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Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

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Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

Dall’anno associativo 2020/2021 il gruppo di AC di San Clemente Papa si riunisce abitualmente il secondo, il terzo e il quarto sabato del mese alle 17 e anima la Messa domenicale delle 9. Durante la pandemia da Covid 19 ci siamo riuniti in videoconferenza Google Meet. Anche dopo che la situazione sanitaria sarà tornata alla normalità, organizzeremo riunioni dedicate a temi specifici e aperte ai non soci con questa modalità.

Per partecipare alle riunioni del gruppo on line con Google Meet, inviare, dopo la convocazione della riunione di cui verrà data notizia sul blog, una email a mario.ardigo@acsanclemente.net comunicando come ci si chiama, la email con cui si vuole partecipare, il nome e la città della propria parrocchia e i temi di interesse. Via email vi saranno confermati la data e l’ora della riunione e vi verrà inviato il codice di accesso. Dopo ogni riunione, i dati delle persone non iscritte verranno cancellati e dovranno essere inviati nuovamente per partecipare alla riunione successiva.

La riunione Meet sarà attivata cinque minuti prima dell’orario fissato per il suo inizio.

Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

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Il sito della parrocchia:

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domenica 21 gennaio 2018

A ciascuno il suo

A ciascuno il suo


Pinocchio e il Pappagallo al Campo dei miracoli. Illustrazione originale dell'edizione del 1883, ripubblicata in edizione anastatica da Giunti


[Dall’enciclica Laudato si’, di papa Francesco, del 2015]
53. […]Mai abbiamo maltrattato e offeso la nostra casa comune come negli ultimi due secoli. Siamo invece chiamati a diventare gli strumenti di Dio Padre perché il nostro pianeta sia quello che Egli ha sognato nel crearlo e risponda al suo progetto di pace, bellezza e pienezza. Il problema è che non disponiamo ancora della cultura necessaria per affrontare questa crisi e c’è bisogno di costruire leadership che indichino strade, cercando di rispondere alle necessità delle generazioni attuali includendo tutti, senza compromettere le generazioni future. Si rende indispensabile creare un sistema normativo che includa limiti inviolabili e assicuri la protezione degli ecosistemi, prima che le nuove forme di potere derivate dal paradigma tecno-economico finiscano per distruggere non solo la politica ma anche la libertà e la giustizia.
54. Degna di nota è la debolezza della reazione politica internazionale. La sottomissione della politica alla tecnologia e alla finanza si dimostra nel fallimento dei Vertici mondiali sull’ambiente. Ci sono troppi interessi particolari e molto facilmente l’interesse economico arriva a prevalere sul bene comune e a manipolare l’informazione per non vedere colpiti i suoi progetti. In questa linea il Documento di Aparecida [documento conclusivo della 5° Conferenza generale del CELAM - Consiglio Episcopale Latino-Americano, tenutasi nel 2007] chiede che «negli interventi sulle risorse naturali non prevalgano gli interessi di gruppi economici che distruggono irrazionalmente le fonti di vita». L’alleanza tra economia e tecnologia finisce per lasciare fuori tutto ciò che non fa parte dei loro interessi immediati. Così ci si potrebbe aspettare solamente alcuni proclami superficiali, azioni filantropiche isolate, e anche sforzi per mostrare sensibilità verso l’ambiente, mentre in realtà qualunque tentativo delle organizzazioni sociali di modificare le cose sarà visto come un disturbo provocato da sognatori romantici o come un ostacolo da eludere.
55. A poco a poco alcuni Paesi possono mostrare progressi importanti, lo sviluppo di controlli più efficienti e una lotta più sincera contro la corruzione. E’ cresciuta la sensibilità ecologica delle popolazioni, anche se non basta per modificare le abitudini nocive di consumo, che non sembrano recedere, bensì estendersi e svilupparsi. E’ quello che succede, per fare solo un semplice esempio, con il crescente aumento dell’uso e dell’intensità dei condizionatori d’aria: i mercati, cercando un profitto immediato, stimolano ancora di più la domanda. Se qualcuno osservasse dall’esterno la società planetaria, si stupirebbe di fronte a un simile comportamento che a volte sembra suicida.
56. Nel frattempo i poteri economici continuano a giustificare l’attuale sistema mondiale, in cui prevalgono una speculazione e una ricerca della rendita finanziaria che tendono ad ignorare ogni contesto e gli effetti sulla dignità umana e sull’ambiente. Così si manifesta che il degrado ambientale e il degrado umano ed etico sono intimamente connessi. Molti diranno che non sono consapevoli di compiere azioni immorali, perché la distrazione costante ci toglie il coraggio di accorgerci della realtà di un mondo limitato e finito. Per questo oggi «qualunque cosa che sia fragile, come l’ambiente, rimane indifesa rispetto agli interessi del mercato divinizzato, trasformati in regola assoluta».[citazione dall’esortazione apostolica La gioia del Vangelo - Evangelii Gaudium, del 2013]-
57. E’ prevedibile che, di fronte all’esaurimento di alcune risorse, si vada creando uno scenario favorevole per nuove guerre, mascherate con nobili rivendicazioni. La guerra causa sempre gravi danni all’ambiente e alla ricchezza culturale dei popoli, e i rischi diventano enormi quando si pensa alle armi nucleari e a quelle biologiche. Infatti «nonostante che accordi internazionali proibiscano la guerra chimica, batteriologica e biologica, sta di fatto che nei laboratori continua la ricerca per lo sviluppo di nuove armi offensive, capaci di alterare gli equilibri naturali» [dal Messaggio per la Giornata mondiale della pace  del 1990 del papa san Karol Wojtyla, Giovanni Paolo 2°]. Si richiede dalla politica una maggiore attenzione per prevenire e risolvere le cause che possono dare origine a nuovi conflitti. Ma il potere collegato con la finanza è quello che più resiste a tale sforzo, e i disegni politici spesso non hanno ampiezza di vedute. Perché si vuole mantenere oggi un potere che sarà ricordato per la sua incapacità di intervenire quando era urgente e necessario farlo?


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1.  Se si dice “in quanto figli siamo anche tutti fratelli e quindi, da fratelli, dobbiamo dividere equamente le risorse del  mondo” facciamo un discorso di morale, indichiamo il bene e invitiamo a vivere secondo di esso. La morale, però, ha questo problema: ciascuno, ragionando, trova molte ragioni per esimersene, giustificandosi.
 Se si dice, però, “se non dividiamo equamente le risorse del mondo, si genereranno conflitti disastrosi che distruggeranno l’ambiente dal quale le nostre vite dipendono” o “se non modifichiamo un modello di sviluppo che distrugge l’ambiente dal quale le nostre vite dipendono, mettiamo in pericolo noi stessi e ci comportiamo come suicidi”, facciamo discorsi diversi, secondo i quali, poiché l’alternativa è vita o morte, razionalmente  si sarà portati a quello che l’etica indica come  bene.  Questo appunto è il ragionamento proposto da papa Francesco dall’inizio del suo alto ministero. Implica un’esortazione all’autocritica, di cui lo stesso Papa ha dato l’esempio e questo è tanto più vero per noi Occidentali, che viviamo nella parte più ricca del mondo e pretendiamo di dire a tutti che cosa è che è il loro, la misura dei loro diritti.
  Di solito però noi fedeli siamo abituati a prendere dell’imponente letteratura pontificia ciò che ci aggrada perché ci conviene. Quindi preferiamo discorsi di morale. Quegli altri li sentiamo come sovversivi a  nostro danno. In effetti mettono in questione un modello di sviluppo che conviene a chi domina l’Occidente. Questa è una delle questioni politiche fondamentali, anche in Italia. Ma è assente dalla propaganda elettorale delle formazioni maggiori, quelle che hanno più probabilità di essere chiamate ad esprimere la linea politica di governo, quindi a decidere come intervenire in società con i poteri pubblici dello stato per rimediare ai mali che ci sono. Può quindi prevedersi che non ci saranno grossi cambiamenti, chiunque vincerà le elezioni.
  Naturalmente, un cattolico ha strumenti di orientamento molto più efficaci. La dottrina sociale lo aiuta, in particolare quella diffusa da papa Francesco che ha spiccata natura politica, criticando, per ragioni di sopravvivenza dell’umanità, l’attuale modello di sviluppo.
2.  Di solito si è disposti ad accettare l’idea che le cose vanno male e che servano riforme sociali. Chi ha diretto finora una società in cui le cose si sono messe male? E’ stato osservato che in Occidente il potere politico ha teso a cadere nelle mani di quell’1% della popolazione che controlla più o meno il 40% delle ricchezze della società. Negli stati sottosviluppati (rispetto al modello Occidentale) le cose vanno anche peggio. In effetti quell’1% ha continuato ad arricchirsi nonostante crisi economiche e vere e proprie fasi di recessione: tende ad aumentare l’entità delle ricchezze che controlla. Di chi dunque la responsabilità dei mali sociali? E’ di chi ha dominato la società, indirizzando la politica di governo. Invece, paradossalmente, si individua la colpa di ciò che non va negli ultimi, ad esempio nei  migranti africani che cercano di arrivare da noi in emergenza, per il pericolo che le loro vite corrono in ambienti sociali costruiti sui modelli Occidentali e spesso dominati direttamente dagli Occidentali. Va così anche in molte altre faccende. Com’è che la sanità pubblica non funziona bene? Perché ci sono troppi malati. Perché nei quartieri dove sono spinti i più poveri non si vive bene come nei quartieri dove vivono i più ricchi? E colpa dei poveri.
   Nell’Ottocento, osservando quanti poveri c’erano in giro in Europa, si propose l’idea che tutto dipendeva dal fatto che nascevano  troppi poveri. E questo in un continente che stava arricchendosi a dismisura predando le ricchezze di tutto il mondo (il maggior potere politico globale  degli Europei fu raggiunto nel trentennio prima del 1914, non a caso chiamato in Europa Belle Epoque, l’Era Bella). Quindi si propose come soluzione di contenere l’aumento della popolazione povera, riducendo la natalità dei poveri. Questa  è sostanzialmente l’orientamento ancora seguito nei Paesi sottosviluppati da diverse organizzazioni internazionali dominate dagli Occidentali. Anche da noi in Italia è stata un’idea che ha avuto seguaci. Sembrava che i poveri facessero troppi figli e che questa fosse la causa della povertà sociale. Poi, dagli anni ’70, la natalità ha preso a crollare: la gente infatti ha imparato la lezione che con meno figli si sta meglio. Ma la povertà è rimasta. Non solo: anche la classe che chiamiamo  media e che sta tra i ricchi e quelli che hanno appena di che vivere ha cominciato a impoverirsi.
  L’idea dell’eccessiva natalità dei poveri come origine della povertà è stata espressamente criticata nell’enciclica Laudato sì:
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50. Invece di risolvere i problemi dei poveri e pensare a un mondo diverso, alcuni si limitano a proporre una riduzione della natalità. Non mancano pressioni internazionali sui Paesi in via di sviluppo che condizionano gli aiuti economici a determinate politiche di “salute riproduttiva”. Però, «se è vero che l’ineguale distribuzione della popolazione e delle risorse disponibili crea ostacoli allo sviluppo e ad un uso sostenibile dell’ambiente, va riconosciuto che la crescita demografica è pienamente compatibile con uno sviluppo integrale e solidale».[citazione dal Compendio della dottrina sociale della Chesa] Incolpare l’incremento demografico e non il consumismo estremo e selettivo di alcuni, è un modo per non affrontare i problemi. Si pretende così di legittimare l’attuale modello distributivo, in cui una minoranza si crede in diritto di consumare in una proporzione che sarebbe impossibile generalizzare, perché il pianeta non potrebbe nemmeno contenere i rifiuti di un simile consumo. Inoltre, sappiamo che si spreca approssimativamente un terzo degli alimenti che si producono, e «il cibo che si butta via è come se lo si rubasse dalla mensa del povero».[da una catechesi di papa Francesco del 5-6-13] Ad ogni modo, è certo che bisogna prestare attenzione allo squilibrio nella distribuzione della popolazione sul territorio, sia a livello nazionale sia a livello globale, perché l’aumento del consumo porterebbe a situazioni regionali complesse, per le combinazioni di problemi legati all’inquinamento ambientale, ai trasporti, allo smaltimento dei rifiuti, alla perdita di risorse, alla qualità della vita.
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3.  I socialisti, dall’Ottocento, ragionando, si sono invece convinti che l’origine della povertà sia un fatto sociale: è la società a decidere chi deve essere ricco e chi povero e a perpetuare la ricchezza dei più ricchi di generazione in generazione. Sotto il loro influsso le politiche pubbliche, affermandosi le democrazie di popolo, hanno introdotto dei correttivi, quando la democrazia ha funzionato e la voce delle maggiorane ha potuto trovare ascolto ed espressione. Oggi l’idea che queste misure di equità sociale siano necessarie ha perso  la connotazione socialista, non se ne ricorda più la fonte storica, rientra nelle politiche dette con termine inglese di  welfare  che significa dirette ad elevare il benessere pubblico. Queste ultime sono entrate in crisi a partire dagli anni ’80, a causa dell’affermarsi di teorie economiche secondo le quali le risorse impiegate in quel settore deprimerebbero l’economia, trascinata dall’intraprendenza e dall’avidità dei privati. Secondo queste ideologie, sarebbe meglio lasciare libero spazio alla  competizione  tra gli agenti economici, imprese e consumatori, intervenendo solo quando le cose si mettono veramente male per slealtà dei competitori o eccessivo loro incrudelire. Si tratta di convinzioni che sono manifestate, a prescindere dalla  confezione  propagandistica in cui sono incastonate, dal proposito di  ridurre le tasse. E’ un punto che troviamo nelle proposte elettorali di tutte le maggiori formazioni politiche italiane. Comunque vadano le elezioni, può prevedersi, quindi, che il programma  meno tasse  sarà attuato e che quindi ci saranno meno risorse per politiche di welfare. «Ci sono troppi interessi particolari e molto facilmente l’interesse economico arriva a prevalere sul bene comune e a manipolare l’informazione per non vedere colpiti i suoi progetti.», si legge nell’enciclica Laudato si nel brano che ho sopra trascritto, e anche «L’alleanza tra economia e tecnologia finisce per lasciare fuori tutto ciò che non fa parte dei loro interessi immediati […]qualunque tentativo delle organizzazioni sociali di modificare le cose sarà visto come un disturbo provocato da sognatori romantici o come un ostacolo da eludere. […] Nel frattempo i poteri economici continuano a giustificare l’attuale sistema mondiale, in cui prevalgono una speculazione e una ricerca della rendita finanziaria che tendono ad ignorare ogni contesto e gli effetti sulla dignità umana e sull’ambiente. Così si manifesta che il degrado ambientale e il degrado umano ed etico sono intimamente connessi.».
  Come accade che una minoranza e i suoi interessi, diciamo l’1% privilegiato della gente, finiscano per prevalere su vaste maggioranze? La via è storicamente la stessa e ben definita: passa attraverso l’appropriazione e il controllo di risorse scarse e necessarie per la vita. Chi se le assicura fa il loro prezzo e gli scambi sono sempre a suo favore. All’origine dell’appropriazione provata di riscorse scarse e necessarie possono in genere essere individuati atti di violenza o lo sfruttamento di opportunità sociali. Il sistema giuridico, in genere sempre controllato dai privilegiati sociali, provvede poi a mantenere e consolidare il dominio di generazione in generazione. Così è andata la storia fino all’avvento delle democrazie di popolo che ha determinato tre metodi di correzione  sociale: il primo mediante l’appropriazione pubblica delle risorse scarse, quella che viene definita nazionalizzazione, il secondo mediante norme per limitare il potere sugli altri derivante dal controllo della ricchezza, ad esempio con introducendo certe discipline dei rapporti di lavoro,  il terzo mediante norme e altri provvedimenti per assicurare la funzione sociale  di ogni ricchezza, anche di quella privata. Tra questi ultimi vi sono limiti alla successione ereditaria, mediante il quale si tramanda il dominio dei privilegiati, e la progressività del sistema tributario, secondo la quale i privilegiati devono pagare in tasse quote percentuali delle loro ricchezze superiori agli altri, in proporzione della loro maggiore ricchezza. Questa è stata l’impostazione della Costituzione italiana vigente, entrata in vigore nel 1948. All’art.42, 2° comma, si prevedono leggi che assicurino la funzione sociale della proprietà privata, in particolare in modo da renderla accessibile a tutti. L’art.41 prevedono leggi per indirizzare  l’economia pubblica e privata a fini sociali e per impedire che rechi danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana. La progressività del sistema tributario è prevista dall’art.53:  sarà difficile, finché questa norma sarà in vigore, impostare le tasse in base ad un’aliquota unica per tutti, ricchi e meno ricchi, senza produrre norme incostituzionali. Dagli anni ’80, per il successo che in società hanno avuto le teorie economiche neo-liberiste a cui ho fatto riferimento, quelle che vedono nelle spese per il welfare  dei fattori che ostacolano lo sviluppo economico, si è avuta sempre meno fiducia nei correttivi sociali alla diseguaglianza e le politiche di governo sono andate in senso opposto. Uno dei temi principali su cui il prossimo Parlamento, quello che eleggeremo il prossimo 4 marzo, dovrà deliberare sarà proprio questo: proseguire sulla via seguita finora o cambiare.
4.  Come ho osservato, i programmi delle maggiori formazioni politiche, quelle dalle quali  probabilmente scaturirà il futuro indirizzo politico di governo,  sono per non cambiare. Questa, per quello che può valere, non è la via indicata oggi dalla dottrina sociale. Il rimprovero che ci viene da quella fonte è molto duro, per chi abbia ancora orecchi per intendere; così, ad esempio,  si è espresso il Papa il 31 dicembre dell’anno scorso, nell’omelia  pronunciata durante la celebrazione dei Primi Vespri della solennità di Maria Santissima Madre di Dio:
«Anche questo tempo dell’anno 2017, che Dio ci aveva donato integro e sano, noi umani l’abbiamo in tanti modi sciupato e ferito con opere di morte, con menzogne e ingiustizie. Le guerre sono il segno flagrante di questo orgoglio recidivo e assurdo. Ma lo sono anche tutte le piccole e grandi offese alla vita, alla verità, alla fraternità, che causano molteplici forme di degrado umano, sociale e ambientale. Di tutto vogliamo e dobbiamo assumerci, davanti a Dio, ai fratelli e al creato, la nostra responsabilità.»
 Va considerato, tuttavia, che tutte le maggiori formazioni politiche hanno nelle loro proposte di propaganda elettorale propositi di sovvenzioni per chi in società sta peggio, ad esempio per combattere la povertà, per dare un reddito minimo a chi non ce l’ha, per aumentare il reddito di chi ha meno forza contrattuale perché è ormai in pensione: questo è indice che si è consapevoli del fatto che la povertà ha origine sociale e richiede correttivi sociali. Perché altrimenti buttare  quei soldi pubblici? Ma, in genere, questo non è messo in questione il modello di sviluppo economico che genera la povertà, anzi si pensa che convenga mantenere le regole che lo consentono. Si tratta però di un modello economico che programmaticamente si propone di ridurre le provvidenze di welfare e che vede in questo la via per aumentare le ricchezze della società, generando maggiore intraprendenza nello sfruttare le risorse delle Terra. Esso non genererà quindi le risorse per seguire le generose politiche di elargizione che un po’ dovunque  vengono menzionate nella propaganda elettorale. Si tratta di un modello che segue invece l’idea dello sgocciolamento o ricaduta favorevole: consentendo ai già ricchi di arricchirsi ulteriormente, limitando o abrogando i controlli e i correttivi sociali, si prevede che anche gli altri ne beneficeranno. E’ un’idea espressamente criticata dal Papa nell’esortazione apostolica La gioia del Vangelo - Evangelii Gaudium:
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54. In questo contesto, alcuni ancora difendono le teorie della “ricaduta favorevole”, che presuppongono che ogni crescita economica, favorita dal libero mercato, riesce a produrre di per sé una maggiore equità e inclusione sociale nel mondo. Questa opinione, che non è mai stata confermata dai fatti, esprime una fiducia grossolana e ingenua nella bontà di coloro che detengono il potere economico e nei meccanismi sacralizzati del sistema economico imperante. Nel frattempo, gli esclusi continuano ad aspettare. Per poter sostenere uno stile di vita che esclude gli altri, o per potersi entusiasmare con questo ideale egoistico, si è sviluppata una globalizzazione dell’indifferenza. Quasi senza accorgercene, diventiamo incapaci di provare compassione dinanzi al grido di dolore degli altri, non piangiamo più davanti al dramma degli altri né ci interessa curarci di loro, come se tutto fosse una responsabilità a noi estranea che non ci compete. La cultura del benessere ci anestetizza e perdiamo la calma se il mercato offre qualcosa che non abbiamo ancora comprato, mentre tutte queste vite stroncate per mancanza di possibilità ci sembrano un mero spettacolo che non ci turba in alcun modo.
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5.  Ognuno farebbe bene, nel decidere su proposte politiche, a capire bene il posto che occupa in società e, in particolare, se si trova compreso  o non in quell’1% che la domina e che, ovviamente, tende a conservare in ogni circostanza la propria posizione favorita. I socialisti chiamavano questo lavoro lo sviluppare una coscienza di classe. E’ un lavoro che è richiesto anche dalla dottrina sociale, fin dalla prima enciclica sociale, la  Le novità - Rerum Novarum, del 1981, in cui si parlòe spressamente di  proletari  e di proprietari, di lavoro   e di capitale,  prendendo le parti dei lavoratori proletari quando la società li gettava in condizioni misere, indegne dell’uomo:
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1. […]Difficile, perché ardua cosa è segnare i precisi confini nelle relazioni tra proprietari e proletari, tra capitale e lavoro. Pericolosa perché uomini turbolenti ed astuti, si sforzano ovunque di falsare i giudizi e volgere la questione stessa a perturbamento dei popoli.
2. Comunque sia, è chiaro, ed in ciò si accordano tutti, come sia di estrema necessità venir in aiuto senza indugio e con opportuni provvedimenti ai proletari, che per la maggior parte si trovano in assai misere condizioni, indegne dell'uomo. 
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 Certo, si può anche credere alle promesse di  elargizioni dell’1% privilegiato: è su questa base, in fondo, che le minoranze privilegiate sono rimaste tali anche nelle democrazie di popolo. Eppure, fin da bambini, siamo stati messi in guardia da certe cose. Non sarebbe male, allora, riprendere in mano un libro che i più anziani probabilmente hanno letto da piccoli, le Avventure di Pinocchio. Storia di un burattino di Collodi [agli adulti consiglio l’edizione anastatica, identica alla prima del 1883, pubblicata dall’editore Giunti ad €8,50]. Dopo la fregatura presa da Pinocchio al Campo dei miracoli, dove, su consiglio del Gatto  e della Volpe, ha seminato  e naturalmente perso i suoi soldi (“E pensare che, invece di quattro monete, potrebbero diventare domani mille e duemila! Perché non dai retta al mio consiglio? Perché non vai a seminarle al Campo dei miracoli? …Semini subito le quattro monete: dopo pochi minuti ne raccogli duemila e stasera ritorni qui colle tasche piene. Vuoi venire con noi? … Noi non vogliamo regali…A noi ci basta di averti insegnato il modo di arricchire senza durar fatica, e siamo contenti come pasque.), ecco come viene apostrofato dal Pappagallo:
 “Rido di quei barbagianni che credono a tutte le scioccherie e si lasciano trappolare  da chi è più furbo di loro … Sì, parlo di te, povero Pinocchio, di te che sei così dolce di sale, da credere che i denari si possano seminare e raccogliere nei campi, come si seminano i fagioli e le zucche. Anch’io l’ho creduto una volta e oggi ne porto le pene. Oggi (ma troppo tardi) mi sono dovuto persuadere che per mettere insieme onestamente pochi soldi bisogna saperseli guadagnare o col lavoro delle proprie mani o coll’ingegno della propria testa … Mi spiegherò meglio … Sappi dunque che, mentre tu eri in città, la Volpe e il Gatto sono tornati in questo campo: hanno preso le monete d’oro sotterrate, e poi sono fuggiti come il vento. E ora chi li raggiunge, è bravo!”.
 Come ci viene spiegato nell’enciclica Laudato si’, le risorse della società sono limitate, una quantità definita: ciò che si aggiunge agli uni si sottrae ad altri. Nessuna posizione di privilegio può essere mantenuta senza sfavorire altri, senza togliere agli altri. Un modello di sviluppo che favorisce la concentrazione delle ricchezze in poche mani, necessariamente comprenderà un ordine che sfavorirà i più, in particolare mediante scambi diseguali, in cui una parte forte prevarrà sull’altra, facendo  il prezzo. Ai tempi nostri una delle risorse che si vanno facendo scarse per i più, per quelli che lo cercano per avere una retribuzione, è il lavoro. Vista dall’altra parte, di quelli che lo cercano per usarlo a proprio vantaggio, la situazione è, invece, quella di una svalutazione del lavoro: ai lavoratori è richiesto  sempre più lavoro  per conquistare un certo reddito. E’ una condizione del mercato del lavoro   che, in mancanza di correttivi, tenderà ad aggravarsi sempre di più con l’impiego di macchine pensanti, in grado di sostituire non più solo lavori ripetitivi, ma anche operazioni più complesse. Quindi un altro dei temi fondamentali per la politica di governo sarà quello delle politiche del lavoro: in questo sarà cruciale il punto di vista dei decisori di governo, se si avvicinerà più a quello dell1% dei privilegiati, come purtroppo sembra fatale che accada, o se terrà conto anche di quello degli altri.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli