimilazione degli stati europei usciti dal comunismo. Ma anche la religione è stata sorpresa. La Polonia del Wojtyla e l’Ungheria, in maggioranza cattolica, stati dove il nazionalismo culturale era stato fonte di resistenza contro il comunismo, hanno prodotto un movimento politico contrario all’integrazione dei migranti, sulla base di una cultura nazionalista comprendente anche elementi religiosi. I cattolici italiani, indirizzati sulla via polacca durante il regno del Wojtyla, li stanno istintivamente seguendo, anche se la via della chiusura delle frontiere non è fisicamente possibile quando, come da noi,  le frontiere sono marittime.
  Non riusciamo a riconoscere nei migranti, in particolare nelle culture degli africani, gli elementi culturali che ce li accomunano, e questo anche se la loro prima o seconda lingua è una lingua europea. Ci dimostriamo conseguentemente  incapaci di dialogo e quindi di vera integrazione. La reazione istintiva è quella del rifiuto e del tentativo (destinato a fallire nella maggior parte dei casi) di respingimento.  Un problema molto serio che si presenta a livello delle masse e anche tra i più giovani, che sono molto più colti delle generazioni precedenti. Leggiamo un documento importantissimo della dottrina sociale quale l’enciclica  Lo sviluppo dei popoli - Populorum progressio, del papa Giovanni Battista Montini - Paolo 6°, del 1967, e lo sentiamo estraneo. Anche l’intera dottrina sociale sta divenendo estranea alle masse, e quindi ininfluente, sia perché parla un linguaggio colto, che in particolare i più anziani faticano ad  intendere, sia perché prospetta un mondo fatto di un’unica famiglia umana che non risponde all’esperienza di vita dei più, in cui si dà molta importanza ai micromondi sociali in cui ciascuno è inserito e confinato. Anche molti dei discorsi sulle comunità evangelizzatrici  che si fanno in religione presentano questo problema. Per questa via non sarà possibile mantenere la pace fra i popoli, il grande anelito della dottrina sociale contemporanea. Fatalmente, in particolare,  si sarà spinti verso un impegno militare per il contenimento delle migrazioni. L’esperienza storica dovrebbe convincere dell’inutilità e anche della pericolosità di questa impostazione.
  Come italiani ci sentiamo lasciati soli  per aver dovuto fronteggiare, in sessanta milioni, in uno stato tra i più ricchi del mondo e con istituzioni forti, solo una parte della migrazione che ha coinvolto la vicina Libia, abitata da sei milioni di persone, con istituzioni deboli e ancora preda di ciclici episodi di guerra civile, con un’economia nel caos per la concomitante crisi politica, ed infine con larga parte del suo immenso territorio incontrollabile in quanto situato nel deserto del Sahara. Vorremmo che fossero la Libia, o Malta, uno stato-arcipelago molto piccolo di mezzo milione di persone in mezzo al mare, a bloccare le moltitudini che sono riuscite a superare il Sahara. Forse, in definitiva, vorremmo che fossero proprio il Sahara e il Mar Mediterraneo a continuare a decimare i migranti. E si sta parlando di far allontanare dalle coste africane le nostre navi militari impegnate nella missione di sorveglianza per il soccorso dei migranti, mentre sta avendo successo l'azione di contrasto all'azione delle navi mandate da organizzazioni non governative. A differenza dei mercantili di passaggio, si trattava di navi mandate con lo scopo di salvare la gente in mare. Arretrandole o impedendone l'azione, i migranti non tenteranno più la via del mare? L'esperienza insegna che non sarà così. Si tornerà alla situazione di prima. Tenteranno e molti moriranno affogati. Questo sembra non fare più scandalo, nemmeno in ambito religioso. Sembra che si possa seguire il cattivismo  di certa politica cattiva e fare ogni domenica la Comunione, pregando il  Padre Nostro.  Del resto non era lo stesso in tempo di guerra? Stiamo tornando indietro. Stiamo prendendo congedo dal magistero sociale di pace e la pace pare non rientri più nel bene comune nazionale, né in quello  universale.  L'Europa, ad un certo punto, seguendo la via indicata dai Papi, volle la pace e la ebbe; ora ha iniziato ad andare per altra via. Però non raccontiamoci e non crediamo alle favole: avremo la guerra. 
 Siamo nel bel mezzo di un passaggio di fase storica, in cui il nostro  mondo e la nostra stessa civiltà stanno cambiando.   Purtroppo sembra che la dottrina sociale abbia oggi poco da dire e che, quando lo dice, non sia presa sul serio. C’è stata una carenza di formazione che va sanata. Ma c'è anche, e molto serio, un conflitto non risolto tra le visioni che approssimativamente possiamo ricondurre al Montini e al Wojtyla. 
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa  - Roma, Monte Sacro, Valli.

martedì 26 giugno 2018

Apostasia


Apostasia




  In democrazia  è normale che si producano ciclicamente delle svolte politiche. Ciò che stiamo vivendo in Italia è però qualcosa di molto più profondo. La nostra gente teme le migrazioni, in particolare quelle dalla vicina Africa. Vuole che si crei una barriera che le impedisca. La cosa riesce più difficile che negli stati con flussi migratori verso frontiere terrestri. L’Italia è una penisola ed è attraverso il mare che giunge la gente più disperata. Tuttavia la comunità straniera più numerosa, quella dei romeni, con oltre un milione di persone, è arrivata via terra. Si tratta di cittadini europei, hanno diritto di stare tra noi, come noi abbiamo diritto di stare in Romania. A loro, che storicamente ci erano stati a lungo nemici, abbiamo riservato un trattamento diverso da quello degli africani e degli asiatici, molto meno numerosi, anche degli africani che hanno avuto legami culturali più intensi con noi, per via delle colonizzazioni, ad esempio Eritrei, Etiopi, Somali e Libici. Ma all’inizio degli anni ’90, alla caduta del regime del presidente somalo Siad Barre, il quale aveva mantenuto intensi rapporti con l’Italia, assecondammo una grandiosa migrazione dalla Somalia al Canada, via Roma, controllata dalle Nazioni Unite. I somali arrivavano a Roma in aereo e, fatte le pratiche per l’immigrazione in Canada, ripartivano per l’America.  Gli africani si integrarono molto bene in America.
   L’Africa sta crescendo, sia come popolazione sia come ricchezza. E’ per questo che c’è sempre più gente che ha il denaro che serve per raggiungere irregolarmente l’Europa e desidera farlo. Cerca di raggiungere l’Europa perché è di cultura europea. Ad esempio: i nigeriani parlano inglese. Molta della gente che arriva è cristiana, come  molti degli etiopi e dei nigeriani. Molti sono di cultura francese. I somali sono stati inculturati dagli italiani. Perché noi europei andammo in Africa, e nel resto del mondo, per colonizzare? Per fare gli altri come noi. Ci siamo riusciti. Ma in Europa abbiamo costruito qualcosa che nelle altre parti del mondo ancora non c’è. Non si tratta solo della ricchezza, anche se noi europei facciamo parte della parte minoritaria ricca del mondo. Noi italiani, nel colonizzare, pensammo anche di svolgere una missione religiosa. Volevamo affratellarci i colonizzati. Ora questi ultimi ci credono.
  Tra noi e l’Africa che migra c’è il deserto del Sahara. Di solito da ragazzi non ci si appassiona alla geografia, e le conseguenze si vedono. Gente di primo piano mostra di non sapere che cosa è il Sahara. Il braccio di mare che ci divide dall’Africa è poca cosa rispetto a quel deserto. Nel deserto c’è il nulla, da punto di vista dell’umanità. Non si costruisce nulla, è impossibile farlo. La gente si perde, i veicoli arrancano e si piantano. Più  o meno abbiamo un’idea di quante migliaia di persone muoiono ogni anno in mare migrando verso di noi, ma non dei morti nel deserto.  Le tempeste cambiano continuamente il volto della parte sabbiosa. Individuare gruppi che si muovono nel deserto è impresa disperata. La guerra nel deserto è la peggiore che si possa immaginare. L’epopea della Legione Straniera francese lo dimostra, con avamposti attaccati e distrutti da combattenti che poi sparivano subito. Con grande difficoltà, e crudeltà estrema, il fascismo riuscì alla fine ad avere ragione dei combattenti nel deserto del Sahara. Restò a lungo bloccato sulle coste, che aveva strappato all’Impero Ottomano. Nessuno, oggi, si azzarda ad intervenire militarmente da quelle parti, se non con piccoli contingenti che possono essere rapidamente sgomberati. Anni fa stavamo per andare, ma il Presidente del Consiglio dell’epoca, saggiamente consigliato dai suoi predecessori, si fermò. Oggi, sull’onda dell’ira popolare, potrebbe andare diversamente.  Ancora di recente ci stava per essere assegnato un avamposto nel deserto controllato dai francesi, con la Legione Straniera.
  Dunque: vogliamo respingere senza tanti complimenti. Dobbiamo però avere ben chiaro questo: non è possibile seguire la nostra religione e pensarla in quel modo. E’, infatti,  il Signore che ci viene incontro nei sofferenti che migrano. Chi lo dice? Ad esempio lo dicono i Papi.
  Trascrivo, per dare un’idea, l’accorato insegnamento di Joseph Ratzinger - Benedetto 16°, che ho trovato nell’antologia  Liberare la libertà - Fede e politica nel Terzo Millennio, Cantagalli, 2018, €18, a pag.20,  nel capitolo   Il Venerdì Santo della storia: uno sguardo sul Ventesimo secolo:
«Non è un caso che la fede in Dio parta da un capo ricoperto di sangue e ferite, da un Crocifisso; e che invece l’ateismo abbia per padre Epicuro, il mondo dello spettatore sazio.
 D’improvviso balena l’inquietante, minacciosa serietà di quelle parole di Gesù che abbiamo spesso accantonato perché le ritenevamo sconvenienti: è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel Regno dei Cieli. Ricco vuol dire uno che ‘sta bene’, uno cioè che è sazio di benessere materiale e conosce la sofferenza solo dalla televisione. Proprio di Venerdì Santo non vogliamo prendere alla leggera quelle parole che ci interpellano ammonitrici. Di sicuro non vogliamo e non dobbiamo procurarsi dolore e sofferenza da noi stessi. E’ Dio che infligge il Venerdì santo, quando e come vuole. Ma dobbiamo imparare sempre più -e non solo a livello teorico, ma anche nella pratica della nostra vita- che tutto il buono è un prestito che viene da Lui e ne dovremo rispondere davanti a Lui. E dobbiamo imparare -ancora una volta, non solo a livello teorico, ma nel modo di pensare e di agire- che accanto alla presenza reale di Gesù nella Chiesa e nel Sacramento, esiste quell’altra presenza reale di Gesù nei più piccoli, nei calpestati di questo mondo, negli ultimi, nei quali egli vuole essere trovato da noi. E, anno dopo anno, il Venerdì Santo ci esorta in modo decisivo ad accogliere questo nuovamente in noi.»
  Quel respingimento che ci proponiamo, collettivamente, è dunque un respingere il Signore,  un peccato grave, un atto empio, e siccome lo facciamo collettivamente, è anche una struttura sociale di peccato, è male sociale. Non solo facciamo male a noi stessi e agli altri, ma induciamo gli altri al male. Non ci pentiamo, non ci convertiamo, pensiamo di essere nel giusto, e chi fa così è perduto: non c’è perdono per chi non riesce a chiedere perdono, lo ha insegnato papa Francesco. Facciamo peccato anche con frasi cattive che buttiamo lì per strada, o battendo sui tasti del nostro pc. C’è chi fa peggio, certo. Chi deve e può decidere della vita o della morte di altri. Ma se lo fa in  nostro nome, siamo anche noi corresponsabili. In democrazia funziona così. Si è responsabili di tutto.
  Con che spirito ci azzardiamo a recitare il Padre Nostro e fare la Comunione dopo certe cattiverie? Comunioni sacrileghe. Noi preghiamo, quelli che respingiamo pregano; noi da casa nostra, quelli nel deserto, nei campi libici o in mezzo al mare, a volte tra i tormenti e in tempo di morte. Quale preghiera sarà ascoltata? Noi siamo dalla parte di Caino. Se non avessimo tacitato la coscienza e atterrito con la nostra empia protervia anche i nostri maestri, che non se la sentono più neanche di farci la predica, poveri grilli parlanti acciaccati contro il muro, sentiremmo risuonare in noi le tremende parole bibliche:
Allora il Signore disse a Caino: "Dov'è Abele, tuo fratello?". Egli rispose: "Non lo so. Sono forse il guardiano di mio fratello?". Riprese: "Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo! Ora sii maledetto lungi da quel suolo che per opera della tua mano ha bevuto il sangue di tuo fratello. Quando lavorerai il suolo, esso non ti darà più i suoi prodotti: ramingo e fuggiasco sarai sulla terra". [versione CEI 2008].
 Significa che chi non riconosce più l'umanità negli altri, perderà anche la propria. Se ci si comporta da belve, le nostre antiche progenitrici, sopprimendo in noi ciò che ci fa diversi da loro, si ritornerà belve in un mondo di belve. Da belve discendiamo, belve possiamo tornare. 
 Ci sentiamo male, andiamo al pronto soccorso di un ospedale pubblico, e ci inalberiamo, protestando ad alta voce, se non si prendono cura di noi. Vogliamo soccorso gratuitamente. Paghiamo le tasse, diciamo. Se anche è vero, ciascuno in coscienza sa se è vero, nella maggior parte dei casi le nostre tasse non coprono il costo delle nostre cure mediche. Perché la Regione deve pagarci il medico, la degenza e le cure? Ed è lo stesso quando pretendiamo pensioni più alte di quelle che ci spetterebbero in base ai contributi versati, o addirittura senza aver versato alcun contributo, come  accade per le pensioni sociali o per l'indennità di accompagnamento.  Nella maggior parte del mondo non avviene, e neanche in uno stato ricco come gli Stati Uniti d’America.  Chiediamo di non essere abbandonati, lo abbiamo scritto nelle nostre leggi. Sono cose come queste che attirano la gente da fuori. La finiranno di venire quando cambieremo quelle leggi, divenendo spietati, abbandonando i sofferenti, i vecchi e i malati poveri, lasciando che sia la legge del più forte a dominare. Distruggendo la nostra Unione Europea. Ma allora, badate, si starà tutti peggio.
 Siamo su quella via.
  Ci conviene?
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli