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Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

Dall’anno associativo 2020/2021 il gruppo di AC di San Clemente Papa si riunisce abitualmente il secondo, il terzo e il quarto sabato del mese alle 17 e anima la Messa domenicale delle 9. Durante la pandemia da Covid 19 ci siamo riuniti in videoconferenza Google Meet. Anche dopo che la situazione sanitaria sarà tornata alla normalità, organizzeremo riunioni dedicate a temi specifici e aperte ai non soci con questa modalità.

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Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

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venerdì 8 giugno 2018

Per la consapevolezza storica di ciò che fu il cattolicesimo democratico


Per la consapevolezza storica di ciò che fu il cattolicesimo democratico

0. E’ possibile che chi ha meno di cinquant'anni sappia poco di ciò che fu il cattolicesimo democratico, anche se è persona di fede e partecipa al nostro associazionismo. Ma sta sbiadendo anche il ricordo di ciò che furono il socialismo e il comunismo italiani, tanto diversi da analoghe esperienze in altre nazioni, e soprattutto da quelle dell’Europa orientale.
  Sintetizzo di seguito alcuni argomenti su questo tema trattati di recente in diversi interventi.
1. La Chiesa cattolica italiana, intesa come clero, religiosi e laici, ha imparato la politica in un lungo tirocinio, che è stato coevo a quello del socialismo italiano. L'occasione storica fu data dalla soppressione del piccolo regno dei Papi nell'Italia centrale, ad opera del Regno d'Italia controllato da nazionalisti e liberali. I nazionalisti non vollero fare a meno di Roma, che pensavano fosse essenziale come fattore morale di unificazione culturale. Suscitarono una dura reazione del Papato, che pensava di avere bisogno di uno stato indipendente per il suo alto ministero.  Il Papato allora pensò di utilizzare come forza di resistenza il popolo dei fedeli, in gran parte proveniente dal mondo delle campagne in cui le consuetudini religiose erano profondamente radicate. Questo richiese di organizzare una piattaforma ideologica di lotta, che venne sostanzialmente mutuata dal socialismo. Venne formalizzata nell'enciclica "Le Novità - Rerum Novarum" del 1891, centrata sul socialismo. 
  L'iniziativa di un partito papista  fu presa dal Papato, incoraggiando minoranze di attivisti a coinvolgere le masse. Il Papato ne volle sempre mantenere saldamente il controllo. Questa politica a lungo ricadde nei rigori delle leggi antisovversione del Regno, con attivisti cattolici mandati al confino e perseguiti.  Il più fortunato agente politico fu l'Azione Cattolica, organizzata nel 1906 al modo di un partito politico, e che successivamente venne riorganizzata più volte a seconda delle esigenze del momento. Mediante l'Azione Cattolica si compì una potente e capillare politicizzazione anche delle donne cattoliche, le quali dunque erano pronte alla sfida del suffragio universale anche femminile, nel 1946 e nel 1948.
  Nel 1931 il Papato lanciò le masse cattoliche politicamente preparate nella collaborazione con le strutture sociali del neostato corporativo fascista. Contemporaneamente con Montini iniziò, negli anni '30 e a partire dai giovani universitari, l'accurata formazione professionale, morale e ideologica di una nuova classe politica, che fu protagonista del lunghissimo dominio del cattolicesimo democratico nel secondo dopoguerra. In questa nuova classe dirigente si formò una nuova ideologia democratica, compatibile con la dottrina sociale e ad essa ispirata, non  liberale al modo del passato in quanto considerava la persona nei mondi vitali in cui era inserita e che la motivavano e sorreggevano, e non socialista in quanto insofferente del totale primato della collettività sulla persona.
  Quando dal 1939 i rapporti con il fascismo mussoliniano si guastarono, questa neoideologia democratica  venne formalizzata in una serie di radiomessaggi natalizi del papa Eugenio Pacelli - Pio 12° tra il 1941 e il 1944, nei quali si riconosce la mano di Montini, all'epoca sostituto alla Segreteria di Stato vaticana. In questo modo entrò nella dottrina sociale e ancora vi rimane: sulle sue basi si progettò e costruì la nuova Repubblica democratica italiana.  Essa trovò un nuovo agente politico in un partito "cristiano", la Democrazia Cristiana, e, negli anni della Repubblica democratica, finì per inculturare anche i socialisti fondamentalisti, rivoluzionari, vale a dire i comunisti, veicolando ad essi una versione della democrazia diversa da quella liberale, piena di diritti sociali e tesa alla riforma sociale, che essi manifestarono di apprezzare. Il dialogo con i comunisti fu molto intenso e risale fondamentalmente agli anni della Resistenza. Per saperne di più si può leggere Adriano Ossicini. Non venne mai meno, fino all'ultimo, e, per la verità, ancora in parte prosegue tra gli eredi politici dei dialoganti di allora.  La nuova democrazia repubblicana deve molto ai cattolici democratici e ai comunisti, ma a cattolici democratici e comunisti in dialogo tra loro. Questo dialogo fu molto più fecondo di quanto si pensi e si riesca ad immaginare. All'inizio degli anni '80 stava per produrre un'ulteriore metamorfosi della democrazia italiana, quando tutto si bloccò. C'era stata la riforma del Concilio Vaticano 2°, con la completa e radicale rivisitazione della dottrina sociale. Ci si aspettava qualcosa di analogo in ambito comunista. Il mondo, però,  improvvisamente cambiò e non è questa la sede per azzardare ipotesi ricostruttive. Ancora mi pare che se ne discuta in ambito storico.  La riforma cattolica fu bloccata da papa Wojtyla, fortemente anticomunista e diffidente di ogni forma dialogo con il mondo comunista. La base comunista si dissolse in pochi anni e la riforma ideologica venne abbandonata proprio nella delicata fase di transizione. Prevalsero l'abbandono o modalità reazionarie, tentativi per ricostituire il passato. 
  I papi successivi al Wojtyla non erano particolarmente legati all'Italia, come lo erano stati invece quelli che avevano lanciato i cattolici in politica.  Questo poi produsse progressivamente, in mancanza dei suoi principali agenti costituivi, la crisi terminale della democrazia italiana della quale  di questi tempi stiamo vivendo l'agonia. Termina un tipo di democrazia, naturalmente, non la democrazia in sé. Quelle del marzo scorso sono state le prime elezioni dello stato unitario italiano in cui la dottrina sociale non è stata minimamente richiamata, da nessuno, e in cui il Papato non è intervenuto. Il comunismo è ancora sostenuto solo da forze extraparlamentari fortemente minoritarie: anch'esso ha perso il suo agente politico, il partito comunista di massa. 
  Ho sintetizzato una vicenda storica che in genere sfugge ai più, fondamentalmente perché hanno perso dimestichezza con la Chiesa cattolica. I riferimenti storici che si fanno sono di solito imprecisi. Per saperne di più consiglio i libri di Fulvio De Giorgi "Mons.Montini - Chiesa cattolica e scontri di civiltà nella prima metà del Novecento" e "La Repubblica grigia. Cattolici, cittadinanza educazione alla democrazia"
2. Dal 1864, quelle del marzo scorso sono le prime elezioni politiche nazionali in cui il Papato non è intervenuto. La Chiesa cattolica è comunque, attualmente, come gruppo sociale organizzato, la prima forza politica della nazione con un organizzazione capillare e centri di formazione di alto livello. Una forza ancora potente, anche  a livello mondiale. Questa organizzazione politica è stata messa in piedi in Italia nel 1906, in previsione dell'introduzione del suffragio universale maschile e di un intervento di una forza di massa papista nelle elezioni politiche, che in effetti vi fu alle elezioni del 1913. Su queste basi, dal 1939, si è costruita la lunghissima egemonia del cattolicesimo politico e la stessa democrazia repubblicana post-fascista. Però nessuna delle forze politiche che partecipano oggi allo scontro politico ha mantenuto dimestichezza con quella realtà. La dottrina sociale, che è la sua ideologia, è stata del tutto ignorata nel recente confronto politico. Inoltre, la politica oggi egemone non sente la necessità di una "conciliazione" con la Chiesa cattolica, come invece avvenne al fascismo storico, che ad essa dovette il decennio, dal 1929 al 1939, in cui, da basi pericolanti, divenne forza totalitaria e pervasiva.  Ma avverte vagamente la presenza di quel soggetto politico e lo teme. E a ragione, perché l' ideologia che ha prevalso di questi tempi  è non solo altamente laicizzata, ma contrastante con principi basilari della dottrina sociale.  Una veloce lettura della più recente enciclica sociale, la Laudato si' può bastare per convincersene. Non c'è infatti in essa una sola parola che non suoni come un rimprovero verso le opinioni prevalenti nell'Italia di oggi.
  Non conoscendo com'è la Chiesa cattolica italiana di oggi, avendone imprecise antiche reminiscenze, alcuni la pensano fatta in prevalenza da bacchettoni ossessionati dal sesso. Che naturalmente ci sono ancora, per carità. Ma sono realtà marginali, anche se piuttosto chiassose.
 Chi ha poca familiarità con la Chiesa, può pensare di tentarla contrattando qualche politica in materia ad esempio di finanziamenti pubblici, disciplina del matrimonio e delle convivenze, questioni riproduttive, fine vita. Ma in religione si cerca di combattere le tentazioni. Ti conducono sul pinnacolo del Tempio e ti dicono che tutto quello che vedi sarà tuo, promettono potenza, se si cederà, prostrandosi.  E, la potenza di questo mondo, come sempre, si ottiene a spese dei più deboli. Una potenza che in religione ci si impegna a ripudiare.
 La Chiesa cattolica è abituata a guardare lontano, per grandi scenari. Alla fine degli anni ’30 ruppe una  conciliazione  con il fascismo storico che le si presentava molto conveniente, quando ancora la disfatta italiana non si era manifestata e il regime era molto potente. Lo fece su un tema fondamentale per la cultura fascista, quello della guerra di espansione. E dopo che negli anni ’30, come ho ricordato, aveva spinto i cattolici a collaborare nelle istituzioni corporative fasciste.
3.  Sotto il profilo del governo della società, la Chiesa cattolica non è una "religione", ma una grande forza politica, incomparabilmente più influente e attrezzata di ogni altro partito oggi corrente. E' quella che prima diede un'occasione al fascismo mussoliniano, negli anni ’30 del Novecento,  e poi alla democrazia, dominandola fino al 2012. Nel settembre 2011 una prolusione del cardinale presidente della CEI contribuì di fatto a determinare la caduta di un Governo, nel corso di una grave crisi economica e sociale, e a suscitare una nuova iniziativa politica dei cattolici. In Italia la Chiesa cattolica è attualmente profondamente divisa, verticalmente, dai vertici alla base, ma condivide alcuni principi di azione sociale. In Italia è anche una forza autonoma, autoreferenziale, una variabile indipendente.  I suoi vertici non sono più espressione della marginalità italiana, si sono mondializzati, parlano tutte le lingue del mondo. Ha una raffinata diplomazia che le consente di interloquire da pari con gran parte degli stati della Terra. Da metà Ottocento in Italia si dedicò all'agitazione sociale, facendo di clero e religiosi un corpo sostanzialmente di "rivoluzionari di professione", prima che ci pensasse Lenin.  A quei tempi "clericale" equivaleva a "eversivo" e i clericali vennero colpiti dalle leggi antisovversione italiane dell'epoca, da quelle di Crispi in poi. Dal 1906 si dotò di una struttura specificamente politica, nell'Azione Cattolica. Da quest'ultima deriva in gran parte la struttura della democrazia repubblicana post-fascista. La si vide all'opera nell'agitazione delle masse in occasione delle elezioni politiche del 1948. Quel suo  agente politico è progressivamente venuto meno, non più curato come tale durante il lungo regno religioso di Karol Wojtyla, così come il partito "cristiano". Ora però sta iniziando ad essere pervasa dalla "teologia del popolo" di origine latino-americana, fortemente contrastante con molte idee della politica di oggi. 
4. La nostra nuova Europa è in gran parte strutturata secondo l'impostazione data dai cattolici democratici fin dagli inizi. Uno dei principi organizzativi fondamentali è infatti quello di sussidiarietà, formulato dal Papato nel 1931, nell'enciclica "Il Quarantennale-Quadragesimo anno", in occasione dei quarant'anni dalla prima enciclica sociale dell'era contemporanea. Significa che l'unità deve farsi a partire dalla società civile, senza che chi comanda possa sostituirsi ad essa. Si tratta di un principio politico che il Papato aveva ricavato dal suo lunghissimo conflitto medievale con l'Impero germanico e poi da quelli con gli stati nazionali. L'unità europea non si fece prendendo a modello gli Stati Uniti d'America, come auspicavano ad esempio gli autori del "Manifesto di Ventotene". Questo ci risparmiò conflitti  come quelli assai aspri che caratterizzarono il processo di unificazione federale da cui emersero gli Stati Uniti. La forza aggregativa di questi ultimi ad un certo punto si arrestò. In teoria avrebbe potuto estendersi a tutto il continente.  Al contrario, in Europa, sulla base del principio di sussidiarietà, si sta cercando di aggregare tutto il continente. In questa politica gli Stati Uniti d'America in alcune occasioni sono stati e sono  un elemento di disturbo. Durante l'era Eltsin sono stati corresponsabili del disastro sociale russo, che invece è stato evitato negli stati ex comunisti che si è riusciti ad attrarre nel processo di unificazione europea. L'Ucraina è il teatro sociale in cui le due opposte politiche, statunitense ed europea, si sono scontrate, con l'esito che sappiamo. La crisi seguita al crollo dell'impero sovietico, negli anni '90, è stata gestita fondamentalmente dal democristiano Kohl, che riuscì ad intendersi con il neocomunista Gorbaciov. Le cose potevano mettersi molto male, per la crescente ingerenza statunitense in quell'epoca. Il ruolo del papa Wojtyla andrebbe molto ridimensionato e limitato all'agitazione sociale nella sua Polonia, in cui suscitò, con il contributo statunitense, l'agente politico Solidarnosc, che svanì presto, dopo l'abbattimento del regime comunista, lasciando quello che oggi vediamo in Polonia. In realtà il progetto europeo del Wojtyla non andava molto oltre, mi parve, la trasformazione dei regimi comunisti dell'Europa orientale in democrazie sul modello statunitense. Pensava ad un'unità culturale europea su base religiosa, ma di una religione che era quella rimasta come fossilizzata all'interno dei regimi di socialismo reale dell'Europa orientale, diversa da quella che si era sviluppata nell'altra parte del continente.  Mi parve diffidasse del processo di unificazione europeo, per gli elementi socialisti che avevano preso a caratterizzarlo. Anche socialisti e comunisti erano originariamente contrari perché lo sospettavano di essere una macchinazione borghese per impedire l'evoluzione politica socialista. Successivamente vi colsero opportunità. La mediazione culturale fu in gran parte svolta dai cattolici democratici. Ora abbiamo una Carta dei diritti dell'Unione piena di diritti sociali derivati dal socialismo e una giurisdizione europea che fa il suo lavoro anche in quel campo. 
   Negli anni '70 in Italia si ebbe il momento di massimo avvicinamento tra cattolici democratici e comunisti. Entrambe le formazioni, quella dei cattolici e la comunista,  erano partite da posizioni antidemocratiche, sospettando la democrazia borghese, liberale, di essere un imbroglio per ostacolare l'elevazione sociali dei ceti deboli. Entrambe erano arrivate progressivamente all'accettazione della democrazia, in una versione piena di diritti sociali, nella lotta antifascista, nel corso degli anni Quaranta, progettando la futura organizzazione della stato. Bisogna ricordare che solo con il radiomessaggio natalizio di Pacelli - Pio XII del 1944 furono del tutto rimosse, da parte cattolica, le obiezioni culturali contro la democrazia, che avevano portato a ritenerla addirittura eretica, agli inizi del Novecento. Nel corso del 15° Congresso del Partito Comunista Italiano, nel 1979, fu accolta una delle principali istanze cattoliche, la modifica dell'art.5 dello statuto del partito che obbligava gli iscritti a seguire la dottrina marxista leninista. Esso aveva comportato l'elaborazione di una ortodossia marxista leninista che aveva ostacolato la riflessione critica e la mediazione, finendo per essere fattore di discriminazione in particolare verso le masse cattoliche, ma anche all'interno dello stesso mondo comunista. Questa riforma accadde al tempo della più marcata affermazione sociale dei comunisti italiani, sostenuta dall'apprezzamento dei cattolici democratici. Alcuni importanti esponenti di questo mondo si candidarono come indipendenti nelle liste comuniste. L'apporto maggiore dei cattolici democratici ad una "terza fase", in cui un partito cattolico democratico e un partito comunista si alternassero al potere condividendo un importante patrimonio culturale, fu il progetto di una democrazia tesa alla riforma sociale e all'affermazione di diritti sociali, diversa dalla democrazia liberale in cui contava l'eguaglianza formale tra cittadini. Agli anni di questo avvicinamento culturale e politico  risale una riforma epocale, la riforma sanitaria, attuata dal 1978. Questo primato della riforma sociale deve farsi risalire, tra i cattolici italiani, al lavoro di Giuseppe Toniolo, agli inizi del Novecento. Ma fu fondamentale l'assimilazione delle ideologie dei francesi Jacques Maritain ed Emmanuel Mounier che si fece negli anni '30 e '40 sotto l'impulso di Montini. Al centro non c'è l'individuo desiderante, ma la persona in relazione, all'interno di mondi vitali che la motivano e la sostengono, e che per questo vanno rispettati, anche dai riformatori animati dalle migliori intenzioni. 
  Negli anni '80 i comunisti italiani si convinsero che la lotta era persa e non ci fu verso di dissuaderli. La storia era finita. Punto. Non portarono a termine il lavoro di riforma ideologica.  In effetti il liberismo di scuola statunitense sembrava funzionare. Presto però emersero, soprattutto in Russia, i disastri sociali che aveva provocato, risparmiati all'Est Europeo assimilato nel processo di unificazione, per il progressivo avvicinamento delle economie e i limiti alla predazione della passata economia di stato  indotti dalle politiche di collaborazione europea. La Russia di oggi è in gran parte il risultato delle politiche di Eltsin, e queste ultime dell'influenza statunitense. Anche i comunisti russi, altamente autoreferenziali, non furono capaci di vera riforma ideologica,  in particolare sotto la presidenza Gorbaciov che pure l'aveva progettata.
  Un'era sembra finita, anche se l'Europa  è ancora egemonizzata da un governo tedesco che vede la collaborazione di democristiani e socialisti. Si può cominciare ad avere una visione prospettica di una storia. Gli stati nazionali riprendono forza e purtroppo ciò avviene nel momento in cui l'Italia è fortemente marginalizzata per tante ragioni. Non credo che sarà battendo i pugni sul tavolo che si riuscirà ad avere maggior voce in capitolo. 
5. Intendiamoci bene: fede religiosa e politica sono cose diverse, anche se a fare politica è un’organizzazione religiosa o di ispirazione religiosa. La Chiesa cattolica in Italia è ancora un’importante forza politica, ma la sua politica è un’elaborazione culturale, non discende direttamente dalla religione. Non è obbligatorio seguire quella politica per essere persone di fede e la si può condividere anche se non si è religiosi. Viverla da persone di fede è però più coinvolgente. Si tratta di una politica che ha avuto una veloce evoluzione negli ultimi sessant’anni, in particolare da quando ha contato di meno la teologia e hanno avuto più rilievo altre discipline, come la sociologia e l’economia.
 La più sorprendente metamorfosi  iniziò però da quando, dal 1939, si acquisì consapevolezza del valore, anche religioso,  della pace e ci  si è impegnati a costruirla politicamente. Quindi la pace non solo come idealità religiosa, ma come obiettivo politico, da perseguire mediante la trasformazione sociale nel senso della giustizia. Questa è stata la vera svolta.
 Originariamente, nella fase più violenta del conflitto con il Regno d’Italia, la giustizia sociale era stata più che altro la base di una critica politica a nazionalisti e liberali per mobilitare le masse contro il nuovo ordine. In questo i cattolici sociali papisti facevano lo stesso lavoro dei socialisti rivoluzionari, perché era propriamente ad una rivoluzione politica che miravano. Volevano destabilizzare  e abbattere il nuovo ordine. I ministri di polizia italiani consideravano di una stessa fatta clericali e socialisti rivoluzionari. Questo poi spiega perché il Papato non ebbe difficoltà ad intendersi con una forza rivoluzionaria come il fascismo mussoliniano, liquidando sbrigativamente le prime esperienze politiche del cattolicesimo democratico italiano. Con fascisti e socialisti condivideva l’avversione al liberalismo. Accettò il nazionalismo italiano quando le si accordò un mini-stato di quartiere a Roma, considerando chiusa vantaggiosamente (anche dal punto di vista economico e sociale) la “questione romana”, apertasi nel 1870 con la conquista italiana di Roma. La dottrina sociale del Papato si limitava, almeno fino al ’39, a questo.
  La rottura con il fascismo avvenne durante il regno di Pacelli – Pio XII e sul tema della guerra, alla quale quel Papa era molto contrario, perché intuiva i disastri sociali che avrebbe comportato, come era avvenuto nel ’14-‘18. L’altro tema di contrasto fu la politica fascista di persecuzione etnica contro gli ebrei nel presupposto di una loro inferiorità e perversione per così dire biologica, che non poteva essere accettata dal Papato perché il Fondatore e tutti i suoi primi seguaci erano stati  ebrei.
  Appena eletto regnante, il papa Pacelli, dall’agosto 1939, diede allora il  via  libera ai cattolici democratici, in particolare agli universitari formatisi nelle organizzazioni di Azione Cattolica seguite da Montini. Commissionò azione sociale e un progetto di costituzione democratica, che effettivamente fu steso a Camaldoli nel luglio 1943, nel corso di un incontro nella foresteria del monastero di Camaldoli, sull’Appennino Toscano. Tutto questo avvenne con il regime fascista ancora vivo e vitale. In questo lavoro i cattolici democratici si incontrarono clandestinamente con i comunisti, che avevano pervicacemente continuato la lotta contro il fascismo, irriducibili. L’antica consuetudine dialettica con il socialismo aiutò.
  Mio padre fu coinvolto in un’esperienza di quel tipo nel gruppo Labriola di Bologna animato dal suo amato maestro prof. Paolo Fortunati, insegnante di statistica all’università di Bologna. Era nel comitato di redazione della rivista Tempi Nuovi, che, nel quadro delle attività resistenziali, si occupava dell’approfondimento dei temi del socialismo, del comunismo  e della costruzione di un nuova democrazia.  Si laureò in statistica con una tesi sulla teoria delle crisi cicliche in Karl Marx. Al seguito di Angelo Salizzoni, che fu poi sottosegretario alla Presidenza del Consiglio nei governi  Moro, partecipò alle prime attività  politiche della Democrazia Cristiana bolognese.
  Già prima del crollo terminale del fascismo, i cattolici democratici avevano dunque una giovane classe politica colta e professionalmente adeguata, di alto profilo intellettuale e morale,  pronta ad impegnarsi nel governo dello stato su mandato del Papa e un progetto di nuova Costituzione. Questi cattolici democratici non erano anticomunisti, né antisocialisti, per la dura esperienza di lotta in uno stesso schieramento antifascista. Obiettavano al comunismo di marca leninista il totalitarismo e al marxismo il suo carattere ostile alla fede religiosa. Ma sapevano intendersi con i comunisti e i socialisti come poi fu dimostrato nel lavoro della prima sottocommissione della Costituente che scrisse i  “principi fondamentali” , nella quale fu fondamentale il comune sentire di Basso, Dossetti, Iotti, La Pira, Moro, Togliatti. Profonda intesa, non “contratto” come si dice oggi.  Il lavoro che i cattolici democratici si proponevano andava molto oltre la conquista del governo. Avevano un progetto di democrazia popolare a forte impegno sociale in cui volevano coinvolgere i socialisti e i comunisti, contrastati naturalmente dai clerico-moderati e dai clerico-fascisti, come ancor oggi avviene. Per questo De Gasperi definì la Democrazia Cristiana un “partito di centro che guarda verso sinistra”. L’idea era quella di rendere irreversibile la rivoluzione sociale, che poi è il senso dell’espressione comunista “dittatura del proletariato”. Indietro non si doveva tornare. Erano le masse che dovevano essere educate a resistere ad ogni nuova tentazione di tipo fascista ed ecco perché era indispensabile l’intesa con socialisti e comunisti, i      quali ne controllavano molta parte, in particolare quella dei lavoratori dell’industria.
 Naturalmente quando si parla spregiativamente di “democristiani” e di “comunisti” non si ha consapevolezza di quello che ho descritto. Si pensa ai democristiani della decadenza, quali furono dalla metà degli anni ’80, e ai comunisti sovietici, senza considerare quanto fossero diversi quelli italiani, che espressero storicamente una classe politica di alto profilo intellettuale e  morale, della quale l’Italia non poté valersi quando più sarebbe stato necessario, per contrastare più efficacemente la crisi della politica che si manifestò dalla metà degli anni ‘80. I comunisti rimasero sempre forza di opposizione, non si riuscì mai ad aprir loro la strada del governo democratico in Italia. Ad un certo punto finirono e si trasformarono.  Poi, nelle successive metamorfosi, espressero anche una classe di governo; però rimasero anche allora condizionati dal cosiddetto  fattore “K”, come veniva definito negli anni ’70, vale a dire  l’interdetto contro governi con partecipazione comunista, quindi dal sospetto dei loro critici che, una volta al potere, non si sarebbe più riusciti a mandarli all’opposizione. Così sembrarono considerare una prova di maturità politica quando, da forza di governo, si riusciva a mandarli nuovamente all’opposizione e loro non se la prendevano tanto, non la consideravano la fine del mondo. Talvolta però può esserlo, quando le formazioni in competizione non condividono abbastanza e si presentano l'una come l'«anti-» dell'altra.  Un influsso di quel modo di pensare si è avvertito anche dopo le recenti elezioni politiche.  Per i cattolici democratici il problema non si poneva: il  loro mandato era di rimanere sempre al governo. In effetti negli anni ’90 ci riuscirono dividendosi formalmente e colonizzando destra e sinistra, ricucendo da quelle posizioni  la società italiana. Ma venne meno il progetto di riforma sociale. Questo fondamentalmente per l’attenuarsi dell’impulso del Papato, dal papa Wojtyla in poi, che divenne meno legato all’Italia. Il principale handicap dei cattolici democratici era stato storicamente quello di muoversi prevalentemente sulla base di quell’impulso. L’intesa con il socialismo divenne difficile per l’interdetto che veniva dal papa Wojtyla. E dagli anni ’90 il socialismo italiano, poi, apparve liquefarsi. Negli anni ’80, inoltre, era sembrata progressivamente  prevalere in esso  l’ala più anticlericale e antireligiosa, come nel craxismo.  Ed è proprio la mancanza di quell’impulso il problema nelle ultime vicende politiche nazionali.
   La forza politica della Chiesa, pur ancora imponente,  non è stata attivata né dal Papato né dai vescovi italiani. Perché? Si può pensare che abbiano inciso la profonda spaccatura verticale che attraversa il mondo ecclesiale per varie ragioni e le gravi difficoltà che travagliano il Papato nel suo lavoro di adeguamento ai tempi, troppo a lungo rimandato. Ma la ragione vera penso sia che per almeno una generazione, regnante papa Wojtyla, non si è proseguita quell’attività di formazione delle masse cattoliche alla politica democratica che era stata affidata storicamente all’Azione Cattolica. A lungo i  rapporti con la politica di governo erano stati regolati direttamente dai vescovi della Conferenza Episcopale Italiana, centrandoli su alcuni specifici temi di interesse, quali i finanziamenti alle istituzioni e scuole religiose, le questioni matrimoniali (chi si può sposare e come) e riproduttive (aborto, contraccezione), il fine vita e l’obiezione di coscienza. Era venuto meno l’interesse per la riforma sociale e ad avere un agente politico che vi si dedicasse, probabilmente pensando che la pace europea fosse ormai un risultato irreversibile. La storia recente dimostra che non è così. Dunque gli appelli che vengono da Papa e vescovi, come quello recente del cardinal Bassetti, presidente della Conferenza episcopale italiana, sembrano ora  cadere nel vuoto. Manca l’agente politico in grado di raccoglierli. Le parole dell’imponente letteratura pontificia rimangono parole. Rendendosene bene conto, il Papato non ha lanciato l’ordine di impegnarsi, come aveva fatto invece dal 1939 e in altre occasioni successive. Ricordo, ad esempio, la spettacolare azione politica promossa da papa Wojtyla negli anni ’80 con le scuole di politica animate dai gesuiti Bartolome Sorge ed Ennio Pintacuda, dalle quali scaturì la riforma politica che va sotto il nome di “primavera palermitana”. La formazione, l’educazione, devono sempre precedere l’impegno politico. Secondo il  modo di pensare della Chiesa, politici non ci si improvvisa.
   Di questi tempi, abbiamo quindi veramente vissuto una fase di cambiamento, che presto si rifletterà, credo,  anche sulla Costituzione. Molti in Italia non intendono più il suo parlare. A prenderla sul serio sono rimasti in genere i magistrati, però non di rado per ragioni di semplice logica giuridica, trattandosi di norma posta al di sopra della altre. Nella passata legislatura si è però aperta la via alla decostituzionalizzazione  di certi importanti principi, come quello del diritto al lavoro. E’ possibile che si prosegua con quello alla salute e con la previdenza sociale. C’è poi il tema della progressività tributaria. E’ un nuovo mondo che sta manifestandosi, affievolendo quei principi per via di leggi ordinarie, come motivate eccezioni alla disciplina generale.  Ma è prevedibile che tutto questo poi si tradurrà in modifiche costituzionali, se non altro mediante una riformulazione dei principi.
  Di certe cose si è perduta memoria. Il rischio, in casi simili, è che la storia si ripeta. Non penso al fascismo, la cui religione nazionalista suonerebbe ostica alla gente d’oggi, con tutti i suoi appelli al sacrificio della vita per la Patria. Ma all’Italia degli stati preunitari, divisa, debole perché divisa, colonizzata dagli altri europei. Il disfacimento dell’unità nazionale potrebbe accompagnarsi al fallimento del processo di unificazione europea, il capolavoro del cristianesimo sociale e democratico, che improntava le nazioni dalle quali originò quella dinamica politica: Francia, Germania e Italia.  
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli