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Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

Dall’anno associativo 2020/2021 il gruppo di AC di San Clemente Papa si riunisce abitualmente il secondo, il terzo e il quarto sabato del mese alle 17 e anima la Messa domenicale delle 9. Durante la pandemia da Covid 19 ci siamo riuniti in videoconferenza Google Meet. Anche dopo che la situazione sanitaria sarà tornata alla normalità, organizzeremo riunioni dedicate a temi specifici e aperte ai non soci con questa modalità.

Per partecipare alle riunioni del gruppo on line con Google Meet, inviare, dopo la convocazione della riunione di cui verrà data notizia sul blog, una email a mario.ardigo@acsanclemente.net comunicando come ci si chiama, la email con cui si vuole partecipare, il nome e la città della propria parrocchia e i temi di interesse. Via email vi saranno confermati la data e l’ora della riunione e vi verrà inviato il codice di accesso. Dopo ogni riunione, i dati delle persone non iscritte verranno cancellati e dovranno essere inviati nuovamente per partecipare alla riunione successiva.

La riunione Meet sarà attivata cinque minuti prima dell’orario fissato per il suo inizio.

Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

NOTA IMPORTANTE / IMPORTANT NOTE

SUL SITO www.bibbiaedu.it POSSONO ESSERE CONSULTATI LE TRADUZIONI IN ITALIANO DELLA BIBBIA CEI2008, CEI1974, INTERCONFESSIONALE IN LINGUA CORRENTE, E I TESTI BIBLICI IN GRECO ANTICO ED EBRAICO ANTICO. CON UNA FUNZIONALITA’ DEL SITO POSSONO ESSERE MESSI A CONFRONTO I VARI TESTI.

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Il sito della parrocchia:

https://www.parrocchiasanclementepaparoma.com/

mercoledì 25 agosto 2021

Lavoro nella base

Lavoro nella base

 

 L’ultima volta che, a Bologna, incontrai don Lorenzo Bedeschi, amico di famiglia e storico del cristianesimo, mi congedò intimandomi con l’indice alzato “Mario, combatti il clericalismo!”. Mia zia Francesca colse quell’attimo e ci fece una fotografia che ho incorniciato e appeso in casa. Si era nel 2002 e ancora non avevo molto approfondito il tema,  ma dall’enfasi con cui ne aveva trattato don Bedeschi avevo capito che era molto importante. In effetti gran parte dei problemi degli italiani con la nostra fede sta appunto nel loro inveterato clericalismo, del resto indotto consapevolmente nella scarsa formazione religiosa che in genere si dá loro. Così la principale virtù sembra essere quella di obbedire alla cosiddetta gerarchia e la principale colpa, imperdonabile, quella di mostrarsene in un certo grado autonomi: questo appunto è clericalismo.

  In Italia anche una parte delle persone che si definiscono non credenti, in prevalenza uomini, mostrano un certo clericalismo. E subito iniziano a pontificare, aggiungendosi alla sterminata schiera di padri che pretendono di insegnarci la vita cristiana. Sono anche piuttosto pretenziosi: fanno le mostre di aver per capito tutto. Del resto gli psicologi cognitivi ci avvertono: per come funziona la mente umana, meno si sa è più si è convinti di sapere. Ecco che quindi che, ad esempio, ci spiegano con sufficienza che il cristianesimo non è opera di Gesù di Nazaret ma di Paolo di Tarso, e, dal punto di vista storico, nessuna delle due affermazioni è attendibile. In particolare, perché, benché gli scritti attribuiti a Paolo di Tarso circolassero prima dei Vangeli canonici, il paolinismo ci mise del tempo per affermarsi, e, quando avvenne, Paolo, era già morto. I cristianesimi furono storicamente manifestazioni pluralistiche di stuoli di cristiani, non di questo o quello scrittore, capo carismatico, o vescovo o anche papa. Vivendo da cristiana, ogni persona, anche oggi,  vi contribuisce. Ma questo sfugge ai clericali, credenti e non. In definitiva, anche per quelli che vengono definiti sarcasticamente atei devoti, la Chiesa si riduce sostanzialmente a clero e religiosi, ma loro ci si mettono in mezzo come delle specie di vescovi, o addirittura papi, di complemento, aggravando il problema.

  Nell’opera Le cinque piaghe della Santa  Chiesa, del 1848, don Antonio Rosmini, beato dal 2007, quel libro essendo messo nell’Indice dei libri proibiti (ai fedeli) nel 1849, ed essendo il suo pensiero condannato nel 1888 dal cosiddetto Sant’Uffizio e riabilitato dal papa Giovanni 23º e dai suoi successori, stigmatizzò  come piaga la divisione del popolo dal clero

 

[Testo integrale su wikisource:

https://it.wikisource.org/wiki/Delle_cinque_piaghe_della_Santa_Chiesa_(Rosmini)/Delle_cinque_piaghe_della_Santa_Chiesa/Capitolo_I]

 

  In realtà, più che di divisione, si è trattato di annullamento del popolo, che, si osservò ai tempi del Concilio Vaticano 2º, veniva considerato come un qualcosa di  appiccicato dall’esterno al clero, considerato, esso solo, la Chiesa. Elemento in tanto  tollerato, in quanto sottomesso al clero. Anche l’istituzione  dell’Azione Cattolica italiana, avvenuta nel 1906, sulla base dell’enciclica Il fermo proposito del papa Pio 10º dell’anno precedente, rispondeva a quel criterio. Ancora nel 1951, il Papa Pio 12º, parlando al Primo Congresso Mondiale sull’apostolato dei laici disse che l’Azione Cattolica “è uno strumento nelle mani della gerarchia, deve essere il prolungamento del suo braccio, è, per questo fatto, sottomessa per natura alla direzione del superiore ecclesiastico”. Chiarì il suo pensiero dichiarando:

La gerarchia, istituita divinamente, possiede in se stessa ed espressamente, anche senza la cooperazione dei laici, la missione e la potestà, di cui essa potrebbe fare uso efficacemente nell’apostolato che le appartiene, mentre i laici da se stessi, vale a dire indipendentemente dalla gerarchia, e formalmente non posseggono la potestà di esercitare un apostolato legittimo ed efficace.”  Osserva Peter Neuner, in Per una teologia del popolo di Dio, Queriniana 2016, pag.92: “In questa concezione il laico non ha un’esistenza  autonoma e definita nella chiesa. Il laico si può comprendere solo a partire dalla gerarchia e deve essere definito in riferimento ad essa: egli è semplicemente il non-chierico”.

  Ora, i deliberati del Concilio Vaticano 2º hanno mutato profondamente i presupposti dogmatici di quel modo di pensare, che tuttavia di fatto si è perpetuato nella prassi, essenzialmente per gravi carenze formative dei laici, intese sia come insufficienze di istruzione, sia come impedimenti a costruzioni sociali conformi alle nuove concezioni. La situazione si è aggravata per le interpretazioni riduttive degli aggiornamenti deliberati nell’ultimo concilio che sono venuti dalla gerarchia.

  Come ho scritto in precedenza, non credo che la situazione cambierà per interventi dall’alto, dalla gerarchia, che appare tuttora restia a condividere realmente le decisioni sui principi che riguardano l’azione sociale e politica,  quelli che riguardano l’ordinare la società, che dovrebbe essere il campo privilegiarono dei laici, né tanto meno a fare spazio ai laici nella gestione delle strutture ecclesiastiche, manifestando di essere disposta al più a servirsene come consulenti, ma solo se si dimostrano docili.

   D’altra parte, qualcosa bisogna pur tentare di fare, perché,  o scrive lo storico Riccardi nel suo ultimo interessante libro, la Chiesa brucia, nel senso che si sta annientando per consunzione, un po’ come è accaduto alla cattedrale di Notre-Dame in Parigi nel 2019. La strada è più aperta in periferia, alla base, lontano dai centri del potere ecclesiastico, lì dove non si è intralciati dagli affanni dell’amministrazione di un imponente patrimonio immobiliare e finanziario e dalle ambizioni della carriera ecclesiastica, lì dove,  benché sostanzialmente caduti in desuetudine nel lungo inverno ecclesiale vissuto in Italia, sono formalmente aperti spazi di partecipazione popolare, e, in particolare nelle parrocchie. Lì e anche privilegiato d’impegno della nostra Azione Cattolica che è agevolata dall’aver conquistato una struttura realmente democratica, senza essere afflitta dall’emergere di oppressive strutture para-clericali che si nota in alcuni movimenti laicali piuttosto bellicose e rumorosi (in ciò attualizzando poco virtuose tradizioni ecclesiali che risalgono addirittura alle origini). 

Mario Ardigó – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

martedì 24 agosto 2021

Catecumenato, catechesi, formazione permanente

Catecumenato, catechesi, formazione permanente

 

  Uno degli sviluppi più infelici della fase attuativa dei principi deliberati durante il Concilio Vaticano 2º è stato quello che ha riguardato la formazione permanente alla fede della gente, in particolare dei laici, in genere confusa, per quanto riguarda questi ultimi, con catecumenato catechesi e vista come troppo legata a una pressione psicologica comunitaria e molto meno alla decisione in coscienza e al dialogo sociale. Questo è sostanzialmente dipeso dalla storica e persistente diffidenza di clero e religiosi verso la libertà delle scelte personali, per lo più declinata come libero arbitrio, con una connotazione negativa.

  Il catecumenato, antica istituzione che  l’ultimo concilio ha inteso riprendere e ravvivare, è l’attività di iniziazione alla fede delle persone che chiedono il battesimo e quindi è arbitrario (e umiliante per chi ne è oggetto) intendere come tale la catechesi e la formazione permanente di chi ha già ricevuto il sacramento. La catechesi è l’istruzione religiosa su principi, liturgia, etica personale e comunitaria: serve a rendere capaci di partecipare consapevolmente alle liturgie e alla vita comunitaria tra i cristiani. Catecumenato e catechesi sono affidati a persone incaricate  dal vescovo o dai sui collaboratori, dopo una specifica formazione (che non sempre, però, si ha tempo e modo di fare, con la conseguenza di insegnamenti a volte discutibili, se non francamente bizzarri). La formazione  permanente è quella che si consegue interagendo da cristiani nelle società in cui si è immersi, non solo nella Chiesa, e significa esserne parti attive; essa comprende l’apostolato e, in particolare, l’apostolato dei laici, ma soprattutto quell’azione che consiste nell’ordinarle secondo Dio, secondo l’espressione usata nella Costituzione dogmatica sulla Chiesa  Luce per le genti – Lumen gentium, del Concilio Vaficano 2º. La formazione permanente compete ad ogni cristiano, senza necessità di un mandato gerarchico: essa è prima di tutto autoformazione, personale e comunitaria, che si attua nelle relazioni sociali, poi anche acquisizione culturale, perché altrimenti è povera, ma soprattutto tirocinio, personale e comunitario, perché si impara ciò che si osa sperimentare e si impara anche da quelli che, con il senno del poi, vengono riconosciuti come errori o, addirittura, colpe. La formazione permanente non deve ridursi ad una acculturazione teologica, perché la teologia, qualsiasi teologia, non è sufficiente per quello che necessita per raggiungere i suoi scopi, quindi occorre acculturarsi anche ad altre competenze, deve essere capace e innanzi tutto disposta a imparare dalle competenze altrui, e non deve risolversi nel ripetere lezioncine catechetiche, o addirittura proporsi di inscenare un  qualche passato storico o di cristallizzare la situazione in cui si vive. Il passato, anche quello piuttosto mitizzato delle origini, è pieno di incubi da non risvegliare. È chiaro che si è molto al di là della semplice istruzione. Nel campo della formazione permanente, che anche  costruisce, modella, forma, le società di riferimento, i laici possono anche validamente sostenere le attività che vengono ritenute proprie della gerarchia, comunque si voglia intendere questa espressione, obiettivo che si consegue anche contenendone le pretese autocratiche ed autoreferenziali e facendone risaltare invece le connotazioni ministeriali, quindi di servizio e funzionali.

Mario Ardigó- Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

 

 

lunedì 23 agosto 2021

Non perdersi d’animo

 Non perdersi d’animo

 

  Di solito si sorvola sulla storia delle nostre Chiese perché si teme di spaventare i semplici. Se ne dà quindi una versione agiografica, vale a dire tesa a porne in risalto i soli elementi virtuosi, che certamente non mancano. 

  Tuttavia, in questo modo non se ne fa una memoria realistica e se questo può essere in qualche modo accettato quando ci si rivolge ai bambini, non è così nella formazione dei ragazzi e degli adulti, vale a dire delle persone nelle età in cui ci si deve confrontare con il male che c’è nella natura e con il male etico, sia individuale che sociale. Ognuno può facilmente constatare che queste specie di male sono presenti dovunque in noi e intorno a noi. La nostra Chiesa come struttura sociale, e quindi politica, ne sarebbe stata e ne sarebbe ancora esente? 

  Ma come può essere se già negli scritti neotestamentari, quelli particolarmente importanti perché ci parlano della vita e degli insegnamenti del Maestro e delle prime esperienze comunitarie dei cristiani, sono chiaramente presenti?

   Aggiungo che, se di solito ora cerchiamo di individuare in ogni problema del passato una parte della società che sbaglia consapevolmente sceglie una via cattiva, e che così facendo ne è responsabile, e ci sforziamo di non comprendervi mai chi nella nostra Chiesa esercitava il potere supremo, in realtà, sforzandoci di fare memoria veritiera del passato, ci accorgiamo che questo non ci è sempre possibile, e allora proponiamo comunque tesi giustificazioniste, osservando che chi comandò azioni discutibili in definitiva non può essere considerato soggettivamente colpevole, perché giudicava secondo la cultura del suo tempo e, anche se aveva ricevuto la Rivelazione, la interpretò secondo quella cultura, così come quella Rivelazione descriveva con le parole delle lingue da lui conosciute. A questo modo di pensare si può obiettare che la memoria realistica del passato serve a non ricadere nel male etico che vi è insito, non a condannare chi lo visse e impersonò, perché, dopo la morte di una persona, quel giudizio compete a Dio e a Dio solo. È addirittura un dogma della Chiesa cattolica, deliberato nel corso del Concilio di Trento (1545-1563), che nessuno, se non Dio,  possa dichiarare che una persona morta è sicuramente dannata. Insomma, un po’ semplicisticamente, mi sembra che si debba concludere che si possano proclamare beati o santi, ma non dannati. Questo per quanto riguarda le biografie individuali. Ma certamente non solo possiamo, ma anzi dobbiamo, riconoscere il male sociale, ma anche individuale, del passato per non ripeterlo. 

  Questo appunto il lavoro di purificazione della memoria al quale ci guidò san Karol Wojtyla nei tre anni di preparazione che precedettero il Grande Giubileo dell’Anno 2000. 

 Egli fu anche molto criticato per questo, appunto obiettandogli che il popolo cristiano avrebbe potuto esserne disorientato, ma nondimeno egli lo prosegui, celebrando in quella che chiamò la Giornata del Perdono, una liturgia in cui, il 12 marzo 2000, in San Pietro, come capo della Chiesa cattolica e a nome di tutti gli altri fedeli, chiese perdono a Dio del male etico di cui i cristiani si erano resi responsabili nei secoli passati. Oggi l’elencazione delle colpe da lui confessate in quell’occasione ci appare incompleta, perché non comprendeva esplicitamente quelle riconducibili all’esercizio del potere degli stessi Papi del passato. Essi, in particolare, storicamente si resero responsabili di scelte politiche che oggi ci appaiono addirittura malvagie, ad esempio quelle che discriminarono gli ebrei loro contemporanei nella vita civile. In quel campo noi non accettiamo più nemmeno l’insegnamento di alcuni dei più importanti Padri della Chiesa, che furono feroci contro l’ebraismo. E che dire delle stragiste guerre per reprimere albigesi valdesi per questioni teologiche e di assetto ecclesiastico, che oggi condurrebbero i responsabili davanti alla Corte Penale Internazionale per crimini di guerra?

  Nonostante quella tremenda storia e nonostante le indubitabili responsabilità anche di coloro che all’epoca  si presentarono come Vicari di Cristo, non bisogna però perdersi d’animo, perché la nostra Chiesa ci ha sicuramente recato anche gli insegnamenti del Maestro, e questa era la sua missione. C’è riuscita nonostante che le sue strutture politiche fossero state modellate dalla sua storia e dalle culture che, nei vari tempi, erano risultate dominanti, e come tali avessero provocato tanta sofferenza. 

  Così, la gran parte delle accuse alla nostra Chiesa che le giungono da parte dei suoi nemici sono senz’altro  vere, ma nondimeno noi non dobbiamo abbatterla come loro pretenderebbero, ma riformarla,  per dimostrare di aver imparato  la dura lezione che viene dalla sua terribile storia, per la quale del resto ogni cristiano, ed anche gli stessi Papi, confessa, all’inizio della liturgia della messa, di aver molto peccato. 

  Senza la nostra Chiesa, infatti, ci sarebbe stato  impossibile diventare realmente cristiani e su questo, che io sappia, tutte le nostre Chiese contemporanee  sono d’accordo.

  In religione in genere si pensa a ciò che è santo come di qualcosa legato al divino e, in questo senso perfetto. La nostra esperienza pratica ci dimostra che però  nessuno nulla di cui abbiamo fatto  esperienza può essere considerato totalmente  perfetto in quel senso, tranne il Maestro e, per i cattolici e altre Chiese cristiane, sua Madre. Dunque, la santità non è di questo mondo? E come la mettiamo con le diverse persone e istituzioni che, nelle Chiese cristiane, vengono considerare sante, ad esempio, per i cattolici, la stessa nostra Chiesa? Per avere delucidazioni in merito dovete fare riferimento ai pastori e ai dottori, i quali sono una componente essenziale nelle Chiese cristiane, al di là delle varie configurazioni organizzative che si è dato ai loro ministeri. Io non sono né l’uno né l’altro.

  Il problema si pose fin dall’antichità, in particolare da quando la Chiesa cominciò  a manifestarsi come un’organizzazione istituzionale ben definita che tendeva all’unità intorno a un centro di potere. Una via pratica e semplice, quindi empirica perché basata sull’esperienza concreta, che può essere seguita è di considerare la santità come un modo di indicare la perfezione in quello che è realmente secondo il volere divino, per cui, siccome noi riconosciamo di essere sempre per via verso quella meta, possiamo non scandalizzarci delle imperfezioni che ci affliggono, come persone e nelle società che costruiamo, comprese la stessa storica organizzazione ecclesiale, imparando però a riconoscere anche il bene dove si manifesta e anche ad accettarne l’origine soprannaturale.   

  Naturalmente questo non risolve i complessi problemi su quei temi travagliano il pensiero teologico, ma che consente a noi che non sappiamo di teologia di continuare a rispettare le nostre Chiese anche quando ci proponiamo di riformarle. 

  Non è in fondo con quest’atteggiamento che affrontiamo di solito  ogni problema di riforma sociale, in particolare in ambienti democratici, nei quali quel lavoro non è ostacolato dalla sacralizzazione dei poteri sociali, operazione tesa a sottrarli alla critica sociale?

  Le nostre Chiese, nelle loro attuali configurazioni, non sono scese dal Cielo bell’e fatte, ma sono il frutto di faticose e travagliate costruzioni sociali e, qualunque cosa pensiamo in merito, continueranno senz’altro ad esserlo: questo non esclude che noi riconosciamo loro la santità, nel senso sopra precisato, in quanto volute dal Cielo per il nostro bene e in ciò che in loro è ed è fatto in modo conforme al vangelo. 

  E, appunto, penso quindi che si debba rendere grazie al Cielo se le nostre Chiese ai tempi nostri sono tanto diverse da quello che storicamente furono in passato nel male che manifestarono e che oggi siamo liberi (finalmente) di ammettere, seguendo, in particolare, la via aperta ai cattolici da san Wojtyla, il Papa della mia gioventù, che a noi giovani di allora piacque tanto perché ci esortava a non avere paura di vivere da cristiani.

Mario Ardigó – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

domenica 22 agosto 2021

È necessaria la riforma della struttura politica ecclesiale

È necessaria la riforma della struttura politica ecclesiale

 

  Ogni struttura politica ha avuto origine storica ed è tale, vale a dire politica, perché serve per il governo della società di riferimento. Serve  nel senso che ne è strumento. I cristiani hanno tuttavia un’idea più virtuosa di quel servire, nel senso che il governo della società è messo nelle mani di taluni non nel loro proprio interesse, ma in quello dell’intera società, per cui essi lo devono esercitare come colui che serve, e questo è un principio evangelico. Quindi la politica serve per il governo della società, ma, poiché chi la esercita lo deve fare come colui che serve, allora  il governo della società deve servire  alla società, vale a dire essere finalizzato al suo bene, cioè bene comune, che, in un’ottica cristiana, deve essere concepito secondo criteri evangelici, quindi nello spirito dell’agápe. Secondo quest’ultima, ciascuno è ammesso benevolmente alla condivisione della tavola comune nella sua piena dignità di persona umana. Una struttura politica che, pur finalizzata al suo bene, lo umili e lo riduca, disumanizzandolo, ad animale, del quale pure ci si debba prendere cura, non risponde a quel criterio di agàpe. Essa va quindi riformata, in base a quelle semplici considerazioni, che non implicano alcuna sofisticata teologia. Non facendolo, quella struttura politica non serve più, in entrambi i sensi in cui il servire può essere inteso, e diventa oppressiva e fonte di sofferenze ingiuste, oltre che disfunzionale. Questo problema si è riproposto ciclicamente moltissime volte nella travagliata storia politica delle nostre Chiese, che, di solito, ci appare virtuosa nelle biografie personali, ma raramente nel suo aspetto istituzionale, nel quale soni prevalsi decisamente aspri conflitti per questioni di politica nell’interesse proprio di ceti di volta in volta emergenti.

  “Dio ha creato la gerarchia e così ha provveduto piú che a sufficienza ai bisogni della Chiesa fino alla fine del mondo”: così il teologo cattolico Johann Adam Mohler (1796-1838) [v. biografia in Enciclopedia Treccani in line] sintetizzò ironicamente “la concezione diffusa nel suo tempo, secondo la quale Cristo era venuto sulla terra per istituire con  Pietro il primo papà e con gli apostoli i vescovi, e che poi se ne era potuto andare, lasciando la chiesa all’autorità della gerarchia e del diritto” [da P. Neuner, Per una teologia del popolo di Dio, Queriniana 2016]. Mohler considerava la condizione dei laici cattolici al suo tempo come un’odiosa umiliazione del popolo di Dio provocata da quel concetto gerarchico di chiesa e si proponeva di dare un nuovo suono alla parola “laico”. La situazione dei laici cattolici di oggi mi appare di poco mutata.

Mario Ardigó – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

 

sabato 21 agosto 2021

La creazione del,laico come costruzione sociale

La creazione del laico come costruzione sociale

 

  Il teologo tedesco Peter Neuner in Per una teologia del popolo di Dio, Queriniana 2016, ha sintetizzato molto efficacemente come la figura del laico e l’umiliante emarginazione dei laici nella Chiesa cattolica sia stata il frutto di costruzione sociale che si è sviluppata nell’arco di circa un millennio e che si è completata con le deliberazioni del Concilio di Trento, nel Cinquecento. Nelle prime comunità cristiane delle origini non esistevano preti sacerdoti né vescovi e tantomeno vescovi monarchi autocratici. Esse ci appaiono travagliante, all’interno e tra loro, da aspre polemiche e duri conflittu e questo è l’elemento che possiamo considerare realmente persistente nelle varie forme di cristianità che storicamente si sono manifestate, almeno fino agli anni Cinquanta del secolo scorso, epoca dalla quale, proprio con il contributo determinante di persone laiche, si è cominciato a vivere la fede diversamente e la pace sociale  non è stata più intesa come un’utopia realizzabile solo alla fine dei tempi ma come un concreto obiettivo politico-religioso. 

  Ancora oggi la cosiddetta gerarchia considera l’Illuminismo un nemico pericoloso e a ragione: con l’Illuminismo, infatti, dal Settecento, cominciò ad essere messa in questione la condizione sacralizzata del clero come parte migliore della Chiesa, destinata a dominare gli altri fedeli, ridotti alla condizione laicale.

 Scrive Neuner (pag.75):

Nonostante tutte le motivazioni teoretiche portate a sostegno della subordinazione dei laici al clero, questo stato di dipendenza si potè conservare soltanto fino a quando la formazione, almeno in ambito filosofico e teologico, fu riservata al clero. Non a caso il termine “laico” ha conservato sempre anche il significato di non-specialista.Questo presupposto cominciò a venir meno con llluminismo che rese accessibile la formazione a gruppi più ampi di persone. In ambito cattolico ciò avvenne con un certo ritardo perché l’Illuminismo, in molti suoi rappresentanti, specialmente in ambito francese, aveva assunto un profilo ostile alla chiesa e perché la Chiesa ufficiale aveva reagito mettendosi sulla difensive o sulle barricate nei confronti di tutti gli sviluppi moderni. Il Syllabus di Pio IX, del 1864, con il suo rifiuto di tutte le correnti e idee moderne e con la condanna dei tentativi di riconciliare la chiesa con il progresso, rappresentò il culmine e la sintesi di questa ghettizzazione della chiesa.

  Con l’estraniazione della chiesa da ampi settori del mondo e della cultura moderna, i laici furono quasi costretti ad esserne i rappresentanti nel mondo con il quale la gerarchia non voleva più  avere alcun contatto.

 

   Naturalmente la gerarchia contrastò duramente queste pretese di partecipazione dei laici (ma anche del basso clero, che in questo campo ne segui la stessa sorte) e, per rendere un’idea del clima dell’epoca, Neuner cita queste righe inviate da un prelato all’arcivescovo di Westminster, criticando le idee esposte da John Henry Newman nel saggi del 1859 Sulla consultazione dei fedeli in materia di dottrina: “Se non sarà loro posto un freno, i laici inglesi diventeranno i capi della Chiesa d’Inghilterra prendendo il posto della Santa Sede e dell’episcopato. È del tutto esatto che Newman a Roma sia stato sempre sospetto…Qual è il campo dei laici? Andare a caccia, sparare, conversare. Queste sono le cose che capiscono; ma di immischiarsi nelle questioni della Chiesa, loro non ne hanno nessun diritto […] Il dottor Newman è l’uomo più pericoloso d’Inghilterra”.

  Una volta, negli anni ’70, mi fu raccontata una freddura che all’epoca circolava nei seminari, sulle posizioni dei laici nella chiesa, che sarebbero state: in piedi, in ginocchio, seduti e  con le mani al portafoglio.

  La viva diffidenza di clero e religiosi verso i laici è ancora chiaramente percepibile, ad esempio, quando, ad ogni richiesta di maggiore coinvolgimento nelle attività ecclesiali, si risponde loro che la Chiesa non è una democrazia. Sarebbe bene, per il bene della Chiesa, che i laici non accettassero più passivamente  uscite del genere, replicando con forza che purtroppo la Chiesa, come struttura di governo collettivo, quindi nella sua dimensione politica, non è ancora una democrazia e quindi vi si discrimina ingiustificatamente la maggior parte del suo popolo.

Mario Ardigó – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

 

venerdì 20 agosto 2021

Le basi dogmatiche della riforma sui laici già esistono

Le basi dogmatiche della riforma sui laici già esistono

 

 Peter Neuner, in Per una teologia del popolo di Dio, Queriniana 2016, osserva (pag.72-83) che l’inesorabile nuova dogmatica affermatasi nel Concilio di Trento (1545-1563), a seguito della quale la Chiesa venne vista innanzi tutto e prima di tutto come una grandezza suddivisa in classi, come una società di diseguali, con il clero che accentrava nella pratica la definizione dei principi, lasciando ai laici il solo compito di testimoniare ciò che era stato loro insegnato dai pastori, venne mitigata nei decreti di riforma del medesimo Concilio,  che ponevano al centro dei compiti di vescovi e sacerdoti la predicazione e la pastorale. Quest’ultima parte della riforma attuata con quel Concilio è sostanzialmente  sopravvissuta nelle concezioni alla base delle deliberazioni del Concilio Vaticano 2º, svoltosi circa quattro secoli dopo, mentre la dogmatica ecclesiale del Concilio di Trento appare radicalmente mutata, in particolare con la Costituzione dogmatica sulla Chiesa Luce per genti – Lumen gentium. Semplicemente, non se ne sono tratte ancora tutte le conseguenze con riferimento in particolare alle posizioni e alle funzioni ecclesiali dei laici. È un lavoro che non può essere completato solo da autocrati religiosi e dai loro teologi di corte, i quali fatalmente, come dimostrato dall’esperienza storica della fase attuativa del Concilio Vaticano 2º, finora fallita, cercheranno di proporre una lettura restrittiva della nuova dogmatica deliberata in quel Concilio per esimere i gerarchi  dall’attuarla. La legge generale di ogni potere politico, e quello della nostra gerarchia ecclesiale ha anche questa natura, ed è questo suo aspetto ad umiliare i laici, è quella di resistere ad ogni riforma che ne comporti limiti, prospettando la dissoluzione del corpo politico di riferimento. La fase attuativa del Concilio Vaticano 2º abortirà se, per la parte che riguarda il laicato, non sarà largamente partecipata dal laicato, mediante processi propriamente democratici e non solo sinodali.

    Poiché i profili dogmatici sono già stati faticosamente definiti e tenuto conto che la teologia cattolica in Italia, prevalentemente organizzata in università controllate dalla gerarchia mediante una asfissiante pressione disciplinare, tende a sopravvivere adattandosi agli orientamenti della gerarchia che attualmente spingono verso interpretazioni restrittive della dogmatica dell’ultimo concilio, è consigliabile muoversi nell’ottica della dogmatica conciliare, cercando di trarne tutte le possibili conseguenze in tema di laicato, invece che ulteriormente pasticciare confusamente in teologia, finendo stritolati da quella di corte fondamentalmente reazionaria ma capace di un pensiero raffinato.

  Il punto di forza del laicato è questo: l’attuale sua umiliante condizione ecclesiale deriva da una disumanizzazione delle persone di fede non appartenenti al clero, ridotte ideologicamente  alla condizione di gregge alla completa mercé di gerarchi ecclesiali, che in realtà si sono riconosciuti bisognosi del consiglio dei laici anche nei compiti loro propri della predicazione e della cosiddetta pastorale. Questo è dimostrato dalla riconosciuta ampia partecipazione di esperti laici alla redazione delle encicliche pontificie almeno dalla Delle novità – Rerum novarum del 1891. La direzione politica dell’organizzazione ecclesiale è arbitrariamente ancora riservata alla gerarchia, anche negli aspetti che non toccano la predicazione e la pastorale, come quelli, ad esempio, dell’amministrazione e utilizzazione dei beni ecclesiastici, tipico il caso della Cittá del Vaticano ma la stessa situazione si ripresenta in un ambiente sociale di base come la parrocchia, e quelli delle relazioni politiche con i poteri civili, nelle quali ancora, ed arbitrariamente dal punto di vista della dogmatica, quando si parla della Chiesa si intende ancora solo la gerarchia ecclesiastica. 

  Dati i deliberati dogmatici del Concilio Vaticano 2º in materia di Chiesa è possibile uscire tranquillamente dalla politica ecclesiastica di impero religioso che ci ha connotati (solo) dal Secondo Millennio e costruire, a partire dalla pratica, quindi iniziando a farne tirocinio, forme più partecipate e meno umilianti  per i laici di essere e fare Chiesa. E non si deve temere per il fatto che una cosa del genere non ci sia stata mai nel passato, ed è vero, perché, sotto questo specifico  profilo, non abbiamo più esempi virtuosi ancora validi per il nostro oggi, ma una storia tremenda, veramente orrenda nella sua estrema, estesissima ed efferata violenza, dalla quale occorre distanziarci in quel lavoro di purificazione della memoria al quale iniziò a guidarci, nell’ultima fase del suo regno di Papa, san Karol Wojtyla e che ora sembra caduto un po’ in desuetudine. Questa storia sconvolgente non risale però alle origini e, in particolare, al nostro Maestro, mite e umile di cuore, ma a teologie politiche di molto successive, le ultime manifestazioni eclatanti delle quali si ebbero durante il Concilio di Trento e il Concilio Vaticano 1º (1869-1870), travolto traumaticamente dagli eventi bellici italiani che portarono alla soppressione dello Stato Pontificio nel Centro Italia. Il Concilio Vaticano 2º inaugurò una nuova era.

Mario Ardigó – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

 

giovedì 19 agosto 2021

Difficile Sinodo

                                                                  Difficile sinodo

 

  Il Sinodo della Chiesa cattolica tedesca, il cui inizio ha preceduto quello della nostra, spaventa la nostra gerarchia, che si rende ben conto che, volendo veramente coinvolgere tutti i fedeli, e non solo ritualmente, difficilmente si riuscirà a eludere i problemi, in particolare quello della umiliante condizione dei laici, e tra essi quella delle donne, e la crisi del sacerdozio ministeriale come stato di vita separato e privilegiato. Quindi penso che si sceglierà la via solita di ritualizzare e in tal modo di circoscrivere il contributo effettivo dei laici a quella parte di loro che ancora non si scandalizza di essere tenuto nella posizione di gregge.

  La situazione alla quale non si riesce a porre rimedio ha origini storiche e si è particolarmente inasprita dal 16º secolo, nella fase applicativa del Concilio di Trento (1545-1563). La maggior parte dei fedeli non ne ha nessuna consapevolezza, ma i preti sì, ne vengono informati nel corso del loro lungo iter formativo. Se ne tratta, ad esempio, in NEUNER Peter,Per una teologia del popolo di Dio, pubblicato nel 2015 in Germania e in traduzione italiana da Queriniana l’anno successivo. Ne cito di seguito alcuni brani.

 

(pag. 64-65)  La distinzione tra clero e laici caratterizzò l’ecclesiologia medievale che consisteva fondamentalmente in una dottrina della gerarchia e dei suoi poteri. Le immagini dell’unico popolo di Dio e dell’unico corpo di Cristo furono modificate in modo tale da non esprimere più l’unitá della chiesa, ma una separazione interna. […] La chiesa diventata una città con due popoli, l’uno raccolto dietro il papa, formato da vescovi,dai sacerdoti e dai monaci, l’altro raccolto dietro l’imperatore, formato dai principi, dai cavalieri, dai contadini, da uomini e donne.

[…] Clero e laici stavano gli uni di fronte agli altri in un atteggiamento di fondamentale ostilità, come chi domina e chi è dominato.

[…] Di fatto, i laici ora erano privati di tutto ciò che era significativo per la loro loro vita ecclesiale. Ora tutto questo apparteneva al clero.

[72-74] Nei decreti dogmatici del concilio [di Trento] il sacerdote è presentato come l’uomo dei sacramenti, caratterizzato dal potere di consacrare i doni eucaristici e di perdonare i peccati, vale a dire dai poteri che il laico non ha. […] I sacerdoti furono, per così dire, rapiti in cielo. Ne troviamo un esempio nel Catechismus romanus,un documento ufficiale che doveva rielaborare le decisioni del concilio di Trento per i parroci e le comunitá, nel quale si dice che “nessuna missione sulla terra è più sublime di quella dei sacerdoti e giustamente i preti sono chiamati non solo angeli, ma addirittura dèi, portando in sé stessi l’efficacia e la maestà della divinitá”.

[…]

  Nell’epoca che segue il concilio di Trento la Chiesa viene vista innanzitutto e prima di tutto come una grandezza suddivisa in classi, come una società di diseguali. […] L’impostazione era chiara: da una parte c’era la. Chiesa docente, dall’altra la Chiesa discente e obbediente. I fedeli sono le pecore delle quali si prendono cura i pastori. La loro funzione nell’annuncio è limitata a “testimoniare ciò che è stato loro insegnato dai pastori”. 

 […] Questa concezione della chiesa trovò la sua codificazione  anche nel diritto canonico.Questo era quai esclusivamente  un diritto riguardante il clero. I laici comparivano  quasi esclusivamente come oggetti di diritto, non come soggetti di diritti. […] [Nel sistema del codice di diritto canonico del 1917] i laici sono coloro dei quali ci si deve prendere cura e sui quali, per questo motivo [il clero] può esercitare le proprie potestà. E anche laddove ai laici viene aperta la possibilità di esercitare una parte attiva, come ad esempiomnell’Azione Cattolica, nelle associazioni e confraternite, il diritto canonico deve fare in modo che tutte queste attività  possano essere compiute attentamente soltanto sotto la guida  e le direttive del clero. I laici, in definitiva, avevano soltanto il diritto di farsi accudire spiritualmente  dal clero e di adempiere alcune e ben circoscritte funzioni seguendo le indicazioni della gerarchia ecclesiastica. E quando un sacerdote veniva privato dei diritti speciali che gli spettavano nella chiesa,  questo atto veniva detto laicizzazioneriduzione allo stato laicale.

 

   Le deliberazioni del Concilio Vaticano 2º (1962-1965), che ebbe come centro di riflessione la Chiesa come popolo di Dio e di conseguenza la condizione del laicato, iniziarono a scostarsi da quegli sviluppi ideologici prodottisi essenzialmente nel Secondo Millennio della storia della cristianità, ma in modo incompleto, mantenendone fondamentalmente la concezione della struttura gerarchica. Inoltre, nella lunga egemonia di san Karol Wojtyla e e di Joseph Ratzinger ai vertici ecclesiali, caratterizzata da un marcato inasprimento disciplinare verso clero e religiosi, gli unici strati della popolazione cristiana rimasti quasi completamente nel dominio della gerarchia ecclesiale, si cercò di imporne una interpretazione fortemente restrittiva, nel corso di quello che con il senno del poi appare un lungo inverno ecclesiale caratterizzato dalla profonda diffidenza in particolare verso i movimenti laicali dell’Europa occidentale.

  Da ciò, sostanzialmente, la profonda crisi della partecipazione ecclesiale nella Chiesa cattolica italiana, dalla parte dei laici, ma anche di clero e religiosi, salvo frange reazionarie piuttosto bellicose e rumorose, ma pur sempre frange.

Mario Ardigó – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

mercoledì 18 agosto 2021

Nella storia molte risposte

Nella storia molte risposte

 

[Da FILORAMO Giovanni, Storia della Chiesa – 1. L’età antica, EDB, 2019]

 

 (pag.100-101) Il sorgere, nel corso del 2º secolo, di un’apologetica cristiana come difesa puramente razionale, senza ricorrere ad argomenti scritturistici e dunque alla rivelazione, delle proprie dottrine e pratiche, costituisce un momento essenziale nel formarsi della “grande Chiesa” che, in questo modo, dimostra di sapersi confrontare su un piano di parità con la cultura ellenistico-romana. Questo confronto non va inteso a senso unico. Le posizioni degli apologeti del 2º secolo, a questo proposito, variano tra una più concordistica, tesa a dimostrare l’importanza e la convergenza tra il meglio della ricerca razionale e il contenuto della dogmatica cristiana,e un’altra, più conflittuale, tesa di contro a sottolineare  l’irriducibilità delle verità di fede e quelle raggiungibili dalla ragione.

[…] Questo contrasto è già presente in Paolo […] ritorna negli apologeti nelle sue diverse risposte di Giustino e Taziano […] il primo, con la sua teoria del lògos spermatikòs [le idee sul rettò comportamento e il divino già presenti trama le genti prima della rivelazione cristiana], getta le basi di una teologia naturale che, tra alti e bassi, arriva al Concilio Vaticano 2º.

[…]

(pag.99) Il tratto distintivo della più antica apologetica cristiana, intesa come presentazione, su di un piano di plausibilità razionale, dei contenuti della fede non soltanto come mezzo di difesa del cristianesimo, ma nel contempo, ai fini di propaganda e diffusione, consiste nello sforzo di accreditare il cristianesimo presso la classe politica e intellettuale pagana come il solo interlocutore valido sul piano della politica religiosa; e questo, sia nei confronti delle forme tradizionali di religiosità, sia nel confronto del proliferare dei nuovi culti. La cooperazione tra cristiani e sistemi di potere del mondo corrisponde alla volontà di Dio come mezzo per facilitare la salvezza degli uomini.

[…]

(pag.105) Nel corso del 3º secolo, nonostante la violenta persecuzione di cui fu vittima a metà secolo prima sotto Decio poi sotto Valeriano, la Chiesa conobbe un processo di ampliamento e consolidamento […] quel che pare più probabile è che all’inizio del 4º secolo, al momento dello scoppio della “grande persecuzione” dioclezianea, essi [i cristiani] costituissero quasi il 10% della popolazione dell’impero, stimata intorno ai 70 milioni: una minoranza, ma significativa. Un caso a parte è rappresentato da Roma, per la sua posizione eccezionale in quanto capitale dell’impero: a metà del 3º secolo i cristiani potevano essere circa 40.000, tra il 5 e il 10% della popolazione, stimata a circa 7000.000. Ciò potrebbe spiegare il detto attribuito da Cipriano a Decio: “preferirei sentire che un imperatore romano è insorto contro di me piuttosto che vi sia un altro vescovo a Roma”. (Lettere 59,9).

 

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   Nella formazione religiosa della gran parte delle persone, la storia non è presente e questo la rende povera. Inoltre va sprecato, dal punto di vista religioso, il prezioso patrimonio culturale che si acquisisce durante le scuole secondarie, che, invece, dovrebbe essere costantemente rinfrescato e arricchito nel corso della formazione religiosa. Quest’ultima, invece, per i più si indirizza presto verso una spiritualità di tipo miracolistico che riduce alla umiliante condizione di mero gregge nelle mani di un clero che, privo di un sufficiente apporto dei laici, appare incerto, insicuro, ondivago tra conservazione e atteggiamenti reazionari,  incapace di confrontarsi con la società intorno.

  Senza la capacità di mediazione culturale sviluppatasi nelle società dei cristiani tra il 2º e  il 3º secolo le chiese cristiane sarebbero state rapidamente riassorbite dalla società intorno, come accadde ad altri culti coevi. La mediazione per il potere politico influì poi potentemente, dal 4º secolo, sulle definizioni teologiche fondamentali, in particolare sulla cristologia e sul concetto di Regno, in un contesto culturale in cui gli imperatori cristianizzati iniziarono a rivendicare il ruolo di vescovi supremi e di vicari di Cristo.

Mario Ardigó  - Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli 

  

lunedì 16 agosto 2021

Le relazioni creano il senso della vita

Le relazioni creano il senso della vita

 

  Quando iniziai il catechismo dell’infanzia, che ebbi proprio nella nostra parrocchia,  cominciarono con lo spiegarmi chi era Dio. Avrebbero fatto forse meglio a spiegarmi prima  chi ero io. Capii confusamente di essere qualcuno nella massa degli uomini, nella specie dei bambini e che, come tale, avevo degli obblighi assai vasti di obbedienza nei confronti dei miei genitori, innanzi tutto, e poi di coloro che ne facevano le veci, nonne, preti, maestri e poi l’Akela dei lupetti. In cima a tutti c’era questo Dio, che fondava il potere di tutti gli altri sotto e che poteva mandarti all’inferno, per sempre, per la minima disobbedienza. Per molti la religione rimane essenzialmente questo, anche quando la riscoprono in altre stagioni della vita o,  addirittura, solo da anziani. La rivoluzione nella catechesi che si cercò di progettare negli anni ’70 cercò di presentare un diverso modo di vivere la fede, ma nella pratica non ci si riuscì mai, perché senza la sacralizzazione del potere di cui dicevo sembrava che tutto svanisse.

  Noi capiamo chi siamo mediante le relazioni sociali a cui partecipiamo nelle varie età della vita, nella quale troviamo un limite oggettivo come quello che ci si prospetta verso la fine. Se ne prese coscienza anche in religione negli anni ’60 e ’70 e si cercò quindi di organizzare la catechesi rinnovata in comunità educanti, le quali, però, finirono per manifestare un certo dispotismo, quando non realmente partecipate. Non basta, infatti, all’animo umano proporre di continuare a fare come tutti gli altri, e meno che mai secondo i costumi della famiglia di origine. Queste comunità ovile comunità serra, la cui caratteristica era la separazione dal resto della società per preservare nuclei di resistenti, creavano relazioni troppo povere, in particolare per i giovani, che per fisiologia sono spinti a rendersi autonomi. Inoltre finiscono  per selezionare elementi docili, l’urtante termine che purtroppo ricorre nel Magistero quando si rivolge ai laici, mentre gli altri prendono altre strade. La crisi dei modelli ecclesiali correnti è prima di tutto crisi di relazioni sociali, alla quale si cerca di porre inutilmente  rimedio con la spiritualità miracolistica e l’agitazione liturgica, la prima fortemente caratterizzante la seconda. Nell’attuale prassi liturgica il popolo, composto in massima parte da persone laiche, è ridotto al ruolo di mera comparsa adorante e non ha vera voce.

  Formare alla fede, come in ogni altro tipo di formazione vera, significa costruire società, quindi relazioni tra persone. Anche quella con Dio, come viene inteso tra i cristiani, va costruita, per questo non è mai la stessa in tutte le persone e anche nell’evolvere dei tempi.

   Da bambino, per come mi presentavano la religione, pensai che avrei finito per annoiarmene: man mano che crescevo mi resi conto che le persone, nella loro vita, non hanno mai veramente il tempo di annoiarsi perché essa è breve, troppo breve, e le stagioni della vita si succedono tumultuosamente, cambiando il mondo che percepiamo intorno perché cambiano le nostre relazioni con esso. Chi vuole fermare il proprio tempo, ad esempio sforzandosi di credere come quand’era bambino, rimane deluso, perché non funziona per quanto ci si sforzi, attivando,l’immaginazione.

  Piuttosto la religione, se non tiene conto che le persone cambiano, diventa rapidamente inutile e, proprio perché il tempo della loro vita è poco, le persone tendono a non sprecarlo per ciò che si rivela inutile.

  La religione, come ancora oggi è presentata, diventa rapidamente inutile. Pochi tra i laici hanno il privilegio di approfondirla in modo da rendersi conto perché, invece, essa è stata amata da grandi anime del passato, e lo è anche oggi, e tra esse persone molto sapienti.

  Il miglioramento della formazione religiosa delle persone laiche, da non intendere strettamente come catechesi ma come costruzione sociale, è pregiudiziale all’esito del processo sinodale diffuso che si sta progettando nella Chiesa italiana dal prossimo ottobre, perché non si risolva nella solita, noiosa, insensata, pantomima paraliturgica, nella quale il ruolo delle persone laiche è più che altro quello di recitare ciò che leggono sul foglietto con la loro parte.

Mario Ardigó – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli 

 

 

 

domenica 15 agosto 2021

Tempi nuovi, tradizioni e Tradizione

Tempi nuovi, tradizioni e Tradizioni

 

   Tempi nuovi iniziarono subito dopo la morte del Maestro, ma durarono solo fino al terzo giorno. Dopo la sua Resurrezione ne iniziarono altri ancora, dei quali si narra negli scritti biblici neotestamentari, durante i quali egli fu di nuovo tra i suoi e in mezzo alla gente per un po’ di tempo, per poi allontanarsene nuovamente in modo prodigioso, promettendo di ritornare nella gloria, dando così inizio ad altri tempi nuovi ancora. Da quel momento cominciò  la riflessione sociale per interpretarli. Innanzi tutto: quando sarebbe tornato e che fare fino ad allora? Le attese di un ritorno veloce andarono deluse nei decenni successivi. Si cominciò a pensare di non avere idea precisa di quando sarebbe accaduto. Così le comunità delle origini si organizzarono, ciascuna secondo la propria cultura, per durare, in una condizione di vasto pluralismo che non c’è più e che durò circa un secolo, nel corso del quale morirono tutti i testimoni diretti degli eventi evangelici, dei quali circolavano varie tradizioni. Da queste ultime, procedendo la strutturazione sociale e istituzionale delle nostre prime comunità, che presto manifestarono il costume di volersi tenere in contatto, in particolare per ragionare di questioni di fede e di vita sociale nella fede, scaturì quella che i teologi cattolici chiamano Tradizione e che ritengono normativa per essere riconosciuti socialmente come cristiani. Essa viene pensata come un deposito culturale da trasmettere di generazione in generazione e i cattolici ritengono che risalga agli apostoli, i discepoli che ricevettero direttamente dal Maestro l’incarico di trasmettere il suo insegnamento in tutto il mondo, attraverso una serie di incarichi successivi tra i loro successori. Di questo si può leggere nella Costituzione sulla Divina Rivelazione La Parola di Dio – Dei Verbum, deliberata nel corso del Concilio Vaticano 2º (1962-1965). In altre Chiese cristiane ci sono diverse concezioni sulla natura e rilevanza della Tradizione.

  Leggiamo in quel documento del Concilio:

 

Gli apostoli e i loro successori, missionari del Vangelo

7. Dio, con somma benignità, dispose che quanto egli aveva rivelato per la salvezza di tutte le genti, rimanesse per sempre integro e venisse trasmesso a tutte le generazioni. Perciò Cristo Signore, nel quale trova compimento tutta intera la Rivelazione di Dio altissimo, ordinò agli apostoli che l'Evangelo, prima promesso per mezzo dei profeti e da lui adempiuto e promulgato di persona venisse da loro predicato a tutti come la fonte di ogni verità salutare e di ogni regola morale, comunicando così ad essi i doni divini. Ciò venne fedelmente eseguito, tanto dagli apostoli, i quali nella predicazione orale, con gli esempi e le istituzioni trasmisero sia ciò che avevano ricevuto dalla bocca del Cristo vivendo con lui e guardandolo agire, sia ciò che avevano imparato dai suggerimenti dello spirito Santo, quanto da quegli apostoli e da uomini a loro cerchia, i quali, per ispirazione dello Spirito Santo, misero per scritto il messaggio della salvezza.

Gli apostoli poi, affinché l'Evangelo si conservasse sempre integro e vivo nella Chiesa, lasciarono come loro successori i vescovi, ad essi « affidando il loro proprio posto di maestri ». Questa sacra Tradizione e la Scrittura sacra dell'uno e dell'altro Testamento sono dunque come uno specchio nel quale la Chiesa pellegrina in terra contempla Dio, dal quale tutto riceve, finché giunga a vederlo faccia a faccia, com'egli è (cfr. 1 Gv 3,2).

La sacra tradizione

8. Pertanto la predicazione apostolica, che è espressa in modo speciale nei libri ispirati, doveva esser conservata con una successione ininterrotta fino alla fine dei tempi. Gli apostoli perciò, trasmettendo ciò che essi stessi avevano ricevuto, ammoniscono i fedeli ad attenersi alle tradizioni che avevano appreso sia a voce che per iscritto (cfr. 2 Ts 2,15), e di combattere per quella fede che era stata ad essi trasmessa una volta per sempre. Ciò che fu trasmesso dagli apostoli, poi, comprende tutto quanto contribuisce alla condotta santa del popolo di Dio e all'incremento della fede; così la Chiesa nella sua dottrina, nella sua vita e nel suo culto, perpetua e trasmette a tutte le generazioni tutto ciò che essa è, tutto ciò che essa crede. 

Questa Tradizione di origine apostolica progredisce nella Chiesa con l'assistenza dello Spirito Santo: cresce infatti la comprensione, tanto delle cose quanto delle parole trasmesse, sia con la contemplazione e lo studio dei credenti che le meditano in cuor loro (cfr. Lc 2,19 e 51), sia con la intelligenza data da una più profonda esperienza delle cose spirituali, sia per la predicazione di coloro i quali con la successione episcopale hanno ricevuto un carisma sicuro di verità. Così la Chiesa nel corso dei secoli tende incessantemente alla pienezza della verità divina, finché in essa vengano a compimento le parole di Dio.

Le asserzioni dei santi Padri attestano la vivificante presenza di questa Tradizione, le cui ricchezze sono trasfuse nella pratica e nella vita della Chiesa che crede e che prega. È questa Tradizione che fa conoscere alla Chiesa l'intero canone dei libri sacri e nella Chiesa fa più profondamente comprendere e rende ininterrottamente operanti le stesse sacre Scritture. Così Dio, il quale ha parlato in passato non cessa di parlare con la sposa del suo Figlio diletto, e lo Spirito Santo, per mezzo del quale la viva voce dell'Evangelo risuona nella Chiesa e per mezzo di questa nel mondo, introduce i credenti alla verità intera e in essi fa risiedere la parola di Cristo in tutta la sua ricchezza (cfr. Col 3,16).

  Ciò sintetizzato, servendoci di un documento dell’ultimo Concilio,  per quanto riguarda gli aspetti del problema trattati nella teologia cattolica, bisogna osservare che, nel corso della storia delle Chiese cristiane, e specificamente della nostra, la quale cominciò a manifestare le caratteristiche che specificamente la distinguono dalle attuali altre tra l’Undicesimo e il Quattordicesimo secolo, si manifestarono altre tradizioni culturali in materia di fede che non vengono comprese in ciò che si ritiene costituisca la Tradizione, benché su questo punto si sia molto discusso e ancora si discuta. Poiché la storia delle nostre Chiese non ha avuto connotati particolarmente diversi da quelli delle altre società e quindi non è stata particolarmente virtuosa, valutata secondo i criteri evangelici, e, ad esempio, ha compreso il coinvolgimento in una serie lunghissima di sanguinosi conflitti, discriminazioni razziali e di altro genere, abusi di potere di ogni tipo, anche quelle altre tradizioni non sono state da meno.

  In genere chi è riuscito a comandare in religione, non di rado valendosi del potere politico che di fatto o di diritto era riuscito a conquistare, ha cercato storicamente di inglobare le tradizioni, in particolare quella specifica che legittimava quel suo potere, nella Tradizione, in modo da sacralizzare il proprio potere. Ad esempio, fino al Concilio Vaticano 2º si riteneva ancora tra i cattolici che nella Tradizione fosse compresa la sottomissione della donna all’uomo, e ciò, va rilevato, contro i costumi dei cristiani in quel primo secolo in cui si confrontarono e formalizzarono in testi scritti le varie tradizioni evangeliche.

  Nel lavoro di purificazione della memoria al quale ci guidò san Karol Wojtyla da Papa è compreso anche quello di distinzione tra le tradizioni storiche e la Tradizione, che consideriamo come il tesoro prezioso da consegnare intatto alle generazioni successive. Nonostante spesso lo si dubiti, non è un lavoro solo per teologi, perché tutti noi, nell’interazione sociale partecipiamo incessantemente  alla creazione e trasmissione di tradizioni e quindi di esso siamo anche responsabili personalmente. Ma ad esso si dovrebbe anche essere formati, gli autodidatti non hanno dimostrato di farlo granché bene, ma questa formazione è oggi in prevalenza riservata a clero e religiosi. Così  sembra che tra loro e noi laici si parlino lingue diverse e spesso i laici manifestano una condizione di umiliante ignoranza, che è reale, certo, ma dipende  fondamentalmente da un inadempimento di chi ha avuto la missione apostolica di rimediarvi.

Mario Ardigó – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

 

 

 

 

 

sabato 14 agosto 2021

Insufficienza della spiritualità miracolistica

“Anche oggi, il mondo ha bisogno di vedere nei discepoli del Signore dei profeti, cioè delle persone coraggiose e perseveranti nel rispondere alla vocazione cristiana. Persone  che seguono la ‘spinta’ dello Spirito Santo, che le manda ad annunciare speranza e salvezza ai poveri e agli esclusi; persone che seguono la logica della fede e non del miracolismo; persone dedicate al servizio di tutti, senza privilegi ed esclusioni. In poche parole: persone che si aprono ad accogliere in sé stesse la volontà del Padre e si impegnano a testimoniarla fedelmente agli altri”.

[papa Francesco, discorso ai fedeli dopo l’Angelus, il 3-2-19]

 

  Il miracolismo  è la spiritualità basata su pretesi fatti prodigiosi. Essa non è adeguata per la formazione dei laici che devono partecipare alla vita sociale per cercarvi di affermarvi i principi evangelici. Eppure è largamente utilizzata per affascinare la gente meno acculturata alla fede o, comunque, come scorciatoia formativa. In questo senso è ancora uno strumento del potere clericale. Quest’ultimo, nella propria sacralizzazione, si ammanta di simboli che rimandano a fatti prodigiosi ostacolandone una revisione critica.

  Una formazione fondata sulla fiducia nei prodigi, centrata su luoghi e persone miracolanti, è povera, insufficiente, anche se produce belle e immaginifiche narrazioni. Le nostre società non cambieranno se ci limiteremo a pregare e ad attendere un miracolo. I poteri sociali, compresi quelli ecclesiastici, non potranno che degenerare se non troveranno sufficiente capacità di critica sociale intorno a loro. E l’obbedienza non è più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni, come insegnava Lorenzo Milani, grande anima.

  Si magnificano presunti prodigi e si è talvolta incapaci di riconoscerne uno vero, frutto del lavoro determinante svolto da cristiani in collaborazione con altri movimenti di virtuosi, vale a dire gli oltre settant’anni di pace europea, un evento senza precedenti nella storia umana. È stata anche opera nostra e, religiosamente, confidiamo che vi abbia posto mano anche il Cielo. La nostra gerarchia appare in genere, ma vi sono eccezioni virtuose, incapace di ammetterlo e, al più, si affida a un vago populismo che si è rivelato storicamente incapace di produrre null’altro che precarie agitazioni, o addirittura si concede a tentazioni francamente reazionarie.

  La costruzione sociale è arte che si impara e, in quanto produce pace, è via di santità per quelli che la percorrono, scegliendo di rimanere nel mondo per agirvi come fermento, non di fuggirlo cercando di creare oasi di pretesa santificazione.

  Purtroppo la formazione di secondo livello dei laici, quella che si fa alle soglie della vita adulta e quella permanente che dovrebbe continuare sempre, è sotto questi aspetti gravemente insufficiente, e in genere la si riempie di una stucchevole spiritualità miracolistica la quale, oltre ad essere inutile per un laico, disgusta, del tutto a ragione, i più.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

  

  

  

venerdì 13 agosto 2021

Le origini storiche dell’umiliazione dei laici

Le origini storiche dell’umiliazione dei laici

 

  Trascrivo da

NEUNER Peter, Per una teologica del popolo di Dio, 2015, pubblicato in traduzione italiana da Queriniana, 2016:

 

 Nella bolla Clericos laicos (1296) il papa [Bonifacio 8º] constatava perfino che “è antica tradizione che i laici siano sommamente nemici dei chierici, e anche le esperienze del tempo ne danno conferma”. Sebbene affermazioni di questo genere siano state determinate da situazioni concrete di conflitto politico con il re di Francia, con esse è stata fissata per iscritto, anche dal punto di vista teorico, la contrapposizione tra clero e laici, rispettivamente la subordinazione e la sovraordinazione nella chiesa di due classi in conflitto l’una contro l’altra. E questa idea entrò nel diritto canonico. Graziano, il “padre della giurisprudenza ecclesiale” del 12º secolo: “Ci sono due tipi di cristiani. Il primo, in quanto incaricato del servizio divino e dedito alla contemplazione e all’orazione è conveniente che stia lontano dalle cose temporali. Di esso fanno parte i chierici e coloro che sono dedicati a Dio e cioè i religiosi.” Questi “sono i re”. L’altro tipo di cristiani è costituito dai laici. A costoro è permesso possedere beni temporali, ma solo per l’uso…A costoro è concesso di sposarsi, coltivare la terra, giudicare tra uomo e uomo, pagare le decime, così potranno salvarsi se però eviteranno il vizio e faranno il bene”.

  In questo modo fu tracciata e fissata una chiara linea di separazione nella chiesa. Da una parte o in alto stanno coloro che hanno un un ufficio ecclesiastico, che sono legittimamente ordinati e conducono una vita conforme alle regole di perfezione cristiana. Questi sono i chierici; solo loro sono deputati al culto divino. [Accanto o sotto sta la gran massa dei laici che a tutto questo non è chiamata e che per questo conduce una vita nello stato di “imperfezione”. Le due parti non formavano una comunità, ma erano rispettivamente sovra- e sub-ordinate l’una all’altra.

  L’immagine della chiesa è chiara: i cristiani veri e propri sono i chierici. L’ordine dei laici va inteso in definitiva come una concessione alla debolezza umana. […] Il chierico è il cristiano perfetto, il laico è cristiano solamente nella misura in cui la sua vita si accorda con quella di un chierico. Ciò che lo distingue dal chierico è anche ciò che limita e oscura la sua esistenza cristiana. Terminato il periodo dei martiri delle origini cristiane, quasi tutti i santi, che sono diventati esempio di fede, appartengono all’ordine dei chierici: sono fondatori di ordini religiosi, monaci e monache,vescovi o papi. Il laico, sebbene non in via di principio, di fatto non sembra avere nessun accesso alla santità fini a quando rimane in “stato di imperfezione” e non abbandona il mondo.

 

 Quell’ordine di idee descritto da Neuner è cambiato a seguito del Concilio Vaticano 2º, anche se nella pratica i cambiamenti non sono stati del tutto conseguenti. Sotto il regno del papa Giovanni Paolo 2º è quello dei suoi successori cominciarono ad essere proclamati molti beati e santi che furono laici  e proprio a motivo della loro vita da laici. Caratteristica comune a tutti è però la sottomissione all’autoritá ecclesiastica, nonostante tutto, anche nonostante la sua discutibile virtù. E nella vita ecclesiale i laici, e soprattutto le laiche, vengono tenuti in una condizione di umiliante soggezione, come se fossero ancora appendici non necessarie dell’apparato istituzionale costituito da chierici e religiosi. Non vengono veramente coinvolti nei processi decisionali, anche quelli nelle realtà di prossimità, vengono trattati con esasperante sufficienza, non ci si cura della loro formazione di secondo livello salvo che per i rudimenti in preparazione del matrimonio.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli