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Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

Dall’anno associativo 2020/2021 il gruppo di AC di San Clemente Papa si riunisce abitualmente il secondo, il terzo e il quarto sabato del mese alle 17 e anima la Messa domenicale delle 9. Durante la pandemia da Covid 19 ci siamo riuniti in videoconferenza Google Meet. Anche dopo che la situazione sanitaria sarà tornata alla normalità, organizzeremo riunioni dedicate a temi specifici e aperte ai non soci con questa modalità.

Per partecipare alle riunioni del gruppo on line con Google Meet, inviare, dopo la convocazione della riunione di cui verrà data notizia sul blog, una email a mario.ardigo@acsanclemente.net comunicando come ci si chiama, la email con cui si vuole partecipare, il nome e la città della propria parrocchia e i temi di interesse. Via email vi saranno confermati la data e l’ora della riunione e vi verrà inviato il codice di accesso. Dopo ogni riunione, i dati delle persone non iscritte verranno cancellati e dovranno essere inviati nuovamente per partecipare alla riunione successiva.

La riunione Meet sarà attivata cinque minuti prima dell’orario fissato per il suo inizio.

Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

NOTA IMPORTANTE / IMPORTANT NOTE

SUL SITO www.bibbiaedu.it POSSONO ESSERE CONSULTATI LE TRADUZIONI IN ITALIANO DELLA BIBBIA CEI2008, CEI1974, INTERCONFESSIONALE IN LINGUA CORRENTE, E I TESTI BIBLICI IN GRECO ANTICO ED EBRAICO ANTICO. CON UNA FUNZIONALITA’ DEL SITO POSSONO ESSERE MESSI A CONFRONTO I VARI TESTI.

ON THE WEBSITE www.bibbiaedu.it THE ITALIAN TRANSLATIONS OF THE BIBLE CEI2008, CEI1974, INTERCONFESSIONAL IN CURRENT LANGUAGE AND THE BIBLICAL TEXTS IN ANCIENT GREEK AND ANCIENT JEWISH MAY BE CONSULTED. WITH A FUNCTIONALITY OF THE WEBSITE THE VARIOUS TEXTS MAY BE COMPARED.

Il sito della parrocchia:

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giovedì 29 agosto 2019

Desacralizzazione

  La dottrina sociale dovrebbe rientrare anche nella nostra formazione formazione di base del fedele laico e invece ciò non accade nemmeno in quella successiva. Dovrebbe mettere il laico in condizioni di sviluppare un autonomo pensiero sociale non solo agendo come singolo, ma specialmente nelle collettività alle quali partecipa. 
  Di solito quella formazione viene conseguita dai laici di fede nel corso degli studi universitari nelle facoltà umanistiche. Ma, allora, spesso, più che una formazione è un'informazione, salvo che per quelli che approfondiscono in gruppi ecclesiali specializzati, che nel mio caso sono stati costituiti dalla FUCI, gli universitari cattolici, e dal MEIC, il movimento culturale che opera appunto in questo settore. Queste due organizzazioni furono fondate in Italia in due periodi radicalmente diversi: la prima in epoca di acutissimo conflitto tra il Regno d'Italia e il Papato per la questione della soppressione, nel 1870, dello Stato pontificio, conquistato militarmente dagli italiani per ordine del Governo regio (la precisazione è importante perché alcuni anni prima se ne era tentata la conquista per via rivoluzionaria da parte dei mazziniani); la seconda per venire incontro all'esortazione del Papato, con l'enciclica il Quarantennale - Quadragesimo anno, del 1931, di partecipare alla riforma sociale che il fascismo mussoliniano in quegli anni stava progettando ed attuando e, in quel contesto, tendeva alla formazione di una nuova classe dirigente. Va segnalato che la seconda all'inizio si presentava come il proseguimento della prima, per il periodo dopo la laurea: all'origine si chiamava infatti Movimento Laureati di Azione Cattolica.Costituita da laureati provenienti dalla FUCI e ispirata dalla guida spirituale e politica di Giovanni Battista Montini, che della FUCI fu a lungo assistente nazionale, mantenne il suo carattere di gruppo di critica sociale e di pedagogia e pratica democratica, non lasciandosi mai assimilare dal regime fascista, e anzi creando le basi culturali per la resistenza ad esso e per l'attivazione partecipazione alla costruzione di un nuovo regime democratico. Gran parte dei giovani cattolici che, nella Resistenza antifascista italiana e nella successiva fase costituente democratica, furono impegnati nei più importanti ruoii politici proveniva da FUCI e Movimenfo Laureati
 Una analoga opera di formazione politica democratica ispirata alla dottrina sociale non vi fu mai a livello popolare, mentre durante il fascismo mussoliniano ne era stata fatta una ispirata dal regime e assecondata in ambiti ecclesiali, nella stessa Azione Cattolica, che tra il 1931 e il 1938, l'anno della rottura ideologica del Papato con il regime, prese a fascistizzarsi. Il fascismo tese ad ottenere una sacralizzazione della sua politica autoritaria e assolutista, sfruttando la storica diffidenza del Papato verso la democrazia. In parte l'ottenne. Parte dell'ideologia sociale del fascismo (ad esempio in materia di rapporti di famiglia e di valutazione della politica democratica)  si legò, in Italia, alla tradizione della fede. Questo spiega il permanere tutt'ora di alcuni elementi di ideologia politica reazionaria tra i cattolici italiani riconducibili alla compromissione con il fascismo storico e la scarsissima capacità dei cattolici italiani di scandalizzarsi per certi cortocircuiti tra politica e religione, come nel recente sventolamento pubblico di corone del Rosario nel corso di comizi politici e addirittura in Parlamento.
 Ieri ho citato il detto evangelico del rendere a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio. Questo principio è quello della desacralizzazione del potere politico, di ogni potere politico, compreso quello religioso. La questione della laicità della politica, che certamente di quel principio è un sviluppo, si pose solo molto più vicino a noi nel tempo, a partire dai moti rivoluzionari europei e nordamericani di fine Settecento, a seguito dei quali si cercò di attuare il più ampiamente possibile una legittimazione popolare alla decisione  politica e se ne dovettero fissare i limiti, le forme e le caratteristiche. Le monarchie europee contro le quali quei moti si diressero pretendevano di regnare per volontà di Dio, avevano quindi imposto una sacralizzazione del loro potere politico, e quindi non accettavano che il loro potere potesse essere messo in questione, e anzitutto criticato, dalle nascenti democrazie popolari di massa. In queste ultime i conservatori vedevano un fattore di disordine sociale. A quei tempi in Europa la religione cristiana era divenuta prevalentemente fattore di conservazione sociale. Tra i monarchi europei che pretendevano di regnare per volontà di Dio vi erano anche i Papi, per quanto riguardava il piccolo regno territoriale che erano riusciti storicamente ad assicurarsi nell'Italia centrale, con capitale a Roma, detto Stato della Chiesa e, più recentemente, Stato Pontificio. È per questo che il papa Pio 9^, regnante nel 1870 quando Roma fu conquistata dagli italiani e lo Stato Pontificio venne soppresso, considerò tale conquista un atto empio dal punto di vista religioso e scomunicò il Re d'Italia (!) e il Presidente del Consiglio dei ministri che l'avevano ordinata, ritirandosi nei palazzi Vaticani come in una (tutto sommato confortevole sebbene angusta tenendo conto del precedente spazio di manovra politica) prigione, vietando altresì ai cattolici di partecipare alla politica nazionale. Tale è la cosiddetta Questione romana. Per arrivare a una sconfessione, nel vero senso del termine, di questa posizione da parte del Papato, si dovette attendere il regno del Papa Paolo VI, Giovanni Battista Montini, l'antico assistente nazionale della FUCI, che qualificò come provvidenziale la fine dello Stato Pontificio. La questione politica e patrimoniale, con un ingentissimo risarcimento e l'istituzione della Città del Varicano a Roma, fu invece risolta con il compromesso con il regime mussoliniano a seguito del quale il Papato concluse nel 1929, con il Regno d'Italia rappresentato dal Capo del Governo Benito Mussolini, quegli accordi denominati Patti Lateranensi, perché firmati nel complesso dei palazzi pontifici del Laterano, che poi vennero richiamati, e quindi mantenuti, dalla nuova costituzione repubblicana entrata in vigore nel 1948. Ho letto che l'art.7, che li menziona, fu scritto dal politico democristiano Giorgio La Pira e da Giovanni Battista Montini, che all'epoca lavorava nella Segreteria di Stato vaticana, qualcosa di intermedio tra un governo e un ministero degli esteri.
  Il principio di laicità, alla base del pensiero democratico contemporaneo, vieta di sottrarre alla critica qualsiasi istituzione politica (anche religiosa) o decisione politica (anche adottata da autorità religiose) sulla base di motivazioni religiose, sostenendo quindi che la legge di Dio ne vieti la critica e/o la riforma. Esso è sviluppo del principio di desacralizzazione della politica espresso nel rendere a Cesare quel che è di Cesare che però contiene anche il dare a Dio ciò che è di Dio (attenzione: qui non sono in questione la chiesa e le sue istituzioni, ancora da venite quando il detto evangelico fu pronunciato),  che significa che nessun politico può farsi  lecito di ordinare alcunché contro la legge di Dio, la quale,  dal punto di vista cristiano, consiste principalmente in quella  dell'agápe, dell'amicizia universale ed operosa di condivisione e soccorso, che è ciò che definiamo amare Dio e amare gli altri esseri umani, senza esciusione alcuna, facendosi loro prossimi al modo del Samaritano della parabola (quindi in particolare senza che possa far problema l'appartenenza  confessionale o nazionale di chi soccorre o di chi necessita del soccorso ).
 Ogni potere politico che presenti i suoi ordini come voluti da Dio, o ad esempio dalla Madonna e/o da altri santi, viola i principi di laicità e di desacralizzazione; se poi, ad esempio, vieta di soccorrere i sofferenti o pone impedimenti ai soccorsi contrasta ancor più gravemente con la legge di Dio. Alcuni hanno osato fare entrambe le cose e, allora, può essere loro religiosamente contestata la legittimazione a presentarsi come agenti divini (è la critica che i primi cristiani mossero agli imperatori romani che pretendevano onori divini e quindi di essere insindacabili). La loro politica deve essere,desacralizzata innanzi tutto dalla stessa religione, quindi come dovere religioso del credente, in obbedienza al comando rendete a Cesare quel che è di Cesare.  Ma attenzione! Il principio di desacralizzazione richiede anche che la critica politica non si fermi a questo. Non basta dire che una certa decisione politica contrasta con legge di Dio, perché: rendete a Cesare quel che è di Cesare. Altrimenti si ricade nel peccato di sacralizzazione della politica. Da parte di chi critica un potere o una decisone politici occorre spiegare razionalmente perché una certa decisione è dannosa per la società, ad esempio evidenziando che, come storicamente è sempre accaduto, introdotto in un ordinamento il principio di spietatezza, gli stessi spietati ne saranno poi fatalmente travolti, a cominciare dai ceti che in società sono meno potenti, quelli popolari, la maggioranza di solito benché spesso alla mercé di minoranze privilegiate. L'idea di una realizzare una tendenziale uguaglianza negli aspetti sociali fondamentali, ad esempio nel rispetto della vita altrui, che comprende anche l'assicurare condizioni minime di benessere a tutti, inabili compresi, è tra quelle fondamentali delle democrazie avanzate contemporanee. Per ottenere che una decisione politica non risulti dannosa per la maggioranza, che storicamente è stata sempre costituita da chi stava peggio. Bisogna quindi prendere coscienza di questo: anche la critica politica è esercizio di un potere sociale che soggiace alla legge del rendere a Cesare quel che è di Cesare. Questo spiega perché, nell'ottica della fede, nessuna legge di Dio può essere sottomessa ad un giudizio politico per la sua validità, fosse anche quella di una vasta maggioranza espresso con metodo democratico, e il credente debba rimanerle fedele sempre, anche a costo della vita. C'è in questo un obbligo di resistenza a Cesare che storicamente è stato sempre attuato dai cristiani, anche nei confronti di regimi politici sedicenti cristianizzati. In quest'ultimo caso ciò in genere è stato il fritto di un approfondimento del processo interiore, personale ma anche collettivo, di conversione alla luce del Vangelo. Questo ad esempio è accaduto a riguardo del genocidio degli amerindi, a seguito della conquista europea del continente americano da parte degli europei dal Cinquecento,  compiuto brandendo il libro con il Vangelo come una sorta di bandiera di guerra  (non certamente il Vangelo). La storia dimostra che non sempre chi sventola o indossa simboli religiosi segue la legge di Dio, il Vangelo. Capirlo non sempre è facile: nel lavoro culturale ci si aiuta gli uni gli altri a capire meglio. Questo rientra anche nel lavori di formazione religiosa, in particolare del laico che partecipa a società democratiche, nelle quali le masse hanno voce e sono ascoltate.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli
 
  

mercoledì 28 agosto 2019

Ciò che è di Cesare

"È lecito, o no, pagare il tributo a Cesare? [...] Rendete a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio" [dal Vangelo secondo Matteo, capitolo 22, versetto 17 e 22]

 Alcuni sostengono che fede e politica debbono essere rigorosamente separate e accusano il Papa e i vescovi di fare politica, ad esempio: perché ora si immischiano contro la politica governativa dei porti chiusi? Non ricordano che fu detto rendete a Cesare quel che è di Cesare? Il tema è di grande attuale interesse perché il contrasto politico tra la Chiesa cattolica e la Repubblica italiana su quell'argomento indubbiamente non ha precedenti e ricorda quello che ci fu con i regimi comunisti nell'Europa orientale, fino alla loro caduta negli scorsi anni '90, o, ancor prima, con il Regno d'Italia dopo la conquista militare e la soppressione dello Stato Pontificio, nel 1870. Addirittura, a partire dal problema creatosi l'estate scorsa con i migranti soccorsi in mare dalla nave militare Diciotti si è fatto appello alla disobbedienza civile nei confronti di norme ed ordini governativi che vietassero quel tipo di soccorso (allo stato non vi sono norme che lo vietino, ma norme italiane danno facoltà al Ministro dell'Interno di vietare che gli stranieri soccorsi vengano sbarcati in Italia). Il recente messaggio di incoraggiamento e condivisione dell'arcivescovo di Palermo all'equipaggio di nave Mare Jonio, partita per una missione di soccorso organizzata dall'organizzazione non governativa Mediterranea contro l'attuale indirizzo politico governativo, in merito è indicativo di questo orientamento. Quest'ultimo è espressione di un antico principio di teologia politica cristiana, trattato per esteso negli Atti degli Apostoli, secondo il quale un ordine di qualsiasi autorità terrena  obbliga in coscienza solo se non contrasta con i comandi di Dio. Tra essi vi è quello di dare a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio. Se ne sono date diverse interpretazioni, sapete. Alcuni lo intendono come un riparto di diritti di supremazia e di poteri nel quadro di una sorta di condominio tra l'autorità che domina le società umane e Dio. Dio, insomma, non dovrebbe nè potrebbe impicciarsi nel campo dell'altra autorità. Altri sostengono che con quel comando si sia inteso vietare alle autorità istituite dalle società umane di contrastare quella di Dio e si sia resa lecita e anzi doverosa la critica e l'opposizione verso ordini contrastanti con la legge di Dio (dare a Dio quel che è di Dio). È così che storicamente l'intese la maggior parte dei cristiani, in particolare nei primi tre e mezzo secoli della nostra era, nei quali fu acutissimo il contrasto con le autorità istituite nell'antico impero umano, la cui ideologia politeistica, piuttosto tollerante in maniera religiosa, richiedeva appunto che i comandi dell'imperatore non potessero essere messi in discussione dai suoi sottoposti.  Egli pretendeva, appunto, in questo, di essere un dio tra i tanti, non certamente onnipotente, come non erano considerati tali gli altri dei della religione politeista dell'epoca, ma comunque un dio: un dio di settore insomma, con una sua area di competenza riservata e garantita. Un po' secondo l'interpretazione data al comando evangelico date a Cesare quel che è di Cesare secondo la quale esso significhi appunto questo, l'istituzione di un'area di competenza riservata all'autoritá civile. I cristiani dei primi tre secoli si fecero massacrare in massa nei modi più atroci per contrastare questa pretesa. Ora i cristiani dei nostri tempi sembrano invece trovarvi una certa ragionevolezza, in particolare nell'Italia di oggi. Chi ha ragione? Lascio a voi la scelta. Ragionateci sopra. Non ho alcuna autorità su di voi (il Papa e i vescovi invece l'hanno verso i fedeli cattolici). Propongo solo argomenti. Quale pensate sia il comando di Dio in merito ai rapporti con l'autorità civile e sul soccorso in mare?
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papà - Roma, Monte Sacro, Valli


martedì 27 agosto 2019

Predicazione

Predicazione

[1]Saulo frattanto, sempre fremente minaccia e strage contro i discepoli del Signore, si presentò al sommo sacerdote [2]e gli chiese lettere per le sinagoghe di Damasco al fine di essere autorizzato a condurre in catene a Gerusalemme uomini e donne, seguaci della dottrina di Cristo, che avesse trovati. [3]E avvenne che, mentre era in viaggio e stava per avvicinarsi a Damasco, all'improvviso lo avvolse una luce dal cielo [4]e cadendo a terra udì una voce che gli diceva: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?». [5]Rispose: «Chi sei, o Signore?». E la voce: «Io sono Gesù, che tu perseguiti! [6]Orsù, alzati ed entra nella città e ti sarà detto ciò che devi fare». [7]Gli uomini che facevano il cammino con lui si erano fermati ammutoliti, sentendo la voce ma non vedendo nessuno. [8]Saulo si alzò da terra ma, aperti gli occhi, non vedeva nulla. Così, guidandolo per mano, lo condussero a Damasco, [9]dove rimase tre giorni senza vedere e senza prendere né cibo né bevanda.
[10]Ora c'era a Damasco un discepolo di nome Anania e il Signore in una visione gli disse: «Anania!». Rispose: «Eccomi, Signore!». [11]E il Signore a lui: «Su, và sulla strada chiamata Diritta, e cerca nella casa di Giuda un tale che ha nome Saulo, di Tarso; ecco sta pregando, [12]e ha visto in visione un uomo, di nome Anania, venire e imporgli le mani perché ricuperi la vista». [13]Rispose Anania: «Signore, riguardo a quest'uomo ho udito da molti tutto il male che ha fatto ai tuoi fedeli in Gerusalemme. [14]Inoltre ha l'autorizzazione dai sommi sacerdoti di arrestare tutti quelli che invocano il tuo nome». [15]Ma il Signore disse: «Và, perché egli è per me uno strumento eletto per portare il mio nome dinanzi ai popoli, ai re e ai figli di Israele; [16]e io gli mostrerò quanto dovrà soffrire per il mio nome». [17]Allora Anania andò, entrò nella casa, gli impose le mani e disse: «Saulo, fratello mio, mi ha mandato a te il Signore Gesù, che ti è apparso sulla via per la quale venivi, perché tu riacquisti la vista e sia colmo di Spirito Santo». [18]E improvvisamente gli caddero dagli occhi come delle squame e ricuperò la vista; fu subito battezzato, [19]poi prese cibo e le forze gli ritornarono. Rimase alcuni giorni insieme ai discepoli che erano a Damasco, [20]e subito nelle sinagoghe proclamava Gesù Figlio di Dio.
 [Dagli Atti degli apostoli, capitolo 9, versetti 1-20]

  In genere la vita cristiana inizia ascoltando altri che raccontano di Gesù:  è la predicazione. Per chi vive in famiglie cristiane, i primi predicatori sono coloro che fanno da genitori. Crescendo, si ascoltano quelli che sono accreditati nelle comunità di riferimento e hanno ricevuto l’incarico di svolgere quel compito, preparandosi. Non ho mai incontrato finora qualcuno che sia riuscito a fare da sé, anche se non posso escludere che ve ne siano. Nemmeno Paolo di Tarso, stando a quanto si racconta nel brano degli  Atti degli apostoli  che ho sopra trascritto, ci riuscì. In Siria, sulla strada di Damasco, ebbe un’esperienza prodigiosa che possiamo definire  visione. Una luce, una voce dal cielo: "Io sono Gesù, che tu perséguiti! Ma tu àlzati ed entra nella città e ti sarà detto ciò che devi fare".  La visione lo rese cieco. Nella città, Damasco, un discepolo di Gesù, Anania, ebbe anche lui una visione e gli fu detto: "Su, va' nella strada chiamata Diritta e cerca nella casa di Giuda un tale che ha nome Saulo, di Tarso; ecco, sta pregando e ha visto in visione un uomo, di nome Anania, venire a imporgli le mani perché recuperasse la vista"  e "Va', perché egli è lo strumento che ho scelto per me, affinché porti il mio nome dinanzi alle nazioni, ai re e ai figli d'Israele; e io gli mostrerò quanto dovrà soffrire per il mio nome".  Paolo recuperò la vista dopo che Anania gli ebbe imposto le mani, un gesto che significava il dono dello Spirito Santo: "Saulo, fratello, mi ha mandato a te il Signore, quel Gesù che ti è apparso sulla strada che percorrevi, perché tu riacquisti la vista e sia colmato di Spirito Santo". 
  Fare da sé in materia di fede espone al pericolo di non incontrare veramente Gesù e di costruirsi un dio a  propria misura. Per quanto uno sia grande e sapiente, quella misura non è mai quella giusta, perché siamo  viventi limitati. Nelle Scritture si trova in molti brani l’esortazione a  contare i propri giorni. Se ad una persona però basta l’illusione di breve periodo, una specie di aiuto psicologico per superare brutti momenti della vita… Così la religione diventa una specie di analgesico. Un sogno piacevole come quello indotto da certe droghe. E’ una delle critiche più dure che le sono state fatte. Ma la fede che mi è stata insegnata non è fatta così e non serve a quello.
 La riflessione sui fatti rilevanti per la fede, alla luce di essa, ciò che trovate su questo blog, non è predicazione. E’, al più, un discorso colto per condividere l’esperienza di fede, come potete trovare anche in altre pubblicazioni. Tra ciò che qui condivido vi è anche l’esortazione ad esporsi alla predicazione, nella comunità di riferimento, per saperne di più ed essere indirizzati per la via giusta. Sento che alcuni vorrebbero farne a meno. Su Famiglia Cristiana in edicola leggo addirittura di una imponente opposizione dei fedeli contro il Papa su questioni importanti. Quelli lì, dopo una visione prodigiosa per via,  addirittura di Gesù stesso!, si sarebbero eletti in proprio predicatori, nonostante l’esortazione del Signore: “…entra nella città e ti sarà detto ciò che devi fare”.  Ma lo avrebbero fatti da ciechi! E’ questo, appunto, che accade,  nella mia esperienza, a quella specie di sedicenti  sovraumani che seguono quella via. I risultati, poi, non mi sembrano veramente un granché. Ecco che ad esempio, dunque, nonostante magari un gran brandire di amuleti  religiosi, simboli ridotti a tali perché strumentalizzati, ci si manifesta  spietati, facendosi lecito di ignorare il comando di Gesù dell’amicizia universale operosa. La cosa poi, come insegna la storia, va in genere a finire male, perché, quando in una società si introduce il principio di spietatezza, al momento in cui fatalmente si è colpiti da rovesci della fortuna se ne sarà travolti, come accadde storicamente a molti rivoluzionari francesi di fine Settecento.

Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli

lunedì 26 agosto 2019

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO ALLE CHIESE METODISTE E VALDESI IN OCCASIONE DELL'APERTURA ANNUALE DEL SINODO [Torre Pellice, Torino, 25-30 Agosto 2019]

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
ALLE CHIESE METODISTE E VALDESI
IN OCCASIONE DELL'APERTURA ANNUALE DEL SINODO 
[Torre Pellice, Torino, 25-30 Agosto 2019]

Cari Fratelli e sorelle,
il Sinodo dell’Unione delle Chiese metodiste e valdesi é occasione propizia per rivolgervi il mio cordiale saluto, espressione della vicinanza fraterna mia e dell’intera Chiesa cattolica.
Prego per tutti voi, affinché in questi giorni di incontro, di preghiera e di riflessione possiate fare esperienza viva dello Spirito Santo, che anima e dà forza alla testimonianza cristiana.
Mi unisco alla vostra preghiera anche per chiedere al Signore il consolidamento dello spirito ecumenico fra i cristiani, come pure una crescente comunione tra le nostre Chiese.
Siamo chiamati a proseguire il nostro impegno nel cammino di reciproca conoscenza, comprensione e collaborazione, per testimoniare Gesù e il suo Vangelo di carità.
Come discepoli di Cristo possiamo offrire risposte comuni alle sofferenze che affliggono tante persone, specialmente i più poveri e i più deboli, promuovendo cosi la giustizia e la pace.
Formulo alla vostra Assemblea sinodale i migliori auguri e, mentre invoco la benedizione del Signore, vi chiedo, per favore di pregare per me.
Fraternamente
Dal Vaticano, 22 agosto 2019

Azione cattolica e riforma sociale

  Il collegamento tra l'Azione Cattolica e l'azione sociale promossa dal Papa e dai vescovi è stato sempre centrale nell'attività associativa, fin dalla sua fondazione, decisa dal Papa Giuseppe Sarto - Pio 10° con l'enciclica Il fermo proposito  del 1905, e attuata l'anno seguente con la deliberazione e approvazione degli statuti della nuova organizzazione. Quest'ultima  proprio nel suo collegamento organico con il Papato differiva sostanzialmente dalle precedenti iniziative sociali del laicato italiano, ma con esse condivideva l'intento espressamente politico dell'agitazione delle masse per la riforma sociale, in un'epoca di acutissimo contrasto tra il Papato e il Regno d'Italia, dopo la soppressione, nel 1870 a seguito di conquista militare da parte dell'esercito italiano,  dello Stato Pontificio, il piccolo regno territoriale che il Papato  manteneva dall'antichità nell'Italia centrale, con capitale Roma. Questa azione sociale e politica si allineò progressivamente e  in gran parte con quella fascista dal 1930 al 1938, il periodo della compromissione dei cattolici italiani con il regime mussoliniano dopo i Patti Lateranensi  conclusi nel 1929 tra il Regno d'Italia e il Papato romano. L'anno di svolta fu il 1931, quello in cui l'Azione Cattolica fu attaccata da squadre di delinquenti politici fascisti e il Papato con l'enciclica Il Quarantennale - Quadragesimo anno, del Papa Achille Ratti - Pio 11°,  invitò i cattolici a collaborare con il regime. Certo, alcuni settori dell'Azione Cattolica, come quello degli universitari, mantennero una posizione critica nei confronti del regime, facendosi forza anche in base a quanto argomentato da quello stesso Papa sempre nel 1931, con l'enciclica  Non abbiamo bisogno, un  tentativo (ambiguo e sostanzialmente tiepido) di mantenere uno spazio di azione religiosa dell'organizzazione, pur tra (oggi) sconcertanti affermazioni come questa "Crediamo poi di avere contemporaneamente fatto buona opera al partito stesso ed al regime." Dal 1939, con il Papa Eugenio Pacelli - Pio 12°, l'orientamento del Papato mutò radicalmente e condusse l'Azione Cattolica ad avere un ruolo decisivo nella costruzione di una nuova democrazia repubblicana in Italia, con l'affermazione politica di tanti principi umanitari del pensiero sociale cristiano e della dottrina sociale cattolica. 
 Non deve stupire, quindi, che l'Azione Cattolica segua il Papa e i vescovi nella loro attuale aspra polemica, su base prettamente evangelica e senza intenti di egemonia di potere,  contro la politica dei  porti chiusi da chiunque propugnata, in linea con la critica, contenuta nell'enciclica citata Non abbiamo bisogno, che "non si è cattolici se non per il battesimo e per il nome — in contraddizione con le esigenze del nome e con gli stessi impegni battesimali — adottando e svolgendo un programma che fa sue dottrine e massime tanto contrarie ai diritti della Chiesa di Gesù Cristo e delle anime".
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli

domenica 25 agosto 2019

Operatori di ingiustizia o di giustizia?


25 Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: "Signore, aprici!". Ma egli vi risponderà: "Non so di dove siete". 26 Allora comincerete a dire: "Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze". 27 Ma egli vi dichiarerà: "Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia [il testo greco ha  adikìas, che significa senza  dìke, senza giustizia]!". 
[Dal Vangelo secondo Luca, capitolo 13, versetti dal 25 al 27 - CEI 2008]

  Questo brano evangelico  mi ha molto  colpito fin da quando lo udii per la prima volta riuscendo a capirlo, all’età delle scuole medie. Lo abbiamo proclamato nella Messa domenicale di oggi. Spesso lo si ascolta distrattamente. Sono parole attribuite a Gesù, quando insegnava per città e villaggi in cammino verso Gerusalemme. E’ scritto che: «Un tale gli chiese: "Signore, sono pochi quelli che si salvano?"». Gesù gli rispose rivolto ad un uditorio più ampio, ma  utilizzando la seconda persona plurale,  voi. «Sforzatevi di entrare per la porta stretta», e poi l’insegnamento che ho sopra trascritto. Sentendo leggere quel brano evangelico, non vi sentite chiamati in causa? Io sì, tutto le volte che lo sento o lo leggo. Il problema è la nostra  ingiustizia. Nell’ottica evangelica, giustizia è fare ciò che Gesù comanda:  l’agàpe  operosa e universale, estesa anche ai nemici, l’amicizia di condivisione e soccorso senza alcun limite fino all’estremo sacrificio di sé. Nell’antico mondo greco-romano Dìche,  la giustizia personificata, era una dea, quindi un principio supremo, che imponeva che a ciascuno fosse dato il suo. Un’altra dea, Nèmesi, si incaricava di punire gli ingiusti. Era quindi opinione comune che l’ingiustizia turbasse l’ordine dell’universo voluto dagli dei e che, alla fine, quell’ordine sarebbe stato da loro restaurato punendo i malvagi. Ma ciò che ora mi interessa sottolineare  è che ci sono ingiustizie operate dai singoli e altre operate da collettività. Lo sappiamo bene. La via più semplice per affrontarle, da lato degli ingiusti, è trovarvi giustificazioni. Per quelle collettive ci riesce molto più facile, perché raramente trovano una nèmesi da parte delle autorità pubbliche. Qualche volta è la storia che si incarica di realizzarla. Così, ciò che accadde agli italiani durante la Seconda guerra mondiale, che combatterono dal giugno  1940 all’aprile 1945, può essere visto come la nèmesi  del peccato di fascismo in cui incorsero. Ci pare però ingiusto vederla così, perché, insomma, soffrirono giusti e ingiusti, colpevoli e innocenti, sebbene il fascismo, con la sua ideologia di discriminazione sociale ed etnica e di predazione di altri popoli, avesse avuto un vastissimo consenso popolare, in particolare tra il 1930 e il 1938, anni in cui si ebbe la compromissione con esso della Chiesa cattolica, dopo il Concordato Lateranense del 1929, e quindi degli stessi cattolici italiani. Una parte degli italiani, però, resistette, ma non fu sufficiente a contrastare efficacemente i progetti di guerra del regime.  Senz’altro, comunque, quel male che venne con la guerra nella quale il fascismo storico cacciò l’Italia  può essere visto come una diretta conseguenza storica della decisione collettiva di massa per il fascismo mussoliniano. Ma non è solo a una cosa simile che mi pare ci si riferisca nell’insegnamento evangelico. Gesù infatti non disse semplicemente che essendo ingiusti poi si finisce male (come in Matteo 26,52: “tutti quelli che prendono la spada, di spada moriranno”), ma: "Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia”. E’ in questione, con l’ingiustizia che anche collettivamente pratichiamo,  il nostro  rapporto con lui, la porta  per la nostra salvezza:  “voi tutti”, vale a dire, visto dalla parte degli operatori di ingiustizia, “noi tutti”. Anche l’ingiustizia che si fa collettivamente conta. Non basta essere personalmente  una persona buona? Ma come lo si può essere partecipando a certe decisioni, e questo anche se lo si fa spinti dall’emotività di massa o dalla violenza generalizzata altrui? I primi cristiani, per ciò che ce ne è stato riferito, si dimostrarono persone coraggiose e ferme nell’affermare pubblicamente e collettivamente i principi di giustizia a cui avevano dato il loro assenso di fede. Tanto che, di questo ho preso consapevolezza leggendo recentemente un commento al brano evangelico che trascrivo di seguito:
36«Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: "Pace a voi!". 37 Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. 38 Ma egli disse loro: "Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? 39 Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho". 40 Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. 41 Ma poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore, disse: "Avete qui qualche cosa da mangiare?". 42 Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; 43 egli lo prese e lo mangiò davanti a loro.
 Poi disse: "Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi". Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture 46 e disse loro: "Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, 47 e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. 48 Di questo voi siete testimoni. 49 Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall'alto".
 Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. 51 Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. 52 Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia 53 e stavano sempre nel tempio lodando Dio.» [dal Vangelo secondo Luca, capitolo 24, versetti 36-53].
 i primi discepoli di Gesù,  dopo l’evento tragico della Crocifissione di Gesù, la Resurrezione e l’Ascensione, tornarono a Gerusalemme con grande gioia  e stavano sempre nel Tempio lodando Dio. E negli Atti degli Apostoli, capitolo 3, versetto 1, leggiamo anche:  «Pietro e Giovanni salivano al tempio per la preghiera delle tre del pomeriggio». I primi discepoli si cacciarono, in definitiva, proprio lì, nel Tempio di Gerusalemme, dove il pericolo era ancora molto alto. Non tutti in Gerusalemme , evidentemente, avevano condiviso il grido di “Crocifiggilo!” contro Gesù e  si andò  manifestando molto presto una aperta resistenza collettiva.
  Ma, insomma, mi vorreste chiedere, dove vuoi andare a parare con questi discorsi, in  che cosa tu e noi saremmo colpevoli di ingiustizia collettiva?
  Sul Corriere della Sera   di oggi (pag.28),  ho letto che, da una ricerca dell’istituto di ricerca IPSOS il 51% dei cattolici (la maggioranza!), praticanti o meno, è favorevole alla politica cosiddetta dei porti chiusi, che vieta alle navi che soccorrono i migranti in pericolo di naufragio  nel tratto di mare tra le nostre coste e quelle africane di attraccare in Italia. Ho anche letto nei giorni scorsi che si stima in 859 [fonte: Organizzazione Internazionale per le migrazioni. Dato citato in Avvenire  del 23-8-19] il numero delle persone migranti affogate nel 2019 in quel tratto di mare, nel quale si vorrebbe che operassero solo le vedette della Guardia costiera dell’entità governativa della Libia occidentale (sostenuta dall’Italia e attualmente assediata dalle truppe della Libia orientale nel quadro di una sanguinosa guerra civile), che, raggiunti migranti in difficoltà in quel tratto di mare, li cattura e li interna in pessime condizioni di detenzione in strutture governative in Libia, impedendo, nel nostro esclusivo interesse, che raggiungano le nostre coste, così come non le raggiungono quelli che affogano. Si realizza, per noi, un importante risparmio economico, perché arriva molta meno gente.
 Come si concilia quell’orientamento di massa con la nostra fede in Gesù?
 Non sentiamo collettivamente, noi Italiani cittadini di una Repubblica democratica nella quale la voce delle masse conta soprattutto quando diventa maggioritaria,  non sentiamo, dico,  sulla coscienza, come ingiustizia contro Gesù,  quei morti, quei tanti morti affogati?
 La questione, vedete, è molto semplice ed è tutta qui. 
 Nei giorni scorsi è partita  dall’Italia una missione di soccorso di un’Organizzazione non governativa  italiana, Mediterranea. Ecco alcuni messaggi indirizzati all’equipaggio della nave umanitaria da vescovi italiani (fonte: Avvenire  del 23-8-19):
«Sentitemi uno di voi, con voi», ha scritto Corrado Lorefice [Arcivescovo di Palermo] che ha trasmesso il suo pensiero attraverso il capo missione Luca Casarini. «Mentre siamo sommersi da questo mare di indifferenza e di aggressività – si legge nel testo dell’arcivescovo di Palermo –, di odio e di livore, di individualismo e di arroganza, scriviamo pagine belle di vita, di incontri, di amicizia, di solidarietà, di amore, scritte con cuori rimasti umani, ispirati dall’umanità bella di Gesù». Perciò Lorefice dice «grazie per quello che siete, per il vostro coraggio, perché amate!». Nel suo ruolo di pastore Lorefice suggerisce di leggere durante la missione alcuni passi del Vangelo di Giovanni. E così sta avvenendo: «Come ho fatto io, così fate anche voi».
L’equipaggio, giunto alla settima missione, ha incrociato la Ocean Viking, poco prima che ottenesse lo sbarco a Malta. Durante la navigazione notturna anche il vescovo di Cefalù ha voluto esprimere vicinanza e amicizia: «L’umile e vero devoto popolo siciliano ha inventato il titolo mariano di Porto Salvo per invocare l’aiuto della Vergine Madre Maria verso tutti i naviganti. A lei – è l’invocazione di Giuseppe Marciante – rivolgo la nostra preghiera perché il cuore dei credenti italiani sia un porto aperto e sicuro per tutti i naufraghi».
Alle «carissime amiche e amici della nave Mare Jonio», si è rivolto il presidente di Pax Christi. «Salvare vite – ha scritto il vescovo Giovanni Ricchiuti [vescovo di Altamura] – è un valore in sé, grande, indiscutibile. Grazie per il vostro impegno a tenere accesa la speranza in un mondo più umano. Abbiamo bisogno di gesti che indichino la rotta della pace e dell’ umanità». Non si può guardare a Mediterranea «e alle persone che potrete salvare senza pensare ad altre navi cariche invece di "cose" che arricchiscono noi Occidente opulento: Coltan, oro, diamanti, petrolio. E come non pensare – insiste Ricchiuti – alle navi cariche di armi che, lo speriamo, la smettano di rifornire di bombe, spesso Made in Italy, diversi Paesi in guerra».
  Questi messaggi, in linea con quanto insegnato e raccomandato dal Papa, esprimono l’orientamento che i nostri pastori indicano come conforme alla nostra fede in Gesù. Da che parte stiamo? Chi seguiamo?
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli


sabato 24 agosto 2019

Sapienza evangelica

   " In quel tempo Gesù disse: 'Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti (il testo greco ha sofò sofòn, con la stessa radice di sofìa che significa sapienza") e ai dotti (il testo greco ha sunetòn, cioè coloro che sono capaci di capire e di fa capire, rendendo condivisa la conoscenza; da sùnesis che è appunto questa facoltà) e le hai rivelate ai piccoli (il testo greco ha nepìois, da nèpios, che significa bambino che ancora non sa parlare). [traduzione in italiano CEI 2008 dal greco antico; dal Vangelo secondo Matteo, il versetto 25 del capitolo 11]

 Il detto evangelico che ho sopra trascritto è polemico verso gli intellettuali dell'ambiente sociale in cui Gesù svolse il suo ministero. I bambini capiscono meglio le cose della fede  degli adulti che si sforzano di capire? Il lavoro degli intellettuali è inutile per la fede e, anzi, controproducente? Così, ad esempio, intese Francesco d'Assisi. Nei Vangeli però l'unico ragazzino che troviamo discutere con degli intellettuali, indicati con il termine greco didàskalos (insegnante), è il Gesù dodicenne, nel Tempio di Gerusalemme, dell'episodio che leggiamo nel Vangelo secondo Luca, in particolare nel versetto 46 del capitolo 2.  Però egli non insegnava: è scritto che ascoltava e faceva domande, come ci si attende che faccia uno scolaro. Nel versetto 47, che segue, si legge: "E tutti quelli che l'udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza [il testo greco ha epì te sunèseie le sue risposte". I maestri, dunque, interrogarono il ragazzino, anche qui come ci si aspetta che avvenga a scuola. Secondo quei brani evangelici l'intelligenza/sùnesis di Gesù a quell'epoca venne valutata da quei suoi maestri dalle sue domande e dalle sue risposte alle loro domande. Quando però si discute tra intellettuali tutto è più complicato, perché si ragiona tra pari e conta la validità delle argomentazioni svolte secondo certi schemi condivisi. Poco prima del versetto del Vangelo di Matteo che ho sopra citato si legge (capitolo 11, versetto 19) si legge: "Ma la sapienza è stata riconosciuta giusta per le opere che essa compie". Le opere di Gesù non vennero interpretate correttamente da molti del suo ambiente. In base ad esse egli pretendeva che gli fosse riconosciuta autorità.  Del resto egli proponeva una via e un metodo che, benché presentati con le categorie culturali dell'ebraismo della sua epoca e del suo ambiente, non corrispondevano a schemi condivisi nel ceto dei maestri di fede di quella cultura e richiedevano un radicale cambiamento di mentalità. Nella cerchia dei primi più stretti seguaci di Gesù non vengono menzionati intellettuali. Tra loro e per loro egli fu quindi l'unico Maestro. Essi fecero affidamento su di lui, ma, benché testimoni delle sue opere, non capirono tutto subito di lui.
  L'intellettuale lavora con la mente, che è la funzione fisiologica dell'elaborazione dei pensieri e del decidere consapevolmente. Nel greco antico mente si diceva nòus (si pronuncia nus). Il nòus è implicato in una pratica religiosa molto importante che nel greco antico si dice  metánoia, parola che ha in sè la medesima radice del nòus / nus e che letteralmente significa cambiamento di mentalità e  in italiano in genere si ritiene corrispondere alla parola conversione. Il principio della vita cristiana è la conversione a Gesù come Cristo, appunto ciò che Gesù, nel detto che ho,sopra citato, lamentava essergli stato rifiutato.  È il raggiungimento di una sapienza pratica perché si manifesta ed è quindi riconoscibile nell'agápe, l'amicizia universale di condivisione e soccorso, ma richiede anche una preventiva comprensione, un'attività del nòus, che si consegue dal valutare correttamente certi fatti, dal domandare e dal rispondere, anche con certe azioni. Si è riconosciuti cristiani essenzialmente in base a queste ultime. Esse però si basano su decisioni che avvengono nel nòus e che richiedono il confronto con i maestri. Questa è un'esperienza comune. Spesso, nelle società profondamente permeate dalla nostra fede, i primi maestri sono i genitori. Crescendo ne incontriamo altri. Dal punto di vista della nostra fede, tutti i maestri fanno bene il loro mestiere se ci portano verso il Maestro, Gesù. Perché, come ho detto, la conversione, nell'ottica della nostra fede, è solo conversione a lui. Di qui l'impossibilità di quelli che vengono chiamati atei devoti, vale a dire di coloro che aderiscono ad una chiesa cristiana senza volersi convertire a Gesù, fascinati solo dalla capacità di una chiesa di imporsi in società: senza Gesù, sono atei e basta. 
 Nel capitolo 11 del Vangelo di Matteo, da cui ho tratto il versetto citato all'inizio, la metánoia è citata al versetto 21: "Guai a te, Corazìn! Guai a te, Betsáida! Perché se a Tiro e Sidone fossero avvenuti i prodigi che ci sono stati in mezzo a voi, già da tempo esse, vestite di sacco e cosparse di cenere, si sarebbero convertite [il testo greco ha metenòesan, forma passata del verbo metanoèo, che significa convertirsi, con la stessa radice di metánoia [CEI 2008]. Corazìn e Betsáida erano città della Galilea di cultura e religione ebraica, regione dove Gesù iniziò la sua azione pubblica; Tiro e Sidone erano città fenicie, più a nord, di altra etnia cultura,religione,lingua.
  Gesù nel capitolo 11 del Vangelo di Matteo ci viene presentato come impaziente: un'impazienza analoga prende talvolta anche chi ai tempi nostri è impegnato nell'evangelizzazione. Perché non seguendo la via di Gesù si va a finire male e chi evangelizza lo sa bene. Si è mandati ad evangelizzare per diffondere la via di salvezza, che è Gesù stesso. Chi ha bisogno di essere salvato è in pericolo. Al versetto 23 del capitolo 11 del Vangelo secondo Matteo leggiamo infatti altre parole di Gesù stesso, con questo monito: "E tu Cafárnao, sarai innalzata fino al cielo? Fino agli inferi precipiterai! Perché, se a Sodoma fossero avvenuti i prodigi che ci sono stati in mezzo a te, oggi esisterebbe ancora!". Cafárnao era un'altra  città della Galilea del tempo di Gesù, nella cui sinagoga egli predicò il Vangelo; secondo quanto si legge nel capitolo 19 del libro della Genesi, Sodoma era una città situata a sud di Canaan che venne distrutta da un cataclisma mandato dal Cielo come punizione dei suoi vizi. Qui la critica evangelica non riguarda solo gli intellettuali, ma tutta la popolazione di quelle città della Galilea dei tempi di Gesù.
 Noi non siamo Gesù, ma lo abbiamo ancora con noi, se riusciamo a mantenere la nostra conversione a lui. Possiamo ancora metterci alla sua scuola e poi secondo il comando ricevuto, andare ad insegnare a tutti i popoli a osservare tutto ciò che ci ha comandato e, innanzi tutto, l'agápe, l'amicizia universale operosa di condivisione e soccorso. A volte questi insegnamenti sono accolti male anche tra gli stessi popoli già evangelizzati fin da tempi antichi, che dunque vengono a trovarsi più o meno nella situazione di Corazìn, Betsáida e Cafárnao dopo che Gesù aveva agito tra loro. Addirittura nella nostra Italia di oggi, la predicazione dell'agápe che viene fatta da un pastore con grande autorità come il Papa viene sospettata di mettere in pericolo la nostra sicurezza pubblica. Egli viene dunque trattato come un sobillatore, andando incontro alla medesima cattiva fama che portò Gesù davanti a Pilato. Da un punto di vista cristiano quelli che gli fanno quell'accusa sragionano, il nòus / nus non li assiste. Se non riescono a tornare come bambini nell'accogliere Gesù, dovrebbero almeno cercarsi un buon maestro, che li guidi verso il Maestro. Ma già lo hanno!? Com'è che non riescono più a dargli retta?
  Che dobbiamo pretendere dagli altri? Di tornare come bambini o di ragionare meglio, attivando il nòus / nus, e, ragionando meglio, cercando in particolare di non sragionare, di convertirsi a Gesù, mettendosi alla sua scuola? Lascio a voi queste conclusioni. Da padre di famiglia ho avuto a che fare con bambine piccole, e a volte sono stato sorpreso del loro senso della giustizia, ma anche con loro più grandi e allora sono stato per loro tra i primi maestri, quindi  didàskalos. L'esortazione finale del Risorto che troviamo al termine del Vangelo secondo Matteo,nel capitolo 28, versetto 19, è di farci insegnanti, nel testo greco didáskontes, tradotto da CEI 2008 con insegnando. Che cosa? Tutto ciò che ha comandato Gesù. Il Maestro.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli





venerdì 23 agosto 2019

Grideranno le pietre

 Alcuni farisei tra la folla gli dissero: "Maestro, rimprovera i tuoi discepoli". Ma egli rispose: "Io vi dico che se questi taceranno, grideranno le pietre" [dal Vangelo secondo Luca, i versetti 39 e 40 del capitolo 19 - vi vengono riferite parole di Gesù pronunciate entrando a Gerusalemme tra la folla che lo acclamava re].

 Per trattare di questioni sociali nell'ottica della mia fede cristiana facendomi intendere da tutti non mi occorre un linguaggio esplicitamente religioso: mi basta usare quello universale dell'agápe, dell'amicizia di condivisione e soccorso. In questo senso è senz'altro vero: anche le pietre gridano. Se però vi devo parlare della mia fede, devo indicarvi Gesù: non conosco altro Dio, e per il resto sono completamente ateo. Apprezzo ogni persona religiosa, anche di altre fedi, che riesca anche a manifestarsi buona. Con lei ci intendiamo con il linguaggio dell'agápe. Ma non so parlare di Dio se non mediante Gesú. Vorrei appartenere al suo Regno e ne attendo la piena manifestazione: è ciò che è stato promesso, egli tornerà nella gloria. Non saprei condurvi a Dio per altra strada, al massimo potrei riuscire a convincervi degli antichi dei della natura, a questo portano le prove dell'esistenza di Dio che nei secoli passati sono state escogitate, tutte. Perché dunque sono passato dal linguaggio dell'agàpe a quello specificamente cristiano? Ho cambiato gli interlocutori, per un po': ora sono i miei compagni di fede, quelli che nel greco evangelico sono chiamati koinonòi appunto compagni. Così si chiamavano gli uni gli altri i cristiani delle prime comunità (con il termine comunitá traduciamo il greco del Nuovo Testamenti koinonìa). Il termine koinonòs definisce letteralmente chi è parte attiva di un impegno collettivo, comune nel senso di condiviso. Che mettono in comune i cristiani? Ciò che non deriva da loro, che è stato loro donato, la loro fede. Il termine italiano compagni richiama qualcosa di più: il condividere il pane. Ma intende la stessa cosa. Si condivide la vita nel corso di un lavoro collettivo. Come compagni ci si fa attivi d'intesa con altri che condividono la medesima fede. I cristiani sono compagni perché sono impegnati in un'opera comune, inviati a tutte le genti del mondo per condividere con loro il pane di vita, che è Gesù stesso, per la salvezza dell'umanità. Sono mandati in suo soccorso. Leggiamo nel Vangelo secondo Giovanni, nel versetto 35 del capitolo 6: "Gesù rispose loro: 'io sono pane della vita; chi viene a me non avrá fame e chi crede in me non avrà sete, mai!". Leggiamo anche nel capitolo 15 del Vangelo secondo Giovanni, nei versetti 12 e 14: "Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati [...] Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando". Questo mi è stato insegnato, questo ho appreso, questo condivido con voi, miei compagni di fede. 
 Vi domando: si può essere spietati  e cristiani? Storicamente lo si è stati. Ma è stato giusto esserlo? È, oggi, giusto esserlo? È un tema di stretta attualità, come sapete, per noi italiani. Voi spietati che vi dite anche cristiani, che per confermarlo esibite pubblicamente anche la corona del Rosario, la preghiera che ci fa fare memoria di Gesù in ogni suo capitolo (detto mistero), quale maestro, quale pastore, quale profeta, state seguendo? Non è la spietatezza il comando di Gesù, egli che è la via, la porta, l'acqua viva, il pane della vita. Ma l'amicizia di condivisione e soccorso. Questo continuano a ripeterci concordemente e pressantemente il Papa e i vescovi, e, tra i pastori cristiani, non solo loro. In questo tante divisioni del passato sono state superate.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli

giovedì 22 agosto 2019

Il principio evangelico di insoddisfazione

"Chi è il più grande tra voi diventi come il più giovane e chi governa come colui che serve. Infatti chi è il più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto tra voi come colui che serve" (dal Vangelo secondo Luca, capitolo,22, versetti 26 e 27 - traduzione in italiano CEI 2008. CEI 1974, dove CEI 2008 ha "il più giovane" traduce con "il più piccolo" - il testo in greco antico ha "neòteros": letteralmente "il più nuovo").

   Credo che storicamente nessuna autorità, civile o religiosa, anche se ispirata ai principi di fede, sia mai riuscita a mettere pienamente in pratica il comando evangelico che ho sopra citato. E questo anche nel caso di vere rivoluzioni, vale a dire di un completo rovesciamento di un ordinamento politico, con instaurazione di un nuovo ordine politico retto da regole opposte rispetto alle precedenti.
  Rivoluzione è un termine che il pensiero politico ha tratto dall'astronomia, dove significa il moto di un corpo intorno ad un altro corpo, che si considera come centro. Una rivoluzione è compiuta, dal punto di vista politico, quando viene istituito un nuovo ordinamento, e quindi un nuovo potere. Richiedere ai potenti di stare come colui che serve, vale a dire di agire di conseguenza, significa introdurre un principio di insoddisfazione permanente davanti a qualsiasi potere, quindi anche a quello che si presenti come rivoluzionario. Questa appunto l'origine dei gravi problemi politici che le nostre prime comunità di fede ebbero nei primi quattro secoli dell'era corrente e, in seguito, degli analoghi problemi che travagliarono i nostri riformatori che intesero promuovere un ritorno alla fedeltà a quel comando evangelico.
Mario Ardigò - Azione Carrolica in San Clemente papà - Roma, Monte Sacro, Valli

martedì 20 agosto 2019

Riconoscere o rinnegare Gesù


Dal Vangelo secondo Luca, capitolo 12, versetti 8 e 9: «8 Io vi dico: chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anche il Figlio dell'uomo lo riconoscerà davanti agli angeli di Dio; 9 ma chi mi rinnegherà davanti agli uomini, sarà rinnegato davanti agli angeli di Dio.»

 C’è una relazione tra Terra, dove siamo noi ora quaggiù, e il Cielo, la nostra vera e unica patria secondo la fede, che indichiamo con lassù  per significare la distanza, ma senza sapere  dove  precisamente sia, essendoci state date solo immagini di  come  è, ed è insieme a Dio e ai suoi angeli. Quella relazione è mediata da Gesù, detto anche la  via  e la porta, che danno accesso al Cielo. Non si tratta di fargli atto di formale sottomissione, ma di fare ciò che comanda, ed egli ci comanda l’amore-agàpe,  l’amore di condivisione e soccorso. Il modello è il farsi prossimi  agli altri come il Samaritano  della parabola narrata nel Vangelo secondo Luca, nel capitolo 10, versetti dal 25 al 37. Questo mi è stato insegnato. La pratica della fede sta tutta qui. E’ una cosa semplice da dirsi e da capire, molto più difficile da farsi. Molto, molto più difficile di tutta la teologia di ogni tempo, che è solo cultura pensata e detta, per di più riferita a quel Cielo di cui ho scritto prima, che ci si sottrae nella sua distanza dalle cose e dalla vita di quaggiù. La pratica della fede richiede una certa sapienza: la si impara, certo, ma la si deve anche sperimentare, e non è detto che vada sempre bene al primo colpo. E’ come tutte le cose umane: sempre perfettibile. Per la fede, ciò che motiva a quella pratica, è invece diverso. Dicono che  si cresce  nella fede, ma nella mia esperienza non è proprio così. Vedo che si ricomincia sempre da capo, di età in età, e non è detto che si migliori con la sua pratica, acquisendo quindi una certa sapienza pratica. Non è detto che i vegliardi siano migliori dei più giovani. E’ questo che si vuol dire in religione quando si afferma che la fede ci  è donata.  E’ come con la manna, il pane dal Cielo, dell’episodio biblico, che non poteva essere accumulata (leggi nel libro dell’Esodo, i versetti dal 14 al 21 del capitolo 16). Il dono deve essere rinnovato di giorno in giorno, per tutti i giorni della vita. Così può accadere che uno sappia di teologia e di liturgia, che quindi sappia parlare con sapienza della fede e sappia insegnare preghiere e riti ma, ad un certo punto, non abbia più la fede, ad esempio se non accetta di riceverla in dono ma cerca di costruirsela in base a ciò che sa.  E’ descritta anche come sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna, acqua viva (leggi dal Vangelo secondo Giovanni, i versetto 10 e 14 del capitolo 4). Ci viene da Gesù, questo  si insegna in religione. Non è opera nostra. E, del resto, è tanto diversa dalla logica delle cose di quaggiù! Solo dal Cielo ci poteva venire. Supera ogni nostra attesa. Ci conduce al Cielo.
  Per chi si allontana da Gesù le cose di quaggiù riprendono però il loro aspetto di natura e la società appare nuovamente espressione della sua dura e spietata legge, che è quella a cui soggiacciono gli animali i quali, dal punto di vista della biologia, discendono anch’essi dalle antiche belve nostre progenitrici. Nell’allontanarsi non si tratta della fede pensata  o parlata,  ma della sua pratica, ad esempio quando si rifiuta di soccorrere, di  farsi prossimi  ai sofferenti che chiedono aiuto. Ci è infatti comandato di amare, non di ragionare sull’amore. Non obbedire al comandamento dell’amore - agàpe è appunto il rinnegare Gesù e dipende da noi. Ci è stato insegnato infatti che ogni cosa che si fa ai sofferenti è come se fosse fatta a lui (leggi nel Vangelo secondo Matteo, dal capitolo 25 i  versetti dal 31 al 46). Questo ci ripete il Papa, accorato, quasi ogni giorno, ma  è poco ascoltato, anche da chi parla  di fede e sbandiera simboli religiosi. «Maria Santissima ci aiuti a lasciarci purificare il cuore dal fuoco portato da Gesù, per propagarlo con la nostra vita, mediante scelte decise e coraggiose.» ha detto all’Angelus domenica scorsa. Così avvenga, così sia, amen.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli