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Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

Dall’anno associativo 2020/2021 il gruppo di AC di San Clemente Papa si riunisce abitualmente il secondo, il terzo e il quarto sabato del mese alle 17 e anima la Messa domenicale delle 9. Durante la pandemia da Covid 19 ci siamo riuniti in videoconferenza Google Meet. Anche dopo che la situazione sanitaria sarà tornata alla normalità, organizzeremo riunioni dedicate a temi specifici e aperte ai non soci con questa modalità.

Per partecipare alle riunioni del gruppo on line con Google Meet, inviare, dopo la convocazione della riunione di cui verrà data notizia sul blog, una email a mario.ardigo@acsanclemente.net comunicando come ci si chiama, la email con cui si vuole partecipare, il nome e la città della propria parrocchia e i temi di interesse. Via email vi saranno confermati la data e l’ora della riunione e vi verrà inviato il codice di accesso. Dopo ogni riunione, i dati delle persone non iscritte verranno cancellati e dovranno essere inviati nuovamente per partecipare alla riunione successiva.

La riunione Meet sarà attivata cinque minuti prima dell’orario fissato per il suo inizio.

Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

NOTA IMPORTANTE / IMPORTANT NOTE

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Il sito della parrocchia:

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giovedì 28 giugno 2018

Popoli


Popoli

1.  I grandi problemi dell’umanità sono spesso proposti e affrontati da noi in modo bambinesco. Questo fa presa soprattutto tra i più anziani, di solito meno scolarizzati. E’ la cattiva politica che usa quel modo di argomentare. Cerca di spaventare la gente per avere mano libera e le riesce tra chi è più fragile e sa di meno. Poi però utilizza male il potere che ha, sprecando tempo e risorse nel migliore dei casi, andando a cacciarsi, e a cacciare la nazione, in seri guai, se va peggio. Va nel pallone, entra in contraddizione, suscita il caos. Ad esempio: lamenta che l’Italia sia stata lasciata sola, e poi è proprio il fare da soli che propone come soluzione. Isola l’Italia mentre dovrebbe integrarla meglio tra gli altri europei. Disperde un patrimonio di credibilità faticosamente conquistato in tanti anni, ed è certamente vero che talvolta in venti giorni fa quello che non si era riusciti a produrre in vent’anni, ma non c’è d’andarne fieri.
  La dottrina sociale ragiona diversamente ed è un buon punto di partenza per chi voglia migliorare la comprensione del proprio tempo e collaborare a contrastarne i mali sociali.  A volte viene presentata come un tutto unitario, come se fosse un manuale di istruzioni scritto una volta per tutte e valido per ogni tempo. Invece ha avuto una evoluzione. Così come le istituzioni della nostra Chiesa, ad esempio il Papato. Quest'ultimo si sviluppò nei primi quattro secoli della nostra era, fino a diventare un importante organismo politico-religioso nella parte occidentale dell’antico Impero romano, soprattutto dopo che il centro imperiale si trasferì a Costantinopoli, nella parte greca dello stato. Dopo la rovina dell’Impero d’Occidente, e dopo un breve periodo in cui fu integrato nell’Impero romano d’Oriente,  divenne vassallo dei nuovi sovrani invasori giunti dal nord riuscendo a plasmare la cultura e le istituzioni dei loro regni. Da loro ebbe, nell’Ottavo secolo,  un piccolo regno territoriale nell’Italia centrale.  Nell’Undicesimo Secolo il Papato fu riorganizzato come impero politico-religioso, cercando di affrancarsi dal vassallaggio feudale verso l’Impero germanico. Dal Cinquecento si trasformò in un stato tra altri stati, regno tra altri regni. Sempre di più affidò al possesso di uno stato la garanzia di libertà della sua missione spirituale. Nell’Ottocento venne coinvolto nei moti nazionalisti italiani, venendo spodestato come sovrano territoriale dal nuovo Regno d’Italia, nel 1870. Entrò allora, in Italia, nella politica di massa, esprimendo una potente formazione politica antisistema, che agli inizi del Novecento ristrutturò per partecipare alle elezioni politiche con suffragio universale maschile (le prime furono nel 1913). Questa azione sociale gli consentì di conciliarsi  con il Regno d’Italia, riavendo, a seguito dei Patti Lateranensi del 1929, un piccolo regno territoriale a Roma. Dal ’39, entrato in crisi il rapporto con il fascismo mussoliniano, prese a trasformarsi velocemente, aprendosi sempre più al mondo,  e questo sempre più rapidamente dalla fine degli anni Cinquanta, fino ad assumere l’aspetto di una ONU religiosa. Immaginò la nostra nuova Europa, che ideologicamente dipende da principi della dottrina sociale, in particolare nel fondamentale principio di sussidiarietà che ne regge il sistema istituzionale. La troviamo tratteggiata fin dal radiomessaggio del papa Eugenio Pacelli - Pio 12° del 24 agosto 1939 diffuso nell’imminente pericolo della guerra mondiale.
  Vedete? Per parlare di Chiesa ho dovuto riassumere in poche righe oltre venti secoli di storia europea. Il credente ha grandi orizzonti. La cattiva politica ne è incapace.
2.   Nell’evoluzione della situazione internazionale, in particolare di quella europea, la dottrina sociale è stata modificata, adattandola, per fronteggiare i  problemi che si presentavano.
   E’ rimasta costante la prospettiva di fare dell’intera umanità un’unica  famiglia umana. Ma essa preesiste  o  va costruita? La fede ci rassicura che preesiste, per volontà soprannaturale; la sociologia ci avverte che va costruita, perché non è mai veramente esistita prima in epoca storica; unificando le visioni si può arrivare a concludere che vada costantemente restaurata, perché l'abbiamo nell'anima prima che sia realizzata in società. Per farlo occorre una cultura adeguata. E' appunto quella che manca ai nostri tempi.
  Tra tutti gli esseri umani si avverte effettivamente una certa aria di famiglia. Fondamentalmente siamo fatti nello stesso modo e ragioniamo in modi simili. La genetica ci ha confermato in questa convinzione. Dal punto di vista biologico differiamo per inezie. Ma le differenze culturali e sociali sono molto grandi, in particolare tra i maggiori aggregati di gente, i popoli.
  Avere una visione realistica di moltitudini quali sono i popoli supera le nostre capacità cognitive, i nostri limiti di specie. Accade anche per quanto riguarda il nostro corpo, fatto di miliardi di cellule, ognuna con una sua vita e con le sue relazioni con le altre che la circondano. Viviamo, ma senza avere precisa consapevolezza di ciò che accade alle nostre singole cellule:   ora cominciamo a saperne di più della nostra vita biologica, ma le conoscenze che sono implicate superano largamente la possibilità di sapienza anche di più sapienti, figuriamoci quella della gente comune.
 Insomma, di come va il mondo abbiamo una consapevolezza approssimativa, basata su elementi culturali che prevalgono tra certe popolazioni, ad esempio la lingua o la religione, e, secondo criteri più precisi, facendo ricorso a osservazioni e valutazioni di tipo statistico. Quest’ultimo criterio è usato, in particolare dai sociologi e dagli economisti, che utilizzano comunque anche il vaglio delle culture. Le culture sono maggiormente utilizzate, come fonte di comprensione dei popoli, dalla politica e dalle religioni. Spesso però si cercano scorciatoie bambinesche, favolistiche, del tipo di quelle propinate dalla cattiva politica a chi le vuole credere. Come accorgersene? Fanno tutto troppo semplice, troppo simile al nostro micromondo di prossimità, alla nostra vita di tutti i giorni, in cui, ad esempio, basta dare una mandata alla porta di casa per pensare di essere (relativamente) al sicuro. 
  Una moltitudine stanziata su un certo territorio e caratterizzata da più intense relazioni culturali, sociali, economiche e politiche costituisce una popolazione. Quando però si parla di popolo  si ha presente essenzialmente la dimensione politica. Un popolo è un insieme di popolazioni che si è organizzato per dominare un certo territorio e certe risorse economiche e ci è riuscito. Questa è anche, sostanzialmente, la concezione giuridica prevalente quando si parla di popolo. Anticamente era la soggezione ad un sovrano che faceva un popolo. Si cercò di rendere stabile il potere del sovrano, sacralizzandone la dinastia, riconducendo il suo potere alla volontà divina. In questa prospettiva il sovrano vanta ascendenza e poteri divini. Caratteristica del cristianesimo, derivante dal particolare ambiente politico e multiculturale in cui si sviluppò, il Vicino Oriente sotto dominazione dell’Impero Roma in cui il potere religioso locale cercava spazi di autonomia verso quello politico-religioso degli occupanti, fu la  desacralizzazione  della politica, che lo portò nei primi tre secoli in rotta di collisione con le autorità pubbliche romane. In questa prospettiva, nessun potere politico può obbligare se non rispetta la legge divina. Quest’ordine di idee, che risale alle origini della nostra ideologia religiosa tanto da essere documentato addirittura negli scritti sacri derivati dalle nostre prime comunità di fede,  si ritrova, ad esempio, in questo brano dell’enciclica  La pace in terra - Pacem in Terris  del papa Angelo Roncalli, del 1963 (che ho sintetizzato lo scorso 23 giugno) :

L’autorità non è una forza incontrollata: è invece la facoltà di comandare secondo ragione. Trae quindi la virtù di obbligare dall’ordine morale.
 L’autorità che si fonda solo o principalmente sulla minaccia o sul timore di pene o sulla promessa e attrattiva di premi, non muove efficacemente gli esseri umani all’attuazione del bene comune; e se anche, per ipotesi, li movesse, ciò non sarebbe conforme alla loro dignità di persone, e cioè di esseri ragionevoli e liberi. L’autorità è, soprattutto, una forza morale; deve, quindi, in primo luogo, fare appello alla coscienza, al dovere cioè che ognuno ha di portare volonterosamente il suo contributo al bene di tutti.
 L’autorità, come si è detto, è postulata dall’ordine morale. Qualora pertanto le sue leggi o autorizzazioni siano in contrasto con quell’ordine,  esse non hanno forza di obbligare la coscienza.

3.  Nell’Alto Medioevo europeo, nella seconda metà del Primo millennio della nostra era, i re presero a non occuparsi in dettaglio di tutto ciò che accadeva nei loro regni, ma principalmente della riscossione dei tributi e del mantenimento di un esercito, oltre che di ciò che serviva alle loro corti. Lasciarono che i loro feudatari, monarchi meno potenti e legati da loro da un vincolo di fedeltà, e le società civili si dessero autonomamente le loro regole di vita: questo creò una realtà sociale molto articolata che durò fondamentalmente fino al Settecento e da cui il Papato prese l’idea della sussidiarietà, che è quando, appunto, i poteri superiori non comprimono l’ordine che le società inferiori si sono date, ma anzi le promuovono e sostengono, intervenendo solo dove si manifestano insufficienti. Questa idea fu al centro della prima enciclica sociale dell’età moderna, Le novità  -  Rerum Novarum,  del papa Vincenzo Gioacchino Pecci - Leone 13°, del 1891.

1 - Necessità della collaborazione di tutti
36. Finalmente, a dirimere la questione operaia possono contribuire molto i capitalisti e gli operai medesimi con istituzioni ordinate a porgere opportuni soccorsi ai bisognosi e ad avvicinare e udire le due classi tra loro. Tali sono le società di mutuo soccorso; le molteplici assicurazioni private destinate a prendersi cura dell'operaio, della vedova, dei figli orfani, nei casi d'improvvisi infortuni, d'infermità, o di altro umano accidente; i patronati per i fanciulli d'ambo i sessi, per la gioventù e per gli adulti. Tengono però il primo posto le corporazioni di arti e mestieri che nel loro complesso contengono quasi tutte le altre istituzioni. Evidentissimi furono presso i nostri antenati i vantaggi di tali corporazioni, e non solo a pro degli artieri, ma come attestano documenti in gran numero, ad onore e perfezionamento delle arti medesime. I progressi della cultura, le nuove abitudini e i cresciuti bisogni della vita esigono che queste corporazioni si adattino alle condizioni attuali. Vediamo con piacere formarsi ovunque associazioni di questo genere, sia di soli operai sia miste di operai e padroni, ed è desiderabile che crescano di numero e di operosità. Sebbene ne abbiamo parlato più volte, ci piace ritornarvi sopra per mostrarne l'opportunità, la legittimità, la forma del loro ordinamento e la loro azione.

   Questa estesa articolazione sociale avvolgeva gli individui, li sorreggeva e li proteggeva. Non le era più essenziale la soggezione al sovrano, ma trovava fattori unificanti in diversi elementi culturali, primo fra tutti la religione cristiana. Quando i papi parlano di radici cristiane  dell’Europa è a questo che si riferiscono.
  Dal Cinquecento si cominciarono a formare, da società magmatiche, molto articolate e differenziate ma unificate su basi culturali, gli stati come li conosciamo: il motore di questo processo furono alcune monarchie europee che vollero farsi nazionali, esprimere quindi la volontà politica di una  nazione, intesa come l’insieme delle popolazioni unificate da un progetto politico di costituzione di una stato, da un ordine politico unitario che non riconosceva nessuno sopra di sé entro i confini del proprio dominio e che era impersonato da un sovrano e dalla sua dinastia. Quando si parla di sovranità è a questo che ci si riferisce. Premetto che l’attuale ordine internazionale non riconosce più a nessuno stato e a nessun potere una sovranità di quel tipo.
 In questo quadro di rafforzamento del potere del sovrano nazionale  furono depotenziate le comunità minori e il diritto da esse espresso, a favore delle leggi del sovrano e, più avanti, dei suoi  codici, documenti legislativi che intendevano regolare settori molto ampi della società nazionale, come il diritto civile, quello penale e quello commerciale. Sviluppandosi dal Settecento processi democratici, nel quadro di essi fu teorizzato un  popolo  sovrano, in sostituzione o affiancamento delle dinastie sovrane, privo però di tutti gli elementi culturali che ne caratterizzavano le popolazioni, fatto sostanzialmente di individui solitari che esaurivano il loro potere nel delegare i propri rappresentanti, liberi da qualsiasi vincolo a comunità intermedie. Individui così non esistono in natura: si è sempre inseriti in comunità intermedie che costituiscono i nostri mondi vitali,  che ci sorreggono e motivano.  Faccio notare che questa, del popolo composto da individui solitari,  è l’ideologia che sta sotto alcune concezioni contemporanee di democrazia diretta telematica.
  Creandosi quegli stati nazionali, essi presto vollero anche sacralizzarsi  in modo da far corrispondere la volontà del sovrano a quella del Cielo, perché anche di questa i sovrani erano insofferenti in quanto in teoria a loro superiore.  Ognuno segua la religione del proprio sovrano, fu deciso nel Cinquecento  e nel Seicento, a chiusura di lunghi e sanguinosi conflitti tra i sovrani  europei. Nei processi democratici si seguì la stessa strada, anche dove si presero vie irreligiose o addirittura antireligiose, costruendo sostanzialmente religioni politiche alternative. I primi a farlo furono, a fine Settecento, i rivoluzionari francesi. Ma anche vari fascismi e comunismi e altri regimi politici costruirono proprie religioni politiche, con propri culti, liturgie e una classe sostanzialmente sacerdotale. 
  Questa idea della religione come elemento culturale unificante dello stato, quindi sostanzialmente legata al dominio del sovrano civile e in questo senso religione civile,  di rafforzamento del potere politico,   contrastava con quella del Papato che rivendicava il monopolio del potere religioso. Questo creò, tra il Settecento e l’Ottocento quello che venne definito  conflitto di civiltà  e che il Papato affrontò,  in particolare con la propria dottrina sociale diffusa dalla seconda metà dell’Ottocento, proponendo un proprio modello di civiltà. In ogni documento della dottrina sociale del Papato  ne è proposta una versione. Il passaggio di fase  storica prodottosi nel mondo all’inizio degli anni Sessanta è segnalato con tutta evidenza dal fatto che il papa Angelo Roncalli - Giovanni 23° diffuse nel giro di pochi anni ben due encicliche sociali:  la  Madre e Maestra - Mater et magistra, del 1961, e La pace in terra - Pacem in terris, del 1963.
4.   Il conflitto di civiltà divenne più acuto quando, affrontandolo sullo stimolo dei problemi che gli erano causati dal nazionalismo italiano, il Papato iniziò a riflettere sul problema della guerra. La prima occasione storica fu quando, nel 1848, il papa Giovanni Mastai Ferretti - Pio 9°, uno dei sovrani italiani dell’epoca in quanto monarca politico dello Stato pontificio nell’Italia centrale, decise di inviare un contingente militare contro l’Impero d’Austria che occupava Lombardia e Veneto. La guerra era stata iniziata dal regno piemontese detto Regno di Sardegna, della dinastia Savoia, a sostegno dei nazionalisti italiani che erano insorti a Milano. Il 29 aprile del 1948 il Papa ordinò il ritiro delle sue truppe (che in gran parte non obbedirono), con un’allocuzione in cui disse:
Inoltre non potrebbero poi lamentarsi di Noi i sopraddetti Popoli della Germania se non Ci fu possibile frenare l’ardore dei Nostri sudditi che vollero applaudire alle imprese compiute contro di loro nell’alta Italia, e vollero con gli altri popoli d’Italia far causa comune, infiammati anch’essi, come gli altri, dell’amore verso la propria Nazione. Tanto è vero che molti altri Principi d’Europa, di gran lunga a Noi superiori nella forza militare, non poterono neppur essi resistere alla commozione dei loro Popoli.
In tale situazione Noi però ai Nostri Militi mandati ai confini dello Stato non volemmo che fosse ordinato altro che di difendere l’integrità e la sicurezza dei domini Pontifici.
  Ma siccome ora alcuni desidererebbero che Noi unitamente agli altri Popoli e Principi d’Italia entrassimo in guerra contro i Germanici, abbiamo ritenuto Nostro dovere dichiarare chiaramente e palesemente in questo solenne Nostro Convegno che ciò è del tutto contrario alle Nostre intenzioni, in quanto Noi, benché indegni, facciamo in terra le veci di Colui che è Autore della pace e amatore della carità, e per dovere del Nostro Supremo Apostolato Noi con eguale paterno affetto amiamo ed abbracciamo tutti i popoli e tutte le nazioni. Ché, se nonostante ciò non mancassero fra i Nostri sudditi coloro che sono trasportati dall’esempio degli altri Italiani, in qual modo potremmo Noi frenare il loro ardore?
  Qui poi, al cospetto di tutte le genti, non possiamo non rigettare i subdoli consigli, manifestati anche per mezzo dei giornali e dei libelli, di coloro che vorrebbero il Romano Pontefice Presidente di una certa nuova Repubblica da farsi, tutti insieme, dai popoli d’Italia. Anzi, in questa occasione, per la Nostra carità verso i popoli d’Italia li esortiamo caldamente e li ammoniamo a guardarsi da questi consigli astuti e perniciosi per la stessa Italia, e di stare fedeli ai loro Principi, dei quali hanno già sperimentata la benevolenza, e di non lasciarsi staccare dal debito ossequio verso di loro. Infatti operando altrimenti non solo mancherebbero al proprio dovere, ma incorrerebbero anche nel pericolo che l’Italia di giorno in giorno finisse divisa da discordie ed intestine fazioni. In quanto a Noi, però, di nuovo dichiariamo che il Romano Pontefice dirige ogni suo pensiero, ogni cura, ogni studio perché si accresca ogni giorno il regno di Cristo, che è la Chiesa; ma non perché si dilatino i confini del Civile Principato che Iddio volle dato a questa Santa Sede per la sua dignità e per difendere il libero esercizio del Supremo Apostolato. Errano dunque grandemente coloro i quali ritengono che il Nostro animo possa essere lusingato dall’ambizione di più largo temporale dominio, al punto che Noi Ci gettiamo in mezzo ai tumulti delle armi. Per certo al Nostro cuore paterno sarebbe carissimo se Ci fosse dato con l’opera Nostra, con le cure, con gl’impegni di far qualche cosa per estinguere i fomiti delle discordie, per conciliare gli animi che si guerreggiano e per ristabilire fra loro la pace.

 Il magistero sulla pace è il cardine della dottrina sociale contemporanea. L’altro è il bene comune.  Quest’ultimo  è così definito nell’enciclica  Madre e Maestra - Mater et Magistra,  del papa Angelo Roncalli - Giovanni 23°, del 1961:
"il bene comune consiste nell’insieme di quelle condizioni sociali che consentono e favoriscono negli esseri umani lo sviluppo integrale della loro persona".
  In quest’ottica c’è un bene comune nazionale  che comprende anche elementi culturali che caratterizzano gruppi etnici della popolazione, comprese alcune tradizioni religiose,  e un bene comune  universale  in cui quegli elementi non devono trasformarsi in uno scompartimento stagno in cui degli esseri umani vengano impediti di comunicare con gli esseri umani appartenenti a gruppi etnici differenti (come insegnato nell’enciclica La pace in terra - Pacem in terris,  del medesimo Papa, del 1963); infatti, ciò sarebbe in stridente contrasto con un’epoca come la nostra, nella quale le distanze tra i popoli sono state quasi eliminate. Nessuna persona, né nessuna nazione,  deve poi ritenersi superiore alle altre per quegli elementi culturali (sempre nell'enciclica La pace in terra -Pacem in terris). La Patria  è ritenuta, nella dottrina sociale, un  bene comune nazionale, ma essa non deve impedire di fare dell’intera umanità un’unica famiglia, realizzando una Patria mondiale, prefigurazione di quella Celeste, la sola, cantò Agostino d'Ippona, nella quale un fedele può intonare l'alleluia della Patria.  In questo mondo si è sempre per via, tutto rapidamente si trasforma, e ci  è possibile cantare solo l'alleluia della strada.

Gli elementi che caratterizzano un gruppo etnico non devono trasformarsi in uno scompartimento stagno in cui degli esseri umani vengano impediti di comunicare con gli esseri umani appartenenti a gruppi etnici differenti: ciò sarebbe in stridente contrasto con un’epoca come la nostra, nella quale le distanze tra i popoli sono state quasi eliminate. [il brano dell’enciclica La pace in terra - Pacem in terris  citato sopra]

 5. Ad un magistero sociale fortemente universalista dei papi Angelo Roncalli - Giovanni 23° e Giovanni Battista Montini - Paolo 6°, centrato sul bene comune universale, fece seguito quello più nazionalista del papa Karol Wojtyla - Giovanni Paolo 2°, sulla base dell’esperienza sociale polacca di resistenza al regime comunista. La cultura nazionale e nazionalista, comprensiva di un certo modo di essere religiosi, era stata utilizzata per contrastare la cultura cosmopolita del comunismo di impronta sovietica imposto in Polonia. In Italia  questo orientamento produsse i movimenti della cultura della presenza, che pensavano che la religione dovesse essere restaurata a noi innanzi tutto ricostruendo un popolo religioso caratterizzato e  animato da consuetudini culturali, vivendo religiosamente prima di ragionarci sopra. L’universalismo religioso si esprimeva invece  nella cultura della mediazione, che riteneva via giusta quella di far emergere, nel dialogo, quindi ragionandoci sopra,  i valori religiosi che c’erano nelle culture che vivevano in Italia, anche se non o non ancora espressamente religiose. Questo orientamento era stato incoraggiato nell’enciclica La pace in terra- Pacem in terris.  Nella prima via l’evangelizzazione avveniva per contatto sociale e imitazione, nella seconda mediante il dialogo. Nella prima via il dialogo è sentito come contaminante l'integrità culturale, nella seconda ogni cultura, anche quella religiosa e in particolare quella delle tradizioni religiose, è sottoposta ad un vaglio critico nel dialogo, ma se ne possono far emergere valori di rilevanza religiosa. Con tutta evidenza l'impostazione del Wojtyla risentiva del duro scontro con il regime comunista polacco, che aveva tentato, con le buone o con le cattive, ma più spesso con queste ultime, l'annichilimento per assimilazione delle tradizioni religiose locali, fortemente permeate di elementi politici, in particolare dal culto delle antiche dinastie polacche. In quel contesto il dialogo era possibile solo in una forma che conduceva alla perdita della propria identità culturale. Divenuto sovrano religioso universale Wojtyla affrontò con il medesimo ordine di idee anche altri ambiti culturali, profondamente diversi, ad esempio quello italiano, nel quale il dialogo aveva potentemente preso piede sullo stimolo della distinzione tra errore  ed errante  del magistero di Angelo Roncalli, in particolare nell'enciclica La pace in terra - Pacem in terris,  del 1963, di cui trascrivo un brano molto importante:

 Non si dovrà però mai confondere l’errore con l’errante, anche quando si tratta di errore o di conoscenza inadeguata della verità in campo morale religioso. L’errante è sempre ed anzitutto un essere umano e conserva, in ogni caso, la sua dignità di persona; e va sempre considerato e trattato come si conviene a tanta dignità. Inoltre in ogni essere umano non si spegne mai l’esigenza, congenita alla sua natura, di spezzare gli schemi dell’errore per aprirsi alla conoscenza della verità. E l’azione di Dio in lui non viene mai meno. Per cui chi in un particolare momento della sua vita non ha chiarezza di fede, o aderisce ad opinioni erronee, può essere domani illuminato e credere alla verità. Gli incontri e le intese, nei vari settori dell’ordine temporale, fra credenti e quanti non credono, o credono in modo non adeguato, perché aderiscono ad errori, possono essere occasione per scoprire la verità e per renderle omaggio.
  Va altresì tenuto presente che non si possono neppure identificare false dottrine filosofiche sulla natura, l’origine e il destino dell’universo e dell’uomo, con movimenti storici a finalità economiche, sociali, culturali e politiche, anche se questi movimenti sono stati originati da quelle dottrine e da esse hanno tratto e traggono tuttora ispirazione. Giacché le dottrine, una volta elaborate e definite, rimangono sempre le stesse; mentre i movimenti suddetti, agendo sulle situazioni storiche incessantemente evolventisi, non possono non subirne gli influssi e quindi non possono non andare soggetti a mutamenti anche profondi. Inoltre chi può negare che in quei movimenti, nella misura in cui sono conformi ai dettami della retta ragione e si fanno interpreti delle giuste aspirazioni della persona umana, vi siano elementi positivi e meritevoli di approvazione?
 Pertanto, può verificarsi che un avvicinamento o un incontro di ordine pratico, ieri ritenuto non opportuno o non fecondo, oggi invece lo sia o lo possa divenire domani. Decidere se tale momento è arrivato, come pure stabilire i modi e i gradi dell’eventuale consonanza di attività al raggiungimento di scopi economici, sociali, culturali, politici, onesti e utili al vero bene della comunità, sono problemi  che si possono risolvere soltanto con la virtù della prudenza, che è la guida delle virtù che regolano la vita morale, sia individuale che sociale
  
  Il lungo prevalere della cultura della presenza in religione, in particolare in Italia,  ci ha fatti trovare impreparati davanti ai problemi suscitati dalla globalizzazione dell’economia e dalle grandi migrazioni intercontinentali. In un certo senso, il magistero di papa Jorge Mario Bergoglio - Francesco, per quanto sotto molti aspetti differente da quello di Karol Wojtyla - Giovanni Paolo 2°, sulla questione del popolo si muove ancora nello stesso ordine di idee, ad esempio nella critica del cosmopolitismo livellatore delle culture, e questo sostanzialmente per l’ambiente di origine di papa Francesco, l’America Latina, che non conosce le differenze culturali che caratterizzano gli europei (basti pensare che fondamentalmente si parlano due lingue, lo spagnolo e il portoghese, e prevale largamente la religione cattolica), né fenomeni migratori recenti quali quelli sperimentati in Europa.
  Nell’era della globalizzazione spostarsi è divenuto meno costoso e, soprattutto, possibile alle masse. Quindi le masse hanno ripreso a spostarsi, come sempre avvenuto tra gli umani, fin dalle epoche preistoriche. Gli europei sono stati sorpresi da questo movimento, quando il processo di superamento delle aggregazioni politiche nazionali non era stato ancora concluso, in particolare per il rilevantissimo sforzo di assimilazione degli stati europei usciti dal comunismo. Ma anche la religione è stata sorpresa. La Polonia del Wojtyla e l’Ungheria, in maggioranza cattolica, stati dove il nazionalismo culturale era stato fonte di resistenza contro il comunismo, hanno prodotto un movimento politico contrario all’integrazione dei migranti, sulla base di una cultura nazionalista comprendente anche elementi religiosi. I cattolici italiani, indirizzati sulla via polacca durante il regno del Wojtyla, li stanno istintivamente seguendo, anche se la via della chiusura delle frontiere non è fisicamente possibile quando, come da noi,  le frontiere sono marittime.
  Non riusciamo a riconoscere nei migranti, in particolare nelle culture degli africani, gli elementi culturali che ce li accomunano, e questo anche se la loro prima o seconda lingua è una lingua europea. Ci dimostriamo conseguentemente  incapaci di dialogo e quindi di vera integrazione. La reazione istintiva è quella del rifiuto e del tentativo (destinato a fallire nella maggior parte dei casi) di respingimento.  Un problema molto serio che si presenta a livello delle masse e anche tra i più giovani, che sono molto più colti delle generazioni precedenti. Leggiamo un documento importantissimo della dottrina sociale quale l’enciclica  Lo sviluppo dei popoli - Populorum progressio, del papa Giovanni Battista Montini - Paolo 6°, del 1967, e lo sentiamo estraneo. Anche l’intera dottrina sociale sta divenendo estranea alle masse, e quindi ininfluente, sia perché parla un linguaggio colto, che in particolare i più anziani faticano ad  intendere, sia perché prospetta un mondo fatto di un’unica famiglia umana che non risponde all’esperienza di vita dei più, in cui si dà molta importanza ai micromondi sociali in cui ciascuno è inserito e confinato. Anche molti dei discorsi sulle comunità evangelizzatrici  che si fanno in religione presentano questo problema. Per questa via non sarà possibile mantenere la pace fra i popoli, il grande anelito della dottrina sociale contemporanea. Fatalmente, in particolare,  si sarà spinti verso un impegno militare per il contenimento delle migrazioni. L’esperienza storica dovrebbe convincere dell’inutilità e anche della pericolosità di questa impostazione.
  Come italiani ci sentiamo lasciati soli  per aver dovuto fronteggiare, in sessanta milioni, in uno stato tra i più ricchi del mondo e con istituzioni forti, solo una parte della migrazione che ha coinvolto la vicina Libia, abitata da sei milioni di persone, con istituzioni deboli e ancora preda di ciclici episodi di guerra civile, con un’economia nel caos per la concomitante crisi politica, ed infine con larga parte del suo immenso territorio incontrollabile in quanto situato nel deserto del Sahara. Vorremmo che fossero la Libia, o Malta, uno stato-arcipelago molto piccolo di mezzo milione di persone in mezzo al mare, a bloccare le moltitudini che sono riuscite a superare il Sahara. Forse, in definitiva, vorremmo che fossero proprio il Sahara e il Mar Mediterraneo a continuare a decimare i migranti. E si sta parlando di far allontanare dalle coste africane le nostre navi militari impegnate nella missione di sorveglianza per il soccorso dei migranti, mentre sta avendo successo l'azione di contrasto all'azione delle navi mandate da organizzazioni non governative. A differenza dei mercantili di passaggio, si trattava di navi mandate con lo scopo di salvare la gente in mare. Arretrandole o impedendone l'azione, i migranti non tenteranno più la via del mare? L'esperienza insegna che non sarà così. Si tornerà alla situazione di prima. Tenteranno e molti moriranno affogati. Questo sembra non fare più scandalo, nemmeno in ambito religioso. Sembra che si possa seguire il cattivismo  di certa politica cattiva e fare ogni domenica la Comunione, pregando il  Padre Nostro.  Del resto non era lo stesso in tempo di guerra? Stiamo tornando indietro. Stiamo prendendo congedo dal magistero sociale di pace e la pace pare non rientri più nel bene comune nazionale, né in quello  universale.  L'Europa, ad un certo punto, seguendo la via indicata dai Papi, volle la pace e la ebbe; ora ha iniziato ad andare per altra via. Però non raccontiamoci e non crediamo alle favole: avremo la guerra. 
 Siamo nel bel mezzo di un passaggio di fase storica, in cui il nostro  mondo e la nostra stessa civiltà stanno cambiando.   Purtroppo sembra che la dottrina sociale abbia oggi poco da dire e che, quando lo dice, non sia presa sul serio. C’è stata una carenza di formazione che va sanata. Ma c'è anche, e molto serio, un conflitto non risolto tra le visioni che approssimativamente possiamo ricondurre al Montini e al Wojtyla. 
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa  - Roma, Monte Sacro, Valli.