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Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

Dall’anno associativo 2020/2021 il gruppo di AC di San Clemente Papa si riunisce abitualmente il secondo, il terzo e il quarto sabato del mese alle 17 e anima la Messa domenicale delle 9. Durante la pandemia da Covid 19 ci siamo riuniti in videoconferenza Google Meet. Anche dopo che la situazione sanitaria sarà tornata alla normalità, organizzeremo riunioni dedicate a temi specifici e aperte ai non soci con questa modalità.

Per partecipare alle riunioni del gruppo on line con Google Meet, inviare, dopo la convocazione della riunione di cui verrà data notizia sul blog, una email a mario.ardigo@acsanclemente.net comunicando come ci si chiama, la email con cui si vuole partecipare, il nome e la città della propria parrocchia e i temi di interesse. Via email vi saranno confermati la data e l’ora della riunione e vi verrà inviato il codice di accesso. Dopo ogni riunione, i dati delle persone non iscritte verranno cancellati e dovranno essere inviati nuovamente per partecipare alla riunione successiva.

La riunione Meet sarà attivata cinque minuti prima dell’orario fissato per il suo inizio.

Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

NOTA IMPORTANTE / IMPORTANT NOTE

SUL SITO www.bibbiaedu.it POSSONO ESSERE CONSULTATI LE TRADUZIONI IN ITALIANO DELLA BIBBIA CEI2008, CEI1974, INTERCONFESSIONALE IN LINGUA CORRENTE, E I TESTI BIBLICI IN GRECO ANTICO ED EBRAICO ANTICO. CON UNA FUNZIONALITA’ DEL SITO POSSONO ESSERE MESSI A CONFRONTO I VARI TESTI.

ON THE WEBSITE www.bibbiaedu.it THE ITALIAN TRANSLATIONS OF THE BIBLE CEI2008, CEI1974, INTERCONFESSIONAL IN CURRENT LANGUAGE AND THE BIBLICAL TEXTS IN ANCIENT GREEK AND ANCIENT JEWISH MAY BE CONSULTED. WITH A FUNCTIONALITY OF THE WEBSITE THE VARIOUS TEXTS MAY BE COMPARED.

Il sito della parrocchia:

https://www.parrocchiasanclementepaparoma.com/

domenica 26 febbraio 2023

Feed back

                                                                            Feed back

 

   Il feed back (espressione inglese che si pronuncia fiid bak) è il risultato di un’azione che viene studiato e utilizzato  per modificare quel tipo di azione in modo da renderla più efficace, per raggiungere gli scopi che ci si propone.

  Ogni persona, nelle relazioni sociali nelle quali è coinvolta, prende in considerazione i propri feed back anche se non sempre consapevolmente.

  Che cosa si cerca nelle relazioni che abbiamo in società? Dipende dal contesto, ma anche dalle proprie condizioni personali, come ad esempio l’età che si ha.

  Da molto giovani, ci si pensa unici. Crescendo ci si scopre invece molto simili a tutte le altre persone che vivono nel proprio ambiente sociale consueto. Insomma vogliamo più o meno tutti le stesse cose. Per sentirsi unici l’unica via è di trasferirsi, ma allora spesso i feed back diventano negativi, almeno fin quando non abbiamo imparato a vivere come usa lì. Insomma, stare con chi ci assomiglia nuoce al nostro orgoglio ma ci consente una maggiore soddisfazione. Da persone isolate si soffre: lo si si sperimenta, in particolare, da più anziani, ma può accadere anche ai più giovani, i quali ci paiono in genere di costumi piuttosto conformisti, ad esempio vestono e parlano nello stesso modo, e via dicendo. Temono l’isolamento. La natura li porta a dipendere fortemente dall’intimità con i coetanei: quindi cercano di assomigliarsi.

  Nelle età di mezzo, quando non si è più tanto giovani, ma nemmeno anziani, si raggiunge un equilibrio, per cui la dipendenza dai feed back sociali è meno forte, ciò che consente una certa creatività personale con la conseguente soddisfazione, ma anche maggiore libertà (le dinamiche di gruppo possono divenire opprimenti), senza tuttavia privarsi del sostegno di un mondo vitale, vale a dire dei feed back generati dal gruppo di una trentina di persone che ci sono più intime e che ci convincono del senso della nostra vita. Sono queste le dimensioni di quelle aggregazioni di significato particolare, senza le quali soffriamo perché ci sentiamo persone isolate. L’antropologo inglese Robin Dunbar ha passato una vita a dimostrarlo sperimentalmente: il risultato delle sue ricerche lo ha esposto nel libro Amici. Comprendere il potere delle nostre relazioni più importanti, pubblicato in traduzione italiana da Einaudi l’anno scorso (disponibile anche in e-book).

  Le aziende commerciali da tempo hanno imparato a tener conto dei propri feed back e li studiano per modificare le proprie strategie di mercato. Fateci caso: quando compriamo qualcosa mediante internet, spesso chiedono la nostra opinione sull’acquisto e sulla nostra  soddisfazione per il servizio di vendita.

  Ogni persona, però, fa qualcosa di simile anche se non sempre se ne rende conto.

  Tendiamo ad allontanarci, se abbiamo alternative, dalle esperienze sociali che rimangono insoddisfacenti nonostante tutti i nostri sforzi per generare feed back positivi.

  Poiché possiamo facilmente constatare che sempre meno gente viene in chiesa, probabilmente ciò è dovuto ai feed back negativi che si ricava  andandoci.

  Un primo problema è che l’età media di chi ci va si è fatta alta, come quella dei pastori.

    Non si va in chiesa per comprare o vendere, ma alla ricerca di una realtà di mondo vitale. Quest’ultima richiede l’intimità tra le persone, per la quale  i più anziani sono sfavoriti. Lo ha detto in un’intervista di qualche settimana fa il filosofo Umberto Galimberti: non si sta bene con le persone anziane e ciò accade anche alle persone anziane tra loro. Questo ostacola l’intimità che è alla base dei mondi vitali, ciò che è descritto come calore umano.

  I più giovani per natura rifuggono gli ambienti popolati dalle persone anziane. Sono in fase riproduttiva e cercano le persone che  sono come loro.

  Un altro problema è che i miti dei quali è fatta la base della nostra complicata teologia non rendono più narrazioni emotivamente avvincenti: sono troppo formalizzati, e lo sono per di più allo scopo prevalente di legittimare delle autocrazie. Così poi la religione appare più che altro un sistema di divieti.

  Anche l’elemento comunitario che dagli anni ’70, l’epoca del rinnovamento della catechesi in Italia, si è cercato di introdurre nella formazione alla fede, ha preso un connotato autoritario, perché si è pensato di impiegarlo come strumento di pressione psicologica ed emotiva per consolidare quei divieti: così anche quando si cerca di vivere in una neo-comunità formativa, l’intimità di mondo vitale ne risulta compromessa a Cisa della struttura dispotica, che soffoca e comprime. L’intimità richiede naturalezza, e quindi una certa libertà.

  Infine cè la storica e antica diffidenza verso la rivendicazione di spazi di libertà personale, per cui si cerca di indurre un tipo di spiritualità per la quale si accetti di rinunciarvi come forma di virtù, in modo da rimanere nei confronti dei pastori proprio come un vero gregge, passivi in attesa di essere condotti di qua o di là su metaforici pascoli erbosi.

  Probabilmente i processi sinodali avviati nelle nostre chiese dall’ottobre 2021 erano pensati per cambiare questa situazione sfavorevole, ma sono troppo popolati da persone anziane e travagliati da divieti per riuscirci. Troppa poca libertà. Continuano i feed back negativi, che però vengono in genere ignorati da una gerarchia ecclesiastica che ormai ha il proprio tempo quasi interamente assorbito dalla propria burocrazia e dalla cura di personale e patrimonio.

  Come è stato ricordato due settimane fa, nell’incontro del Meic Lazio su questi temi, prima ci hanno lasciato gli intellettuali, poi i lavoratori e i giovani, ed ora, infine, anche le donne, le più fedeli e le più bistrattate e umiliate.

  È possibile reagire?

   Certo, lo è.

   Bisogna sinodalizzare di propria iniziativa, sperimentando.

 Mario Ardigó – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

sabato 25 febbraio 2023

Popolo e popoli - Conclusione

                                     

Popolo e popoli

Conclusione

Vangelo e democrazia

   

  Gli specialisti del ramo, teologi e sociologi in genere, osservano che nel capitolo secondo, intitolato Il Popolo di Dio, della Costituzione dogmatica sulla Chiesa Luce per le genti - Lumen gentium, legge ecclesiastica fondamentale (in quanto dogmatica), deliberata durante il Concilio Vaticano 2º svoltosi a Roma tra il 1962 e il 1965, e in particolare nel paragrafo 9, è posto molto in risalto l'elemento della novità.

  Ma quanto nuovo c'è?

  Le novità, in genere, impensieriscono nei nostri ambienti religiosi, perché siamo abituati a ritenere più autorevoli gli argomenti della nostra fede in quanto  antichi, in questo recependo un modo di pensare diffuso nella civiltà mediterranea del Primo millennio dalla quale la nostra per molti aspetti deriva. Insomma, ci affezioniamo alle idee dei Padri, e li cerchiamo sempre. La parola dell’italiano “Papa”, viene da un vocabolo del  greco antico,  πάπας si legge “pàpas”, che significa appunto padre. E chiamiamo padri  i nostri preti. E questo nonostante il monito evangelico:

 

E non chiamate "padre" nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste - κα πατέρα μ καλέσητε μν π τς γς, ες γάρ στιν ⸂ὑμν πατρ οράνιος·[ [si legge: kài patèra me kalèsete umòn epi tes ges eis gar estin umòn o patèr o urànios, dove si capisce chiaramente che dove c’è il pater- si vuole significare padre] [dal Vangelo secondo Matteo, capitolo 23 versetto 9 – Mt 23,9  - versione in italiano CEI 2008]

 

  E’ più forte di noi: viviamo in religione in mezzo a una vasta schiera di padri. Da duemila anni.

  Dobbiamo tener conto, però, che, nella lunga evoluzione dell'umanità, duemila anni sono  veramente poca cosa e che, comunque, essi non sono stati caratterizzati dalla continuità, ma, a differenza delle decine di migliaia di anni precedenti, da cambiamenti prodottisi con vertiginosa rapidità, in particolare  nell'ultimo secolo.

  E poi che ciò che intendiamo parlando di vangelo  rappresentò realmente,  all'epoca in cui iniziò ad essere predicato, un modo di pensare rivoluzionario, ciò che, secondo quanto narrato nel Nuovo Testamento, portò molto scompiglio nel giudaismo palestinese di quei tempi e poi, infine, alla decisione dell'autorità occupante di far uccidere chi aveva iniziato a insegnarlo e questo con una efferata esecuzione pubblica, conformemente ai desideri dell'autorità religiose della città, perché costituisse un deterrente per i suoi seguaci.

  Tuttavia la narrazione della Luce per le genti è nuova in particolare rispetto a quella sviluppata dei quattro secoli precedenti, durante i quali era stato costruito un assolutismo autocratico della gerarchia ecclesiastica, con forte accentramento intorno al Papato romano. Sebbene i teologi del partito conciliare cerchino di ravvisare dei precedenti antichi di questa novità portata dall’ultimo Concilio, in particolare nei costumi e nelle concezioni sviluppate nei primi sette secoli dell'era cristiana, in particolare nel pensiero di coloro che sono considerati (ancora!) Padri della Chiesa,  gli argomenti che portano non sono del tutto convincenti. In realtà si tratta di sviluppi culturali che risalgono ad un'epoca collocabile tra gli anni Trenta e gli anni Sessanta del secolo scorso, quando in Occidente si formarono le democrazie avanzate dell'Europa occidentale, che poi orientarono gli sviluppi costituzionali anche di molti degli stati che riuscirono, dagli scorsi anni Cinquanta, a liberarsi dal colonialismo europeo e naturalmente di quelli che, abitati in prevalenza da migranti europei, delle culture europee di origine mantennero le caratteristiche.

  Questa novità è particolarmente indigesta alla gerarchia, ad ogni livello. Essa infatti  è largamente pervasa da sentimenti antidemocratici. È, ad esempio, insofferente delle istituzioni parlamentari e mette il parlamentarismo in contrasto con il vangelo. Quindi, ad esempio, pur volendo consultare non accettano che i consultati discutano: non si vorrà farne un parlamento!, osservano. Con che supponenza si vorrebbe discutere sul vangelo? Si, va beh, ma nel vangelo (purtroppo) non c’è mica scritto tutto quello che ci serve per svolgere la missione che ci è stata affidata. E allora?

  Gli attuali processi sinodali, paradossalmente egemonizzati dalla gerarchia ecclesiastica pur proponendosi di contenerne l'invadenza e le pretese,  risentono pesantemente di questa impostazione, in particolare per il loro orientamento populista, secondo il quale il popolo così come è descritto dalla teologia cessa di essere un elemento culturale per essere considerato qualcosa esistente in natura insieme per virtù propria e per azione soprannaturale. Il popolo come un unico organismo, con il capo in Cielo ma i piedi sulla Terra, e come in un organismo animale, come i nostri corpi, vivente per dinamiche inconsapevoli per le menti che l'abitano, per cui la soluzione migliore sarebbe lasciarlo vivere da sé, e al più cercare di guarirlo chirurgicamente da quel male che sarebbe il dissenso individualistico.

 La singola persona, infatti,  lasciata a sé stessa, sarebbe sopraffatta dalle sue tentazioni d'avidità: una corruzione dalla quale non si può guarire se non rientrando nel grande organismo mitico del popolo, il buon popolo, dissolvendosi in esso. Il dialogo servirebbe appunto solo a questo. Ogni altra soluzione sarebbe illusoria perché incarcererebbe l'individuo nel suo egoismo famelico. 

  Per questo si critica il parlamentarismo, il principale strumento istituzionale del sistema di limiti ad ogni potere che costituisce il cuore delle democrazie avanzate contemporanee. Meglio i leader popolari i quali manifesterebbero naturale consonanza con il popolo non adulterato dagli egoismi individualistici o di fazione.  In quest'ottica, nei parlamenti  invece ognuno sostiene gli interessi particolaristici dei suoi e l'organismo sociale ne risentirebbe negativamente, un po’ come accade nelle assemblee condominiali, che in genere sono un'esperienza sociale sgradevole pur se indispensabile nella vita comune di un fabbricato abitato.

 Parlamentarismo, e dunque anche democrazia, insomma, non sarebbero conciliabili con il vangelo.

Ma che cosa si intende per vangelo?

 Nei due millenni della nostra storia religiosa non lo si è definito sempre nello stesso modo.

   Ai tempi nostri se ne parla come di qualcosa di non coincidente con la complicata, fantasiosa ed a tratti efferata dottrina della fede, la cui accettazione, la si capisca bene o non,  è la condizione richiesta per non essere cacciati. In questo ci viene richiesto di credere  nella Chiesa, vale ad dire nei suo autocrati, come se fosse voce del Cielo. Ma il vangelo sarebbe invece come il cuore delle nostre convinzioni religiose. Quello che, appunto, il popolo potrebbe intuire, per virtù soprannaturale  pur non sapendo descriverlo con un ragionamento ordinato.

  Nel n.9 della Luce per le genti c'è una sintesi molto efficace di ciò a cui, allora come oggi, ci si riferisce quando si parla di vangelo.

 Si scrive infatti che il Popolo di Dio

 

«Ha per condizione la dignità e la libertà dei figli di Dio, nel cuore dei quali dimora lo Spirito Santo come in un tempio. Ha per legge il nuovo precetto di amare come lo stesso Cristo ci ha amati (cfr. Gv 13,34). E finalmente, ha per fine il regno di Dio, incominciato in terra dallo stesso Dio, e che deve essere ulteriormente dilatato, finché alla fine dei secoli sia da lui portato a compimento, quando comparirà Cristo, vita nostra (cfr. Col 3,4) e - anche le stesse creature saranno liberate dalla schiavitù della corruzione per partecipare alla gloriosa libertà dei figli di Dio - » (Rm 8,21).»

 

 "Amare" nel senso sopra indicato traduce il greco evangelico "agàpe", che significa "pace solidale e misericordiosa". Di essa il Popolo di Dio deve farsi segno e strumento. È la sua missione. Per questo è stato costituito. Non è alla sua portata portare questo a compimento, nel ”regno", perché esso ci verrà dall'alto, ma solo manifestarne i segni.

  La democrazia, come oggi la si concepisce (ancora) in Italia, e in tutta l'Europa Occidentale, ha più o meno lo stesso scopo, e la si  pensa in questo modo perché fortemente inculturata dal cristianesimo democratico.

 Questo movimento fu molto precoce tra i cattolici dell'Italia settentrionale, risalendo alla fine del Settecento (ne ha riportato belle pagine Vittorio Emanuele Giuntella, in La religione amica della democrazia, i cattolici democratici del triennio rivoluzionario (1796-1799), editrice Studium 1990, ancora reperibile in commercio). È alle base della costruzione della  nostra Repubblica democratica post-fascista, riscattando in tal modo la disonorevole compromissione del Papato, regnante il papa Pio 11°,  con il fascismo mussoliniano.

  La democrazia, in quel contesto ideale, è, da un lato, un sistema di limiti ad ogni potere pubblico o privato, e, dall'altro, un sistema per realizzare la collaborazione solidale in vista di ciò che, con un concetto  tratto dalla dottrina sociale della Chiesa, è il bene comune, idea diversa da quella dei politici di basso livello di ricavare il più possibile per sé e per la propria fazione dalle decisioni collettive. Il grande principio della sussidiarietà, che i cattolici democratici sono riusciti a inserire tra i fondamenti ideologici dell'Unione Europea, si inquadra appunto tra quei limiti. Un altro limite importante è quello di  legittimare ogni potere nella misura in cui è servizio, e qui siamo nel pieno degli insegnamenti evangelici che esortano a comandare come colui che serve.

  Ora, l'agàpe rimane solo un concetto che lascia il tempo che trova se non si riesce a costruirla nella società e una gerarchia autocratica, come ci è  giunta – finora irriducibile - dalla nostra tremenda storia bimillenaria, non può riuscirci, perché rivendicando al vertice la libertà da ogni limite, per sovrastare tutte le resistenze,  finisce inevitabilmente  con il cedere alla tentazione di tenere presente innanzi tutto l'esigenza primaria di mantenere intatto tutto quel suo potere, e ciò non si può considerare più servizio e neppure bene comune. L'istituzione del parlamento serve appunto a superare questo problema e la sua peculiare caratteristica risiede nelle sue procedure, per cui possono parteciparvi il giusto e l'ingiusto, ma, poiché nessuno può prevalere illimitatamente e indefinitivamente, neanche le maggioranze,  e l'ingiustizia trova così un contenimento, allora il risultato è vissuto  come conforme a giustizia e genera pace sociale, in particolare quando alcuni grandi valori, che per le nostre istituzioni sono quelli scritti, anche dai cattolici democratici, nella Costituzione repubblicana, sono sottratti alla regola della decisione a maggioranza, come ad esempio quello di uguaglianza e l'altro della laicità dello stato (con il quale contrasta, ad esempio, il motto fascista Dio,Patria e Famiglia).

  Fin da piccolo sono vissuto in un ambiente familiare in cui fede religiosa e impegno politico, e anche parlamentare, andavano perfettamente d'accordo. Addirittura nel partito della Democrazia Cristiana, ameno fino alla metà degli anni Settanta, ci si candidava alle elezioni in base a una sorta di mandato dei rispettivi vescovi. Un cugino di mio padre fu a lungo parlamentare della DC, ma svolgeva quell'incarico in spirito di servizio e come forma di collaborazione all'agàpe evangelica. In quell'ottica era inconcepibile una separazione, o addirittura un'opposizione, tra il vivere la missione del vangelo e il servizio parlamentare. Quest'ultimo era vissuto come esercizio dell'agàpe evangelica, o, detto con parola italiano che però non ne rende bene il senso originario, della carità.

  Non in tutto il mondo si è vissuto questa particolare esperienza politica che ha fatto dell’Europa occidentale, che finora è riuscita a coinvolgere in misura variabile, anche quella orientale, un qualcosa di mai visto nella storia dell’umanità di sempre. Nel continente americano, ad esempio, solo le istituzioni del Canada le sono molto simili.

   A lungo fummo governati in religione da un Papa  venuto da lontano, dall’Europa orientale, il quale le era estraneo. Poi da un Papa che non vi credeva più e ora di nuovo da un altro Papa che non l’ha vissuta e che non vi crede. Questo non ha fatto bene al cattolicesimo europeo, ma, in particolare, sta risultando esiziale per quello italiano.

  Il Popolo  ritenuto strumento della missione di fede non esiste in natura, non è un organismo biologico, ma un elemento mitico della cultura di un popolazione che va pazientemente costruito, adattato, all'occorrenza riparato, a volte riedificato,  intendendosi, dialogando, vale a dire costruendo strutture di mediazione. Perché deve essere un popolo attivo. Negli ultimi secoli lo si è ridotto invece a un popolo passivo e inerte, schiacciato da autocrazie irriducibili. Così la gente, in Europa occidentale, si è stufata di farne parte, perché formatasi in ambienti di democrazia avanzata, rifiuta l'umiliazione che ne consegue. A che serve, poi, tutta questa autocrazia paternalistica? Non bastano più i tanti nostri padri, quelli di oggi e i tantissimi del passato. Dovremmo, invece, scoprire più amici.


Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l'ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri.

[Dal Vangelo secondo Giovanni, capitolo 15, versetti da 12 a 17 – Gv 15, 12-17 – versione in italiano CEI 2008]

Mario Ardigò- Azione Cattolica in San Clemente papa- Roma, Monte Sacro, Valli

 

  

mercoledì 22 febbraio 2023

Popolo e popoli – 10

 

Popolo e popoli – 10

 

1.  La natura ci confina in ambienti sociali piccolissimi, la cultura ci consente di creare società di miliardi di persone: un paradosso vertiginoso.

  Come c’entra la religione?

  La religione è un importantissimo fattore culturale. L’altro è il diritto. L’una e l’altro utilizzano i linguaggi come strutture di mediazione. Per questa via la realtà intorno a noi assume l’aspetto di una narrazione e ci diviene comprensibile. La società iniziò quando ci si mise intorno al fuoco ad ascoltare belle storie su come andava il mondo. Le raccontavano i più anziani, i più giovani le imparavano e le raccontavano alle generazioni che seguivano: la tradizione.

  Anch’io fui giovane e allora c’era chi credeva ancora che le religioni potessero essere travolte dalla luce della scienza e della filosofie, che avrebbero convinto tutte le persone del mondo di come andavano veramente  le cose. Ci avrebbe guidato la dea Ragione (alla fine del Settecento, nella Francia rivoluzionaria, si tentò per davvero di organizzarne il culto). Solo che anche le scienze e le filosofie sono prodotti culturali, narrazioni, ed è proprio per questo che sono  vive.

  Peter Berger e Thomas Luckmann nel ’66 ci scrissero un libro molto interessante sopra, The social construction of Reality, ancora in commercio in traduzione italiana, con il titolo La realtà come costruzione sociale, Il Mulino 2016.

  Ci sembra che la nostra Chiesa  si stia dissolvendo, e in un certo senso  è vero. L’immagine del suo popolo sta diventando piuttosto velocemente indistinguibile dal contesto sociale intorno. Accadrà come all’antica religione che precedette la nostra? Che ne è stato? Credo che sarebbe superficiale pensare che sia realmente svanita. Leggiamo i testi che ne narrano i miti: li troviamo familiari, dicono ancora qualcosa di noi, oggi.

  Le religioni si tramandano e, nel tramandarle, ne cambiano le narrazioni. Chi narra? Ecco, è qui che emergono i popoli.

  Una popolazione che si lega ad certe narrazioni assume la configurazione di popolo. Con il cambiare delle popolazioni, in particolare con il loro rimescolarsi, cambiano anche quelle narrazioni e dunque le immagini di popolo che esprimono.

  Questa evoluzione è analoga a quella, eclatante ma tuttavia in genere poco notata, delle lingue parlate dalle genti. L’italiano  è il latino  moderno. Come suonerà e come lo chiameranno tra duemila anni?

2. Siamo in un’epoca di veloce transizione sociale.

   Le società non rimangono mai le stesse, ma la loro storia è attraversata da passaggi di fase in cui cambiano più in fretta. E’ il caso della nostra, nell’Europa occidentale.

  Nonostante la globalizzazione, la creazione di una rete di culture che avvolge ormai tutte le popolazioni del mondo e che rende possibili relazioni sociali molto intense, non tutte le società cambiano con la stessa velocità. Da noi si cambia molto più velocemente che altrove. E’ lo stesso processo di unificazione continentale europea ad aver molto accelerato questa dinamica. La nostra immagine di popolo è divenuta cangiante.

  C’è chi pensa che si possa far retrocedere il processo, ma questo è impossibile: non ci sono più le società che sorreggevano le culture del passato. E’ possibile, almeno, arrestarlo? Così si pensò nella nostra Chiesa a metà degli scorsi anni ’80. Non ha funzionato. Il risultato è stato solo che il nuovo non ha trovato più narrazioni adeguate: è per questo che l’immagine di popolo sembra sbiadire.

 I processi sinodali che sono stati attivati nelle nostra Chiese da circa un anno e mezzo, al di là di molta obsoleta teologia mediante i quali si cerca di organizzarono, dovrebbero servire in fondo a rimediarvi.

  Volete un esempio di narrazione costruita allo scopo di rendere un’immagine rinnovata di popolo? Eccola di seguito, tratta dalla Costituzione dogmatica sulla Chiesa Luce per le genti – Lumen gentium deliberata durante il Concilio Vaticano 2°, negli scorsi anni ’60:

 

CAPITOLO II

IL POPOLO DI DIO

 

Nuova alleanza e nuovo popolo

9. In ogni tempo e in ogni nazione è accetto a Dio chiunque lo teme e opera la giustizia (cfr. At 10,35). Tuttavia Dio volle santificare e salvare gli uomini non individualmente e senza alcun legame tra loro, ma volle costituire di loro un popolo, che lo riconoscesse secondo la verità e lo servisse nella santità.

  Scelse quindi per sé il popolo israelita, stabilì con lui un'alleanza e lo formò lentamente, manifestando nella sua storia se stesso e i suoi disegni e santificandolo per sé. Tutto questo però avvenne in preparazione e figura di quella nuova e perfetta alleanza da farsi in Cristo, e di quella più piena rivelazione che doveva essere attuata per mezzo del Verbo stesso di Dio fattosi uomo. « Ecco venir giorni (parola del Signore) nei quali io stringerò con Israele e con Giuda un patto nuovo... Porrò la mia legge nei loro cuori e nelle loro menti l'imprimerò; essi mi avranno per Dio ed io li avrò per il mio popolo... Tutti essi, piccoli e grandi, mi riconosceranno, dice il Signore » (Ger 31,31-34). Cristo istituì questo nuovo patto cioè la nuova alleanza nel suo sangue (cfr. 1 Cor 11,25), chiamando la folla dai Giudei e dalle nazioni, perché si fondesse in unità non secondo la carne, ma nello Spirito, e costituisse il nuovo popolo di Dio. Infatti i credenti in Cristo, essendo stati rigenerati non di seme corruttibile, ma di uno incorruttibile, che è la parola del Dio vivo (cfr. 1 Pt 1,23), non dalla carne ma dall'acqua e dallo Spirito Santo (cfr. Gv 3,5-6), costituiscono « una stirpe eletta, un sacerdozio regale, una nazione santa, un popolo tratto in salvo... Quello che un tempo non era neppure popolo, ora invece è popolo di Dio » (1 Pt 2,9-10).

  Questo popolo messianico ha per capo Cristo « dato a morte per i nostri peccati e risuscitato per la nostra giustificazione » (Rm 4,25), e che ora, dopo essersi acquistato un nome che è al di sopra di ogni altro nome, regna glorioso in cielo. Ha per condizione la dignità e la libertà dei figli di Dio, nel cuore dei quali dimora lo Spirito Santo come in un tempio. Ha per legge il nuovo precetto di amare come lo stesso Cristo ci ha amati (cfr. Gv 13,34). E finalmente, ha per fine il regno di Dio, incominciato in terra dallo stesso Dio, e che deve essere ulteriormente dilatato, finché alla fine dei secoli sia da lui portato a compimento, quando comparirà Cristo, vita nostra (cfr. Col 3,4) e « anche le stesse creature saranno liberate dalla schiavitù della corruzione per partecipare alla gloriosa libertà dei figli di Dio » (Rm 8,21). Perciò il popolo messianico, pur non comprendendo effettivamente l'universalità degli uomini e apparendo talora come un piccolo gregge, costituisce tuttavia per tutta l'umanità il germe più forte di unità, di speranza e di salvezza. Costituito da Cristo per una comunione di vita, di carità e di verità, è pure da lui assunto ad essere strumento della redenzione di tutti e, quale luce del mondo e sale della terra (cfr. Mt 5,13-16), è inviato a tutto il mondo.

  Come già l'Israele secondo la carne peregrinante nel deserto viene chiamato Chiesa di Dio (Dt 23,1 ss.), così il nuovo Israele dell'era presente, che cammina alla ricerca della città futura e permanente (cfr. Eb 13,14), si chiama pure Chiesa di Cristo (cfr. Mt 16,18); è il Cristo infatti che l'ha acquistata col suo sangue (cfr. At 20,28), riempita del suo Spirito e fornita di mezzi adatti per l'unione visibile e sociale. Dio ha convocato tutti coloro che guardano con fede a Gesù, autore della salvezza e principio di unità e di pace, e ne ha costituito la Chiesa, perché sia agli occhi di tutti e di ciascuno, il sacramento visibile di questa unità salvifica. Dovendosi essa estendere a tutta la terra, entra nella storia degli uomini, benché allo stesso tempo trascenda i tempi e i confini dei popoli, e nel suo cammino attraverso le tentazioni e le tribolazioni è sostenuta dalla forza della grazia di Dio che le è stata promessa dal Signore, affinché per la umana debolezza non venga meno alla perfetta fedeltà ma permanga degna sposa del suo Signore, e non cessi, con l'aiuto dello Spirito Santo, di rinnovare se stessa, finché attraverso la croce giunga alla luce che non conosce tramonto.

 

Mario Ardigò  - Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

 

 

 

 

 

martedì 21 febbraio 2023

Popolo e popoli -9

 

Popolo e popoli -9

 

  L’idea di consultazione popolare che è al centro del moto di riforma ecclesiale avviato circa un anno e mezzo fa da Papa Francesco presuppone che vi sia un centro decisionale che consulta distinto  da chi è consultato, e che poi le decisioni valide per tutti, ovunque e fino a nuovo ordine  vengano prese solo dal primo. Si consulta perché si pensa che collettivamente chi è consultato abbia la prodigiosa capacità di intuire la verità, vale a dire le condizioni alle quali subordinare l’appartenenza al popolo che conta per la nostra fede, quello che il Cielo si è scelto o che ha radunato (le due azioni non sono esattamente la stessa cosa). I dottori, infatti, vale a dire quelli che sanno argomentare ordinatamente, la pensano nel modo più disparato e non riescono a mettersi d’accordo. E non sembra esserci altro modo di dirimere le loro controversie che affidare le decisioni a un centro sovraordinato, che nelle nostre Chiese è stato storicamente strutturato nei modi più vari. Tuttavia, nel mutare inevitabile delle società, quei centri decisionali vanno incontro a crisi di legittimazione, per cui i loro deliberati hanno sempre meno presa sociale: dagli scorsi anni Cinquanta, ci troviamo appunto in un’epoca con queste caratteristiche.

  La principale obiezione al metodo della consultazione è questa: perché mai gli incolti dovrebbero riuscire meglio dove i dottori non ne sono venuti a capo?

  Si risponde, però, che, ad essere consultati saranno anche i dottori, insieme a tutte le altre persone. Facendolo in questo modo si manifesterebbe il miracolo dell’intuizione della via giusta, che poi i dottori articolerebbero con ordine nei loro trattati. Perché, alla fine, la decisione non sarebbe fondata sul parere di questa o quell’altra persona, ma sull’orientamento di tutte le persone coinvolte nel processo, che non potrebbero sbagliarsi, perché così è garantito dal Cielo. Di fatto le perplessità non sono state superate e tra gli specialisti che cercano di spiegare come funzionerebbe questa cosa si parla di vari livelli decisionali in cui sarebbero coinvolti tutti, poi alcuni, i dottori, e alla fine uno, identificato, a seconda del caso, nel papa, nel vescovo, nel parroco, comunque uno. Alla fine l’ordine su che fare verrebbe da quell’uno. Siccome il mondo è grande e questa organizzazione richiede l’istituzione di più monarchi, essi dovrebbero cercare di mettersi d’accordo in assemblee dette sinodi, e questo è appunto ciò che si è cercato inutilmente di fare fin dal Terzo secolo, epoca a cui risalgono le prime testimonianze affidabili di procedure sinodali, in Africa, a Cartagine.

  Nel discorrere che si fa di verità   e di popolo noto alcune aporie, vale a dire dei problemi logici fin dall’inizio insolubili, o, altrimenti detto sotto metafora, serpenti che si mordono la coda.

  L’autorità ecclesiastica dovrebbe essere esercitata secondo verità;  la verità  la si vorrebbe tratta da Scrittura  e Tradizione, ma unica interprete qualificata di queste ultime è l’autorità ecclesiastica. Analogamente per l’idea di popolo: L’autorità ecclesiastica la si pensa come esercitata nell’interesse del popolo in nome si quella verità, ma chi e che cosa è popolo  e anche che cosa sia la verità è definito dalla stessa autorità ecclesiastica,  e questo si pensa che rientri in quella verità. L’autorità ecclesiastica la si pensa come sorretta dall’azione soprannaturale: che dovrebbe imparare dal popolo? Si pensa che quella stessa virtù soprannaturale porti il popolo, per intuito, ad aderire a quella verità, e se non vi aderisce non è il vero  popolo.

  Di fatto, storicamente, e lo studio della storie delle nostre Chiese è veramente un’esperienza forte, le popolazioni di fede si sono ciclicamente opposte ai dettati delle loro autorità ecclesiastiche che venivano deliberati in nome di quella verità, e sono state represse con incredibile ferocia. I secoli nei quali, per ciò che ne capisco, ciò è avvenuto con più intensità sono stati il Cinquecento e il Seicento.  E’ l’era in cui si è strutturata la gerarchia ecclesiastica come oggi la conosciamo: la si è voluta assolutizzare durante il regno del papa Pio 9°, a metà Ottocento. Questo processo è inquadrato in due Concili, il Concilio di Trento, svoltosi tra il 1545 e il 1563, e l’infausto Concilio Vaticano 1°, iniziato a Roma nel 1869 e sospeso, e mai più ripreso,  nel 1870 per l’invasione italiana dello Stato della Chiesa, il regno dei Papi nell’Italia centrale, o almeno, ciò che all’epoca ne restava dopo le guerre risorgimentali.

 L’avvento di regimi democratici in Europa Occidentale, e poi anche altrove, impedisce di esercitare la violenza brutale dei secoli passati per uniformare i costumi religiosi. Ma l’assetto teologico dell’autorità ecclesiale è più o meno quello del passato, perché la riforma che si è cercato di attuare durante il Concilio Vaticano 2° (1962-1965) è fallita.

 Questo comporta che la convivenza tra le gerarchie ecclesiastiche e le popolazioni che alla nostra fede fanno riferimento spirituale si fonda su una doppia ipocrisia: i gerarchi ordinano, sapendo che non verranno obbediti ma facendo finta che invece lo siano; le popolazioni fanno finta di obbedire, ma poi si regolano secondo la loro ragione e le loro ragioni. Così come, finora, nei processi sinodali in corso, in fondo si è fatto finta di consultare e, dall’altra parte, si è fatto finta di essere consultati, perché la via che sarà seguita non verrà da chi è stato consultato, ma da un accordo tra gerarchi.

  Una vera consultazione dovrebbe, credo, partire dall’abbandonare l’ipocrisia che ha consentito di andare avanti come se nulla fosse cambiato, mentre praticamente tutto lo era. Ma, allora, dovrebbe essere più di una consultazione. Non si sa neanche bene come converrebbe chiamarla.

  Nel 2009, papa Benedetto 16° inquadrò molto bene la questione principale, che riguarda la relazione tra verità  e agàpe. Se il discrimine deve essere la verità come oggi viene definita, il processo è senza sbocchi, è il serpente che si mangia la coda. Se invece è l’agàpe, l’intensità ed estensione della pace sociale benevolente e solidale che si riesce a costruire è diverso, si esce dal circolo vizioso.

  Mi sono sempre chiesto perché il Maestro, di fronte al procuratore romano Pilato che lo stava giudicando, non gli rispose quando il funzionario della potenza occupante gli chiese che cosa fosse la verità.

 

  Pilato allora rientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli disse: "Sei tu il re dei Giudei?". Gesù rispose: "Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?". Pilato disse: "Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?". Rispose Gesù: "Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù". Allora Pilato gli disse: "Dunque tu sei re?". Rispose Gesù: "Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce". Gli dice Pilato: "Che cos'è la verità?". [Dal Vangelo secondo Giovanni, capitolo 18, versetti 33-38 - Gv 18, 33-38 - versione CEI 2008]

 

  Dal Duecento, da quando la teologia divenne una disciplina universitaria, la si fa consistere essenzialmente in un complesso di dottrine. L’agàpe, che, secondo il Maestro era il comandamento nuovo al quale era finalizzata la sua missione, mi pare essere passata molto in secondo piano, tenendo conto dell’inconcepibile efferatezza con cui ci si è massacrati per questioni dottrinali.

 

Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l'ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri.  [dal Vangelo secondo Giovanni, capitolo 15, versetti 12-17  - Gv 15,12-17- versione CEI 2008]

 

  Nelle popolazioni di fede non si ha che superficiale consapevolezza della dottrina, praticabile solo da specialisti che passano anni a studiarci sopra. C’è però l’agàpe? In genere viviamo in società violente, anche se molto meno che nel passato. Volerci bene al di fuori delle nostre piccole cerchie di mondo vitale  richiede un grande impegno, però questo, a differenza della verità - dottrina,  è più o meno alla portata di tutte le persone.

  Nella pratica sinodale diffusa che ci è stata proposta, mi pare che proprio questo sia la cosa più importante: imparare a costruire l’agàpe evangelica tra noi. Così, come  è stato osservato dal Papa, la pratica della sinodalità è già il risultato atteso.

Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Monte Sacro Valli

  

 

 

 

lunedì 20 febbraio 2023

Popolo e popoli -8

Popoli e popolo – 8

 

 Si arriva in una città e ci si trova immersi nella sua popolazione, gente che va, gente che viene. Osserviamo come lo fa e che dice, se ne capiamo la lingua. Possiamo anche trarne delle conclusioni sui suoi costumi e concezioni, quindi sulla sua cultura.  E’ solo a questo punto che possiamo cercare di  individuare il popolo: per riuscirci  dobbiamo capire chi e come comanda al vertice e chi accetta di essere comandato e perché. Il perché  è narrato dal suo mito. Questo è il lavoro degli antropologi. 

  Naturalmente in una popolazione non c’è solo il popolo ma anche un sistema di società. Una società è un sistema di relazioni con carattere normativo: ciascuna società poi esprime un suo  popolo, il cui assetto dipende anche qui dal sistema di governo e dal relativo mito di legittimazione. Le società si relazionano tra loro in vari modi e,  nel mondo contemporaneo, il loro intreccio si è fatto estremamente complesso, anche a causa dell’esplosione demografica. C’è molta più gente ora  intorno al bacino del Mediterraneo di quanta c’è ne fosse duemila anni fa, ai tempi in cui cominciarono ad evolvere le prime comunità che vivevano la religione richiamandosi agli insegnamenti del Maestro che avevano iniziato ad essere tramandati. L’intreccio delle società di una popolazione  è studiato dalla sociologia.

  Per il lavoro della sociologia è molto importante capire i sistemi di governo e per questo ci si occupa anche di come vengono costruiti normativamente i popoli delle società che si studiano, ma anche di come funzionano, e innanzi tutto della misura in cui funzionano, i sistemi normativi che definiscono i popoli, che cosa si pensano che i popoli siano, chi ci entra e come, che obblighi e diritti comporta l’entrarci e che cosa l’esserne esclusi. Anche per l’antropologia occuparsi del popolo  è importante, ma più per capire come è vissuto dalle persone l’esserne considerati parte, o l’esserne esclusi.

  Antropologia e sociologia sono discipline scientifiche che si fondano sull’osservazione sistematica e metodica dei fenomeni di cui si occupano. 

  La teologia ragiona molto diversamente e lo fa in modo simile a come ragionano le scienze giuridiche. La differenza è che in queste ultime ha moltissima importanza l’esperienza delle relazioni sociali, dalle quali emerge l’esigenza di normazione, quindi poi le norme giuridiche sulle quali si esercitano i giuristi.

  Il problema fondamentale della teologia è di capire i confini della verità, intesa come sistema di definizioni che deve essere accettato per essere ammessi nel popolo  di coloro che vivono religiosamente, per esserne riconosciuti  parte. L’osservazione conta poco. Contano invece le esigenze dei suoi committenti, che sono le gerarchie ecclesiastiche. Quindi poi l’idea di popolo della teologia è molto cambiata storicamente, in modo corrispondente all’esercizio del governo ecclesiastico, che nei secoli passati fu strettamente intrecciato con quello esercitato dai poteri civili. Innanzi tutto perché le caratteristiche date ai  loro popoli  in larga parte coincidevano. Così il rispettivo governo richiedeva di organizzare una specie di condominio. Il liberalismo, il movimento culturale e politico sviluppatosi dall’Ottocento in Europa, intendeva spezzarlo e per questo è stato duramente avversato dalla nostra gerarchia ecclesiastica, e ancor oggi lo è.   

  L’idea fondamentale del liberalismo è che la singola persona umana non debba essere totalmente in dominio altrui, in particolare dei poteri politici. Su di essa si fonda il sistema dei diritti umani fondamentali e l’altra idea della dignità della singola persona umana. Da qui poi la costruzione delle democrazie avanzate contemporanee, che sono un sistema normativo di limiti ad ogni potere, pubblico o privato, che viene definito dello stato di diritto.

  Quanto alla questione dei poteri pubblici, l’dea fondamentale della nostra gerarchia ecclesiastica, che come ho scritto è la principale committente delle nostre teologie, è che essa non deve cadere in dominio di nessun altro potere e per nessun motivo. Questo principio è espresso nell’art. 7 della nostra Costituzione, che solo superficialmente può sembrare richiamare quello liberale del “libera Chiesa in libero Stato”:

Articolo 7

Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani.

I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi.

Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale. 

 

  La differenza, cruciale, la fa l’attribuzione della sovranità anche alla Chiesa. Sovranità significa non riconoscere al di sopra di sé alcun altro potere. Nel diritto della nostra Chiesa non è applicato veramente il sistema dello stato di diritto, in quanto il vertice supremo è sottratto a qualsiasi limite giuridico.

 

[Dal  Codice di diritto canonico vigente]

Canone 332 – 

§comma 1. Il Romano Pontefice ottiene la potestà piena e suprema sulla Chiesa con l'elezione legittima, da lui accettata, insieme con la consacrazione episcopale. Di conseguenza l'eletto al sommo pontificato che sia già insignito del carattere episcopale ottiene tale potestà dal momento dell'accettazione. Che se l'eletto fosse privo del carattere episcopale, sia immediatamente ordinato Vescovo.

§2. Nel caso che il Romano Pontefice rinunci al suo ufficio, si richiede per la validità che la rinuncia sia fatta liberamente e che venga debitamente manifestata, non si richiede invece che qualcuno la accetti.

Can. 333 –

 §1. Il Romano Pontefice, in forza del suo ufficio, ha potestà non solo sulla Chiesa universale, ma ottiene anche il primato della potestà ordinaria su tutte le Chiese particolari e i loro raggruppamenti; con tale primato viene contemporaneamente rafforzata e garantita la potestà propria, ordinaria e immediata che i Vescovi hanno sulle Chiese particolari affidate alla loro cura.

§2. Il Romano Pontefice, nell'adempimento dell'ufficio di supremo Pastore della Chiesa, è sempre congiunto nella comunione con gli altri Vescovi e anzi con tutta la Chiesa; tuttavia egli ha il diritto di determinare, secondo le necessità della Chiesa, il modo, sia personale sia collegiale, di esercitare tale ufficio.

§3.  Contro la sentenza o il decreto del Romano Pontefice non si dà appello né ricorso.

 

  Ho letto che la bozza dell’art.7 venne preparata a tu per tu dal politico democristiano Giorgio La Pira, membro dell’Assemblea Costituente italiana, che operò dal giugno 1946 a dicembre 1948 per redigere e approvare  la nuova Costituzione repubblicana italiana, e da Giovanni Battista Montini, all’epoca del suo servizio nella Segreteria di Stato vaticana. Vi si trova il termine Stato in una accezione per la quale nel testo della Costituzione si usa in genere Repubblica, il che lo pone in tensione con il resto della nostra legge fondamentale.

  La pretesa di esclusività e assolutezza del potere ecclesiastico si basa sul mito [in senso antropologico] dell’essere stato voluto e costituito come tale per ordine celeste. Per questo se ne cerca di ricavare il fondamento nelle nostre Scritture, e questo è uno dei compiti fondamentali attribuiti alla teologia.

  L’organizzazione democratica si fonda sul diverso mito della sua derivazione dal popolo. Tuttavia per corrispondervi sono strutturate le procedure elettorali, che costituiscono uno dei principali limiti del potere politico a vari livelli. Di fatto, come insegna la sociologia, i poteri pubblici derivano sempre, oltre che da certe procedure, da transazioni tra i gruppi dominanti, che signoreggiano anche il diritto pubblico, vale a dire le norme che stabiliscono chi comanda. Questo è una regola generale, che vale anche per i poteri ecclesiastici,  che utilizzano il diverso mito di fondazione nel soprannaturale.

  La differenza tra i due miti è che, secondo il mito del popolo quest’ultimo può essere consultato, mentre il Cielo no, anche se poi ciascuna persona, nel suo animo, può immaginare di aver ricevuto una risposta. 

  In realtà, come si fa dire al protagonista del film di Ingmar Bergman Settimo sigillo, del 1957: “La fede è un grido nella notte, e nessuno risponde”.

  Il fatto che, all’inizio dei processi sinodali avviati dal Papa nell’ottobre del 2021, ci siano delle fasi di consultazione del Popolo di Dio significa che principi e procedure democratiche sono state cautamente introdotte nella pratica ecclesiastica, anche se non vi corrisponde ancora una teologia appropriata.   

  Il principale problema è quello di definire i contorni del popolo in questo nuovo assetto istituzionale.

  I teologi osservano che dal 1985 l’idea di popolo era come stata rimossa dalla teologia cattolica, dopo essere stata centrale durante il Concilio Vaticano 2º, svoltosi a Roma tra il 1962 e il 1965. Se ne è ricominciato a discutere per rispondere al magistero di Papa Francesco.

  L’idea di un solo popolo su tutta la Terra corrisponde a quella di un solo potere supremo universale,  universale uno perché esercitato per conto dell’Uno e Trino. Un potere smisurato, in teoria e sulla carta, almeno nelle sue pretese.

 Nella realtà troviamo diverse società politiche presenti al mondo, ciascuna con una sua immagine di popolo nella quale confluiscono un insieme di principi e idealità caratterizzati anche da specifici elementi culturali delle rispettive popolazioni. Non è semplice ridurre le tensioni tra l’idea religiosa di popolo, organizzata dalla teologia, e quelle correnti nelle varie società del mondo. Il problema è complicato dal fatto che, di questi tempi di transizione anche per la nostra Chiesa,  sono compresenti varie teologie del popolo.

Mario Ardigó – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

 

 

  

domenica 19 febbraio 2023

L’incontro brain-storming di AC San Clemente su “Realizzare la sinodalità in una realtà di base”

 

L’incontro brain-storming  di AC San Clemente su “Realizzare la sinodalità in una realtà di base”

 

   Ieri sera in Ac San Clemente abbiamo svolto un incontro brain-storming [scuotimento delle menti] su come realizzare la sinodalità in una realtà di base.

  Il metodo brain-storming consiste in interventi molto brevi e mirati di tutti i partecipanti sul tema in discussione, perché tirino fuori i titoli degli argomenti principali che vengono loro in mente, in modo da evidenziare dei temi sui quali approfondire la discussione per programmare delle attività collettive.

  Questo metodo richiede l’opera di un coordinatore che contenga la durata degli interventi e li mantenga in tema. Lo scopo è quello di consentire a tutti di esprimersi e, se è possibile, di fare un secondo o anche terzo giro di interventi.

   Infatti uno  dei principali problemi quando ci si incontra per dialogare è proprio il tempo. A meno di non voler prolungare molto la durata della riunione, per far parlare tutte le persone che partecipano è necessario contenere i tempi, e soprattutto evitare le divagazioni fuori tema. Poiché l’esperienza insegna che per chi parla è difficile regolarsi, ecco che è necessaria una persona che faccia il coordinamento e il cui ruolo sia accettato dai presenti.

  Hanno partecipato A1, A2, A3, A4, B., C., E., G1., G2, io, R., V.. Abbiamo chiuso il brain-storming dopo quarantacinque minuti: è seguita una fase conviviale con frappe e pizzette, per il sabato grasso.

  I temi proposti sono stati:

 A –       A1 - accoglienza: organizzare un’attività per accogliere meglio le persone che vengono in chiesa e anche per aiutare quelle più anziane e con problemi di deambulazione a raggiungerla;

             A2- aiuto sociale: organizzare un’attività di aiuto sociale per le persone in difficoltà;

C – calore:   sviluppare un’attività per rendere più calda la socialità della parrocchia;

D – dialogo: incontrarsi, per dialogare e così conoscersi, capire e  capirsi meglio, per poi decidere che fare;

R – rete, fare rete:     organizzare un’attività per coordinare su scala più ampia alcune attività svolte dalla parrocchia, come quella caritativa, per dividersi il lavoro, specializzandosi, in modo da concentrare le forze, per ogni attività, prendendo come organismi di riferimento le parrocchie che hanno avuto i migliori risultati in un certo campo o che hanno più forze in un certo settore;

S – statue           organizzare una commissione per decidere dove decidere sulla rotazione e collocazione delle statue dei santi nella chiesa parrocchiale;

T – territorio:  organizzare un’attività per individuare problemi e necessità del territorio della parrocchia e iniziare a collaborare con gli altri gruppi di volontariato della zona, come il gruppo  di volontariato ambientale Retake – Roma Monte Sacro o quello Amici di Conca d’oro, che si occupa del Parco delle Valli;

V – organizzare gruppi del Vangelo, come ci consigliò qualche anno fa il cardinal Vicario Vallini, quando venne a celebrare la messa in parrocchia.

  Ho esercitato il ruolo di coordinatore: è stato osservato che l’ho fatto in modo troppo autoritario.

  Al termine della riunione mi ha sorpreso una inaspettata manifestazione di sinodalità: A3, di sua iniziativa, si è alzata e ha diretto la preghiera finale. Abbiamo pregato, con il Padre nostro, in particolare per i terremotati di Turchia e Siria.

  Ora si tratterà di sviluppare il lavoro, strutturando più precisamente le proposte, anche tenendo presenti le forze disponibili in parrocchia, e scegliendo su quale concentrare la nostra proposta al parroco. Ogni attività, infatti, richiede un certo capitale di tempo personale: quindi persone e il loro tempo. L’equazione è TA (tempo totale da impiegare nell’attività programmata)= P (il numero delle persone che vi si impegnano X T (le ore che ciascuno vi si impegna ad impiegare)

TA=PxT

 Ieri sera, ad esempio, eravamo in 12 persone, quindi P=12.

 Attualmente impegniamo un’ora alla settimana nel gruppo di AC. Quindi il valore settimanale TA del nostro gruppo di ieri sera è P12XT1=TA 12, tutto occupato però dalle attività di AC. Per svolgere altre attività per sperimentare la sinodalizzazione nella nostra parrocchia occorre quindi ulteriore TA settimanale.

 Il fabbisogno di TA dipende dal tipo di attività che si vuole svolgere e dalle persone e dal tempo che essa richiede.

  Se, ad esempio, volessimo organizzare, la domenica, un’attività di accoglienza consistente in due persone che, ad ogni messa, si mettono, una ciascuna, davanti alle porte principali della chiesa parrocchiali per dire “Benvenut*!”  e fare un sorriso  a chi entra e, al termine della messa, augurare a chi esce “Arrivederci e buona domenica!”, fornendo anche informazioni a chi le chiede durante le messe, considerando che la domenica ci sono cinque messe, il fabbisogno settimanale di TA, che indichiamo come FTA è 2(P)x5(T)=10. L’attività non è realizzabile con meno di due persone impegnate. Possono bastare se coprono tutte le messe. Se ogni coppia copre una messa, occorreranno 10 persone impegnate, addirittura 20, se per ogni messa si impegnano due persone all’entrata e due all’uscita dei fedeli. Il gruppo impegnato dovrà comunque fornire un TA almeno di valore 10, per eguagliare il fabbisogno, in modo che TA=FTA.

 Calcolare i valori di FTA e di TA è fondamentale per la riuscita di un’attività programmata.

  Nei prossimi incontri potremmo dedicarci a provare a calcolare l’ FTA delle attività che abbiamo immaginato di sinodalizzare  e il TA disponibile, a partire dal nostro gruppo.

  Un modo di cercare di aumentare il TA è quello di realizzare degli incontri per spiegare il programma di sinodalizzazione, in modo da coinvolgervi altra gente. Quindi, ciò considerato, l’attività che sopra ho indicato con la lettera D è quella che può essere svolta più facilmente, sia perché corrisponde a ciò che siamo già abituati a fare (nell’incontro  di ieri sera, Adriano ha osservato che il nostro gruppo opera già  in modo sinodale), ma anche più utilmente, perché può aumentare il TA. Quella che ho indicato con la lettera S è quella che richiede un minor TA.

  Un’avvertenza importante: nei nostri progetti di sinodalizzazione non dobbiamo far conto del TA dei preti, che è totalmente impegnato nei vari servizi della parrocchia e, anzi, appare addirittura deficitario, e dunque qualcosa di meno necessario devono per forza tralasciarla, come, ad esempio, l’accoglienza del tipo di quella che sopra ho immaginato di sinodalizzare. Sinodalizzazione è anche le persone laiche che prendono l’iniziativa, come ha fatto ieri Antonietta, che ci ha detto di essersi appassionata ai temi della sinodalità da affezionata spettatrice dei programmi di TV 2000, che ne trattano ampiamente. Molto bene, dunque, TV 2000 e anche A3!

Mario Ardigò – Azione Cattolica, in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli