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Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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Questo blog è un'iniziativa di laici aderenti all'Azione Cattolica della parrocchia di San Clemente papa e manifesta idee ed opinioni espresse sotto la personale responsabilità di chi scrive. Esso non è un organo informativo della parrocchia né dell'Azione Cattolica e, in particolare, non è espressione delle opinioni del parroco e dei sacerdoti suoi collaboratori, anche se i laici di Azione Cattolica che lo animano le tengono in grande considerazione.

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Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

Dall’anno associativo 2020/2021 il gruppo di AC di San Clemente Papa si riunisce abitualmente il secondo, il terzo e il quarto sabato del mese alle 17 e anima la Messa domenicale delle 9. Durante la pandemia da Covid 19 ci siamo riuniti in videoconferenza Google Meet. Anche dopo che la situazione sanitaria sarà tornata alla normalità, organizzeremo riunioni dedicate a temi specifici e aperte ai non soci con questa modalità.

Per partecipare alle riunioni del gruppo on line con Google Meet, inviare, dopo la convocazione della riunione di cui verrà data notizia sul blog, una email a mario.ardigo@acsanclemente.net comunicando come ci si chiama, la email con cui si vuole partecipare, il nome e la città della propria parrocchia e i temi di interesse. Via email vi saranno confermati la data e l’ora della riunione e vi verrà inviato il codice di accesso. Dopo ogni riunione, i dati delle persone non iscritte verranno cancellati e dovranno essere inviati nuovamente per partecipare alla riunione successiva.

La riunione Meet sarà attivata cinque minuti prima dell’orario fissato per il suo inizio.

Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

NOTA IMPORTANTE / IMPORTANT NOTE

SUL SITO www.bibbiaedu.it POSSONO ESSERE CONSULTATI LE TRADUZIONI IN ITALIANO DELLA BIBBIA CEI2008, CEI1974, INTERCONFESSIONALE IN LINGUA CORRENTE, E I TESTI BIBLICI IN GRECO ANTICO ED EBRAICO ANTICO. CON UNA FUNZIONALITA’ DEL SITO POSSONO ESSERE MESSI A CONFRONTO I VARI TESTI.

ON THE WEBSITE www.bibbiaedu.it THE ITALIAN TRANSLATIONS OF THE BIBLE CEI2008, CEI1974, INTERCONFESSIONAL IN CURRENT LANGUAGE AND THE BIBLICAL TEXTS IN ANCIENT GREEK AND ANCIENT JEWISH MAY BE CONSULTED. WITH A FUNCTIONALITY OF THE WEBSITE THE VARIOUS TEXTS MAY BE COMPARED.

Il sito della parrocchia:

https://www.parrocchiasanclementepaparoma.com/

martedì 31 luglio 2018

"Eterno il suo amore per noi" di David Maria Turoldo


Eterno il suo amore per noi

Poter dire anche noi, ognuno di noi:
egli si è degnato di chiamarci alla vita,
chiamando ciascuno per nome:
eterno il suo amore per noi.

E ci ha dato una mente e un cuore,
e occhi e mani, e sensi;
e la donna ha dato a perfezione dell’uomo:
eterno è il suo amore per noi.

E pur se provati da mali e sventure,
potati come vigne d’inverno,
visitati dalla morte,
almeno qualcuno riesca a dire:
eterno è il suo amore per noi.

Che tutti gli umiliati e offesi del  mondo,
questo immenso oceano di poveri,
possano un giorno insieme urlare:
eterno è il suo amore per noi

David Maria Turoldo

domenica 29 luglio 2018


Domenica 29-7-18 – 17° Domenica del Tempo ordinario -   Lezionario dell’anno B per le domeniche e le solennità –  colore liturgico: verde – salterio: 1° settimana -   Letture e sintesi dell’omelia delle  Messa delle nove - avvisi  del parroco e di   A.C.

Osservazioni ambientali: cielo sereno, temperatura ambientale 27° C.

Canti: ingresso,Noi canteremo gloria a te; offertorio,  Le mani alzate; Comunione, Signore da chi andremo?; finale, Santa Maria del cammino.

Alla Messa delle nove il gruppo di A.C. si siede nei banchi di sinistra, a fianco dell’altare, guardando l’abside.


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Pillola di Concilio
Dalla Costituzione pastorale La gioia e la speranza  - Gaudium et spes,  del Concilio Vaticano 2° (1962-1965)


69. I beni della terra e loro destinazione a tutti gli uomini
  Dio ha destinato la terra e tutto quello che essa contiene all'uso di tutti gli uomini e di tutti i popoli, e pertanto i beni creati debbono essere partecipati equamente a tutti, secondo la regola della giustizia, inseparabile dalla carità. Pertanto, quali che siano le forme della proprietà, adattate alle legittime istituzioni dei popoli secondo circostanze diverse e mutevoli, si deve sempre tener conto di questa destinazione universale dei beni. L'uomo, usando di questi beni, deve considerare le cose esteriori che legittimamente possiede non solo come proprie, ma anche come comuni, nel senso che possano giovare non unicamente a lui ma anche agli altri (. Del resto, a tutti gli uomini spetta il diritto di avere una parte di beni sufficienti a sé e alla propria famiglia. Questo ritenevano giusto i Padri e dottori della Chiesa, i quali insegnavano che gli uomini hanno l'obbligo di aiutare i poveri, e non soltanto con il loro superfluo. Colui che si trova in estrema necessità, ha diritto di procurarsi il necessario dalle ricchezze altrui. Considerando il fatto del numero assai elevato di coloro che nel mondo intero sono oppressi dalla fame, il sacro Concilio richiama urgentemente tutti, sia singoli che autorità pubbliche, affinché - memori della sentenza dei Padri: « Dà da mangiare a colui che è moribondo per fame, perché se non gli avrai dato da mangiare, lo avrai ucciso »  realmente mettano a disposizione ed impieghino utilmente i propri beni, ciascuno secondo le proprie risorse, specialmente fornendo ai singoli e ai popoli i mezzi con cui essi   possano provvedere a se stessi e svilupparsi.
  Nelle società economicamente meno sviluppate, frequentemente la destinazione comune dei beni è in parte attuata mediante un insieme di consuetudini e di tradizioni comunitarie, che assicurano a ciascun membro i beni più necessari. Bisogna certo evitare che alcune consuetudini vengano considerate come assolutamente immutabili, se esse non rispondono più alle nuove esigenze del tempo presente; d'altra parte però, non si deve agire imprudentemente contro quelle oneste consuetudini che non cessano di essere assai utili, purché vengano opportunamente adattate alle odierne circostanze. Similmente, nelle nazioni economicamente molto sviluppate, una rete di istituzioni sociali per la previdenza e la sicurezza sociale può in parte contribuire a tradurre in atto la destinazione comune dei beni. Inoltre, è importante sviluppare ulteriormente i servizi familiari e sociali, specialmente quelli che provvedono agli aspetti culturali ed educativi. Ma nell'organizzare tutte queste istituzioni bisogna vegliare affinché i cittadini non siano indotti ad assumere di fronte alla società un atteggiamento di passività o di irresponsabilità nei compiti assunti o di rifiuto di servizio.


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Prima lettura
Dal Secondo libro dei Re (2Re 4,42,44)

  In quei giorni, da Baal-Salisà venne un uomo, che portò pane di primizie all’uomo di Dio: venti pani d’orzo e grano novello che aveva nella bisaccia.
   Eliseo disse: «Dallo da mangiare alla gente». Ma il suo servitore disse: «Come posso mettere questo davanti a cento persone?». Egli replicò: «Dallo da mangiare alla gente. Poiché così dice il Signore: “Ne mangeranno e ne faranno avanzare”».
Lo pose davanti a quelli, che mangiarono e ne fecero avanzare, secondo la parola del Signore.

Salmo responsoriale
Dal salmo  144

Ritornello: Apri la tua mano, Signore, e sazia ogni vivente.

Ti lodino, Signore, tutte le tue opere
e ti benedicano i tuoi fedeli.
Dicano la gloria del tuo regno
e parlino della tua potenza. 
 
Gli occhi di tutti a te sono rivolti in attesa
e tu dai loro il cibo a tempo opportuno.
Tu apri la tua mano
e sazi il desiderio di ogni vivente. 
 
Giusto è il Signore in tutte le sue vie
e buono in tutte le sue opere.
Il Signore è vicino a chiunque lo invoca,
a quanti lo invocano con sincerità. 


Seconda lettura
Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesini (Ef 4,1-6)

   Fratelli, io, prigioniero a motivo del Signore, vi esorto: comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto, con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandovi a vicenda nell’amore, avendo a cuore di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace.
   Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti.


Acclamazione al Vangelo

Alleluia, alleluia.

Un grande profeta è sorto tra noi,
e Dio ha visitato il suo popolo. (Lc 7,16)

Alleluia.


Vangelo
Dal Vangelo secondo Giovanni (6,1-15)

  In quel tempo, Gesù passò all’altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberìade, e lo seguiva una grande folla, perché vedeva i segni che compiva sugli infermi. Gesù salì sul monte e là si pose a sedere con i suoi discepoli. Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei.
   Allora Gesù, alzàti gli occhi, vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?». Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva quello che stava per compiere. Gli rispose Filippo: «Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo».
  Gli disse allora uno dei suoi discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: «C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?». Rispose Gesù: «Fateli sedere». C’era molta erba in quel luogo. Si misero dunque a sedere ed erano circa cinquemila uomini.
  Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano.
  E quando furono saziati, disse ai suoi discepoli: «Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto». Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato.
  Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, diceva: «Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo!». Ma Gesù, sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui da solo.


Sintesi dell’omelia della Messa delle nove
  Il brano evangelico richiama la prima lettura, in cui si narra un episodio simile.
  L’importanza dell’episodio viene segnalato per il fatto che avvenne durante la Pasqua degli israeliti. Essa ricordava la liberazione dalla schiavitù, in un certo senso un passaggio dalla morte alla vita. Anche la nostra Pasqua celebra il passaggio dalla morte alla vita.  Anche nell’episodio evangelico c’è una traversata delle acque: si racconta che Gesù passò dall’altra parte del mare  di Galilea, detto anche di Tiberiade.
  Gesù compì un fatto straordinario per darci un insegnamento di fede.
  Si narra che si trovò davanti ad una gran folla di gente. Chiese all’apostolo Filippo come si poteva fare per dar loro da mangiare. Gli fu risposto che c’erano solo cinque pani d’orzo e due pesci. Con quelli Gesù diede da mangiare a tutti e ne avanzò.
  L’insegnamento è: non dobbiamo far conto sulle nostre forze. Noi soli soccombiamo. E’ Dio che ci rende capaci di compiere fatti straordinari. Dobbiamo quindi rivolgerci a lui.
  Lo si fa nel matrimonio religioso, nel sacerdozio. Come adempiere gli alti impegni religiosi che comportano senza l’aiuto di Dio? E’ questo affidamento a Dio che distingue il matrimonio religioso da quello solo civile.
  Ai tempi nostri certe cose che un tempo rientravano nell’ordinario della vita sembrano essere passate allo straordinario: aiutare i bisognosi, soccorrere chi affoga. E’ il momento di invocare l’aiuto di Dio.
 Anche l’Eucaristia ci mette davanti ad un fatto straordinario. La Chiesa è un evento straordinario: come avrebbe potuto, altrimenti, resistere per due millenni e di fronte a tante avversità?
 Con l’aiuto di Dio, quindi,  portiamo lo straordinario della fede alla gente intorno a noi.

Sintesi di Mario Ardigò, per come ha inteso le parole del celebrante – Azione Cattolica in San Clemente Papa – Roma, Monte Sacro Valli


Avvisi del parroco:
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Avvisi di A.C.
 Le riunioni infrasettimanali del gruppo parrocchiale di Azione Cattolica riprenderanno il primo martedì di ottobre, alle 17:30.



venerdì 27 luglio 2018

Sul "Vade retro" di Famiglia cristiana

  In questi giorni sta suscitando un certo interesse la copertina del settimanale religioso Famiglia Cristiana (in edicola ad €2,00)  nella quale si intima Vade Retro  a un ministro sul tema delle politiche di contrasto all’immigrazione irregolare. All’interno della rivista c’è la spiegazione delle ragioni di questa critica.
  Può essere utile dare qualche indicazione per intendere il senso di quel  Vade retro. Non si vuole dire, naturalmente, che quel ministro è  Satana, il demonio. Ma che, sulla specifica questione degli immigrati, ci sta proponendo come ragionevole una politica che presenta problemi etici dal punto di vista della nostra fede. In particolare, giustificando una riduzione dell’impegno di soccorso in mare con il fatto che l’Italia non ce la fa più, che è stata lasciata sola di fronte al problema epocale delle migrazioni, in particolare dalle vicine coste africane.
   Il problema è questo: è eticamente corretto, dal punto di vista religioso,  ridurre o addirittura contrastare attività di soccorso  in mare al largo delle nostre coste svolte per salvare migranti che cercano di arrivare irregolarmente da noi, vale a dire senza osservare le ordinarie formalità amministrative (passaporto, visto, autorizzazione al lavoro)? Se uno ordina, esegue o approva quelle politiche ed esibisce pubblicamente  simboli religiosi, come il Vangelo e il Rosario, per manifestare adesione all’etica religiosa,  si può fare affidamento che stia veramente seguendo, su quel problema,  i valori religiosi?
  Il ministro in questione si è dichiarato pubblicamente  stupito della critica e ha detto di non ritenere di aver meritato quel Vade retro, anche se egli fosse l’ultimo dei buoni cristiani. Ha aggiunto che nel catechismo cattolico c’è scritto che si deve accogliere solo quelli che si ritiene di poter riuscire ad integrare.
    "Vade retro". E' la traduzione latina di una parte di un   detto del Fondatore riportato nel Vangelo secondo Marco (8,33), che, completo, suona “Vade retro me Satana!”.  E’ una traduzione dal testo greco, quello in cui fu originariamente scritto quel Vangelo. Per secoli è stato inteso come un respingere e tradotto con il senso di "Vattene indietro da me, Satana" o "Vattene lontano da me, Satana". Il Maestro reagiva a rimproveri dell’apostolo Pietro che non accettava che egli dovesse morire per salvare l’umanità, dando la propria vita per la salvezza universale. Tutto sommato, una posizione ragionevole quella di Pietro, anche se superficiale: ce lo ricordano sempre i sacerdoti quando ci spiegano quel brano evangelico. Ora  i biblisti  traducono dal greco anche con "Va' dietro a me, Satana": un invito a seguire l'insegnamento del Fondatore. Questo è il testo italiano che è attualmente utilizzato nella liturgia cattolica da noi.
 Satana: significa l'accusatore, ma anche l'oppositore, il tentatore: viene dall'ebraico antico. In greco si traduce con la parola che in italiano suona "diavolo": che significa colui che fa cadere e, per estensione, colui che calunnia.
  Il rimprovero evangelico fu rivolto ad un apostolo, il più importante anzi!, che non aveva capito bene certe cose della missione e dell’insegnamento del Maestro, pur essendo sinceramente e volenterosamente un suo seguace. Lo si invitava a non cercare di distogliere il Maestro dalla sua missione, tentandolo  a fare diversamente salvandosi la vita.
  Nella copertina di Famiglia Cristiana dopo il Vade retro  c’è il nome del ministro. Il senso è chiaro: lo si critica di non aver compreso l’etica della fede, sul punto specifico delle politiche sull’immigrazione irregolare,  pur definendosi religioso, secondo le sue parole “l’ultimo dei buoni cristiani”. Secondo i giornalisti della rivista (ma sulla base di insegnamenti del Papa e dei vescovi), l’etica religiosa impone di non limitare i soccorsi in mare.
   Va osservato che, in religione,  non  usa definirsi, da sé, "buon cristiano". Piuttosto si arriva a definirsi "povero cristiano" (Ignazio Silone). Martin Lutero: "Siamo tutti mendicanti". Di che? Di amore, di verità, di vita,  in un mondo difficile, disumano  perché violento e crudele, che sembra correre verso la morte, illuminato però da gesti controcorrente, quelli a cui ci riferiamo quando, di fronte a certi spietati, aneliamo a che ci sia “più umanità”. Ci si ribella alla legge della giungla: morte tua, vita mia; pesce grosso mangia pesce piccolo. Se ci si assoggetta a quella legge si ridiventa le bestie dalle quali biologicamente discendiamo. 
  Ma quanti dovremmo accogliere? Qui il problema è però un altro. Quanti dovremmo soccorrere in mare? Nel catechismo cattolico non c'è scritto che bisogna soccorrere solo chi si può ragionevolmente accogliere, e, in particolare, che si deve soccorrere senza rischiare, non dico la vita, ma un certo tenore di vita. E' appunto questo, più o meno,  l'orientamento che generò il "Vade retro" evangelico.  Bisogna soccorrere e basta. Salvare tutti quelli che sono in pericolo.  E accogliere coloro che sono stati soccorsi, come quando si incontra per strada una persona ferita dai banditi, e anche se non è dei nostri. Lo si porta subito alla locanda e si paga l'oste perché gli dia da mangiare e da dormire (la condotta virtuosa descritta, come esempio da prendere a riferimento, in una parabola molto nota, quella detta del buon Samaritano). Lo si ritiene un comando del Fondatore.  Chi sono poi, nella metafora, i banditi, parlando di migrazioni? L'ha detto domenica 15 luglio scorso l'arcivescovo di Palermo: siamo noi Europei:
«Care Amiche, Cari Amici, siamo noi i predoni dell’Africa! Siamo noi i ladri che, affamando e distruggendo la vita di milioni di poveri, li costringiamo a partire per non morire: bambini senza genitori, padri e madri senza figli. Un esodo epocale si abbatte sull’Europa, che ha deciso di non rilasciare più permessi per entrare regolarmente nel nostro continente. E allora questo esercito di poveri, che non può arrivare da noi in aereo, in nave, in treno, prova ad arrivarci sui barconi dei trafficanti di uomini, dopo due anni di viaggio allucinante nel deserto e di detenzione in Libia.»
 Famiglia Cristiana,  negli articoli all’interno sul tema del Vade retro al ministro,  ricorda anche che questo del dovere del soccorrere, sempre, tutti, perché nessuno muoia se è possibile salvarlo, e nei primi sette mesi dell’anno sono morti in circa 1.500 al largo delle nostre coste nel tentativo di raggiungerle per mare,  è un monito che ci è venuto in modo pressante di questi tempi dal Magistero.
 1.500 morti affogati! Un numero di vittime superiore a quelle del tremendo terremoto del Friuli del ’76. All’epoca però si andò in soccorso nei nostri connazionali e la ricostruzione riuscì molto bene, anche se fu molto costosa. Forse i 1.500 di questi mesi ci fanno meno impressione perché stentiamo a ritenerli fratelli  come ci impone la nostra fede e a farci loro prossimi, al modo del buon Samaritano. Questo è il problema religioso. Che ha anche risvolti politici. E in democrazia si è tutti responsabili della politica nazionale. Dunque, capiamolo bene, il Vade retro  di Famiglia cristiana non è rivolto solo a quel  ministro, ma  anche a ciascuno di noi che ancora ci professiamo religiosi. Dobbiamo aggiungere a quel Vade retro  il nostro  nome.
Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli.


domenica 22 luglio 2018

Papa Francesco - discorso all'Angelus

dal WEB:
 http://w2.vatican.va/content/francesco/it/angelus/2018/documents/papa-francesco_angelus_20180722.html

Papa Francesco
ANGELUS
Piazza San Pietro
Domenica, 22 luglio 2018

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
  Il Vangelo di oggi (cfr Mc 6,30-34) ci racconta che gli apostoli, dopo la loro prima missione, ritornano da Gesù e gli riferiscono «tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato» (v.30). Dopo l’esperienza della missione, certamente entusiasmante ma anche faticosa, essi hanno un’esigenza di riposo. E Gesù, pieno di comprensione, si preoccupa di assicurare loro un po’ di sollievo e dice: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’» (v.31). Ma questa volta l’intenzione di Gesù non si può realizzare, perché la folla, intuendo il luogo solitario dove si sarebbe diretto con la barca insieme ai suoi discepoli, accorse là prima del loro arrivo.
  Lo stesso può accadere anche oggi. A volte non riusciamo a realizzare i nostri progetti, perché sopraggiunge un imprevisto urgente che scombina i nostri programmi e richiede flessibilità e disponibilità alle necessità degli altri.
In queste circostanze, siamo chiamati ad imitare quanto ha fatto Gesù: «Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose» (v.34). In questa breve frase, l’evangelista ci offre un flash di singolare intensità, fotografando gli occhi del divino Maestro e il suo insegnamento. Osserviamo i tre verbi di questo fotogramma: vedereavere compassioneinsegnare. Li possiamo chiamare i verbi del Pastore. Lo sguardo di Gesù non è uno sguardo neutro o, peggio, freddo e distaccato, perché Gesù guarda sempre con gli occhi del cuore. E il suo cuore è così tenero e pieno di compassione, che sa cogliere i bisogni anche più nascosti delle persone. Inoltre, la sua compassione non indica semplicemente una reazione emotiva di fronte ad una situazione di disagio della gente, ma è molto di più: è l’attitudine e la predisposizione di Dio verso l’uomo e la sua storia. Gesù appare come la realizzazione della sollecitudine e della premura di Dio per il suo popolo.
  Dato che Gesù si è commosso nel vedere tutta quella gente bisognosa di guida e di aiuto, ci aspetteremmo che Egli si mettesse ora ad operare qualche miracolo. Invece, si mise a insegnare loro molte cose. Ecco il primo pane che il Messia offre alla folla affamata e smarrita: il pane della Parola. Tutti noi abbiamo bisogno della parola di verità, che ci guidi e illumini il cammino. Senza la verità, che è Cristo stesso, non è possibile trovare il giusto orientamento della vita. Quando ci si allontana da Gesù e dal suo amore, ci si perde e l’esistenza si trasforma in delusione e insoddisfazione. Con Gesù al fianco si può procedere con sicurezza, si possono superare le prove, si progredisce nell’amore verso Dio e verso il prossimo. Gesù si è fatto dono per gli altri, divenendo così modello di amore e di servizio per ciascuno di noi.
  Maria Santissima ci aiuti a farci carico dei problemi, delle sofferenze e delle difficoltà del nostro prossimo, mediante un atteggiamento di condivisione e di servizio.

Dopo l'Angelus
Cari fratelli e sorelle,
  sono giunte in queste ultime settimane drammatiche notizie di naufragi di barconi carichi di migranti nelle acque del Mediterraneo. Esprimo il mio dolore di fronte a tali tragedie ed assicuro per gli scomparsi e le loro famiglie il mio ricordo e la mia preghiera. Rivolgo un accorato appello affinché la comunità internazionale agisca con decisione e prontezza, onde evitare che simili tragedie abbiano a ripetersi, e per garantire la sicurezza, il rispetto dei diritti e della dignità di tutti.
  Rivolgo il mio saluto a tutti voi, romani e pellegrini. Saluto in particolare i fedeli della diocesi di Rio do Sul (Brasile), i giovani della diocesi di Sevilla (Spagna) e i giovani della diocesi di Pelplin (Polonia), venuti da Assisi in una staffetta di preghiera per il prossimo Sinodo dei Vescovi.
Saluto i gruppi parrocchiali e le associazioni; il gruppo dei giovanissimi di Piazzola sul Brenta, diocesi di Vicenza.
  A tutti auguro una buona domenica e, per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci!



sabato 21 luglio 2018

Domenica 22-7-18 – 16° Domenica del Tempo ordinario -Letture e sintesi dell’omelia delle Messa vespertina prefestiva del sabato - avvisi del parroco e di A.C.

Domenica 22-7-18 – 16° Domenica del Tempo ordinario -   Lezionario dell’anno B per le domeniche e le solennità –  colore liturgico: verde – salterio: 4° settimana -   Letture e sintesi dell’omelia delle  Messa vespertina prefestiva del sabato - avvisi  del parroco e di   A.C.

Osservazioni ambientali: cielo poco nuvoloso, temperatura ambientale  30° C.


Alla Messa delle nove il gruppo di A.C. si siede nei banchi di sinistra, a fianco dell’altare, guardando l’abside.


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Pillola di Concilio
Dalla Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo  Lumen Gentium - Luce per le genti,  del Concilio Vaticano 2° (1962-1965)

L'unico popolo di Dio è universale

13. Tutti gli uomini sono chiamati a formare il popolo di Dio. Perciò questo popolo, pur restando uno e unico, si deve estendere a tutto il mondo e a tutti i secoli, affinché si adempia l'intenzione della volontà di Dio, il quale in principio creò la natura umana una e volle infine radunare insieme i suoi figli dispersi (cfr. Gv 11,52). A questo scopo Dio mandò il Figlio suo, al quale conferì il dominio di tutte le cose (cfr. Eb 1,2), perché fosse maestro, re e sacerdote di tutti, capo del nuovo e universale popolo dei figli di Dio. Per questo infine Dio mandò lo Spirito del Figlio suo, Signore e vivificatore, il quale per tutta la Chiesa e per tutti e singoli i credenti è principio di associazione e di unità, nell'insegnamento degli apostoli e nella comunione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere (cfr. At 2,42).
   In tutte quindi le nazioni della terra è radicato un solo popolo di Dio, poiché di mezzo a tutte le stirpi egli prende i cittadini del suo regno non terreno ma celeste. E infatti tutti i fedeli sparsi per il mondo sono in comunione con gli altri nello Spirito Santo, e così « chi sta in Roma sa che gli Indi sono sue membra » . Siccome dunque il regno di Cristo non è di questo mondo (cfr. Gv 18,36), la Chiesa, cioè il popolo di Dio, introducendo questo regno nulla sottrae al bene temporale di qualsiasi popolo, ma al contrario favorisce e accoglie tutte le ricchezze, le risorse e le forme di vita dei popoli in ciò che esse hanno di buono e accogliendole le purifica, le consolida ed eleva. Essa si ricorda infatti di dover far opera di raccolta con quel Re, al quale sono state date in eredità le genti (cfr. Sal 2,8), e nella cui città queste portano i loro doni e offerte (cfr. Sal 71 (72),10; Is 60,4-7). Questo carattere di universalità, che adorna e distingue il popolo di Dio è dono dello stesso Signore, e con esso la Chiesa cattolica efficacemente e senza soste tende a ricapitolare tutta l'umanità, con tutti i suoi beni, in Cristo capo, nell'unità dello Spirito di lui.
  In virtù di questa cattolicità, le singole parti portano i propri doni alle altre parti e a tutta la Chiesa, in modo che il tutto e le singole parti si accrescono per uno scambio mutuo universale e per uno sforzo comune verso la pienezza nell'unità. Ne consegue che il popolo di Dio non solo si raccoglie da diversi popoli, ma nel suo stesso interno si compone di funzioni diverse. Poiché fra i suoi membri c'è diversità sia per ufficio, essendo alcuni impegnati nel sacro ministero per il bene dei loro fratelli, sia per la condizione e modo di vita, dato che molti nello stato religioso, tendendo alla santità per una via più stretta, sono un esempio stimolante per i loro fratelli. Così pure esistono legittimamente in seno alla comunione della Chiesa, le Chiese particolari, con proprie tradizioni, rimanendo però integro il primato della cattedra di Pietro, la quale presiede alla comunione universale di carità, tutela le varietà legittime e insieme veglia affinché ciò che è particolare, non solo non pregiudichi l'unità, ma piuttosto la serva. E infine ne derivano, tra le diverse parti della Chiesa, vincoli di intima comunione circa i tesori spirituali, gli operai apostolici e le risorse materiali. I membri del popolo di Dio sono chiamati infatti a condividere i beni e anche alle singole Chiese si applicano le parole dell'Apostolo: « Da bravi amministratori della multiforme grazia di Dio, ognuno di voi metta a servizio degli altri il dono che ha ricevuto» (1 Pt 4,10).
  Tutti gli uomini sono quindi chiamati a questa cattolica unità del popolo di Dio, che prefigura e promuove la pace universale; a questa unità in vario modo appartengono o sono ordinati sia i fedeli cattolici, sia gli altri credenti in Cristo, sia infine tutti gli uomini senza eccezione, che la grazia di Dio chiama alla salvezza.


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Prima lettura
Dal libro del profeta  Geremia (Ger 23, 1-6)

Dice il Signore:

  «Guai ai pastori che fanno perire e disperdono il gregge del mio pascolo. Oracolo del Signore.
Perciò dice il Signore, Dio d'Israele, contro i pastori che devono pascere il mio popolo: Voi avete disperso le mie pecore, le avete scacciate e non ve ne siete preoccupati; ecco io vi punirò per la malvagità delle vostre opere. Oracolo del Signore.
  Radunerò io stesso il resto delle mie pecore da tutte le regioni dove le ho scacciate e le farò tornare ai loro pascoli; saranno feconde e si moltiplicheranno. Costituirò sopra di esse pastori che le faranno pascolare, così che non dovranno più temere né sgomentarsi; non ne mancherà neppure una. Oracolo del Signore.
  Ecco, verranno giorni - oracolo del Signore -
nei quali susciterò a Davide un germoglio giusto,
che regnerà da vero re e sarà saggio
ed eserciterà il diritto e la giustizia sulla terra.
Nei suoi giorni Giuda sarà salvato
e Israele vivrà tranquillo,
e lo chiameranno con questo nome:
Signore-nostra-giustizia».



Salmo responsoriale
Dal salmo  22

Ritornello: Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla.

Il Signore è il mio pastore:
non manco di nulla.
Su pascoli erbosi mi fa riposare,
ad acque tranquille mi conduce.
Rinfranca l'anima mia. 
 
Mi guida per il giusto cammino
a motivo del suo nome.
Anche se vado per una valle oscura,
non temo alcun male, perché tu sei con me.
Il tuo bastone e il tuo vincastro
mi danno sicurezza. 
 
Davanti a me tu prepari una mensa
sotto gli occhi dei miei nemici.
Ungi di olio il mio capo;
il mio calice trabocca. 
 
Sì, bontà e fedeltà mi saranno compagne
tutti i giorni della mia vita,
abiterò ancora nella casa del Signore
per lunghi giorni. 

Seconda lettura
Dalla lettera di san Paolo agli Efesini (Ef 2,13-18)

  Fratelli, ora, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate lontani, siete diventati vicini, grazie al sangue di Cristo.

Egli infatti è la nostra pace,
colui che di due ha fatto una cosa sola,
abbattendo il muro di separazione che li divideva,
cioè l'inimicizia, per mezzo della sua carne.
   Così egli ha abolito la Legge, fatta di prescrizioni e di decreti,
per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo,
facendo la pace,
e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo,
per mezzo della croce,
eliminando in se stesso l'inimicizia.
   Egli è venuto ad annunciare pace a voi che eravate lontani,
e pace a coloro che erano vicini.
Per mezzo di lui infatti possiamo presentarci, gli uni e gli altri,
al Padre in un solo Spirito.


Acclamazione al Vangelo

Alleluia, alleluia.

Le mie pecore ascoltano la mia voce,
dice il Signore, e io le conosco ed esse mi seguono. (Gv 10,27)

Alleluia.


Vangelo
Dal Vangelo secondo Marco (Mc 6,30-34)

  In quel tempo, gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato. Ed egli disse loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po'». Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare.

   Allora andarono con la barca verso un luogo deserto, in disparte. Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero.
   Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.



Sintesi dell’omelia della Messa vespertina prefestiva del sabato

  Il brano evangelico ci presenta gli apostoli di ritorno dalla missione fra la gente alla quale erano stati inviati da Gesù. La parola “apostolo” deriva da un termine del greco antico che significa appunto “inviato”.
  Si era trattato di un lavoro faticoso. Gesù quindi invita gli apostoli a riposare con lui in un luogo appartato. Ma, lì giunti, trovano una folla ad attendere Gesù.
  Il celebrante ha richiamato la nostra attenzione su tre verbi del brano evangelico: “vide”, “ebbe compassione”, “insegnò”.
  Gesù notò  la folla: essa non le rimase estranea. Ne ebbe infatti compassione. Si immedesimò nella situazione di coloro che erano lì convenuti. Questi verbi possono essere riferiti alla figura del buon Pastore, quale Gesù volle essere: la guida di un gregge.
  Il verbo  insegnare  è invece riferito a Gesù come buon Maestro. Egli spiega ciò che accade e indica il giusto cammino.
  Gesù vede  ciascuno di noi, anche oggi, ognuno nella sua situazione particolare. Ha compassione di noi.
 Spesso, nelle situazioni più difficili della vita, siamo come paralizzati o addirittura ci sentiamo travolti. Rivolgiamoci quindi a Gesù, buon Maestro, per capire come uscirne. Egli ha cura di noi come il buon Pastore. Seguiamo i suoi insegnamenti.

Avvisi del parroco:
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Avvisi di A.C.
 Le riunioni infrasettimanali del gruppo parrocchiale di Azione Cattolica riprenderanno il primo martedì di ottobre, alle 17:30.



venerdì 20 luglio 2018

Il discorso dell'ammiraglio Giovanni Pettorino, comandante della Guardia Costiera, alla celebrazione dell'anniversario dei 153 anni dalla fondazione del Corpo.

 Su Avvenire.it «https://www.avvenire.it/attualita/pagine/pettorino-prestare-aiuto-a-chiunque-rischi-di-perdere-la-vita-in-mare» è stato pubblicato un articolo di Nello Scavo dal titolo “L'ammiraglio. Pettorino: prestare aiuto a chiunque rischi di perdere la vita in mare”.

  Riferisce del discorso tenuto il 18 luglio scorso dall’ammiraglio  Giovanni Pettorino, comandante della Corpo delle Capitanerie di Porto – Guardia Costiera,  davanti a diverse autorità, in occasione dell’anniversario dei 153 dalla fondazione del Corpo.

 Pettorino ha detto che c’è un «principio non scritto che risiede nell’animo di ogni marinaio: quello di prestare aiuto a chiunque rischi di perdere la propria vita in mare». L’affermazione, si riferisce nell’articolo, è stata seguita dagli applausi prolungati delle centinaia di militari della Guardia costiera convenuti per l’evento.

  Poi Pettorino, parlando a braccio, ha ricordato un episodio lontano  che vide protagonista il leggendario comandante siciliano Salvatore Todaro. Durante la Seconda guerra mondiale affondò una nave militare belga, poi però ordinò che ne fossero salvati i superstiti. Todaro all’epoca venne violentemente apostrofato dall'ammiraglio alleato tedesco Karl Donitz, il quale lo definì “don Chisciotte del mare”, minacciandogli  gravi conseguenze per avere tratto in salvo i nemici, mettendo a rischio il suo stesso equipaggio. Pettorino, scrive l’autore dell’articolo, ha  poi riferito, guardando negli occhi gli esponenti politici sulla tribuna e facendo propria la risposta di Todaro, la replica del comandante italiano: «Noi siamo marinai, marinai italiani, abbiamo duemila anni di civiltà, e noi queste cose le facciamo».

   Poco prima, si riferisce nell’articolo,  Pettorino aveva osservato: «In questi ultimi anni, ad invarianza di risorse umane disponibili, il Corpo delle capitanerie di porto è stato chiamato a far fronte ad uno sforzo inedito, quello del soccorso prestato, in mare, a migliaia di persone in pericolo di perdersi, operando su un’area ampia oltre la metà della superficie del mar Mediterraneo. Un impegno gravoso che abbiamo assolto nella piena consapevolezza di ben onorare il giuramento prestato, da ciascuno di noi, di osservare la Costituzione e le leggi, per essere uomini e donne che ogni giorno si impegnano per far sì che altri possano continuare a vivere».
  Mario Ardigò –  Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli 

giovedì 19 luglio 2018

Nota della Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana del 19-7-18 - Migranti, dalla paura all’accoglienza


dal WEB:
https://www.chiesacattolica.it/migranti-dalla-paura-allaccoglienza/


Nota della Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana del 19-7-18

Migranti, dalla paura all'accoglienza


  Gli occhi sbarrati e lo sguardo vitreo di chi si vede sottratto in extremis all’abisso che ha inghiottito altre vite umane sono solo l’ultima immagine di una tragedia alla quale non ci è dato di assuefarci.
  Ci sentiamo responsabili di questo esercito di poveri, vittime di guerre e fame, di deserti e torture. È la storia sofferta di uomini e donne e bambini che – mentre impedisce di chiudere frontiere e alzare barriere – ci chiede di osare la solidarietà, la giustizia e la pace.
  Come Pastori della Chiesa non pretendiamo di offrire soluzioni a buon mercato. Rispetto a quanto accade non intendiamo, però, né volgere lo sguardo altrove, né far nostre parole sprezzanti e atteggiamenti aggressivi.   
  Non possiamo lasciare che inquietudini e paure condizionino le nostre scelte, determinino le nostre risposte, alimentino un clima di diffidenza e disprezzo, di rabbia e rifiuto.
  Animati dal Vangelo di Gesù Cristo continuiamo a prestare la nostra voce a chi ne è privo. Camminiamo con le nostre comunità cristiane, coinvolgendoci in un’accoglienza diffusa e capace di autentica fraternità. Guardiamo con gratitudine a quanti – accanto e insieme a noi – con la loro disponibilità sono segno di compassione, lungimiranza e coraggio, costruttori di una cultura inclusiva, capace di proteggere, promuovere e integrare.
  Avvertiamo in maniera inequivocabile che la via per salvare la nostra stessa umanità dalla volgarità e dall’imbarbarimento passa dall’impegno a custodire la vita. Ogni vita. A partire da quella più esposta, umiliata e calpestata.

La Presidenza
della Conferenza Episcopale Italiana

Roma, 19 luglio 2018


martedì 17 luglio 2018

Testo del discorso alla città pronunciato domenica sera 15-7-18 dall'arcivescovo di Palermo Corrado Lorefice in occasione del Festino di Santa Rosalia.


dal WEB
https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/monsignor-lorecife-omelia-di-santa-rosalia-noi-i-predoni-dell-africa

Vangelo e resistenza

Avvenire.it ha pubblicato il testo del discorso alla città pronunciato domenica sera  15-7-18 dall'arcivescovo di Palermo Corrado Lorefice in occasione del Festino di Santa Rosalia.

Care Palermitane, Cari Palermitani,
  è la sera della nostra festa, della festa di Palermo – la nostra Palermo – e il mio primo pensiero è quello di salutarvi con affetto: da padre, da fratello, da cittadino di questa Città, con voi e come voi. Benvenuti in questa piazza!
  Vengo qui a parlarvi da padre e da pastore, ma sento profondamente di essere sulla vostra stessa barca, toccato dai tanti dolori della nostra terra, in cerca come voi di speranza e di verità. Da questo punto di vista, il Festino deve rappresentare per noi un momento di gioia, di condivisione, ma non di evasione e di estraneazione dalla realtà. Non è tempo di dormire, ma di stare svegli! È tempo di guardare con gli occhi ben aperti a quelli che Papa Giovanni XXIII chiamava “i segni dei tempi”. Che cosa sono i segni dei tempi? Sono gli eventi della storia concreta delle donne e degli uomini d’oggi che ci parlano, ci chiamano ad un cambiamento, interpellano la Parola di Dio che delle nostre esistenze custodisce il senso e la speranza. Vorrei stasera comunicare a tutti voi l’appello che riguarda noi, credenti della Chiesa di Palermo, e – perché no? – tutti voi, convenuti qui, donne e uomini di buona volontà uniti in una ideale assemblea della nostra Città, nell’affetto antico e sempre nuovo per Rosalia.
  Ecco, c’è un’immagine tipica della festa della nostra Santa che stasera mi pare illuminante. È l’immagine della nave, del vascello che portiamo per le strade di Palermo e che ci ricorda la salvezza dal flagello della peste grazie ad un volto, apparso ad una donna semplice, in un momento terribile della vita della nostra Città. Sentiamoci stasera tutti ‘imbarcati’ su questa nave di Rosalia e alziamo lo sguardo verso coloro che possono rappresentare un punto di riferimento, offrirci una guida nella tempesta epocale del nostro tempo. Sono testimoni del passato che hanno ancora parole buone per il presente. Il vascello è uno solo, ma ha tre forme che vorrei mettere in luce separatamente, con voi, stasera.

1. La prima nave a cui penso, la prima forma del vascello è quella della nostra Città: è la nave di Palermo. Care Amiche, Cari Amici: quanto si avverte la fatica della navigazione su questo nostro veliero! Il mare è perennemente agitato, e ci sentiamo come i discepoli sulla barca sorpresa dal turbine durante la traversata verso l’altra riva, mentre Gesù se ne sta tranquillamente in un cantuccio, a dormire (cfr. Mc 4, 35-41). È proprio così. Abbiamo paura. Siamo angosciati. E Dio dorme, Dio sembra assente, lontano. E anche se lo sfidiamo, come fece Pietro sulla barca agitata dalle onde, vedendo Gesù camminare sull’acqua (“Signore, se sei tu, comanda che io venga da te sulle acque”, Mt 14, 27), poi ci sentiamo affondare in mezzo ai marosi, e la paura prevale (“ma per la violenza del vento si impaurì e, cominciando ad affondare, gridò”, Mt 14, 30). Vedete: il Vangelo non nega la paura. Non è un libro per superuomini. È bellissimo come i racconti che riguardano Gesù di Nazareth tengano sempre conto della nostra fragilità. In un biglietto, l’altra sera in cattedrale durante la veglia dei giovani, sulle orme della giovane Santa Palermitana, – celebrata con gioiosa determinazione, nonostante l’irruzione di ‘iene’ arroganti e mistificanti – uno di loro ha scritto: “Ho paura della paura”. Non è della paura che dobbiamo avere paura.
  Non sono la paura e l’angoscia che dobbiamo negare, facendo finta che non ci siano. È vero, siamo impauriti qui, in questa nostra patria meravigliosa, perché il lavoro manca, drammaticamente e, a volte, tragicamente; perché i nostri giovani perdono la speranza e si sentono costretti a partire, privandoci della loro presenza, della loro giovinezza forte e creativa; perché nelle nostre periferie cresce il disagio, aumentano i poveri. Ma è così difficile dare voce alle periferie… Il giogo della mafia e di tutte le mafie – penso alla malavita, alla mentalità mafiosa – stringe il nostro territorio, penetra nelle nostre case, inquina la vita sociale, si incunea nella politica, persino in alcuni ambienti ecclesiali, con una tracotanza che ci lascia attoniti. È vero, abbiamo paura, ma dobbiamo dircelo insieme, perché le paure non vissute assieme provocano frammentazione e aggressività.
  Cari Cittadini, Care sorelle, Cari fratelli di Palermo, guardiamo in faccia la paura, poiché il vero grande pericolo non è la paura, ma è la rabbia, è la rassegnazione, è l’evasione. Se infatti assumiamo da adulti le nostre paure, potremo assieme costruire qualcosa, anzitutto riconoscendo chi punta a cavalcarla questa paura, ad approfittarne per il suo misero successo personale. E sono tanti! Pronti a fare dei reali bisogni della nostra terra un uso interessato, ideologico, al fine di creare il nemico da combattere, al fine di condurre battaglie inesistenti per ergersi a capi e a paladini. Cari Amici, non lasciamo in mano a nessuno il nostro destino, non lasciamoci manipolare, prendiamo in mano la nostra vita, la vita e il futuro della nostra Città! Chiunque ha a cuore tutto questo non cerchi risposte semplici, salvatori di comodo, cesari di passaggio. Da questo vascello guardiamo ai nostri testimoni, ai nostri martiri, che possono davvero indicarci le strade per soluzioni creative e partecipate.
  Lo sappiamo tutti: è il 25esimo anniversario della morte di don Pino Puglisi. Il suo messaggio deve risuonare a Palermo. Don Pino diceva che “è tempo di rimboccarsi le maniche”, di passare “dalle parole ai fatti”, di fare una proposta diversa rispetto alla “cultura dell’illegalità” promossa dai mafiosi, di adottare un nuovo “stile di vita”. E Libero Grassi, morto come lui per mano della mafia, da testimone umile e forte della verità, ricordava che non è la quantità del consenso elettorale che fa la democrazia: non si è uomini della polis, uomini ‘politici’ forti solo se si prendono tanti voti alle elezioni. Ciò che conta – diceva Grassi – è la qualità del consenso: ovvero la sua libertà, la sua convinzione, il suo essere frutto di una scelta e di un pensiero. Per questo sono morti i martiri palermitani della mafia, per questo è morto Piersanti Mattarella, che stasera vorrei ricordare con affetto e gratitudine.
  Mi rivolgo anzitutto alle giovani e ai giovani di questa piazza: ad aiutarvi nella verità non è il politico che vi promette favori, il prete che vi raccomanda, il potente che vi chiede in contraccambio il sacrificio della vostra libertà, non è chi vi dice che risolverà in modo semplicistico e sommario i vostri problemi! Ad aiutarvi è chiunque vi ricordi la bellezza di essere giovani, chiunque abbia rispetto e fiducia in voi, chiunque sia disposto a fare un passo indietro per cedervi strada, chiunque rinnovi in voi la forza dello stare assieme, la speranza di trovare vie nuove, la gioia di vivere passioni non tristi ma vibranti perché fatte di partecipazione e di dono. A darvi una mano sono coloro che vi dicono che un mondo diverso è possibile e che la forbice tra chi ha e chi non ha può essere annullata da un pensiero di autentica condivisione.
  Care Palermitane, Cari Palermitani, alziamoci in piedi! Non restiamo curvi, perché la nostra terra avrà un futuro se avremo la pazienza, il coraggio, la forza di costruirlo assieme. Questo deve significare ‘Palermo capitale della cultura’. Dobbiamo essere il baluardo della cultura, della nostra grande tradizione, contro l’anti-cultura della mafia che scommette sul fatto che la Sicilia, come temeva e gridava Leonardo Sciascia, sia “irredimibile”. Ma guardando il volto di don Pino (e dei tanti suoi fratelli ideali) facendoci carico della paura e del bisogno, mettendoci assieme, creando nuovi spazi di cura della polis, oltrepassando le secche dell’individualismo e della sfiducia, possiamo arrivare in porto. Coraggio!

2. La seconda nave. Sì, assieme, in porto. È una parola questa che vale anche per il vascello della nostra Italia. Come Palermo, pure l’Italia soffre. Lo dicevamo. La paura e la povertà, se non ascoltate, se non interpretate e raccolte, creano diffidenza, isolamento, disillusione, frattura. Questo dovrebbe essere il compito della politica, della scuola, delle nostre parrocchie: rompere l’isolamento, ascoltare il grido, raccontare il dolore, la fatica di vivere, e darle senso. Oggi a questo compito spesso veniamo meno: viene meno la politica, che usa il disagio e non se ne fa carico; viene meno la Chiesa, quando riduce la fede ad una devozione individuale, che non investe tutta la vita e non si fa fonte di autentica comunità. Un’illusione pericolosa si sta diffondendo: che la chiusura, lo stare serrati, la contrapposizione all’altro siano una soluzione, siano la soluzione. Ma una civiltà che si fondi sul “mors tua, vita mea”, una civiltà in cui sia normale che qualcuno viva perché un altro muore, è una civiltà che si avvia alla fine. È questo che vogliamo? In verità, la fortissima globalizzazione, contro le sue stesse intenzioni, ha reso l’umanità una totalità in cui il destino di uno, di un gruppo, di un popolo, condiziona la vita e il destino di tutti. Come in una famiglia. E chi di noi, chi di voi vorrebbe star bene dentro la sua famiglia al prezzo del disagio degli altri suoi familiari? Quale madre, quale padre potrebbe sentirsi felice, sereno, se gli altri membri della famiglia soffrono e vivono nell’indigenza! La felicità costruita e mantenuta sull’infelicità degli altri è perversa e menzognera, pronta in breve a rivelarsi tale. Lo sappiamo bene, per esperienza. Emmanuel Levinas in una intervista dichiarava: «L’altro uomo, che innanzitutto, fa parte di un insieme, che sostanzialmente mi è dato come gli altri oggetti, come l’insieme del mondo, come lo spettacolo del mondo, l’altro uomo emerge in qualche modo da tale insieme precisamente con la sua comparsa come volto, che non è semplicemente una forma plastica, ma è immediatamente un impegno per me, un appello a me, un ordine per me di trovarmi al servizio di questo volto, non solamente questo volto, servire l’altra persona che in questo volto mi appare contemporaneamente nella sua nudità, senza mezzi, senza protezioni, nella sua semplicità, e al tempo stesso come il luogo dove mi si comanda. Questa maniera di comandare, è ciò che chiamo la parola di Dio nel volto».
  Il patrono della nostra Italia, Francesco d’Assisi, a cui vogliamo guardare stasera dal nostro vascello, propugnava e difendeva la fraternitas. Per Francesco, nel Cristo fratello, diventano fratelli sia il lebbroso esiliato fuori dalla città, sia il vicino di casa, il prossimo più prossimo. Per Francesco, cioè, la fraternità significa che siamo tutti figli, tutti sullo stesso piano, responsabili gli uni degli altri, legati reciprocamente con un vincolo inscindibile. Quello che ci raduna in nome di un Padre e ci raccoglie alla fine tra le braccia di una terra madre. La paternità di Dio per Francesco infatti era il principio di una nuova nascita: non la nascita di un popolo di figli omologati, ma di un popolo di diversi, di donne e di uomini che si riconoscono diversi e per questo si rispettano, per questo si accolgono, per questo imparano anche a dissentire, a discutere, sapendo che la relazione è l’unica strada. Fratelli diversi, ma fratelli. E quanto questa parola bellissima – fratello! – appare settaria se non indica una apertura totale a tutti, al più vicino e al più lontano! Ripartiamo da qui, dalla parola e dall’esempio del Patrono d'Italia Francesco d’Assisi. Non per nulla l’attuale vescovo di Roma, il Santo Padre Francesco, ha scelto questo nome come programma del suo pontificato. E a lui stasera va il nostro pensiero grato e affettuoso per la visita a cui vogliamo prepararci con un ‘salto’ di fraternità e di attenzione ai poveri, ai fratelli ‘minori’, a tutti i bambini di Palermo. Sono convinto, d’altronde, che non c’è facinoroso, non c’è politico, non c’è uomo pubblico catturato da slogan e da semplificazioni, che non porti dentro di sé quel tesoro di pace e di bene che Francesco augurava, quel nucleo profondo di umanità che ci rende legittimamente diversi, ma mai nemici. San Francesco – ci ricorda il Santo Padre – è stato un grande missionario di speranza”.

3. La terza nave. È il messaggio che dobbiamo portare anche sulla nave dell’Europa, la nave che tutti ci comprende in virtù di una geniale intuizione dei nostri padri. La logica del ‘prima noi’ mostra in questa Europa tutta la sua fallacia. Rischiamo fratture insanabili proprio perché ogni paese europeo comincia a ritenere che il suo benessere venga prima, senza capire che se la casa comune si distrugge tutti resteremo all’addiaccio, privi di un tetto. È la miopia dell’egoismo politico, propugnato da governanti e da politici europei che spesso si vantano – soprattutto nell’Est – di costruire regimi privi delle garanzie e fuori dai confini minimi della democrazia. Di fronte a tutto questo, care sorelle e cari fratelli, la Chiesa non può restare in silenzio, io non posso restare in silenzio. Perché la Chiesa non ha alternative. Essa è stata collocata dal suo Signore accanto ai poveri e ai derelitti della storia, e tutte le volte che è uscita – e quante volte è successo – [è uscita] da quel posto per mettersi accanto ai forti, ai ricchi, ai potenti, ha perso il senso stesso del suo essere.
  Da giovane padre costituente, uno dei sognatori dell’Europa e del mondo uniti, Giorgio La Pira, nostro conterraneo, nato a Pozzallo – a cui vi invito a guardare stasera dal vascello dell’Europa – faceva delle “attese della povera gente” il suo faro e la sua guida, contro ogni esaltazione del mercato senza regole, dell’individualismo economico. E questa convinzione, animata in lui da una fede profonda nell’Evangelo, se la portò appresso a Firenze, dove fu il sindaco dei poveri, dei disoccupati, degli ultimi. Oggi La Pira ci inviterebbe a guardare alle tante navi che dirigono la loro prua verso l’Europa come alle navi della speranza. La speranza della povera gente che cerca protezione e vita buona, ma soprattutto la nostra speranza. Perché se fermiamo le navi dei poveri, se chiudiamo i porti, siamo dei disperati. Disperiamo della nostra umanità, disperiamo della nostra voglia di vivere, del nostro desiderio di comunione. Purtroppo l’informazione che ci giunge attraverso i mass media è spesso monca e distorta. Voglio essere chiaro con voi, stasera. Tutti dobbiamo sapere che lungo i decenni e soprattutto in questi ultimi trent’anni l’Africa – che è il continente più ricco del mondo – è stata sfruttata dall’Occidente, depredata delle sue materie prime. Ce le siamo portate via, anzi le multinazionali l’hanno fatto per noi, senza pagare un soldo. E abbiamo tenuto in vita governi fantoccio, che non fossero in grado di difendere i diritti della gente. Le potenze occidentali mantengono inoltre in Africa una condizione di guerra perenne che rende più facile lo sfruttamento e consente un fiorente commercio di armi.
  Care Amiche, Cari Amici, siamo noi i predoni dell’Africa! Siamo noi i ladri che, affamando e distruggendo la vita di milioni di poveri, li costringiamo a partire per non morire: bambini senza genitori, padri e madri senza figli. Un esodo epocale si abbatte sull’Europa, che ha deciso di non rilasciare più permessi per entrare regolarmente nel nostro continente. E allora questo esercito di poveri, che non può arrivare da noi in aereo, in nave, in treno, prova ad arrivarci sui barconi dei trafficanti di uomini, dopo due anni di viaggio allucinante nel deserto e di detenzione in Libia.
  Cari Cittadini, devo gridare stasera questa verità: quelli che vengono chiamati centri di smistamento, di detenzione, quei centri che i nostri governi sollecitano e finanziano per ‘bloccare’ il flusso migratorio, spesso richiamano i campi di concentramento. E se settant’anni fa si poté invocare una mancanza di informazione, oggi no. Non lo possiamo fare, perché ci sono le prove, nella carne martoriata di questa gente, nei filmati, nei reportage di giornalisti coraggiosi (mentre giornali e telegiornali di altra fatta parlano dei migranti sulle navi come di un ‘carico’ alla maniera delle merci e delle banane!). Noi sappiamo, e siamo responsabili. E dobbiamo levarci! Giorgio La Pira era un uomo del Sud e non si scordò mai di esserlo. Noi, qui da Palermo, stasera, alziamo la nostra voce. Noi che sappiamo che cosa vuol dire essere migranti. Noi che abbiamo visto i nostri padri e i nostri nonni costretti a lasciare la loro casa, rifiutati, umiliati, buttati fuori da case e locali perché siciliani, perché italiani. Noi sappiamo e non taciamo. Cosa abbiamo fatto e cosa faremmo al posto di queste donne, di questi uomini, di questi bambini, in fuga dal nulla e dalla morte? Se fossero i nostri figli, i nostri parenti ad essere in pericolo di vita, senza cibo e assistenza, se fossero torturati e stuprati, che cosa faremmo? Una nuova epocale trasmigrazione dei popoli sta accadendo davanti ai nostri occhi, e abbiamo bisogno di chiarezza e di umiltà per capire quale società vogliamo costruire, quale risposta intendiamo dare ai segni dei tempi.
  L’Europa è la civiltà della contaminazione. Geograficamente non esiste. Il Mediterraneo è la sua culla. La Pira lo sapeva e a rendere il Mediterraneo un lago di pace dedicò gran parte della sua opera lucidissima e visionaria. Perché credeva che il Vangelo non è un’utopia, ma una regola, una forma di vita. Paolo VI, ormai santo, diceva che l’Eucaristia contiene la forma vitae dei popoli. La stessa cosa di cui era convinto Benedetto da Norcia, patrono d’Europa: “Benedetto da Norcia – dichiara Benedetto XVI – con la sua vita e le sue opere ha esercitato un impulso fondamentale sullo sviluppo della civiltà e della cultura europea”. Il Vangelo rivela il suo DNA se diventa forma vitae, se diventa una carta dei diritti che garantisce la difesa degli ultimi. Ed è questo messaggio che stasera vogliamo lanciare dal vascello di Palermo verso le navi d’Italia e di Europa. Non è questione di accoglienza, non si tratta di essere buoni, ma di essere giusti. Non di fare opere buone, ma di rispettare e, se necessario, ripensare il diritto dei popoli. È in nome del Vangelo che ogni uomo e ogni donna hanno diritto alla vita e alla felicità, perché “non c’è più giudeo né greco, non c’è più schiavo né libero in Cristo Gesù” (Gal 3,28), perché il nostro Signore, morendo sulla croce, ha abbattuto – dice ancora Paolo – ogni muro di separazione tra gli uomini. È questa la forma di vita in cui il Vangelo deve incarnarsi per non perdere la sua concretezza storica, quella che gli viene da Gesù di Nazareth, figlio di Maria, custodito da Giuseppe. Gesù di Nazareth nostro fratello che è venuto ad annunciarci che Dio è Padre suo e Padre nostro e che ci ha donato il Suo Spirito, il vero amore che unisce ogni diversità’. Lo Spirito, infatti, tutti unisce perché comprende ogni linguaggio.
  È questa la ‘forma’ del Vangelo che deve diventare sostanza viva, e che proprio in Italia lo è diventata, settant’anni fa, nei principi fondamentali della nostra Costituzione. Forse vi ricorderete che due anni e mezzo fa, rivolgendomi a voi per la prima volta, ritenni di dover citare il terzo articolo della nostra Costituzione: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Cari Amici, care Amiche, quel che i padri avevano intuito, oggi deve diventare il nostro manifesto, la nostra carta fondativa di cittadini e di cristiani. Giuseppe Dossetti, il 21 novembre 1946, propose all’Assemblea Costituente di scrivere così nella Costituzione della Repubblica: «La resistenza individuale e collettiva agli atti dei poteri pubblici che violino le libertà fondamentali e i diritti garantiti dalla presente Costituzione è diritto e dovere di ogni cittadino».
  Riprendendo la sua ispirazione, leviamo stasera la nostra voce perché si scriva finalmente l’articolo 3 della Costituzione Europea, l’articolo del diritto di ogni uomo ad essere uguale, ad essere membro della città degli uomini, ad essere libero di vivere e di stare nel mondo, con dignità e fierezza. Scriviamolo questo articolo noi, sin d’ora, nelle nostre vite e nei nostri atti quotidiani, e chiediamo che al posto della miopia dei piccoli diritti esclusivi, riservati a pochi, che preparano un futuro di dolore e di guerra, si scriva il grande diritto della pace e del bene per tutti, l’unico diritto che ha la forma del Vangelo.“Il tema che si è voluto dare al Festino di quest'anno ‘Palermo bambina’ ci indirizza perché possiamo guardare la città degli uomini a partire dai più piccoli, cioè dai bambini”. Ed è questa la scommessa di una nuova civiltà: una civiltà dove nessun bambino venga educato a vedere nel diverso un nemico, una civiltà dove i governanti abbiano la passione per gli ultimi e per il rispetto della vita, di ogni vita, una civiltà dove ogni uomo impari, al termine della sua giornata, della sua esistenza, ad ascoltare la voce che viene da lontano, la voce del cuore, che grida: Adam, tu, uomo, dimmi dov’è tuo fratello!
  Maria Santissima, la madre di Gesù, costretta a fuggire in Egitto a causa del despota Erode, la prima madre profuga col primo bambino profugo dell’era cristiana, con S. Rosalia ci precedano verso una ritrovata rotta di solidarietà e di pace. Viba Palermo e Santa Rosalia!
Arcivescovo metropolita di Palermo