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Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

Dall’anno associativo 2020/2021 il gruppo di AC di San Clemente Papa si riunisce abitualmente il secondo, il terzo e il quarto sabato del mese alle 17 e anima la Messa domenicale delle 9. Durante la pandemia da Covid 19 ci siamo riuniti in videoconferenza Google Meet. Anche dopo che la situazione sanitaria sarà tornata alla normalità, organizzeremo riunioni dedicate a temi specifici e aperte ai non soci con questa modalità.

Per partecipare alle riunioni del gruppo on line con Google Meet, inviare, dopo la convocazione della riunione di cui verrà data notizia sul blog, una email a mario.ardigo@acsanclemente.net comunicando come ci si chiama, la email con cui si vuole partecipare, il nome e la città della propria parrocchia e i temi di interesse. Via email vi saranno confermati la data e l’ora della riunione e vi verrà inviato il codice di accesso. Dopo ogni riunione, i dati delle persone non iscritte verranno cancellati e dovranno essere inviati nuovamente per partecipare alla riunione successiva.

La riunione Meet sarà attivata cinque minuti prima dell’orario fissato per il suo inizio.

Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

NOTA IMPORTANTE / IMPORTANT NOTE

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Il sito della parrocchia:

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domenica 28 gennaio 2018

I cattolici italiani e la politica: il clerico-fascismo

I cattolici italiani e la politica: il clerico-fascismo

  Ho vissuto una vita intera tra i cattolici italiani e me ne sono fatto un’idea. Essa dipende dalle esperienze che ho fatto ed è inevitabilmente parziale, come lo sono quelle degli esseri umani. Per i nostri limiti cognitivi di specie non possiamo mai avere un’immagine veramente realistica della complessità. Cerchiamo di farcela con l’aiuto della statistica, ma non di rado essa ci delude, in particolare nelle epoche di cambiamento, negli snodi della storia, nei quali è come quando nel gioco delle bocce c’è un tiro molto forte e dall’alto e allora l’ordine sul campo è improvvisamente e violentemente scombinato, con le bocce che iniziano a muoversi scontrandosi senza che si possa capire veramente dove andranno a finire. Chi ha tirato aveva uno scopo, sempre però limitato, circoscritto, perché è così che noi umani ci orientiamo, decidiamo e agiamo, ma è andato, con il suo tiro, a produrre altri effetti. Allora si mette in mezzo il caso, il fato, la dea fortuna: la verità è che per qualche istante si è perso il controllo della situazione. Accade talvolta anche nei passaggi di fase della storia.
  Dunque, mi sono fatta l’idea che se il Papa potesse essere eletto dagli italiani, Jorge Mario Bergoglio non avrebbe avuto nessuna possibilità di riuscire. Viene veramente da un altro mondo. Lo stesso direi per Roncalli, Montini, Luciani e Wojtyla. Gli italiani andrebbero probabilmente a cercarsi uno come Achille Ratti, il Papa dei patti  con il Mussolini. Il Papa della conciliazione  con i violenti, che non criticò veramente le guerre coloniali stragiste del regime (si ricorda comunque un isolato discorso dell'agosto 1935, in cui definì la guerra d'Etiopia ingiusta, lugubre  e  indicibilmente  orribile), né il suo incrudelire in Italia. 
 Colui che il 13 febbraio 1929, parlando ai professori e agli studenti dell’Università Cattolica di Milano, disse, riferendosi alla firma dei Patti Lateranensi di due giorni prima:
«Dobbiamo dire che siamo stati anche dall’altra parte nobilmente assecondati. E forse ci voleva anche un uomo come quello che la Provvidenza Ci ha fatto incontrare; un uomo che non avesse le preoccupazioni della scuola liberale, per gli uomini della quale tutte quelle leggi, tutti quegli ordinamenti, o piuttosto disordinamenti, tutte quelle leggi, diciamo, e tutti quei regolamenti erano altrettanti feticci e, proprio come i feticci, tanto più intangibili e venerandi quanto più brutti e deformi. E con la grazia di Dio, con molta pazienza, con molto lavoro, con l’incontro di molti e nobili assecondamenti, siamo riusciti « tamquam per medium profundam eundo» [=mediando per radicare. traduzione libera mia] a conchiudere un Concordato che, se non è il migliore di quanti se ne possono fare, è certo tra i migliori che si sono fin qua fatti; ed è con profonda compiacenza che crediamo di avere con esso ridato Dio all’Italia e l’Italia a Dio.»
[il testo del discorso può essere letto in http://w2.vatican.va/content/pius-xi/it/speeches/documents/hf_p-xi_spe_19290213_vogliamo-anzitutto.html]
  Il Papa, tra quelli del Novecento, che, con Vincenzo Gioacchino Pecci, non ha la minima probabilità di essere fatto santo. Il Pecci per aver inaugurato la dottrina sociale moderna, quella basata sull’idea di giustizia sociale: troppo consonante con il socialismo, dal quale pure tenne a prendere le distanze condannando la democrazia con l’enciclica Le serie divergenze [sulle questioni sociali] - Graves de Communi  del 1902. Il Ratti per il suo atteggiamento verso le politiche fasciste.
 Il clerico-fascismo, quello che si radicò  tra noi dal 1929 al 1938, è ancora una forza culturale potente ed emerge, inconsapevolmente, in molti discorsi che si fanno in religione. Questo è il risultato del lavoro del Ratti e di chi, tra i  nostri capi religiosi del suo tempo, la pensava come lui. Non sono bastati i successivi Papi a modificare veramente questo orientamento. Del resto, ad esempio, Eugenio Pacelli, il quale pure nel 1939 chiuse con il fascismo mussoliniano, mostrava di apprezzare il franchismo spagnolo: probabilmente riteneva accettabile un fascismo senza un razzismo estremo e non guerrafondaio in Europa. Forse oggi sarebbe del partito di quelli che riconoscono: qualcosa di buono l’ha fatto. Che cosa, poi? Dal punto di vista della Chiesa cattolica, quei Patti  del 1929 che, pur legando politicamente le mani ai cattolici, diedero nuovamente alla nostra gerarchia religiosa il pieno dominio religioso sugli italiani, e tanti soldi, e una specie di stato a Roma. Tra il 1931 e il 1938 la potente organizzazione politica dell’Azione Cattolica fu sostanzialmente inquadrata nel regime, fatta eccezione per i rami  intellettuali, FUCI  e Laureati Cattolici. Il fascismo mussoliniano non è sopravvissuto alla morte del suo fondatore e capo supremo, quelli che oggi si dicono fascisti appaiono molto diversi da quelli del Ventennio, ma il clerico-fascismo sì, si è tramandato: del resto è proprio questo che fanno le Chiese, tramandare di generazione in generazione; il modo più sicuro per tramandare un’ideologia politica è di sacralizzarla incorporando una fede religiosa.
2. Il clerico-fascista è una persona che teme il disordine. E’ un conservatore: la società gli sta bene come è, con il livello di ingiustizia che c’è; egli lo ritiene accettabile, non pensa che possa farsi di meglio. Ha uno sguardo disilluso sull’umanità: ognuno fa il proprio interesse, pensa a sé e, lasciato a sé stesso, il mondo va verso il caos. Si vede inserito in un certo ordine che gli procura da vivere. Cambiandolo, dove si andrà e, soprattutto, dove e quale sarà il suo posto? E’ un ordine che subisce: ci si è trovato dentro nascendo. E’ fuori del suo controllo. Per mantenerlo c’è bisogno che qualcuno di potente agisca da fuori: un demiurgo, uno che mette ordine nella società e lo mantiene. Il clerico-fascista non ha fiducia nel soprannaturale come soprannaturale: chi l’ha mai visto? Ma neanche nei suoi capi religiosi. Non si sono sempre appoggiati ai potenti della Terra? Hanno indicato la via, ma da soli sono sempre stati incapaci di imporla. Occorre trovare un potente vero, uno deciso, capace di porsi al di sopra dei conflitti sociali di interesse, dominandoli con la forza. Deve però seguire la via indicata dalla religione, perché altrimenti si sarà completamente nelle sue mani  e l’esperienza insegna che così il più debole finisce in genere male. E’ necessario, quindi, che trono e altare trovino un’intesa, dando all’altare la forza che non avrebbe in società e al potere la prospettiva dell’eternità religiosa, la sua sacralizzazione. La sottomissione all’uno e all’altro dà sicurezza: il proprio posto sembra garantito dalla religione e dalla forza, Cielo e Terra cooperano in questo. Certo, qualcosa occorrerà cedere all’uno e all’altro. Il clerico-fascista ha uno sguardo smaliziato sul mondo: sa che nessuno potente si rabbonisce senza che gli si dia un tributo. Il prezzo dell’operazione: la libertà che dà la buona coscienza. Qualcuno ci rimetterà. Nessun privilegio è senza un costo per qualcun altro. Il privilegio della sicurezza sociale sarà pagato da altri, dai nemici dei potenti che si sono accordati. Anche al fascismo questo prezzo è stato pagato: la liquidazione di ogni dissidenza, in  particolare dei socialisti; lo stragismo in Africa, e poi il disastro della guerra, pagato da tutti gli italiani di allora, perché «tutti quelli che mettono mano alla spada periranno di spada», come è scritto (Mt 26,52). E’ un patto diabolico, nel vero senso religioso, quello che si conclude con i violenti. Il Papato nel 1939 tentò di sganciarsene, cercando tuttavia di salvare il salvabile in termini di privilegi e di ricchezze: li riteneva indispensabili per il suo alto ministero, e ancora in fondo è così. I Patti  entrarono anche nella Costituzione repubblicana. Ma, in un certo senso, continuano a fare danni, ostacolando la riforma religiosa. Il Papa oggi regnante non sembra infatti riuscire ad avere ragione del coacervo burocratico insediato in quella specie di stato insediato dal Mussolini sul colle Vaticano. Egli, più che sovrano, vi appare prigioniero.
3. Quello di cercare di eradicare il clerico-fascismo è stato uno dei lavori fondamentali dell’Azione Cattolica del dopo Concilio, a partire dalla presidenza di Vittorio Bachelet, dal 1964. La democrazia entrò nel nuovo statuto dell’associazione. Quest’ultima venne definita palestra di democrazia. Democrazia non è solo il metodo per cui si fa quello che decide una maggioranza: è un sistema di valori, che giuridicamente si scrivono come diritti e  doveri. Esso deve inculturarsi nelle masse, da ideologia e diritto  deve fasi vita e pensiero delle persone e dei gruppi. Deve divenire pratica quotidiana. Vediamo quindi che in Azione Cattolica non emergono capi carismatici, si vota per eleggere i dirigenti e il potere di questi ultimi è limitato in durata e estensione. La struttura dell’associazione è federale, con ampia autonomia dei livelli locali, a partire dalle parrocchie. Nata nel 1906 come un partito dominato da un autocrate religioso, un vero e proprio partito del Papa, si è trasformata nell’assimilazione della democrazia contemporanea, come sistema di valori, per fare quel nuovo lavoro in società che si voleva facesse: trasformare la società secondo i valori religiosi elaborandone autonomamente i principi democratici, facendo ordine a partire dalle coscienze delle persone, contrapponendo la potenza della coscienza ben formata a quella della violenza sociale di chiunque si proponesse di nuovo come demiurgo. Un processo che si è fatto faticoso a partire dagli anni ’80 per effetto delle politiche del Papato del Wojtyla. Sono stati gli anni dell’eclisse dell’Azione Cattolica italiana. Quelli in cui il clerico-fascismo, potenza mai veramente sopita, ha manifestato vigorosi segni di ripresa.
  Wojtyla era una persona molto fascinosa: tutti noi giovani degli anni ’70 ne fummo colpiti e attratti. Ma non comprendeva la realtà sociale e politica italiana. Fu uno dei grandi Papi politici  della storia, ma la sua politica non fece bene all’Italia. Aprì la via a ciò che c’è ora, quello che molti criticano come politica degradata, che ha perso il contatto vitale con la gente, con le masse, dedita più che altro alla propaganda elettorale. L’accentramento della politica del Wojtyla determinò un papismo  ingenuo che ancora per certi versi ci affligge: da ciò una minore autonomia del laicato, sostituita da un autonomo attivismo politico della gerarchia religiosa. I nostri vescovi hanno preso a diffidare del nostro laicato. L’hanno sospettato di simpatie socialiste e il socialismo fu sempre considerato dal Wojtyla il massimo antagonista, sia dal punto di vista religioso che politico. In effetti la nostra Costituzione, e quindi la democrazia che da essa è scaturita, è piena di elementi di socialismo, chiaramente riconoscibili. Intendeva dare competenza politica alle masse e questo non è possibile senza realizzare l’effettività dei diritti e doveri sociali fondamentali che viene propugnata dal socialismo. Dagli anni ’90 la democrazia secondo la Costituzione è stata oggetto di duri attacchi e sono enormemente aumentate le diseguaglianze sociali, non le differenze che riguardano la maggiore o minore agiatezza che sempre ci saranno, ma quelle nelle libertà fondamentali per l’affermazione di una democrazia di popolo: la libertà dall’ignoranza, dal bisogno, dalla malattia,  dallo sfruttamento e dalla violenza. Sempre meno risorse vengono destinate ai servizi pubblici che servono a realizzarle e il lavoro si è fatto più precario e meno retribuito. Sosteneva Giorgio La Pira (1904-1977), uno dei più importanti ideatori della nostra democrazia di popolo: “Il lavoro è sacro, il pane è sacro, la casa è sacra!”.  Possiamo ancora riconoscerci in queste parole? O, ancora, come cattolici, abbiamo un debole per quell’altra sacralizzazione, quella che portò all’accordo con i violenti del fascismo mussoliniano, per fare  ordine  in società?
  La storia insegna che i demiurghi deludono. L’ordine che portano è fondato sull’ingiustizia e non è stabile. Solo l’ordine che deriva dalla retta coscienza e dal perseguire la giustizia sociale lo è. Non è però un lavoro da autocrati, di chi mira innanzi tutto al potere per il potere, prima il potere e poi si vedrà, ma richiede un’inculturazione nelle masse, per dar loro competenza politica e, in primo luogo, perché sappiano riconoscere ogni potere che tenda ad essere autocratico ed esercitino una valida critica sociale nei suoi confronti. Un lavoro che comprende sempre l’autocritica: anzi si parte sempre da lì.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli



sabato 27 gennaio 2018

Pace, giustizia e il conflitto latente nella società

Pace, giustizia e il conflitto latente nella società

1.    Molta più gente che in passato non va a votare, quando ci sono le elezioni. Questo fatto viene definito astensionismo, volendo indicare quella tendenza sociale per cui non si è più interessati a partecipare alla vita politica con il voto. Si possono individuare due motivi di questo atteggiamento. Il primo è la convinzione di inutilità del voto: si vota, ma tutto resta com’è, non si cambia mai. Il secondo è che si ha la sensazione di non capire più nulla di come va la società. Essi manifestano un  calo della competenza politica nelle masse. Se, infatti, si capisse la società, si comprenderebbe che non solo le cose possono cambiare, ma anche che sono molto cambiate e velocemente. In particolare, sono proprio le masse, i più, ad averci rimesso. In democrazia, un sistema politico in cui contano le maggioranze, e in cui quindi le masse hanno la possibilità di farsi valere con la forza del numero, non dovrebbe succedere, e invece è accaduto. Le masse hanno perduto coscienza delle loro condizioni e si presentano in società in ordine sparso, in una condizione  atomizzata, ciascuno per conto suo. Poi questi atomi sociali tendono ad aggregarsi precariamente in modo più o meno causale. I sociologi descrivono questo disgregarsi come il prodursi di una poltiglia sociale, o   società liquida. Questo consente ai comitati di potere, ai gruppi che, comandando già in società avendo conquistato posizioni di privilegio, vogliono consolidare la propria posizione conquistando il potere politico, quello che consente di dettare legge, di dominare, da posizioni di minoranza, quali sono quelle dei privilegiati sociali, le maggioranza, le masse.
2.  In Italia esercitare la critica sociale è piuttosto scomodo per la gerarchia religiosa  della nostra fede. Questo perché la nostra Chiesa dipende per la sua sopravvivenza dall’imponente finanziamento pubblico che le viene da un accordo concluso con la Repubblica italiana nel 1984 e che le porta ogni anno circa un miliardo di euro (dai conteggi diffusi dalla Conferenza Episcopale Italiano ammonta a oltre un miliardo di euro nel 2016 e un po’ meno di un miliardo nel 2017). Così può spiegarsi una certa differenza di toni tra le posizioni del Papato, che dispone di ingenti risorse proprie e non dipende dal finanziamento pubblico italiano, e quelle degli altri vescovi in Italia. Le prime appaiono senz’altro più decise, in particolare sul tema delle inequità, il neologismo introdotto nell’italiano da papa Francesco e che significa diseguaglianza ingiusta, che è quella che riguarda le condizioni sociali indispensabili per una vita degna e, in particolare, lavoro, casa, sicurezza sociale.
  La vigilia di Capodanno del 1980 partecipai con degli amici ad  una marcia per la pace e ad una veglia. Si partì dal Colosseo per arrivare alla basilica di San Giovanni il Laterano. Al Colosseo parlò rav Elio Toaff, che era Rabbino capo a Roma. Disse che non c’è vera pace senza giustizia: questo l’insegnamento biblico. Forse me ne avevano parlato anche prima, in religione, ma quella fu la prima volta che veramente lo capii. Senz’altro non me ne avevano parlato calcando la mano sull’importanza del tema. Altrimenti ci avrei fatto caso. La mia competenza politica che aveva risentito. Non ogni pace è vera pace e la pacificazione che comporta l’asservimento ingiusto va chiamata con un altro nome, è tirannia sociale.
  Un modo per arrivare ad una pacificazione fasulla è quello di negare il conflitto sociale, che invece è latente e si basa su un contrasto di interessi. La prima dottrina sociale moderna, quella inaugurata dal papa Vincenzo Gioacchino Pecci, Leone 13°, nel 1891 con l’enciclica Rerum Novarum - Le novità  descrisse bene il conflitto sociale: ne fece un punto di forza nella controversia politica che all’epoca opponeva il Papato al Regno d’Italia, cercando di mobilitare le masse. E’ da questo essenzialmente che nasce il progetto della nostra Azione Cattolica, la cui data di nascita non va situata nell’Ottocento, secondo le ricostruzioni correnti, ma nel 1905, a tempo dell’enciclica Fermo proposito,  diffusa nel 1905 dal papa Giuseppe Sarto, Pio 10°. Successivamente si scoprì la possibilità, l’utilità e la convenienza di un’intesa con lo stato.  Questo produsse la compromissione del Papato con il fascismo, nella negoziazione e stipula, nel 1929, di una serie di accordi chiamati Patti Lateranensi.  A seguito di essi venne profondamente rimodellata la dottrina sociale. Con l’enciclica  Il Quarantennale - Quadragesimo Anno,  in occasione ei quarant’anni dalla Le Novità, il papa Achille Ratti, Pio 11°, spinse  i fedeli italiani alla collaborazione nelle istituzioni fasciste e sviluppò l’ideologia politica della  sussidiarietà  e del pluralismo delle istituzioni, cercando nella politica italiana uno spazio che tuttavia il fascismo era restio a concedere. Per inciso, l’ideologia del Ratti fu posta alla pase della costruzione della nostra Unione Europea. Nei dieci anni in cui si sviluppò l’intesa con il fascismo storico, il mondo cattolico fu profondamente permeato dall’ideologia fascista, che, incorporata nel cattolicesimo italiana, si tramandò di generazione in generazione e sopravvive tuttora sotto specie di clerico-fascismo.  Tre furono  i punti su cui l’intesa franò: la tendenza totalitaria del fascismo, che si fece sempre più marcata negli anni ’30, quindi il rifiuto del principio del pluralismo delle istituzione; l’adesione a razzismo biologico sul modello hitleriano  da suprematismo di civiltà che era il modello razzista che il fascismo aveva condiviso con le altre potenze europee, ideologia che colpiva la figura del Maestro, di etnia ebraica; l’intenzione di partecipare ad una guerra in Europa. E’ a quel punto che venne sviluppato politicamente, in modo innovativo e per certi versi contrastante con l’ideologia religiosa ottocentesca, il principio del personalismo, con il primato della persona umana. Da qui, a partire dal 1939 con il pontificato di Eugenio Pacelli, Pio 12°, il distacco dal fascismo mussoliniano e la costruzione di un’ideologia politica democratica a sfondo religioso, riprendendo, innovandole, le concezioni politiche dei primi democratici cristiani, a cavallo tra Ottocento e Novecento, all’epoca fulminate come sostanzialmente eretiche dal papa Pecci, nel 1902, con l’enciclica Le serie divergenze [sulle questioni sociali] -  Graves de communi.  La nostra nuova Europa, alla cui impostazione diedero un contributo molto importante i cattolici democratici sta tutta qui:  sussidiarietà, pluralismo delle istituzioni, diritti fondamentali della persona umana.  E anche l’idea di giustizia sociale secondo la dottrina: per garantire il pluralismo occorre dare competenza politica alle masse, rendendo effettivi i diritti sociali della persona che a quel fine sono indispensabili.  Questa ideologia ha garantito un lunghissimo periodo di pace in Europa, che proprio di questi tempi sta però tramontando. Non è un caso che questo accada in un’epoca in cui si manifesta, non solo in Italia, un crescente astensionismo elettorale.
3. Molto al lungo si è trascurata, in Italia, la formazione politica delle masse. In particolare questo è avvenuto nei nostri ambienti religiosi. Il processo ha coinciso con il lungo pontificato del papa Karol Wojtyla, dal 1978 al 2005 e con l’eclisse della nostra Azione Cattolica. In quest’epoca ha ripreso vigore il principio teocratico tipico della prima dottrina sociale, in cui l’azione sociale si faceva consistere fondamentalmente nell’eseguire  le direttive papali. Al centro dell’ideologia politica del Wojtyla vi fu la lotta contro ogni tipo di socialismo, ovunque nel mondo, a partire dall’Europa orientale, dove ne erano divenute egemoni versioni comuniste di stampo leninista. Egli ne temeva la forza anti-religiosa insita nella critica sociale della fede come strumento delle classi dominanti. Questo orientamento colpì duramente la democrazia italiana, che si era fondata su una lotta comune e su un costante dialogo con le forze socialiste. La situazione in cui ci troviamo, che risale alla metà degli anni ’80, ne è il risultato.  Si persero acquisizioni ideologiche importanti, che risalgono al pensiero di Giuseppe Toniolo (1845-1918, intellettuale fondamentale nella fondazione dell'Azione Cattolica), il cui proposito, in merito ai rapporti con i socialisti, fu «marciare separati, pugnare uniti». Il Toniolo capì precocemente l’importanza delle dinamiche di classe, quelle che dividono i gruppi sociali secondo la loro posizione nei processi economici: «Grande fatto psicologico (ricorrente nella storia della civiltà) questo spuntare di una  nuova “coscienza di classe”, che alla materia bruta e informe del proletariato veniva a dare uno spirito animatore e un virtù ricostruttiva” [dal capitolo 3° dell’opera Provvedimenti sociali popolari, citata in Achille Ardigò, Toniolo: il primato della riforma sociale per ripartire dalla società civile].  Coscienza di classe  significa masse che hanno acquisito competenza politica e che, dunque, operano collettivamente per produrre cambiamenti sociali. Il  proletariato, citato esplicitamente nell’enciclica  Le Novità, è costituito dalle masse di quelli che non sono privilegiati, i più.  Perdere la  coscienza di classe, quindi del posto in cui collettivamente si è collocati nella stratificazione sociale, significa perdere competenza politica, ritornare  materia bruta e informa, poltiglia sociale o società liquida  come dicono oggi i sociologi. L’era della coscienza di classe fu anche quella minore astensionismo, ai tempi nostri ci troviamo nella situazione opposta.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli
 


martedì 23 gennaio 2018

Programmazione economica

Programmazione economica

[Sintesi dall’enciclica Laudato si’,  del 2015, di papa Francesco]
   […O]ra ciò che interessa è estrarre tutto quanto è possibile dalle cose attraverso l’imposizione della mano umana, che tende ad ignorare o a dimenticare la realtà stessa di ciò che ha dinanzi. Per questo l’essere umano e le cose hanno cessato di darsi amichevolmente la mano, diventando invece dei contendenti. Da qui si passa facilmente all’idea di una crescita infinita o illimitata, che ha tanto entusiasmato gli economisti, i teorici della finanza e della tecnologia. Ciò suppone la menzogna circa la disponibilità infinita dei beni del pianeta, che conduce a “spremerlo” fino al limite e oltre il limite. Si tratta del falso presupposto che «esiste una quantità illimitata di energia e di mezzi utilizzabili, che la loro immediata rigenerazione è possibile e che gli effetti negativi delle manipolazioni della natura possono essere facilmente assorbiti».
 […L]a tecnica ha una tendenza a far sì che nulla rimanga fuori dalla sua ferrea logica, e «l’uomo che ne è il protagonista sa che, in ultima analisi, non si tratta né di utilità, né di benessere, ma di dominio; dominio nel senso estremo della parola».  Per questo «cerca di afferrare gli elementi della natura ed insieme quelli dell’esistenza umana».  Si riducono così la capacità di decisione, la libertà più autentica e lo spazio per la creatività alternativa degli individui.
   Il paradigma tecnocratico tende ad esercitare il proprio dominio anche sull’economia e sulla politica. L’economia assume ogni sviluppo tecnologico in funzione del profitto, senza prestare attenzione a eventuali conseguenze negative per l’essere umano. La finanza soffoca l’economia reale. Non si è imparata la lezione della crisi finanziaria mondiale e con molta lentezza si impara quella del deterioramento ambientale. In alcuni circoli si sostiene che l’economia attuale e la tecnologia risolveranno tutti i problemi ambientali, allo stesso modo in cui si afferma, con un linguaggio non accademico, che i problemi della fame e della miseria nel mondo si risolveranno semplicemente con la crescita del mercato. Non è una questione di teorie economiche, che forse nessuno oggi osa difendere, bensì del loro insediamento nello sviluppo fattuale dell’economia. Coloro che non lo affermano con le parole lo sostengono con i fatti, quando non sembrano preoccuparsi per un giusto livello della produzione, una migliore distribuzione della ricchezza, una cura responsabile dell’ambiente o i diritti delle generazioni future. Con il loro comportamento affermano che l’obiettivo della massimizzazione dei profitti è sufficiente. Il mercato da solo però non garantisce lo sviluppo umano integrale e l’inclusione sociale.  Nel frattempo, abbiamo una «sorta di supersviluppo dissipatore e consumistico che contrasta in modo inaccettabile con perduranti situazioni di miseria disumanizzante»,  mentre non si mettono a punto con sufficiente celerità istituzioni economiche e programmi sociali che permettano ai più poveri di accedere in modo regolare alle risorse di base. Non ci si rende conto a sufficienza di quali sono le radici più profonde degli squilibri attuali, che hanno a che vedere con l’orientamento, i fini, il senso e il contesto sociale della crescita tecnologica ed economica.
 La specializzazione propria della tecnologia implica una notevole difficoltà ad avere uno sguardo d’insieme. La frammentazione del sapere assolve la propria funzione nel momento di ottenere applicazioni concrete, ma spesso conduce a perdere il senso della totalità, delle relazioni che esistono tra le cose, dell’orizzonte ampio, senso che diventa irrilevante. Questo stesso fatto impedisce di individuare vie adeguate per risolvere i problemi più complessi del mondo attuale, soprattutto quelli dell’ambiente e dei poveri, che non si possono affrontare a partire da un solo punto di vista o da un solo tipo di interessi. Una scienza che pretenda di offrire soluzioni alle grandi questioni, dovrebbe necessariamente tener conto di tutto ciò che la conoscenza ha prodotto nelle altre aree del sapere, comprese la filosofia e l’etica sociale. Ma questo è un modo di agire difficile da portare avanti oggi. Perciò non si possono nemmeno riconoscere dei veri orizzonti etici di riferimento. 
  La cultura ecologica non si può ridurre a una serie di risposte urgenti e parziali ai problemi che si presentano riguardo al degrado ambientale, all’esaurimento delle riserve naturali e all’inquinamento. Dovrebbe essere uno sguardo diverso, un pensiero, una politica, un programma educativo, uno stile di vita e una spiritualità che diano forma ad una resistenza di fronte all’avanzare del paradigma tecnocratico.
  Ciò che sta accadendo ci pone di fronte all’urgenza di procedere in una coraggiosa rivoluzione culturale. La scienza e la tecnologia non sono neutrali, ma possono implicare dall’inizio alla fine di un processo diverse intenzioni e possibilità, e possono configurarsi in vari modi. Nessuno vuole tornare all’epoca delle caverne, però è indispensabile rallentare la marcia per guardare la realtà in un altro modo, raccogliere gli sviluppi positivi e sostenibili, e al tempo stesso recuperare i valori e i grandi fini distrutti da una sfrenatezza megalomane.
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  L’idea di programmazione economica è assente dal dibattito politico in vista delle prossime elezioni per il rinnovo del Parlamento. Questo perché, in realtà, nessuno pensa veramente di poter cambiare le cose. Nessuno propone uno sguardo d’insieme per riassumere in modo affidabile le radici più profonde degli squilibri attuali. La propaganda elettorale è fatta confezionando pubblicità con i desideri degli elettori di riferimento, cercando di sollecitare emotivamente la paura o l’avidità dei destinatari degli appelli. Spesso le proposte sono contraddittorie, ma non ce se ne cura, tanto non si pensa veramente di realizzarle. Le cose, infatti, continueranno ad andare come sono finora andate. Non si progettano cambiamenti, quindi non cambieranno. Si tratta di una cultura comune tra le maggiori forze politiche, che si dividono sui particolari e sulle persone che vogliono far emergere al potere. Non si possono nemmeno riconoscere i veri orizzonti etici di riferimento, perché si cerca di non evidenziarli. L’etica dice che cosa è bene e che cosa è male. Un testo come l’enciclica Laudato si’ prende posizione molto chiaramente.  Sostiene che è male l’l’idea di una crescita infinita o illimitata, che ha tanto entusiasmato gli economisti, i teorici della finanza e della tecnologia; che è una menzogna sostenere la disponibilità infinita dei beni del pianeta, che conduce a “spremerlo” fino al limite e oltre il limite. I nostri problemi sociali, le sofferenze dei più, sono legati a squilibri, che hanno a che vedere con l’orientamento, i fini, il senso e il contesto sociale della crescita tecnologica ed economica. In una situazione squilibrata c’è chi vince e c’è chi perde. Le relazioni e gli scambi non sono equi. Non si agisce secondo il principio della collaborazione fraterna ma secondo quello della prevaricazione, per il quale è giusto che prevalga il forte sul debole. Per cambiare occorrerebbe uno sguardo diverso, un pensiero, una politica, un programma educativo, uno stile di vita e una spiritualità che diano forma ad una resistenza di fronte all’avanzare del paradigma tecnocratico; occorrerebbe procedere ad una coraggiosa rivoluzione culturale. In giro  non sembra che ci siano il cuore e la sapienza necessari. Progettare il cambiamento significa programmarlo, vale a dire cominciare da una visione realistica della società e delle cause delle sue sofferenze per poi stabilire una linea di azione duratura e costante nel tempo, per arrivare ad un certo risultato, che è il cambiamento di ciò che fa soffrire. Di questo le forze politiche maggiori non manifestano di essere capaci. Si propone come virtù il moderatismo, si attacca la parola centro- a quelle altre che vorrebbero indicare dove si vuole andare. L’autore dell’enciclica Laudato si’  non sembra un moderato: non bastano di risposte urgenti e parziali ai problemi, sostiene, occorre una coraggiosa rivoluzione culturale per contrastare un’economia di rapina che  tenda dominare anche la politica spremendo fino al limite e oltre il limite solo in funzione del profitto, senza prestare attenzione a eventuali conseguenze negative per l’essere umano. Occorrerebbe però anche un’autocritica, perché gli Occidentali, e anche gli Europei e quindi gli italiani, sono ancora dalla parte di chi impone al mondo quel tipo di economia.
  La programmazione economica virtuosa, orientata al bene, è prevista dalla nostra Costituzione all’art.41, 2° comma:
La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.
  La programmazione la dovrebbe fare innanzi tutto il Parlamento: infatti, secondo la Costituzione, dovrebbe partire dalla legge. In realtà uno spazio legislativo  molto importante hanno anche le Regioni, in particolare dopo la riforma costituzionale del 2001. L’intervento legislativo del Parlamento è ora previsto essenzialmente attraverso misure di finanziamento di soggetti privati o pubblici e di sgravio fiscale o contributivo. Questo ha ridotto le sue capacità di dirigere l’economia. In realtà la programmazione negli  ultimi decenni ha riguardato prevalentemente la finanza pubblica, quindi la raccolta dei tributi e la destinazione dei proventi fiscali, alla ricerca di un equilibrio tra entrate e spese che ora è divenuto anche un obbligo costituzionale, previsto dall’art.81 della Costituzione. Originariamente si pensava a qualcosa di molto più incisivo. Cambiare il modello attuale di sviluppo dell’economia richiederebbe di tornare a quelle concezioni.  In realtà nessuna delle forze politiche maggiori lo vuole: questo infatti non rientra nei programmi proposti agli elettori.
  L’idea di programmazione economica deriva dal comunismo sovietico. Preso atto che l’economia capitalista si dirigeva contro le classi popolari, sfruttandole e dominandole, si collettivizzò l’economia portandola sotto il controllo dello stato. A quel punto si fecero programmi di durata pluriennale, in particolare piani quinquennali, dandosi degli obiettivi di sviluppo economico. Su questa base fu promossa un’industrializzazione spinta, che fu raggiunta in tempi relativamente brevi a partire da un’economia prevalentemente capitalista, ma che fu impiegata prevalentemente per lo sviluppo di una forza militare. Gli obiettivi di quei piani venivano spesso mancati. L’organizzazione creata per raggiungerli si mostrò inefficiente e spesso corrotta; le scadenze che si erano date non si manifestarono realistiche. Il coinvolgimento delle masse era prevalentemente passivo: si eseguivano ordini provenienti dall’alto, come in un esercito. Questo impediva di conoscere veramente la realtà, perché ogni obiezione veniva tacciata come dissenso e punita. Le verifiche venivano fatte prevalentemente a scopo sanzionatorio, non per acquisire elementi di conoscenza dall’esperienza. Il non raggiungimento degli obiettivi veniva imputato alla cattiva organizzazione o all’insufficiente conoscenza, ma alla volontà di opposizione politica.
  L’esigenza di dirigere l’economia perché non facesse danni sociali venne riconosciuta come importante dai costituenti. Si aveva ben chiaro che l’economia, lasciata al dominio dell’avidità sociale e alla competizione tra forti e deboli, si risolve in una violazione della dignità umana, con la prevaricazione dei deboli. La si volle però secondo la legge, quindi con regole fissate democraticamente, non in modo autocratico e autoreferenziale. Si cercò quindi di imparare dall’esperienza del collettivismo sovietico e di non ripeterne gli errori. Fino agli anni ’80 lo stato fu un importante attore economico, non solo mediante la programmazione economica, per cui si parlava di dirigismo nel senso di volontà di pianificare  l’economia, ma mediante una vasta rete di imprese pubbliche, tra le quali alcune delle principali banche.  Dagli anni ’90, con l’affermarsi dell’ideologia neo-liberista, a cui corrispose l’eclisse delle forze socialiste europee, le capacità, e la volontà, di intervento nell’economia si ridussero molto, in particolare con la dismissione, la cessione a privati, delle imprese controllate dallo stato. L’economia pubblica è oggi prevalentemente controllata dai Comuni e serve per svolgere servizi pubblici con la forma giuridica e i metodi di società commerciali. In precedenza quei compiti erano svolti da articolazioni degli stessi Comuni.
  La volontà di cambiare un’economia che causa sofferenze sociali, come sempre la causa l’economia lasciata solo alle forze della concorrenza, può essere segnalata dalla volontà di introdurre regole che amplino di nuovo lo spazio della programmazione economica statale. Non c’è infatti altra via della programmazione per risolvere i problemi sociali complessi. Cambiare programmando significherebbe però incidere sugli assetti dell’attuale stratificazione sociale, in particolare sui livelli crescenti di diseguaglianza sociale. E’ una menzogna l’idea di disponibilità infinita dei beni del pianeta, insegna la dottrina sociale contemporanea. Sollevare le condizioni dei più richiede più equità sociale, quindi di togliere a chi si trova in condizioni di privilegio. Il problema bisognerebbe togliere a chi controlla le dinamiche sociali attuali e, in definitiva, fa  le leggi. Tuttavia, in linea teorica, elezioni democratiche potrebbero portare al potere legislatori che tengano più conto delle condizioni dei non privilegiati, i quali in società sono la maggioranza. Le situazioni di privilegio sociale, di  inequità  come le definisce il Papa, sono possibili solo a danno di maggioranze di sfavoriti. Ciò che si dà in più ai privilegiati viene necessariamente tolto agli altri. Le risorse, infatti, non sono infinite, ma una quantità limitata. Perché le maggioranze non riescono a imporre democraticamente la loro volontà? La ragione è essenzialmente culturale. Chi controlla l’economia, di solito controlla anche la cultura e quindi la rappresentazione della situazione, le narrazioni su ciò che avviene. Un’enciclica come la Laudato si’  cerca di dare elementi per uscire da questa situazione, dando una narrazione diversa.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli



domenica 21 gennaio 2018

A ciascuno il suo

A ciascuno il suo


Pinocchio e il Pappagallo al Campo dei miracoli. Illustrazione originale dell'edizione del 1883, ripubblicata in edizione anastatica da Giunti


[Dall’enciclica Laudato si’, di papa Francesco, del 2015]
53. […]Mai abbiamo maltrattato e offeso la nostra casa comune come negli ultimi due secoli. Siamo invece chiamati a diventare gli strumenti di Dio Padre perché il nostro pianeta sia quello che Egli ha sognato nel crearlo e risponda al suo progetto di pace, bellezza e pienezza. Il problema è che non disponiamo ancora della cultura necessaria per affrontare questa crisi e c’è bisogno di costruire leadership che indichino strade, cercando di rispondere alle necessità delle generazioni attuali includendo tutti, senza compromettere le generazioni future. Si rende indispensabile creare un sistema normativo che includa limiti inviolabili e assicuri la protezione degli ecosistemi, prima che le nuove forme di potere derivate dal paradigma tecno-economico finiscano per distruggere non solo la politica ma anche la libertà e la giustizia.
54. Degna di nota è la debolezza della reazione politica internazionale. La sottomissione della politica alla tecnologia e alla finanza si dimostra nel fallimento dei Vertici mondiali sull’ambiente. Ci sono troppi interessi particolari e molto facilmente l’interesse economico arriva a prevalere sul bene comune e a manipolare l’informazione per non vedere colpiti i suoi progetti. In questa linea il Documento di Aparecida [documento conclusivo della 5° Conferenza generale del CELAM - Consiglio Episcopale Latino-Americano, tenutasi nel 2007] chiede che «negli interventi sulle risorse naturali non prevalgano gli interessi di gruppi economici che distruggono irrazionalmente le fonti di vita». L’alleanza tra economia e tecnologia finisce per lasciare fuori tutto ciò che non fa parte dei loro interessi immediati. Così ci si potrebbe aspettare solamente alcuni proclami superficiali, azioni filantropiche isolate, e anche sforzi per mostrare sensibilità verso l’ambiente, mentre in realtà qualunque tentativo delle organizzazioni sociali di modificare le cose sarà visto come un disturbo provocato da sognatori romantici o come un ostacolo da eludere.
55. A poco a poco alcuni Paesi possono mostrare progressi importanti, lo sviluppo di controlli più efficienti e una lotta più sincera contro la corruzione. E’ cresciuta la sensibilità ecologica delle popolazioni, anche se non basta per modificare le abitudini nocive di consumo, che non sembrano recedere, bensì estendersi e svilupparsi. E’ quello che succede, per fare solo un semplice esempio, con il crescente aumento dell’uso e dell’intensità dei condizionatori d’aria: i mercati, cercando un profitto immediato, stimolano ancora di più la domanda. Se qualcuno osservasse dall’esterno la società planetaria, si stupirebbe di fronte a un simile comportamento che a volte sembra suicida.
56. Nel frattempo i poteri economici continuano a giustificare l’attuale sistema mondiale, in cui prevalgono una speculazione e una ricerca della rendita finanziaria che tendono ad ignorare ogni contesto e gli effetti sulla dignità umana e sull’ambiente. Così si manifesta che il degrado ambientale e il degrado umano ed etico sono intimamente connessi. Molti diranno che non sono consapevoli di compiere azioni immorali, perché la distrazione costante ci toglie il coraggio di accorgerci della realtà di un mondo limitato e finito. Per questo oggi «qualunque cosa che sia fragile, come l’ambiente, rimane indifesa rispetto agli interessi del mercato divinizzato, trasformati in regola assoluta».[citazione dall’esortazione apostolica La gioia del Vangelo - Evangelii Gaudium, del 2013]-
57. E’ prevedibile che, di fronte all’esaurimento di alcune risorse, si vada creando uno scenario favorevole per nuove guerre, mascherate con nobili rivendicazioni. La guerra causa sempre gravi danni all’ambiente e alla ricchezza culturale dei popoli, e i rischi diventano enormi quando si pensa alle armi nucleari e a quelle biologiche. Infatti «nonostante che accordi internazionali proibiscano la guerra chimica, batteriologica e biologica, sta di fatto che nei laboratori continua la ricerca per lo sviluppo di nuove armi offensive, capaci di alterare gli equilibri naturali» [dal Messaggio per la Giornata mondiale della pace  del 1990 del papa san Karol Wojtyla, Giovanni Paolo 2°]. Si richiede dalla politica una maggiore attenzione per prevenire e risolvere le cause che possono dare origine a nuovi conflitti. Ma il potere collegato con la finanza è quello che più resiste a tale sforzo, e i disegni politici spesso non hanno ampiezza di vedute. Perché si vuole mantenere oggi un potere che sarà ricordato per la sua incapacità di intervenire quando era urgente e necessario farlo?


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1.  Se si dice “in quanto figli siamo anche tutti fratelli e quindi, da fratelli, dobbiamo dividere equamente le risorse del  mondo” facciamo un discorso di morale, indichiamo il bene e invitiamo a vivere secondo di esso. La morale, però, ha questo problema: ciascuno, ragionando, trova molte ragioni per esimersene, giustificandosi.
 Se si dice, però, “se non dividiamo equamente le risorse del mondo, si genereranno conflitti disastrosi che distruggeranno l’ambiente dal quale le nostre vite dipendono” o “se non modifichiamo un modello di sviluppo che distrugge l’ambiente dal quale le nostre vite dipendono, mettiamo in pericolo noi stessi e ci comportiamo come suicidi”, facciamo discorsi diversi, secondo i quali, poiché l’alternativa è vita o morte, razionalmente  si sarà portati a quello che l’etica indica come  bene.  Questo appunto è il ragionamento proposto da papa Francesco dall’inizio del suo alto ministero. Implica un’esortazione all’autocritica, di cui lo stesso Papa ha dato l’esempio e questo è tanto più vero per noi Occidentali, che viviamo nella parte più ricca del mondo e pretendiamo di dire a tutti che cosa è che è il loro, la misura dei loro diritti.
  Di solito però noi fedeli siamo abituati a prendere dell’imponente letteratura pontificia ciò che ci aggrada perché ci conviene. Quindi preferiamo discorsi di morale. Quegli altri li sentiamo come sovversivi a  nostro danno. In effetti mettono in questione un modello di sviluppo che conviene a chi domina l’Occidente. Questa è una delle questioni politiche fondamentali, anche in Italia. Ma è assente dalla propaganda elettorale delle formazioni maggiori, quelle che hanno più probabilità di essere chiamate ad esprimere la linea politica di governo, quindi a decidere come intervenire in società con i poteri pubblici dello stato per rimediare ai mali che ci sono. Può quindi prevedersi che non ci saranno grossi cambiamenti, chiunque vincerà le elezioni.
  Naturalmente, un cattolico ha strumenti di orientamento molto più efficaci. La dottrina sociale lo aiuta, in particolare quella diffusa da papa Francesco che ha spiccata natura politica, criticando, per ragioni di sopravvivenza dell’umanità, l’attuale modello di sviluppo.
2.  Di solito si è disposti ad accettare l’idea che le cose vanno male e che servano riforme sociali. Chi ha diretto finora una società in cui le cose si sono messe male? E’ stato osservato che in Occidente il potere politico ha teso a cadere nelle mani di quell’1% della popolazione che controlla più o meno il 40% delle ricchezze della società. Negli stati sottosviluppati (rispetto al modello Occidentale) le cose vanno anche peggio. In effetti quell’1% ha continuato ad arricchirsi nonostante crisi economiche e vere e proprie fasi di recessione: tende ad aumentare l’entità delle ricchezze che controlla. Di chi dunque la responsabilità dei mali sociali? E’ di chi ha dominato la società, indirizzando la politica di governo. Invece, paradossalmente, si individua la colpa di ciò che non va negli ultimi, ad esempio nei  migranti africani che cercano di arrivare da noi in emergenza, per il pericolo che le loro vite corrono in ambienti sociali costruiti sui modelli Occidentali e spesso dominati direttamente dagli Occidentali. Va così anche in molte altre faccende. Com’è che la sanità pubblica non funziona bene? Perché ci sono troppi malati. Perché nei quartieri dove sono spinti i più poveri non si vive bene come nei quartieri dove vivono i più ricchi? E colpa dei poveri.
   Nell’Ottocento, osservando quanti poveri c’erano in giro in Europa, si propose l’idea che tutto dipendeva dal fatto che nascevano  troppi poveri. E questo in un continente che stava arricchendosi a dismisura predando le ricchezze di tutto il mondo (il maggior potere politico globale  degli Europei fu raggiunto nel trentennio prima del 1914, non a caso chiamato in Europa Belle Epoque, l’Era Bella). Quindi si propose come soluzione di contenere l’aumento della popolazione povera, riducendo la natalità dei poveri. Questa  è sostanzialmente l’orientamento ancora seguito nei Paesi sottosviluppati da diverse organizzazioni internazionali dominate dagli Occidentali. Anche da noi in Italia è stata un’idea che ha avuto seguaci. Sembrava che i poveri facessero troppi figli e che questa fosse la causa della povertà sociale. Poi, dagli anni ’70, la natalità ha preso a crollare: la gente infatti ha imparato la lezione che con meno figli si sta meglio. Ma la povertà è rimasta. Non solo: anche la classe che chiamiamo  media e che sta tra i ricchi e quelli che hanno appena di che vivere ha cominciato a impoverirsi.
  L’idea dell’eccessiva natalità dei poveri come origine della povertà è stata espressamente criticata nell’enciclica Laudato sì:
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50. Invece di risolvere i problemi dei poveri e pensare a un mondo diverso, alcuni si limitano a proporre una riduzione della natalità. Non mancano pressioni internazionali sui Paesi in via di sviluppo che condizionano gli aiuti economici a determinate politiche di “salute riproduttiva”. Però, «se è vero che l’ineguale distribuzione della popolazione e delle risorse disponibili crea ostacoli allo sviluppo e ad un uso sostenibile dell’ambiente, va riconosciuto che la crescita demografica è pienamente compatibile con uno sviluppo integrale e solidale».[citazione dal Compendio della dottrina sociale della Chesa] Incolpare l’incremento demografico e non il consumismo estremo e selettivo di alcuni, è un modo per non affrontare i problemi. Si pretende così di legittimare l’attuale modello distributivo, in cui una minoranza si crede in diritto di consumare in una proporzione che sarebbe impossibile generalizzare, perché il pianeta non potrebbe nemmeno contenere i rifiuti di un simile consumo. Inoltre, sappiamo che si spreca approssimativamente un terzo degli alimenti che si producono, e «il cibo che si butta via è come se lo si rubasse dalla mensa del povero».[da una catechesi di papa Francesco del 5-6-13] Ad ogni modo, è certo che bisogna prestare attenzione allo squilibrio nella distribuzione della popolazione sul territorio, sia a livello nazionale sia a livello globale, perché l’aumento del consumo porterebbe a situazioni regionali complesse, per le combinazioni di problemi legati all’inquinamento ambientale, ai trasporti, allo smaltimento dei rifiuti, alla perdita di risorse, alla qualità della vita.
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3.  I socialisti, dall’Ottocento, ragionando, si sono invece convinti che l’origine della povertà sia un fatto sociale: è la società a decidere chi deve essere ricco e chi povero e a perpetuare la ricchezza dei più ricchi di generazione in generazione. Sotto il loro influsso le politiche pubbliche, affermandosi le democrazie di popolo, hanno introdotto dei correttivi, quando la democrazia ha funzionato e la voce delle maggiorane ha potuto trovare ascolto ed espressione. Oggi l’idea che queste misure di equità sociale siano necessarie ha perso  la connotazione socialista, non se ne ricorda più la fonte storica, rientra nelle politiche dette con termine inglese di  welfare  che significa dirette ad elevare il benessere pubblico. Queste ultime sono entrate in crisi a partire dagli anni ’80, a causa dell’affermarsi di teorie economiche secondo le quali le risorse impiegate in quel settore deprimerebbero l’economia, trascinata dall’intraprendenza e dall’avidità dei privati. Secondo queste ideologie, sarebbe meglio lasciare libero spazio alla  competizione  tra gli agenti economici, imprese e consumatori, intervenendo solo quando le cose si mettono veramente male per slealtà dei competitori o eccessivo loro incrudelire. Si tratta di convinzioni che sono manifestate, a prescindere dalla  confezione  propagandistica in cui sono incastonate, dal proposito di  ridurre le tasse. E’ un punto che troviamo nelle proposte elettorali di tutte le maggiori formazioni politiche italiane. Comunque vadano le elezioni, può prevedersi, quindi, che il programma  meno tasse  sarà attuato e che quindi ci saranno meno risorse per politiche di welfare. «Ci sono troppi interessi particolari e molto facilmente l’interesse economico arriva a prevalere sul bene comune e a manipolare l’informazione per non vedere colpiti i suoi progetti.», si legge nell’enciclica Laudato si nel brano che ho sopra trascritto, e anche «L’alleanza tra economia e tecnologia finisce per lasciare fuori tutto ciò che non fa parte dei loro interessi immediati […]qualunque tentativo delle organizzazioni sociali di modificare le cose sarà visto come un disturbo provocato da sognatori romantici o come un ostacolo da eludere. […] Nel frattempo i poteri economici continuano a giustificare l’attuale sistema mondiale, in cui prevalgono una speculazione e una ricerca della rendita finanziaria che tendono ad ignorare ogni contesto e gli effetti sulla dignità umana e sull’ambiente. Così si manifesta che il degrado ambientale e il degrado umano ed etico sono intimamente connessi.».
  Come accade che una minoranza e i suoi interessi, diciamo l’1% privilegiato della gente, finiscano per prevalere su vaste maggioranze? La via è storicamente la stessa e ben definita: passa attraverso l’appropriazione e il controllo di risorse scarse e necessarie per la vita. Chi se le assicura fa il loro prezzo e gli scambi sono sempre a suo favore. All’origine dell’appropriazione provata di riscorse scarse e necessarie possono in genere essere individuati atti di violenza o lo sfruttamento di opportunità sociali. Il sistema giuridico, in genere sempre controllato dai privilegiati sociali, provvede poi a mantenere e consolidare il dominio di generazione in generazione. Così è andata la storia fino all’avvento delle democrazie di popolo che ha determinato tre metodi di correzione  sociale: il primo mediante l’appropriazione pubblica delle risorse scarse, quella che viene definita nazionalizzazione, il secondo mediante norme per limitare il potere sugli altri derivante dal controllo della ricchezza, ad esempio con introducendo certe discipline dei rapporti di lavoro,  il terzo mediante norme e altri provvedimenti per assicurare la funzione sociale  di ogni ricchezza, anche di quella privata. Tra questi ultimi vi sono limiti alla successione ereditaria, mediante il quale si tramanda il dominio dei privilegiati, e la progressività del sistema tributario, secondo la quale i privilegiati devono pagare in tasse quote percentuali delle loro ricchezze superiori agli altri, in proporzione della loro maggiore ricchezza. Questa è stata l’impostazione della Costituzione italiana vigente, entrata in vigore nel 1948. All’art.42, 2° comma, si prevedono leggi che assicurino la funzione sociale della proprietà privata, in particolare in modo da renderla accessibile a tutti. L’art.41 prevedono leggi per indirizzare  l’economia pubblica e privata a fini sociali e per impedire che rechi danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana. La progressività del sistema tributario è prevista dall’art.53:  sarà difficile, finché questa norma sarà in vigore, impostare le tasse in base ad un’aliquota unica per tutti, ricchi e meno ricchi, senza produrre norme incostituzionali. Dagli anni ’80, per il successo che in società hanno avuto le teorie economiche neo-liberiste a cui ho fatto riferimento, quelle che vedono nelle spese per il welfare  dei fattori che ostacolano lo sviluppo economico, si è avuta sempre meno fiducia nei correttivi sociali alla diseguaglianza e le politiche di governo sono andate in senso opposto. Uno dei temi principali su cui il prossimo Parlamento, quello che eleggeremo il prossimo 4 marzo, dovrà deliberare sarà proprio questo: proseguire sulla via seguita finora o cambiare.
4.  Come ho osservato, i programmi delle maggiori formazioni politiche, quelle dalle quali  probabilmente scaturirà il futuro indirizzo politico di governo,  sono per non cambiare. Questa, per quello che può valere, non è la via indicata oggi dalla dottrina sociale. Il rimprovero che ci viene da quella fonte è molto duro, per chi abbia ancora orecchi per intendere; così, ad esempio,  si è espresso il Papa il 31 dicembre dell’anno scorso, nell’omelia  pronunciata durante la celebrazione dei Primi Vespri della solennità di Maria Santissima Madre di Dio:
«Anche questo tempo dell’anno 2017, che Dio ci aveva donato integro e sano, noi umani l’abbiamo in tanti modi sciupato e ferito con opere di morte, con menzogne e ingiustizie. Le guerre sono il segno flagrante di questo orgoglio recidivo e assurdo. Ma lo sono anche tutte le piccole e grandi offese alla vita, alla verità, alla fraternità, che causano molteplici forme di degrado umano, sociale e ambientale. Di tutto vogliamo e dobbiamo assumerci, davanti a Dio, ai fratelli e al creato, la nostra responsabilità.»
 Va considerato, tuttavia, che tutte le maggiori formazioni politiche hanno nelle loro proposte di propaganda elettorale propositi di sovvenzioni per chi in società sta peggio, ad esempio per combattere la povertà, per dare un reddito minimo a chi non ce l’ha, per aumentare il reddito di chi ha meno forza contrattuale perché è ormai in pensione: questo è indice che si è consapevoli del fatto che la povertà ha origine sociale e richiede correttivi sociali. Perché altrimenti buttare  quei soldi pubblici? Ma, in genere, questo non è messo in questione il modello di sviluppo economico che genera la povertà, anzi si pensa che convenga mantenere le regole che lo consentono. Si tratta però di un modello economico che programmaticamente si propone di ridurre le provvidenze di welfare e che vede in questo la via per aumentare le ricchezze della società, generando maggiore intraprendenza nello sfruttare le risorse delle Terra. Esso non genererà quindi le risorse per seguire le generose politiche di elargizione che un po’ dovunque  vengono menzionate nella propaganda elettorale. Si tratta di un modello che segue invece l’idea dello sgocciolamento o ricaduta favorevole: consentendo ai già ricchi di arricchirsi ulteriormente, limitando o abrogando i controlli e i correttivi sociali, si prevede che anche gli altri ne beneficeranno. E’ un’idea espressamente criticata dal Papa nell’esortazione apostolica La gioia del Vangelo - Evangelii Gaudium:
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54. In questo contesto, alcuni ancora difendono le teorie della “ricaduta favorevole”, che presuppongono che ogni crescita economica, favorita dal libero mercato, riesce a produrre di per sé una maggiore equità e inclusione sociale nel mondo. Questa opinione, che non è mai stata confermata dai fatti, esprime una fiducia grossolana e ingenua nella bontà di coloro che detengono il potere economico e nei meccanismi sacralizzati del sistema economico imperante. Nel frattempo, gli esclusi continuano ad aspettare. Per poter sostenere uno stile di vita che esclude gli altri, o per potersi entusiasmare con questo ideale egoistico, si è sviluppata una globalizzazione dell’indifferenza. Quasi senza accorgercene, diventiamo incapaci di provare compassione dinanzi al grido di dolore degli altri, non piangiamo più davanti al dramma degli altri né ci interessa curarci di loro, come se tutto fosse una responsabilità a noi estranea che non ci compete. La cultura del benessere ci anestetizza e perdiamo la calma se il mercato offre qualcosa che non abbiamo ancora comprato, mentre tutte queste vite stroncate per mancanza di possibilità ci sembrano un mero spettacolo che non ci turba in alcun modo.
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5.  Ognuno farebbe bene, nel decidere su proposte politiche, a capire bene il posto che occupa in società e, in particolare, se si trova compreso  o non in quell’1% che la domina e che, ovviamente, tende a conservare in ogni circostanza la propria posizione favorita. I socialisti chiamavano questo lavoro lo sviluppare una coscienza di classe. E’ un lavoro che è richiesto anche dalla dottrina sociale, fin dalla prima enciclica sociale, la  Le novità - Rerum Novarum, del 1981, in cui si parlòe spressamente di  proletari  e di proprietari, di lavoro   e di capitale,  prendendo le parti dei lavoratori proletari quando la società li gettava in condizioni misere, indegne dell’uomo:
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1. […]Difficile, perché ardua cosa è segnare i precisi confini nelle relazioni tra proprietari e proletari, tra capitale e lavoro. Pericolosa perché uomini turbolenti ed astuti, si sforzano ovunque di falsare i giudizi e volgere la questione stessa a perturbamento dei popoli.
2. Comunque sia, è chiaro, ed in ciò si accordano tutti, come sia di estrema necessità venir in aiuto senza indugio e con opportuni provvedimenti ai proletari, che per la maggior parte si trovano in assai misere condizioni, indegne dell'uomo. 
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 Certo, si può anche credere alle promesse di  elargizioni dell’1% privilegiato: è su questa base, in fondo, che le minoranze privilegiate sono rimaste tali anche nelle democrazie di popolo. Eppure, fin da bambini, siamo stati messi in guardia da certe cose. Non sarebbe male, allora, riprendere in mano un libro che i più anziani probabilmente hanno letto da piccoli, le Avventure di Pinocchio. Storia di un burattino di Collodi [agli adulti consiglio l’edizione anastatica, identica alla prima del 1883, pubblicata dall’editore Giunti ad €8,50]. Dopo la fregatura presa da Pinocchio al Campo dei miracoli, dove, su consiglio del Gatto  e della Volpe, ha seminato  e naturalmente perso i suoi soldi (“E pensare che, invece di quattro monete, potrebbero diventare domani mille e duemila! Perché non dai retta al mio consiglio? Perché non vai a seminarle al Campo dei miracoli? …Semini subito le quattro monete: dopo pochi minuti ne raccogli duemila e stasera ritorni qui colle tasche piene. Vuoi venire con noi? … Noi non vogliamo regali…A noi ci basta di averti insegnato il modo di arricchire senza durar fatica, e siamo contenti come pasque.), ecco come viene apostrofato dal Pappagallo:
 “Rido di quei barbagianni che credono a tutte le scioccherie e si lasciano trappolare  da chi è più furbo di loro … Sì, parlo di te, povero Pinocchio, di te che sei così dolce di sale, da credere che i denari si possano seminare e raccogliere nei campi, come si seminano i fagioli e le zucche. Anch’io l’ho creduto una volta e oggi ne porto le pene. Oggi (ma troppo tardi) mi sono dovuto persuadere che per mettere insieme onestamente pochi soldi bisogna saperseli guadagnare o col lavoro delle proprie mani o coll’ingegno della propria testa … Mi spiegherò meglio … Sappi dunque che, mentre tu eri in città, la Volpe e il Gatto sono tornati in questo campo: hanno preso le monete d’oro sotterrate, e poi sono fuggiti come il vento. E ora chi li raggiunge, è bravo!”.
 Come ci viene spiegato nell’enciclica Laudato si’, le risorse della società sono limitate, una quantità definita: ciò che si aggiunge agli uni si sottrae ad altri. Nessuna posizione di privilegio può essere mantenuta senza sfavorire altri, senza togliere agli altri. Un modello di sviluppo che favorisce la concentrazione delle ricchezze in poche mani, necessariamente comprenderà un ordine che sfavorirà i più, in particolare mediante scambi diseguali, in cui una parte forte prevarrà sull’altra, facendo  il prezzo. Ai tempi nostri una delle risorse che si vanno facendo scarse per i più, per quelli che lo cercano per avere una retribuzione, è il lavoro. Vista dall’altra parte, di quelli che lo cercano per usarlo a proprio vantaggio, la situazione è, invece, quella di una svalutazione del lavoro: ai lavoratori è richiesto  sempre più lavoro  per conquistare un certo reddito. E’ una condizione del mercato del lavoro   che, in mancanza di correttivi, tenderà ad aggravarsi sempre di più con l’impiego di macchine pensanti, in grado di sostituire non più solo lavori ripetitivi, ma anche operazioni più complesse. Quindi un altro dei temi fondamentali per la politica di governo sarà quello delle politiche del lavoro: in questo sarà cruciale il punto di vista dei decisori di governo, se si avvicinerà più a quello dell1% dei privilegiati, come purtroppo sembra fatale che accada, o se terrà conto anche di quello degli altri.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli



sabato 20 gennaio 2018

Decidere per paura

Decidere per paura

  Le emozioni qualche volta accecano. Accade anche con la paura, quando si teme per la propria vita o altri beni essenziali e non si capisce bene come sottrarsi alla minaccia. Allora si è spinti a fuggire precipitosamente dalla situazione pericolosa per cercare di mettersi al sicuro, senza andare tanto per il sottile. Accade, ad esempio, quando scoppia un incendio in un luogo affollato. La fuga disordinata causa spesso dei danni, anche gravi. Ci si può rimettere la vita. Così, nelle strutture collettive, ad esempio scuole, uffici, navi da crociera e via dicendo, si fanno prove di fuga ordinata. In campagna elettorale l’argomento della paura è utilizzato per spingere a decisioni d’impeto, superando le obiezioni che ragionevolmente potrebbero porsi nei confronti di chi si propone come un porto sicuro. In passato, nella politica italiano, la paura del comunismo venne a lungo sfruttata per rafforzare e compattare lo schieramento opposto. Del resto ragioni per temere vi erano, quando la scelta per il comunismo avrebbe comportato un rovesciamento delle alleanze internazionali, dal blocco  Occidentale a quello sovietico, e una rivoluzione nell’economia nazionale, dal sistema capitalistico a quello collettivistico. Dagli anni ’70 l’impostazione ideologica del comunismo nell’Europa occidentale mutò e l’argomento della paura ebbe meno forza: questo in Italia coincise con un aumento della forza parlamentare dei comunisti, che, per un breve periodo, furono attratti nell’area di governo, dall’area di opposizione nella quale erano collocati dal 1948, quando si fece appello alla solidarietà nazionale per fronteggiare le due minacce di una grave crisi economica e del terrorismo politico. Dagli anni ’80 prese più forza l’argomento dell’avidità: sembrò che l’Occidente fosse coinvolto in una forte ripresa economica prodotta da un nuovo tipo di capitalismo associato a certe politiche pubbliche che lo liberavano da limiti e controlli e che, se non si fosse seguita la corrente, si sarebbe persa l’occasione favorevole. Si trattò di un moto che coinvolse anche il mondo dominato dal comunismo sovietico russo e che ne determinò rapidamente lo sfaldamento e la disgregazione istituzionale. Da questo processo si produsse il mondo in cui attualmente viviamo.
  Nell’attuale propaganda elettorale l’argomento della paura viene proposto per spingere gli elettori verso formazioni nelle quali ci sarebbero politici più competenti. La competenza deriverebbe dall’aver avuto precedenti esperienze di governo senza aver provocato il collasso del sistema.
 Un partito antisistema che, guidato da personalità determinate, cercasse di realizzare il suo programma a tappe forzate potrebbe causare importanti sconvolgimenti sociali e, in particolare, innescare una grave crisi economica. Un esempio di ciò che potrebbe succedere in questo scenario è quello del Venezuela contemporaneo. Ma nessuno dei maggiori  partiti politici di oggi ha simili intenzioni e, soprattutto, il personale politico in grado di realizzare quel tipo di progetti. Prevalgono infatti orientamenti politici di destra, che significano attenzione alla tutela della proprietà e dell’impresa, alla riduzione dei controlli e oneri pubblici, all’ordine pubblico. E, con il nuovo sistema elettorale introdotto quest’anno per l’elezione dei membri del Parlamento, con alta probabilità nessuna formazione avrà la forza parlamentare per imporre da sola le proprie politiche: necessariamente si andrà a governi sostenuti da coalizioni abbastanza eterogenee. Questa situazione ostacolerà atti di forza e colpi di testa. L’Italia è ormai tanto integrata nelle istituzioni e nell’economia dell’Unione Europa che chiunque abbia la possibilità di esprimere un governo si accorgerà presto dell’indispensabilità di politiche concertate in sede Europea.
 Né il Parlamento né il Governo controllano le istituzioni e l’economia italiana al modo in cui lo si fa mettendosi alla guida di un’autovettura. Innanzi tutto ci sono autonomie locali molto vaste: la gran parte dei servizi pubblici cittadini sono organizzati e diretti da enti locali. Poi lo stato opera nell’economia in misura molto minore rispetto a quanto avveniva fino alla metà degli scorsi anni ’90: ha quindi meno potere in questo campo. Infine sono gli apparati burocratici, composti in genere di funzionari veramente competenti nelle varie materie di interesse, a gestire in concreto la macchina amministrativa statale.
  Il rischio dell’incompetenza  della classe politica è quindi, nell’attuale situazione, ridotto a bassi livelli. Bisogna tener conto, infine, che dal 2013, anche se spesso non si riesce a rendersene conto, in Italia si è prodotto un forte ricambio di classe politica, in particolare proprio nel ceto politico di governo. Non è vero che i politici  sono rimasti sempre gli stessi. Il cambiamento della classe politica ha determinato l’accesso al potere di politici con meno esperienza. Tuttavia molta parte dei politici nazionali ha potuto imparare nel servizio parlamentare, che possiamo considerare equivalente, se fatto con impegno, a un corso universitario. Lì ha potuto impratichirsi degli affari di stato, con l’aiuto  dei funzionari parlamentari, personale di alto livello. In definitiva, nonostante l’incompetenza  da inesperienza della nuova classe politica, non si sono prodotti sfracelli. L’argomento della paura è quindi inconsistente, nella situazione attuale.
 Tuttavia certamente il risultato elettorale avrà importanti riflessi nelle vite di tutti. Cambierà sicuramente l’impostazione della politica di governo. Questo perché la precedente era determinata sostanzialmente dal risultato di un sistema elettorale che è stato cambiato. Probabilmente saranno più difficili gli estremismi, ma sarà anche più difficoltoso decidere. Tuttavia potrebbe sorgere la necessità di prendere rapidamente decisioni importanti, ad esempio sulla guerra in cui ci stiamo per i impegnare nell’Africa sub-sahariana o nel caso di intensificarsi di minacce terroristiche o di necessità di correzioni alle politiche economiche. In queste situazioni una classe politica con meno esperienza di governo dovrà affidarsi maggiormente agli apparati burocratici. Questi ultimi contano sull’azione di governo per il coordinamento reciproco, per quell’azione che con termine dell’anglo-americano viene definita  governance. Il sicuro mutamento del metodo di governo derivante dal cambiamento dello scenario politico indotto dal nuovo sistema di governo potrebbe comportare la necessità per la nuova classe di governo di un periodo di acclimatazione che potrebbe durare alcuni mesi: in questo frangente gli apparati burocratici tenderanno ad entrare in conflitto e a cercare di prevalere, ad esempio quelli militari su quelli finanziari o viceversa.  Una situazione peraltro destinata a risolversi dopo qualche tempo, soprattutto se si riuscirà a trovare le persone giuste per i posti che  contano.  Attualmente il ruolo di governo più importante, dopo quello del presidente del Consiglio dei ministri,  è quello del ministro dell’Economia e Finanze, che deve assicurare la governance  di apparati burocratici complessi e vitali.
  Le questioni sulle quali probabilmente inciderà maggiormente il risultato elettorale sono le tasse, le risorse destinate ai servizi pubblici, quindi al benessere pubblico, e le politiche sul lavoro. In questi campi si avverte maggiormente la differenza tra politiche di destra e di sinistra, tenendo però conto che, in genere, alla definizione  destra  e  sinistra  si premente oggi la parola centro,  a comporre  centrodestra  e centrosinistra, intendendo con  centro  la promessa di non essere estremisti, quindi prospettando una certa moderazione. Bisogna tener conto però che maggiore sarà la concentrazione del potere effettivo in una classe politica di governo, meno questa promessa di moderazione verosimilmente sarà adempiuta. Chi ritiene importante la moderazione nell’azione di governo farà quindi bene a prestare attenzione alla struttura delle formazioni maggiori, quelle che hanno la concreta possibilità di dirigere una coalizione di governo, per individuare chi in esse comanda veramente. Nei partiti del passato, quelli che espressero la politica nazionale fino alla metà degli scorsi anni ’90, il gruppo di comando era piuttosto esteso e componeva organismi chiamati in vario modo ma che corrispondevano grosso modo a ciò che si intende con consiglio nazionale  o  comitato centrale. La condivisione del potere produceva moderazione.  Ai tempi nostri i commentatori politici parlano invece di cerchi magici,  vale a dire a gruppi di potere piuttosto ristretti accentrati intorno a un certa personalità di spicco. Più il  potere è accentrato, più tenderà all’estremismo, minore capacità di dialogo sarà espressa. Un  cerchio magico   è sostanzialmente un’oligarchia, che è quando il potere scende  da pochi che si trovano al comando e che vogliono rimanere in pochi. Ogni oligarchia tende a divenire autarchia, vale a dire ad essere autoreferenziale, senza sentire il bisogno di giustificare  la propria supremazia nei confronti dei sottoposti. Il vertice della Chiesa cattolica è strutturato, ad esempio, come un’oligarchia autarchica di tipo sacrale, in cui si giustifica il  potere con la volontà divina: ma qui la politica propriamente oligarchica è oggi ridotta, in fondo, a poca cosa e si  lavora più per influenze di tipo morale sulle società civili, cercando di produrre un consenso in basso, attraverso meccanismi democratici. Nella politica delle istituzioni le cose si possono mettere male quando si lascia spazio ad oligarchie di governo di orientamento autarchico in cui emergono personalità piuttosto determinate. Questo fu il principale problema politico che causò il degrado staliniano  del comunismo sovietico. Negli scorsi anni ’20, L’affermazione del fascismo mussoliniano, favorita dalla paura (irrealistica) di una rivoluzione di tipo sovietico in Italia, si sviluppò secondo dinamiche simili, aprendo le porte ad un’oligarchia politica autarchica caratterizzata da un cerchio magico intorno ad una  personalità fascinosa e intraprendente. Nella politica italiana di oggi non si scorgono figure simili. Ma si tenga conto che la società italiana ne ha ciclicamente prodotte.
 Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli



venerdì 19 gennaio 2018

Papa Francesco - viaggio apostolico in Perù - 19-1-18: incontro con la popolazione a Puerto Maldonatdo - Discorso

VIAGGIO APOSTOLICO DI SUA SANTITÀ FRANCESCO IN CILE E PERÙ
(15-22 GENNAIO 2018)
INCONTRO CON LA POPOLAZIONE
SALUTO DEL SANTO PADRE
Istituto Jorge Basadre (Puerto Maldonado)
Venerdì, 19 gennaio 2018

Cari fratelli e sorelle,
  Vedo che siete venuti non solo dalle diverse zone di questa Amazzonia peruviana, ma anche dalle Ande e da altri paesi vicini. Che bella immagine della Chiesa, che non conosce frontiere e nella quale tutti i popoli possono trovare il loro spazio! Quanto abbiamo bisogno di questi momenti dove possiamo incontrarci e, al di là delle nostre provenienze, incoraggiarci a dar vita a una cultura dell’incontro che ci rinnova nella speranza.
  Grazie, Mons. David, per le Sue parole di benvenuto. Grazie, Arturo e Margarita, per aver condiviso con tutti noi le vostre esperienze. Loro ch hanno detto: “Ci viene a visitare in questa terra tanto dimenticata, ferita ed emarginata... però non siamo la terra di nessuno”. Grazie per averlo detto: non siamo terra di nessuno. Ed è una cosa che bisogna dire con forza: voi non siete terra di nessuno. Questa terra ha dei nomi, ha dei volti: ha voi.
  Questa regione è chiamata con il bellissimo nome di “Madre de Dios”. Non posso non fare menzione di Maria, giovane ragazza che viveva in un villaggio lontano, sperduto, anch’esso considerato da tanti come “terra di nessuno”. Lì ricevette il saluto e la chiamata più grande che una persona possa sperimentare: essere la Madre di Dio; ci sono gioie che possono essere rivelate solo ai piccoli.[1]
Voi avete in Maria non solo un testimone a cui guardare, ma una Madre, e dove c’è una madre non c’è quel terribile male di sentire che non apparteniamo a nessuno, quel sentimento che nasce quando comincia a scomparire la certezza di appartenere a una famiglia, a un popolo, a una terra, al nostro Dio. Cari fratelli, la prima cosa che mi piacerebbe trasmettervi – e voglio farlo con forza – è che questa non è una terra orfana, è la terra della Madre! E se c’è una madre ci sono figli, c’è famiglia e c’è comunità. E dove c’è madre, famiglia e comunità, non potranno sparire i problemi, ma sicuramente si trova la forza per affrontarli in modo diverso.
E’ doloroso constatare che ci sono alcuni che vogliono spegnere questa certezza e fare di Madre de Dios una terra anonima, senza figli, una terra infeconda. Un luogo facile da commercializzare e da sfruttare. Per questo ci fa bene ripetere nelle nostre case, nelle comunità, nel profondo del cuore di ciascuno: Questa non è una terra orfana! Ha una Madre! Questa buona notizia si va trasmettendo di generazione in generazione, grazie allo sforzo di tanti che condividono questo dono di sapere che siamo figli di Dio, e ci aiuta a riconoscere l’altro come fratello.
  In diverse occasioni mi sono riferito alla cultura dello scarto. Una cultura che non si accontenta solo di escludere - come eravamo abituati a vedere -, ma che è avanzata mettendo a tacere, ignorando e rigettando tutto ciò che non serve ai suoi interessi; sembrerebbe che il consumismo alienante di alcuni non riesca a percepire la dimensione della sofferenza soffocante di altri. E’ una cultura anonima, senza legami e senza volti, la cultura dello scarto. Una cultura senza madre, che non vuole altro che consumare. La terra viene trattata secondo questa logica. Le foreste, i fiumi e i torrenti vengono usati, utilizzati fino all’ultima risorsa e poi lasciati inutilizzati e inservibili. Anche le persone sono trattate con questa logica: usate fino allo sfinimento e poi abbandonate come “inservibili”. Questa è la cultura dello scarto: si scartano i bambini, si scartano gli anziani. Lì, uscendo, quando ho fatto il percorso, c’era una nonna di 97 anni: dobbiamo scartare quella nonna? No! Perché la nonna ha la sapienza di un popolo. Un applauso alla nonna di 97 anni!
  Pensando a queste cose permettetemi di soffermarmi su un tema doloroso. Ci siamo abituati a utilizzare il termine “tratta di persone”. Arrivando a Puerto Maldonado, nell’aeroporto ho visto un cartello che ha richiamato la mia attenzione positivamente: “Fai attenzione alla tratta!”. Si vede che stanno prendendo coscienza. Ma in realtà dovremmo parlare di schiavitù: schiavitù per il lavoro, schiavitù sessuale, schiavitù per il guadagno. Fa male constatare come in questa terra, che sta sotto la protezione della Madre di Dio, tante donne sono così svalutate, disprezzate ed esposte a violenze senza fine. Non possiamo “normalizzare” la violenza, prenderla come una cosa naturale. No, non si “normalizza” la violenza contro le donne, sostenendo una cultura maschilista che non accetta il ruolo di protagonista della donna nelle nostre comunità. Non ci è lecito guardare dall’altra parte, fratelli, e lasciare che tante donne, specialmente adolescenti, siano “calpestate” nella loro dignità.
  Diverse persone sono emigrate verso l’Amazzonia cercando un tetto, una terra e un lavoro. Sono venute a cercare un futuro migliore per sé stesse e per le loro famiglie. Hanno abbandonato la loro vita umile, povera ma dignitosa. Molte di loro, per la promessa che certi lavori avrebbero messo fine a situazioni precarie, si sono basati sul luccichio promettente dell’estrazione dell’oro. Però non dimentichiamo che l’oro può diventare un falso dio che pretende sacrifici umani.
  I falsi dei, gli idoli dell’avarizia, del denaro, del potere, corrompono tutto. Corrompono la persona e le istituzioni, e distruggono anche la foresta. Gesù diceva che ci sono demoni che, per essere scacciati, richiedono molta preghiera. Questo è uno di quelli. Vi incoraggio a continuare a organizzarvi in movimenti e comunità di ogni tipo per cercare di superare queste situazioni; e anche a far in modo, a partire dalla fede, di organizzarvi come comunità ecclesiali che vivono intorno alla persona di Gesù. Dalla preghiera sincera e dall’incontro pieno di speranza con Cristo potremo ottenere la conversione che ci faccia scoprire la vita vera. Gesù ci ha promesso vita vera, vita autentica, vita eterna. Non vita fittizia, come le false promesse che abbagliano e che, promettendo vita, finiscono per portarci alla morte.
Sorelle e fratelli, la salvezza non è generica, non è astratta. Il nostro Padre guarda alle persone concrete, con volti e storie concreti, e tutte le comunità cristiane devono essere riflesso di questo sguardo di Dio, di questa presenza che crea legami, genera famiglia e comunità. E’ un modo di rendere visibile il Regno dei Cieli, comunità in cui ciascuno si senta partecipe, si senta chiamato per nome e spinto ad essere artefice di vita per gli altri.
  Ho speranza in voi... e facendo il giro ho visto tanti bambini, e doce ci sono bambini c'è speranza. Grazie! Ho speranza in voi, nei cuori di tante persone che desiderano una vita benedetta. Siete venuti a cercarla qui, dove si trova una delle esplosioni di vita più esuberanti del pianeta. Amate questa terra, sentitela vostra. Odoratela, ascoltatela, meravigliatevi di essa. Innamoratevi di questa terra Madre de Dios, impegnatevi per essa e custoditela, difendetela. Non usatela come un mero oggetto che si può scartare, ma come un vero tesoro da godere, da far crescere e da trasmettere ai vostri figli.
  Ci affidiamo a Maria, Madre di Dio e Madre nostra, e ci poniamo sotto la sua protezione. E per favore, non dimenticatevi di pregare per me. E vi invito tutti a pregare la Madre di Dio.
“Ave Maria…”.
[Benedizione]
Arrivederci!