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Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

Dall’anno associativo 2020/2021 il gruppo di AC di San Clemente Papa si riunisce abitualmente il secondo, il terzo e il quarto sabato del mese alle 17 e anima la Messa domenicale delle 9. Durante la pandemia da Covid 19 ci siamo riuniti in videoconferenza Google Meet. Anche dopo che la situazione sanitaria sarà tornata alla normalità, organizzeremo riunioni dedicate a temi specifici e aperte ai non soci con questa modalità.

Per partecipare alle riunioni del gruppo on line con Google Meet, inviare, dopo la convocazione della riunione di cui verrà data notizia sul blog, una email a mario.ardigo@acsanclemente.net comunicando come ci si chiama, la email con cui si vuole partecipare, il nome e la città della propria parrocchia e i temi di interesse. Via email vi saranno confermati la data e l’ora della riunione e vi verrà inviato il codice di accesso. Dopo ogni riunione, i dati delle persone non iscritte verranno cancellati e dovranno essere inviati nuovamente per partecipare alla riunione successiva.

La riunione Meet sarà attivata cinque minuti prima dell’orario fissato per il suo inizio.

Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

NOTA IMPORTANTE / IMPORTANT NOTE

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Il sito della parrocchia:

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mercoledì 29 marzo 2017

Ripubblico di seguito i miei appunti sul ciclo di incontro Immischiati!, sulla dottrina sociale, che si sono tenuti in parrocchia lo scorso anno, da marzo a maggio.

 Ripubblico di seguito i miei appunti sul ciclo di incontro Immischiati!, sulla dottrina sociale, che si sono tenuti in parrocchia lo scorso anno, da marzo a maggio. 



Ciclo di incontri Immischiati!
sulla bellezza della dottrina sociale della Chiesa
I resoconti di tutti gli incontri

IMMISCHIATI!
“Un buon cattolico s’immischia  in politica” (papa Francesco)

 La parrocchia San Clemente ha proposto
5 INCONTRI
per avvicinare alla bellezza della DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA.
 Per una nuova generazione di laici cristiani capaci di dedicarsi al servizio del bene comune.
18 marzo #Persona
8 aprile #Bene Comune
15 aprile #Solidarietà
29 aprile #Sussidiarietà
6 maggio #Partecipazione

Perché lo abbiamo fatto?
- Perché anche nella politica c’è una bellezza da raccontare e da vivere.
- Perché un cristiano ha una bussola per orientarsi in questo mondo complesso.
- Perché è il momento di non avere paura e di immischiarsi in politica.
- Perché il futuro delle giovani generazioni si decide adesso.



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Primo incontro dell’evento Immìschiati sulla dottrina sociale della Chiesa: la persona

Resoconto dell’incontro
1.  Ieri sera in sala rossa si è tenuto il primo incontro dell’evento Immìschiati, che la parrocchia propone per avvicinare alla bellezza della dottrina sociale della Chiesa.
 Non si è potuto utilizzare il teatro, come annunciato durante le Messe, perché occupato dall’allestimento di altro evento programmato per il giorno successivo, mi è stato detto, senza coordinarlo con l’iniziativa parrocchiale. Così si è stati piuttosto stretti. L’episodio rivela ancora qualche difficoltà tra noi a comprendere la differenza tra il semplice abitare  la parrocchia, al mondo di un condominio, e il parteciparvi  al modo di una comunità. Di fatto uno spazio comune in cui era programmata un’importante attività parrocchiale inaspettatamente non è stato più disponibile.
  Hanno parlato due giovani professori di università pontificie, un uomo e una donna, e un ragazzo studente di giurisprudenza. Non era previsto un dibattito, ma, dopo cinque incontri se ne farà un sesto in cui ci sarà la possibilità di intervenire. Siamo stati quindi invitati a annotarci domande e impressioni (cosa che ho fatto di seguito, nella sezione “Mie osservazioni”).
  L’incontro si è articolato in filmati e spiegazioni da parte dei relatori.
  Le prime immagini sono state quelle del papa Francesco che invitava a fare politica, a immischiarsi nella politica. La politica è una manifestazione della carità, ha detto, come già i suoi predecessori Ratti e Montini. Perché si pensa che sia una cosa sporca? Forse perché i cristiani se ne sono tenuti lontano (annoto: può sembrare strano sostenerlo in una nazione come l’Italia dove un partito cristiano è stato egemone del 1948 al 1994).
 Il primo relatore, un professore della vicina Università Salesiana, ha spiegato che la dottrina sociale non è di destra né di sinistra e nemmeno una cosa intermedia tra quella due. Ha radici profonde nella nostra fede. Di solito viene considerata noiosa perché  è sovraccaricata di concetti e testi difficili, ma è bella  come la nostra fede, perché ne è una manifestazione.
 La dottrina sociale non è ideologia perché tiene conto della realtà vera degli esseri umani. Per renderne l’idea ci è stato presentato un filmato in cui si raccontava la storia di un neonato fatto nascere prima per farlo incontrare con il padre morente per una malattia cerebrale. E’ l’incontro tra persone concrete, vive, che conta.
 Ha poi preso la parola il giovane studente in diritto il quale ha spiegato che in politica si è partiti da due concezioni sull’uomo: una che riteneva che fosse originariamente cattivo (che può essere rappresentata dal pensiero del filosofo inglese del Seicento Thomas Hobbes) e che quindi richiedesse uno stato forte e invadente per contenerne la malvagità; l’altra che riteneva che fosse originariamente buono e che quindi l’invadenza dello stato dovesse essere contenuta al minimo (e ha citato il filosofo inglese del Seicento John Locke). Le politiche basate sulla prima concezione inseriscono gli esseri umani in una sorta di ingranaggi sociali in cui l’individuo conta solo perché partecipa all’insieme, come un mattone in un edificio. Quelle basate sull’altra concezione vedono l’essere umano solo nella sua individualità, separato dagli altri dalla sua libertà.
  Le concezioni individualistiche, promosse dal liberalismo, ci spingono a disinteressarci delle sofferenze degli altri, a non sentirsene responsabili. Si tratta di una concezione di libertà senza responsabilità. Il suo ambiente sociale naturale è il mercato, in cui il valore è stabilito da una contrattazione e ha per fine di consentire degli scambi tra equivalenti. Chi non può partecipare al mercato, i sofferenti ad esempio, non ha valore.
  Le altre, storicamente espresse dalle politiche socialiste, portano a rendere gli esseri umani infinitamente responsabili, comprimendo la sfera della libertà. L’essere umano è annullato nell’ingranaggio sociale. E’ una responsabilità senza libertà.
 La dottrina sociale insegna invece che l’essere umano è persona e che la sua personalità si sviluppa nelle relazioni con gli altri, ma senza esserne totalmente assorbito. Il valore infinito attribuito alla persona umana, in quanto creatura, così come la sua dimensione relazionale sono caratteristici della dottrina sociale.  In quanto essere vivente in relazione la persona è  responsabile  verso gli altri, non può rinchiudersi in un individualismo egoistico, ma non ne è nemmeno totalmente compresso. Il suo valore preesiste alla relazione e la fonda. Non può essere annullato per finalità sociali.
 La professoressa ci ha poi spiegato che il grande valore attribuito alla persone nella dottrina sociale dipende dall’unicità di ciascuno di noi, per cui ogni persona è irriducibile alle altre in quanto voluta da Dio. Ha ricordato la frase di Ireneo di Lione (Secondo secolo) “la gloria di Dio è l’essere umano che vive”
 Ci sono state poi presentate alcune sequenze del film Shindler List, che racconta la storia realmente accaduta di Oskar Shindler, il quale durante la Seconda guerra mondiale riuscì a salvare un migliaio di ebrei, in Polonia, facendoli figurare come lavoratori nella sua fabbrica. In quelle sequenza si vede Shindler che riceve come dono dai salvati un anello in cui è incisa la frase del Talmuld (la raccolta di antichi commenti e ragionamenti biblici utilizzata per la formazione religiosa degli ebrei e organizzata tra il Secondo e il Quinto secolo) “Chi salva una persona salva il  mondo intero”,   e poi piange rammaricandosi di non aver salvato più gente. Questo per rendere l’idea del valore infinito attribuito dalla fede alla persone umane. Esso, nella concezione di fede non deriva da un riconoscimento della società, ma da Dio. Non siamo completamente nelle mani della società, non possiamo essere costruiti da essa. Siamo stati  voluti  da Dio e in questa la grande importanza di ciascuno di noi e la ragione per cui, nella concezione della dottrina sociale della Chiesa, non si vuole rinunciare a nessuno, neanche a coloro che per qualche motivo appaiono imperfetti e addirittura all’essere umano ancora in formazione, prima della sua nascita.
 Ci è stato proposto, a questo proposito un brano del film Gattaca - La Porta dell'Universo, in cui si vedono due genitori che, dopo aver avuto un primo figlio con problemi fisici, ne programmano un altro, in un futuro ormai non tanto lontano dalla nostra realtà, rivolgendosi ad un’impresa che riesce a costruirlo con certe caratteristiche fisiche e libero da malattie, perché sia  il meglio di loro due.   Non è questa la concezione della persona che ha la dottrina sociale della Chiesa. Tutta la politica  della dottrina sociale è centrata sul rispetto della persona umana. Si dice che la dottrina sociale è  sessista  e fissata sulla questione dell’aborto, ma non è così, secondo i relatori (anche se nel corso dell’incontro ai problemi dell’aborto hanno dedicato molto spazio): tutto dipende dalla concezione dell’essere umano come persona, per cui ci si sente responsabili anche delle vite umane in formazione e si rifiuta di assumere atteggiamenti egoistici, che facciano prevalere le proprie esigenze di sviluppo individuale sulle vite degli altri.
 E’ per la grande dignità che viene riconosciuta in religione ad ogni vita umana, fin dal suo inizio, che la dottrina sociale ci insegna a rifiutare l’aborto e ad accogliere in nuovi nati quali essi siano. Il giovane docente universitario ci ha parlato della sua recente esperienza di paternità  e ci ha mostrato immagini ecografiche video con il cuore pulsante della figlia. E’ questo, l’essere umano che vive, un cuore che batte, il centro della dottrina sociale della Chiesa. La fede ci spinge ad accettarlo anche con suoi difetti. Questo  è alla base della sua visionepolitica come forma di carità centrata sull’idea di  bene comune, che sarà l’oggetto del prossimo incontro.  Ed anche la bellezza di quella dottrina sociale.

Mie osservazioni (in vista del sesto incontro)

2. Si è trattato di un primo incontro, necessariamente schematico, con la dottrina sociale della Chiesa. Quest’ultima non è sorta a fine Ottocento, con l’enciclica Le Novità,  del papa Pecci (Leone 13°), ma in tempi molto più antichi, tra il Quarto e il Quinto  secolo della nostra era e fu centrata sui difficili rapporti tra la  “città di Dio”, la civiltà ispirata dalla fede in cui si vive secondo lo spirito,   e la “città terrena”, quella retta dai rapporti di forze umani in cui si vive secondo la carne: questo è il cuore della questione sociale in un'ottica di fede, il motivo dello sviluppo di quella speciale teologia che definiamo dottrina sociale.“Città”, “polis”  in greco, da cui  la parola italiana  politica, che significagoverno della città.  Chi ha il potere di dire come costruire la civiltà secondo la fede, come fare politica: l’imperatore civile o un imperatore religioso (l'alternativa democratica era all'epoca fuori del campo della cultura religiosa e lo rimase fino a fine Settecento)? In merito ci furono opinioni diverse: lo scrittore Eusebio di Cesarea, vissuto in Palestina nel Quarto secolo, riteneva che dovesse essere l’imperatore civile, il vescovo di Roma Gelasio, vissuto nel Quinto secolo, pensava che dovesse essere un imperatore religioso, che vedeva rappresentato nell’istituzione da lui rappresentata, il papato all’epoca ancora agli esordi in questo campo. Lo scrittore e vescovo nordafricano  Agostino, vissuto tra il Quarto e il Quinto secolo, affermò l’inconciliabilità tra lacittà di Dio  e quella terrena, quest'ultima destinata a un giudizio finale, così anche le persone avrebbero una doppia cittadinanza e dovrebbero muoversi verso la città di Dio per non essere condannati con la città terrena.
  Successivamente la dottrina sociale, nell’Europa Occidentale, imparò la politica dall’impero Carolingio, dall’Ottavo secolo, costruendo una visione organica della società in cui Cielo e Terra erano uniti e il potere terreno era manifestazione di quello soprannaturale. Dall’Undicesimo secolo questo portò alla creazione dell’istituzione papale come oggi la conosciamo e la pretesa della nostra gerarchia del clero di dettare legge ai principi terreni e religiosi, duramente e vivamente contrastata sia in un campo che nell’altro. Per gran parte del secondo Millennio il problema politico  principale della nostra dottrina sociale fu di giustificare il dominio assoluto dei papi sul popolo e su ogni altro principe, ogni altro capo civile o religioso. Questo generò un orrendo sistema di polizia ideologica e politica, durato un tempo lunghissimo, dal Dodicesimo al Diciannovesimo secolo,  a cui pose fine l’avvento dei regimi politici liberali. Dov’era la carità  in tutto questo? Fu la  dottrina sociale  del tempo a spiegarlo. Il popolo doveva essere protetto da chi ne minacciava la salvezza spirituale. Così furono fatte fuori grandi anime, come il domenicano fiorentino Giacomo Savonarola nel Quattrocento e il domenicano campano Giordano Bruno nel Cinquecento, ed altre furono insensatamente silenziate, come lo scienziato toscano Galileo Galilei, vissuto tra il Cinquecento e il Seicento.
  La dottrina sociale più recente, quella a cui di solito ci si riferisce parlando di dottrina sociale,  vale a dire quella inaugurata dal papa Pecci con l’enciclica Le Novità del 1891, ha imparato da liberalismo e socialismo più di quanto in religione si sia portati ad ammettere.
 Il personalismo dell’attuale della dottrina sociale della Chiesa ha incorporato il rispetto dell’individuo predicato dal liberalismo, il quale esprime un'etica sociale molto esigente, che appunto riguarda il rispetto della persona umana. La conquista più importante che fu possibile conseguire da questa ibridazione fu il riconoscimento dalla libertà di coscienza, che era negato esplicitamente ancora nel magistero del papa Mastai Ferretti, a metà Ottocento, colui che volle essere dichiarato infallibile  nel corso del Concilio Vaticano 1° e al cui regno laziale fu posta fine ad opera delle truppe del Regno d’Italia, nell’anno 1870. Oggi in questa conquista militare si arriva a riconoscere una manifestazione provvidenziale, ma all’epoca non fu così. Il papato da allora cercò di sottrare il popolo italiano agli invasori sabaudi ed è appunto questa la ragione principale dello sviluppo della prima dottrina sociale in senso moderno. Essa nacque in polemica con il liberalismo, ma anche con il socialismo, che nell’Ottocento era agli esordi e che voleva che la politica tenesse conto anche di chi stava peggio, non rassegnandosi all’ingiustizia sociale, e riteneva che la liberazione degli oppressi non potesse farsi che da loro medesimi, per cui era necessario iniziarli alla politica, che maturassero una coscienza politica.
  Il socialismo, così come il liberalismo, contrastava l’ordinamento feudale che la nostra gerarchia si era data, in quanto non rispettoso del valore della persona umana. Alla base di socialismo e liberalismo vi sono concezioni egualitarie profondamente avversate, a lungo, dalla nostra gerarchia del clero, che invece concepiva la società come un organismo, composto di parti  diseguali, tutte necessarie l’una all’altra, ma diseguali.
 La dottrina sociale attualmente proclamata ha imparato molto dal socialismo, là dove invita a tener conto di chi sta peggio e a occuparsene attivamente, anche nell’attività politica. Le concezioni socialiste sono alla base di una visione del potere politico inteso come servizio  comunitario.
  L’ibridazione tra dottrina sociale, liberalismo e socialismo è recente e risale agli anni Trenta del secolo scorso, in particolare con la filosofia/ideologia del personalismo comunitario espressa dal filosofo francese Emmanuel Mounier (1905-1950). L’idea politica  di persona, come essere sociale di inestimabile valore che si sviluppa nella relazione con gli altri, spiegata nel corso dell’incontro di Immìschiati,risale sostanzialmente al Mounier, ma anche all'esistenzialismo francese coevo. Si è operata una mediazione culturale   che ha avuto notevolissimi sviluppi a partire dagli anni Sessanta, quando entrò a far parte della  dottrina sociale della Chiesa, con il Concilio Vaticano 2° e il magistero dei papi Roncalli, Montini e Wojtyla.  Città di Dio  e città terrena si sono avvicinate.
 Un altro campo di ibridazione è stato quello della liberazione e promozione della donna, dove la dottrina sociale ha iniziato ad accogliere, faticosamente perché proclamata da una gerarchia tutta al maschile, alcune istanze femministe. L’immagine divina si va lentamente scostando da quella maschile.
  La dottrina sociale non è sessista? In realtà lo è ancora abbastanza. La retorica della differenza  punta ancora a mantenere una certa discriminazione nella dignità dei due sessi, a danno delle donne.
  In questo contesto si ha difficoltà a comprendere che la rivendicazione femminista dell’aborto in ambito sanitario e legato alla determinazione della donna (libero  e garantito), nell’Italia degli anni ’70, non fu manifestazione di egoismo individualistico  da parte delle donne, ma della volontà di liberare il corpo delle donne dal dominio sociale, ciò che le rendeva diverse dagli uomini, non soggetti a queste pretese. Il doloroso (per le donne) fenomeno sociale dell’aborto era semmai prodotto di una società maschilistica che non aveva creato le strutture e le istituzioni per essere contemporaneamente libere e madri. Sono di questi giorni polemiche su questo tema, dove a una politica è stato rimproverato di volere essere candidata sindaca a Roma e madre.  La polemica antiabortista viene quindi solitamente utilizzata strumentalmente in ambito religioso per polemizzare contro le rivendicazioni egualitarie delle donne e provengono dai settori reazionari del pensiero sociale religioso. E qui fioccano gli insulti arrivando a definire  criminali  le donne che decidono di abortire, colpite da una scomunica automatica che non si affibbia nemmeno a certi veri criminali. Ma le vite nascenti centrano poco con tutto questo, si coglie invece il vivissimo risentimento verso le pretese delle donne di essere liberate da un dominio sociale che colpisce solo loro. Si proclama il rispetto per ogni vita umana, ma è ancora tanto difficile, soprattutto nell’ambito della dottrina sociale, rispettare veramente quelle delle donne. C’è ancora molto da fare.

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Il secondo incontro del ciclo Immischiati: il bene comune

[Dal Compendio della Dottrina sociale della Chiesa (2004)]
164 Dalla dignità, unità e uguaglianza di tutte le persone deriva innanzi tutto il principio del bene comune, al quale ogni aspetto della vita sociale deve riferirsi per trovare pienezza di senso. Secondo una prima e vasta accezione, per bene comune s'intende « l'insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono sia alle collettività sia ai singoli membri, di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più celermente » [citazione dalla costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo  La gioia e la speranza,  del Concilio Vaticano 2° (1962-1965), n.26].46
Il bene comune non consiste nella semplice somma dei beni particolari di ciascun soggetto del corpo socialeEssendo di tutti e di ciascuno è e rimane comune, perché indivisibile e perché soltanto insieme è possibile raggiungerlo, accrescerlo e custodirlo, anche in vista del futuro. Come l'agire morale del singolo si realizza nel compiere il bene, così l'agire sociale giunge a pienezza realizzando il bene comune. Il bene comune, infatti, può essere inteso come la dimensione sociale e comunitaria del bene morale.

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Si è tenuto ieri in parrocchia il secondo incontro del ciclo Immischiati, sulla dottrina sociale della Chiesa. Ci si propone di fondare e stimolare un nuovo impegno in politica delle persone di fede, secondo gli auspici del papa Francesco.
 L’incontro si è appunto aperto con alcune immagini da un’udienza del Papa in cui egli  invitava i fedeli a lavorare in politica. La politica non è forse considerata una cosa sporca perché le persone di fede se ne sono allontanate?, si è chiesto. Questo dimostra che viene veramente da molto lontano. Le persone di fede, in Italia, non si sono mai allontanate dalla politica.
  Per dare un’idea della politica sporca sono state proiettate alcune immagini dal film Gli onorevoli, del 1963, con Totò e altri grandi del cinema italiano, in cui il personaggio interpretato da Totò viene spinto a candidarsi alle elezioni politiche dal partito monarchico, ma scopre che è stato scelto solo per imbrogliare gli elettori, promettendo cose per cui il partito non intende veramente impegnarsi, dal momento che i suoi esponenti intendono solo ricavare profitti personali dalla politica. Questa, è stato spiegato, è la politica come dominio degli altri per fini personali, al servizio di chi la pratica, non degli altri.
  La politica è  dominio, perché governa la società, ma è anche servizio, è stato osservato. Ma servizio per sé stessi o per gli altri?. Secondo i relatori dell’incontro, la dottrina sociale della Chiesa propone una politica che è dominio di sé per il servizio degli altri, a differenza del liberalismo che proporrebbe l’individualismo basato sugli interessi dei singoli individui e del socialismo che negherebbe la libertà per dirigere gli altri verso certi progetti politici ideati a fini altruistici (dominio degli altri al servizio degli altri). Questa impostazione è veramente discutibile e rimanda inutilmente alla prima polemica della dottrina sociale della Chiesa con il liberalismo e il socialismo, dai quali i vegliardi che hanno emanato la dottrina sociale  hanno faticosamente imparato il rispetto  politico per la persona umana, la giustizia sociale e, soprattutto, ma molto lentamente, la democrazia.
 La dottrina sociale ha cominciato ad occuparsi delle masse, senza considerarle semplicemente un insieme di sudditi, dopo un secolo di liberalismo e ha cominciato a pensare alla giustizia sociale dopo circa mezzo secolo di movimenti socialisti. Ha cominciato a trattare di impegno sociale delle persone di fede dopo circa vent’anni nei quali esso era attivamente praticato in Europa. Si era nell’Ottocento. Proveniva da posizioni retrivamente reazionarie in politica, e in Italia avverse al processo di unificazione nazionale, e le ha mantenute a lungo, fulminando, agli inizi del Novecento, i democratici di fede che ai tempi nostri vuole invece incoraggiare. Per i papi Pecci e Sarto, agli inizi del Novecento, modernismo e democrazia politica  facevano tutt’uno, erano eresie antireligiose.
  Senza le conquiste politiche del liberalismo, i vegliardi della dottrina sociale starebbero ancora, forse, a bruciare gli eretici in piazza.
  Senza le conquiste dei movimenti socialisti sarebbero, forse, sulla medesima linea rinunciataria in materia di conquiste  sociali espressa dal papa Pecci nell’enciclica Le novità, del 1891, considerato il primo documento della moderna dottrina sociale della Chiesa:
1 - Necessità delle ineguaglianze sociali e del lavoro faticoso
14. Si stabilisca dunque in primo luogo questo principio, che si deve sopportare la condizione propria dell'umanità: togliere dal mondo le disparità sociali, è cosa impossibile. Lo tentano, è vero, i socialisti, ma ogni tentativo contro la natura delle cose riesce inutile. Poiché la più grande varietà esiste per natura tra gli uomini: non tutti posseggono lo stesso ingegno, la stessa solerzia, non la sanità, non le forze in pari grado: e da queste inevitabili differenze nasce di necessità la differenza delle condizioni sociali. E ciò torna a vantaggio sia dei privati che del civile consorzio, perché la vita sociale abbisogna di attitudini varie e di uffici diversi, e l'impulso principale, che muove gli uomini ad esercitare tali uffici, è la disparità dello stato. Quanto al lavoro, l'uomo nello stato medesimo d'innocenza non sarebbe rimasto inoperoso: se non che, quello che allora avrebbe liberamente fatto la volontà a ricreazione dell'animo, lo impose poi, ad espiazione del peccato, non senza fatica e molestia, la necessità, secondo quell'oracolo divino: Sia maledetta la terra nel tuo lavoro; mangerai di essa in fatica tutti i giorni della tua vita (Gen 3,17). Similmente il dolore non mancherà mai sulla terra; perché aspre, dure, difficili a sopportarsi sono le ree conseguenze del peccato, le quali, si voglia o no, accompagnano l'uomo fino alla tomba. Patire e sopportare è dunque il retaggio dell'uomo; e qualunque cosa si faccia e si tenti, non v'è forza né arte che possa togliere del tutto le sofferenze del mondo. Coloro che dicono di poterlo fare e promettono alle misere genti una vita scevra di dolore e di pene, tutta pace e diletto, illudono il popolo e lo trascinano per una via che conduce a dolori più grandi di quelli attuali. La cosa migliore è guardare le cose umane quali sono e nel medesimo tempo cercare altrove, come dicemmo, il rimedio ai mali.  
  Storicamente il liberalismo ha insegnato anche ai socialisti il rispetto della persona, e i socialisti al liberalismo l’esigenza di giustizia sociale per il mantenimento della pace e del benessere sociale.
 Il liberalismo è portatore di un’etica pubblica molto esigente, come emerge, ad esempio, nell’esperienza storica degli Stati Uniti d’America. Esso insegna ai potenti a non abusare del loro potere e ad accettare di rendere conto del suo esercizio, e a ciascuno insegna a rispettare la persona e i beni degli altri. Capisce bene che l’ordine sociale richiede istituzioni pubbliche forti e infatti le genera (gli stati liberali sono stati storicamente sistemi sociali ordinati, non dissoluti), pur creando meccanismi giuridici perché nessuna di essa prevalga arbitrariamente, ma ritiene che esse non debbano invadere totalmente le vite dei cittadini: occorre lasciare uno spazio di autonomia alla società civile. E’ dal liberalismo che la Chiesa ha imparato ciò che le è servito per proclamare il cosiddetto principio di sussidiarietà (i poteri superiori devono rispettare le autonomie locali), che insegna e tuttavia non pratica al suo interno, come del resto accade anche in altre materie.  Il liberalismo è entrato in conflitto con la gerarchia cattolica in quanto e fino a che quest’ultima dal Settecento mantenne la sua antica alleanza con i sovrani assoluti che pretendevano di continuare a dominare da despoti il continente, contrastando gli sviluppi democratici.
 Il socialismo nacque in Europa come forza di liberazione sociale, nella specie come movimento per l’elevazione sociale e l’autoliberazione delle masse sfruttate da oligarchie economiche che usavano anche la religione per perpetuare il proprio potere dispotico,  e lo è rimasto  ancora oggi nella versione corrente nell’Europa occidentale. Esso è una delle grandi forze politiche che, insieme ai democratici cristiani, regge la nostra nuova Europa unita, fondata sulla democrazia, i diritti universali, il rispetto della persona umana, l’intervento attivo per correggere i mali sociali. La versione sovietica, che per  circa settant’anni dominò le popolazioni dell’antico impero russo e dal secondo dopoguerra tutta l’Europa orientale, ne va considerata una degenerazione proprio perché, contro gli obiettivi ideologici dichiarati dal socialismo,  creò un regime totalitario e illiberale, non più fondato sui soviet,  le assemblee di base del popolo lavoratore, ma su un’estesissima polizia politica e sulla repressione durissima dei dissenzienti, secondo i costumi che a lungo, e per certi versi ancora oggi secondo i suoi critici, sono praticati nella Chiesa cattolica, uno degli ultimi sistemi politici totalitari nel mondo (e non solo nel suo piccolo regno vaticano romano).
 Nell’incontro di ieri è stato ricordato che il bene comune   non consiste in un insieme di beni materiali, ma nell'insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono sia alle collettività sia ai singoli membri, di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più celermente (secondo quanto si legge nel brano del Compendio della dottrina sociale della Chiesa che ho sopra trascritto e che cita un passo della costituzione Luce per le genti  del Concilio Vaticano 2°). Ha quindi natura relazionale e corrisponde alla natura relazionale della persona umana affermata dalla dottrina sociale. L’essere umano, per quest’ultima, non è un solo un individuo separato dagli altri, né una parte di un ingranaggio sociale, ma un essere in relazione, che solo nella relazione con gli altri realizza pienamente la sua umanità.
  Per far capire questa idea di bene comune sono state proiettate alcune scene dal film Acqua e sapone, del 1983, diretto e interpretato da Carlo Verdone, in cui si vede il protagonista, un professore di lettere, che viene continuamente interrotto e disturbato dalla nonna (Lella Fabrizi) mentre cerca faticosamente di insegnare l’italiano a degli  adulti, tre africani e un italiano. In quel contesto il professore non riesce a fare lezione perché non ci sono le condizioni giuste per farlo e la piccola comunità, composta dal professore e dai suoi allievi, non riesce a raggiungere i fini che si propone. Il bene comune come lo intende la dottrina sociale consiste appunto nello sforzo di creare le condizioni giuste per la realizzazione più piena della persona umana.
 Chi deve operare per il bene comune?
 Tutti noi e non solo con il voto.
 La dottrina sociale sul bene comune invita a non prendersela solo con gli altri, ma  iniziare col fare la propria parte. Inutile cercare capri espiatori, su cui riversare di volta in volta la responsabilità del male che c’è e finirla lì.
 Per far intendere la politica basata sul capro espiatorio sono state proiettate alcune scene del film  Il cavaliere oscuro, del 2008, in cui il personaggio di Batman, per consentire alla città di continuare a credere all’immagine positiva di un magistrato paladino contro la criminalità che invece ad un certo punto era degenerato e aveva iniziato a farsi giustizia da sé, si accolla i delitti del magistrato e accetta di divenire, appunto, un capro espiatorio.
  Occorre fare dovunque la propria parte, anche nelle piccole comunità locali in cui siamo inseriti, anche nelle parrocchie. Non dobbiamo far conto solo su altri che vengano a risolvere i nostri problemi, ma chiederci se e come noi stessi possiamo fare qualcosa.
 E' sicuramente condivisibile l'esigenza etica di non prendersela solo con i capi per i mali sociali, ma certamente occorre anche, in politica, comprendere bene il senso della storia in cui ci si inserisce, nella quale le responsabilità aumentano man mano che cresce il potere che si è esercitato. La critica realistica dei poteri sociali è la base dei sistemi democratici. In democrazia i poteri sociali di solito, per la complessità delle società contemporanee, non si concentrano più solo nelle persone dei  maggiori esponenti politici, ad esempio in un presidente di una Repubblica, un regnante o un papa. Dietro ogni potere c'è un processo sociale e ci sono condizioni che lo favoriscono. In questo senso occorre considerarci tutti responsabili  dei mali sociali e impegnati al loro risanamento. Individuare quale sia, in concreto, ilbene comune  è lavoro che richiede il dialogo democratico. Altrimenti la vita pubblica diventa solo un conflitto disordinato di interessi, in cui, a seconda delle maggioranze che di volta in volta si riescono a formare coalizzandone alcuni, prevalgono alcuni a scapito degli altri.
 La brevità dell’incontro, poco meno di un’ora, non ha consentito di chiarire meglio il nesso tra  bene comune  e democrazia del quale la dottrina sociale degli ultimi cinquant’anni è ben consapevole, tanto che il brano del Compendio riguardante il significato dell’espressione bene comune che ho sopra citato si apre con l’affermazione “Dalla dignità, unità e uguaglianza di tutte le persone deriva innanzi tutto il principio del bene comune”, che rimanda agli ideali liberali democratici difraternità  e  uguaglianza. L’ideale dell’unità  delle persone umane, nella dignità ed eguaglianza, rimanda invece al socialismo storico. E quello della libertà, l’altro pilastro del liberalismo? La libertà, nella dottrina sociale, è ancora una  difficile  libertà, nel senso che è ancora il lato più ostico, per i vegliardi che la promulgano, di quel campo della teologia. Del resto essi sono ancora organizzati come un anacronistico impero religioso, con autorità che pretendono di essere obbedite senza tante storie, appunto ciò che le democrazie avversano come non degno di una persona umana. Ma sono ancora a scuola di democrazia nel mondo che li circonda e sono studenti un po' meno ostici di un tempo.


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Terzo incontro del ciclo Immìschiati, sulla solidarietà nella dottrina sociale della Chiesa

Dal Compendio della dottrina sociale della Chiesa (2004)

sul WEB all’indirizzo
http://www.vatican.va/roman_curia/pontifical_councils/justpeace/documents/rc_pc_justpeace_doc_20060526_compendio-dott-soc_it.html

La solidarietà come principio sociale e come virtù morale
193 Le nuove relazioni di interdipendenza tra uomini e popoli, che sono, di fatto, forme di solidarietà, devono trasformarsi in relazioni tese ad una vera e propria solidarietà etico-sociale, che è l'esigenza morale insita in tutte le relazioni umane. La solidarietà si presenta, dunque, sotto due aspetti complementari: quello di principio sociale  e quello di virtù morale.
La solidarietà deve essere colta, innanzi tutto, nel suo valore di principio sociale ordinatore delle istituzioni, in base al quale le « strutture di peccato », che dominano i rapporti tra le persone e i popoli, devono essere superate e trasformate in strutture di solidarietà, mediante la creazione o l'opportuna modifica di leggi, regole del mercato, ordinamenti.
La solidarietà è anche una vera e propria virtù morale, non un « sentimento di vaga compassione o di superficiale intenerimento per i mali di tante persone, vicine o lontane. Al contrario, è la determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune: ossia per il bene di tutti e di ciascuno, perché tutti siamo veramente responsabili di tutti ». La solidarietà assurge al rango di virtù sociale fondamentale poiché si colloca nella dimensione della giustizia, virtù orientata per eccellenza al bene comune, e nell'« impegno per il bene del prossimo con la disponibilità, in senso evangelico, a “perdersi” a favore dell'altro invece di sfruttarlo, e a “servirlo” invece di opprimerlo per il proprio tornaconto (cf. Mt 10,40-42; 20,25; Mc 10,42-45; Lc 22,25-27) ».
Solidarietà e crescita comune degli uomini
194 Il messaggio della dottrina sociale circa la solidarietà mette in evidenza il fatto che esistono stretti vincoli tra solidarietà e bene comune, solidarietà e destinazione universale dei beni, solidarietà e uguaglianza tra gli uomini e i popoli, solidarietà e pace nel mondo. Il termine « solidarietà », ampiamente impiegato dal Magistero, esprime in sintesi l'esigenza di riconoscere nell'insieme dei legami che uniscono gli uomini e i gruppi sociali tra loro, lo spazio offerto alla libertà umana per provvedere alla crescita comune, condivisa da tutti. L'impegno in questa direzione si traduce nell'apporto positivo da non far mancare alla causa comune e nella ricerca dei punti di possibile intesa anche là dove prevale una logica di spartizione e frammentazione, nella disponibilità a spendersi per il bene dell'altro al di là di ogni individualismo e particolarismo.
195 Il principio della solidarietà comporta che gli uomini del nostro tempo coltivino maggiormente la consapevolezza del debito che hanno nei confronti della società entro la quale sono inseriti: sono debitori di quelle condizioni che rendono vivibile l'umana esistenza, come pure di quel patrimonio, indivisibile e indispensabile, costituito dalla cultura, dalla conoscenza scientifica e tecnologica, dai beni materiali e immateriali, da tutto ciò che la vicenda umana ha prodotto. Un simile debito va onorato nelle varie manifestazioni dell'agire sociale, così che il cammino degli uomini non si interrompa, ma resti aperto alle generazioni presenti e a quelle future, chiamate insieme, le une e le altre, a condividere, nella solidarietà, lo stesso dono.
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 Ieri sera, in parrocchia, in sala rossa, si è tenuto il terzo incontro del ciclo Immìschiati,   sulla solidarietà secondo la dottrina sociale della Chiesa.
 Si è iniziato mettendo in evidenza il collegamento tra il valore e la pratica della solidarietà e il bene comune.
 E’ stata proiettata una sequenza del film A Beautiful mind - Una mente meravigliosa, del 2001, che racconta la vita del matematico statunitense John Nash, premio Nobel nel 1994, ideatore della teoria economica detta dei  giochi  (1950).
 In un bar il giovane Nash, studente nell’università di Princeton, e i suoi colleghi di studi notano un gruppo di belle ragazze, tra le quali una appare la più attraente. Gli altri studenti propongono di cercare tutti un approccio con quest’ultima, per vedere chi l’avrebbe conquistata. Nash sostiene che, facendo così, combattendo ognuno solo nel proprio interesse, tutto il gruppo sarebbe rimasto senza ragazza. Infatti, puntando tutti insieme sulla ragazza più bella, si sarebbero ostacolati a vicenda e nessuno l’avrebbe conquistata. Poi si sarebbero rivolti alle altre, ma queste ultime li avrebbero rifiutati perché nessuna avrebbe voluto essere un ripiego, una seconda scelta. Per il giovane Nash, nel film, la soluzione giusta era quella di puntare alle altre, dividendosi gli obiettivi: così tutti avrebbero avuto una ragazza. Quindi bisognava pensare nell’interesse proprio, ma anche nell’interesse del gruppo. Sviluppando il ragionamento, il giovane Nash osserva come la prima strategia corrisponde a quella consigliata dall’economista scozzese Adam Smith (1723-1790), capostipite del pensiero economico moderno, secondo il quale, in una condizione di uguaglianza giuridica, se ciascuno punta al proprio interesse non è necessario un intervento regolatore pubblico, perché una mano invisibile  consente che sia assicurato anche l’interesse generale. Per Nash, invece, quest’ultimo si realizza quando ciascuno, facendo il proprio interesse, prende in considerazione anche quello del gruppo.
  Il relatore ha sostenuto che con la caduta dei regimi socialisti dell’Europa Orientale e con la vittoria su quei sistemi politici delle nazioni coalizzate nella NATO, il Trattato del Nord Atlantico, alleanza politico-militare che dal 1949 riunisce nazioni occidentali europee,   Canada e Stati Uniti d’America, si è diffusa nel mondo l’ideologia liberale che spinge le persone all'individualismo, a fare solo il proprio interesse nelle relazioni sociali ed economiche.
 Non condivido questa visione di quel processo storico. Se il crollo dei regimi socialisti dell’Europa orientale fosse conseguito veramente ad una vittoria  della NATO, il mondo come oggi lo viviamo probabilmente non esisterebbe più, perché ci sarebbe stata una guerra nucleare globale. Quei regimi socialisti si disgregarono perché erano nati e si erano sviluppati come sistemi politici autoritari e totalitari e non avevano mai realizzato quella liberazione di tutti gli esseri umani, in particolare di tutti i lavoratori, che fin dalle origini era l’obiettivo dei movimenti socialisti. Non si disgregarono  in quanto socialisti, ma perché erano rimasti socialisti solo di nome. Erano dominati da una nomenklatura,  da una burocrazia politica, che tiranneggiava i lavoratori in modo simile a ciò che accadeva nei sistemi capitalistici da parte dei capitalisti. La forza propulsiva  del socialismo sovietico si era da tempo esaurita, come osservò nel 1981 l’italiano Enrico Berlinguer. Non ne fu possibile la riforma, tentata, avviata, dal presidente sovietico Mikhail Gorbaciov negli anni ’80. Le ragioni di questo fallimento sono in buona parte quelle all’origine della crisi dell’Unione Europea contemporanea, grande sistema politico continentale multinazionale che vuole essere fondato sulla libertà civili, uguaglianza in dignità e, appunto, solidarietà. La rinuncia alla violenza politica da parte del Gorbaciov, sia all’interno dell’Unione Sovietica che verso i regimi satelliti dell’Europa Orientale, consentì la metamorfosi in senso occidentale dei regimi politici che avevano assoggettato i russi e tanti altri popoli di quello che era diventato un impero  sovietico, erede e in fondo emulo di quello zarista. La stessa NATO rimase sorpresa della loro velocissima dissoluzione. Karol Wojtyla, profondo loro conoscitore, fu tra i pochi nel mondo ad intuirne i prodromi. La transizione pacifica verso sistemi politici di democrazia avanzata di tipo Occidentale fu possibile per l’intesa che si sviluppò tra il Gorbaciov, il suo successore Boris Eltsin e il cancelliere della Germania Federale Helmut Kohl (che fu capo del governo tedesco dal 1982 al 1998), democratico cristiano.
 Nell’Europa occidentale si era invece sviluppato un socialismo dal volto umano. Esso ha collaborato a costruire l’Unione Europea e ne è parte fondamentale, insieme alle componenti democratico-cristiane e liberali. Il sistema dei diritti umani fondamentali su cui si fonda la nostra nuova Europa, un insieme politico fortemente solidaristico, è anche frutto del socialismo dell’Europa Occidentale. In particolare è un fecondo esempio di economia solidale fecondo quello della Germania contemporanea con la sua economia sociale di mercato, marcatamente divergente dal liberismo economico promosso negli anni ’80 dal governo britannico di Margaret Thatcher e da quelli statunitensi dei presidenti federali Ronald Reagan e George H.W. Bush.
  Certamente dagli anni ’80 si è sviluppata, a livello mondiale, un’economia liberista poco sensibile alle istanze solidaristiche. Al suo centro c’è lo sviluppo delle individualità e dei loro interessi. Crede ancora, tutto sommato, nella mano invisibile di cui scrisse Adam Smith nel Settecento, quindi in una regolazione spontanea dei mercati che consentirebbe di realizzare l’interesse generale. Tuttavia a livello globale manca una condizione fondamentale che secondo Smith poteva consentire quel meccanismo di automatica regolazione dell’economia, vale a dire l’uguaglianza giuridica. Di fatto, le ricorrenti crisi economiche a livello mondiale dimostrano l’esigenza di interventi correttivi molto penetranti da parte dei poteri pubblici, azione che è difficile da attuare a livello globale e che l’Unione Europea sta tentando di organizzare a livello continentale, basandosi sulla solidarietà politica che è alla base del patto fondativo delle 28 nazioni che la compongono.
 Il giovane relatore che ci ha intrattenuto nella prima parte dell’incontro ha fatto vari esempi di insufficienza di comportamenti basati sul solo interesse individuale.
 La piccola autovettura Smart è comoda per parcheggiare, risponde bene alle esigenze individuali, ma porta solo due persone. Non va bene per un famiglia più numerosa, ad esempio con figli. Non c’è spazio per più di due persone.
  Gli appartamenti che vengono proposti alle giovani coppie sono piccoli e vanno bene per due persone. Ma se arrivano figli o anche amici?
  Usiamo dei condizionatori per rinfrescare gli ambienti domestici d’estate. Buttano aria fredda dentro e aria calda fuori. Quindi si raffreddano gli ambienti privati, ma si riscaldano quelli fuori, la città, l’ambiente in cui tutti vivono  parte della loro vita.
 Sull’autostrada può accadere di dover andare in fila, molto lenti, per il traffico. C’è chi allora percorre la corsia di emergenza, massimizzando l’utile individuale. Ma se tutti facessero in quel modo, dove transiterebbero i veicoli dei servizi di emergenza?
 La solidarietà, ci è stato detto, ha a che fare con il bene comune. Siamo tutti interdipendenti, per essere veramente felici abbiamo bisogno degli altri. Il bene comune è quello che consente di essere veramente felici e non si misura solo in termini di ricchezza monetaria.
 L’insufficienza dei sistemi politici liberali e socialisti risiede, è stato detto, nel fatto che danno troppa importanza alla moneta. I liberali vogliono che la ricchezza fluisca in mani private, i socialisti vogliono omologare la gente realizzando un’uguaglianza in ricchezza. E’ una visione piuttosto semplicistica e non condivisibile di queste ideologie. Il liberalismo politico e filosofico propone un’etica forte, non pensa di instaurare regimi dissoluti in cui l’utile privato vada a scapito dell’interesse generale. Uno dei principi cardine del liberalismo è l’eguaglianza in dignità, il rispetto di tutte le persone umane e dei loro beni. E’ un’ideologia che si è formata in contrapposizione con regimi politici assolutistici. Pretende che tutti possano partecipare democraticamente alla gestione della cosa pubblica. Quanto al socialismo non bisogna prendere come riferimento solo quello realizzato in Unione Sovietica e nei Paesi da essa dominati, che del socialismo fu una progressiva degenerazione. Il socialismo, in particolare quello marxista, nacque e si sviluppò come forza di liberazione delle masse dei lavoratori che nei sistemi economici capitalistici si trovavano nella condizione di schiavi, a stento con i mezzi minimi di sussistenza, senza possibilità di riscatto, esclusi dalla politica di governo. Anch’esso volle realizzare l’uguaglianza in dignità di tutti gli esseri umani, mediante la trasformazione dei sistemi di produzione economica, visti come origine dei problemi politici. Nonostante che i documenti della dottrina sociale siano stati fin dall’inizio fortemente polemici con il socialismo, la critica sociale in essa contenuta dipende in gran parte proprio dalle argomentazioni socialiste. In definitiva, la dottrina sociale è debitrice sia del liberalismo sia del socialismo, presentando tuttavia aspetti caratteristici propri di origine teologica.
 E’ stato detto che la politica solidale insegnata dalla dottrina sociale della Chiesa punta alla felicità delle persone, non solo all’aumento della ricchezza monetaria. Questa è un’idea sviluppata a fine Settecento dai rivoluzionari  liberali statunitensi. Essi, nell’atto fondativo del nuovo stato federale che si separava dal regno inglese, dichiararono che ogni essere umano ha diritto alla ricerca della felicità.
“Noi riteniamo che sono per se stesse evidenti queste verità: che tutti gli uomini sono creati eguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti sono la Vita, la Libertà, e il perseguimento della Felicità; che per garantire questi diritti sono istituiti tra gli uomini governi che derivano i loro giusti poteri dal consenso dei governati; che ogni qualvolta una qualsiasi forma di governo tende a negare questi fini, il popolo ha diritto di mutarla o abolirla e di istituire un nuovo governo fondato su tali principi e di organizzarne i poteri nella forma che sembri al popolo meglio atta a procurare la sua Sicurezza e la sua Felicità.
[Dalla Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti d’America, 4 luglio 1776]
   Sull’insufficienza della ricchezza monetaria, valutabile in termini monetari come si fa con l’indice economico del Prodotto Interno Lordo “P.I.L.”, sono state ricordate le parole di Robert Kennedy, “Bob”, fratello del presidente John F. Kennedy, “Jack”, ministro federale della giustizia sotto la presidenza del fratello, assassinato nel 1968 mentre svolgeva da candidato la campagna elettorale per le elezioni presidenziali:
«Con troppa insistenza e troppo a lungo, sembra che abbiamo rinunciato alla eccellenza personale e ai valori della comunità, in favore del mero accumulo di beni terreni. Il nostro Pil ha superato 800 miliardi di dollari l'anno, ma quel PIL - se giudichiamo gli USA in base ad esso - comprende anche l'inquinamento dell'aria, la pubblicità per le sigarette e le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine settimana. Il Pil mette nel conto le serrature speciali per le nostre porte di casa e le prigioni per coloro che cercano di forzarle. Comprende il fucile di Whitman e il coltello di Speck, ed i programmi televisivi che esaltano la violenza al fine di vendere giocattoli ai nostri bambini. Cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari e non fa che aumentare quando sulle loro ceneri si ricostruiscono i bassifondi popolari. Comprende le auto blindate della polizia per fronteggiare le rivolte urbane. Il Pil non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia, la solidità dei valori famigliari o l'intelligenza del nostro dibattere. Il Pil non misura né la nostra arguzia, né il nostro coraggio, né la nostra saggezza, né la nostra conoscenza, né la nostra compassione, né la devozione al nostro Paese. Misura tutto, in poche parole, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta. Può dirci tutto sull'America ma non se possiamo essere orgogliosi di essere americani».
[da un discorso pronunciato il 18-3-1968 nell’Università del Kansas]
  La nostra felicità dipende dagli altri perché siamo tutti interdipendenti, e questo è sempre più manifesto nelle società globalizzate dei nostri tempi. E dipende anche dalle relazioni positive tra le persone, non solo dalla ricchezza che ciascuno riesce a conseguire in società.
 Per rendere un’idea di questo concetto è stata proiettata una sequenza del film del 2010, del regista Daniele Luchetti, La nostra vita. In cui un uomo, che aveva perduto la moglie e si era trovato a subire rovesci di fortuna sul lavoro è sostenuto dal fratello e la sorella, i quali, in un momento di sua disperazione gli dicono che  ci saranno sempre.
  Affrontare la vita con spirito solidale significa anche mettere nel lavoro che ci è stato assegnato qualcosa di più, non solo il minimo contrattuale, ma qualcosa che spinga gli altri ad essere riconoscenti dicendo “grazie!”, rinsaldando la trama della società, riconoscendosi debitori gli uni degli altri. Dirci grazie  gli uni gli altri per quel di più che mettiamo nei compiti che svolgiamo è un modo per riscoprire le relazioni positive che sono alla base della solidarietà sociale.
   Gli altri possono darci la felicità, sono necessari per la nostra felicità, perché siamo compatibili  gli uni con gli altri.
 Non dobbiamo pensare alla solidarietà come a un sentimento vago, né confonderla con l’elemosina. E’ un atteggiamento di vita con rilevanti aspetti pratici. Non si deve essere solidali a intermittenza, ma sempre. Karol Wojtyla, nell’enciclica  La sollecitudine sociale, del 1988, lo descrisse come «la determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune: ossia per il bene di tutti e di ciascuno, perché tutti siamo veramente responsabili di tutti». Si è solidali anche, ad esempio, praticando con costanza la differenziazione dei rifiuti, quindi separando la carta, l'umido, la plastica e il vetro da tutto il resto, che è più difficilmente riciclabile. Lo si fa nell'interesse generale, ma anche nel proprio perché ci saranno meno rifiuti da distruggere, ad esempio negli inceneritori o con altre tecniche che comunque hanno ripercussione sull'ambiente in cui si vive, e recuperare materiale da riciclare e da mettere di nuovo sul mercato abbasserà i costi del servizio di raccolta dei rifiuti. E' una pratica che va fatta tutti i giorni, con costanza, cambiando abitudini che si hanno da molto tempo.
 Si tiene conto degli altri e anche delle generazioni più giovani: i più anziani danno la vita ai giovani ma devono anche  lasciare un ambiente e le risorse che consentano ai più giovani di vivere. Poi i più giovani sosterranno gli anziani, ad esempio versando contributi previdenziali con i quali saranno pagate le pensioni d'anzianità. 
  Per far comprendere la pratica  della solidarietà secondo la dottrina sociale della Chiesa, è’ stata proiettata una sequenza del film Bianco come il latte, rosso come il sangue,  del 2013, del regista Giacomo Campiotti, in cui un ragazzo minorenne che si era iscritto, falsificando la firma dei genitori, come donatore di midollo, per curare la leucemia di una compagna di scuola della quale si era innamorato, Beatrice, con la quale però era risultato non compatibile, viene chiamato per donare il midollo per un’estranea, con la quale invece risulta compatibile. I genitori all’inizio si oppongono, ma poi, anche per l’intervento della fidanzata del ragazzo, accettano, comprendendo la bellezza dell’altruismo del figlio, che è diventato una bella persona anche per merito loro. Nel film, poi, il ragazzo assiste alla gioia del marito della donna che si è salvata da una malattia ematologica ricevendo il suo midollo. Siamo compatibili, per questo possiamo salvarci la vita gli uni gli altri. La solidarietà salva. Si tratta di un’esperienza che ho fatto personalmente, perché sono sopravvissuto solo per la donazione del midollo fatta da mio fratello Lucio nel 2004: io e lui adesso abbiamo lo stesso sangue e il suo sangue finora mi ha protetto da recidiva di malattia.
  “Il principio della solidarietà comporta che gli uomini del nostro tempo coltivino maggiormente la consapevolezza del debito che hanno nei confronti della società entro la quale sono inseriti”, si legge nel brano del Compendio  che ho sopra trascritto e che è stato letto ieri sera. Siamo interdipendenti  e  compatibili: per questo la nostra felicità dipende dalla società in cui viviamo, da come realizza, solidalmente,  il bene comune.


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Quarto incontro del ciclo Immìschiati, sulla sussidiarietà

[Dal  Compendio della dottrina sociale della Chiesa (2004), leggibile per intero sul WEB all’indirizzo
http://www.vatican.va/roman_curia/pontifical_councils/justpeace/documents/rc_pc_justpeace_doc_20060526_compendio-dott-soc_it.html ]

185 La sussidiarietà è tra le più costanti e caratteristiche direttive della dottrina sociale della Chiesa, presente fin dalla prima grande enciclica sociale. È impossibile promuovere la dignità della persona se non prendendosi cura della famiglia, dei gruppi, delle associazioni, delle realtà territoriali locali, in breve, di quelle espressioni aggregative di tipo economico, sociale, culturale, sportivo, ricreativo, professionale, politico, alle quali le persone danno spontaneamente vita e che rendono loro possibile una effettiva crescita sociale.  È questo l'ambito della società civile, intesa come l'insieme dei rapporti tra individui e tra società intermedie, che si realizzano in forma originaria e grazie alla « soggettività creativa del cittadino ». La rete di questi rapporti innerva il tessuto sociale e costituisce la base di una vera comunità di persone, rendendo possibile il riconoscimento di forme più elevate di socialità.
186 […] In base a tale principio, tutte le società di ordine superiore devono porsi in atteggiamento di aiuto (« subsidium »— quindi di sostegno, promozione, sviluppo — rispetto alle minori. In tal modo, i corpi sociali intermedi possono adeguatamente svolgere le funzioni che loro competono, senza doverle cedere ingiustamente ad altre aggregazioni sociali di livello superiore, dalle quali finirebbero per essere assorbiti e sostituiti e per vedersi negata, alla fine, dignità propria e spazio vitale.

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 Ieri sera si è tenuto, in parrocchia, in sala rossa, il quarto incontro del ciclo Immìschiati,  sulla sussidiarietà.
 All’inizio è stata proiettata una breve sequenza del film-cartone animato  La Nuova Avventura di ScratUna ghianda è per sempre(2006), dove il protagonista, lo scoiattolo Scrat, prima tenta di incastrare, facendo forza, l’ultima ghianda tra tante che ha accumulato in un tronco di un albero cavo, poi dopo che l’albero si è crepato, precipita nel vuoto, dal punto molto alto in cui si trovava l’albero, insieme alla  montagna di ghiande, tentando disperatamente di recuperarle e di compattarle insieme in volo, per un po’ ci riesce, ma sta sempre cadendo con tutte le ghiande, e quindi alla fine si abbatte sulla neve con tutte le ghiande.
   Ci è stato detto che viviamo in tempi simili a quelli del volo di Scrat nel vuoto.
   Fino agli anni ’80 erano in lotta due sistemi politici, uno basato sull’idea di libertà e l’altro su quella di uguaglianza. Il docente che ne parlava si riferiva a quello basato sull’economia di mercato e a quello basato sull’economia socialista. Ad un certo punto [tra il 1989 e il 1991, nota mia] ha vinto il primo e si è pensato di liberare l’economia da impacci delle regole date dagli stati alla libera attività d’impresa, per spingere la gente ad accumulare il più possibile, come Scrat nell’albero cavo con le sue ghiande [è ciò che negli Stati Uniti d'America sotto la presidenza di Ronald Reagan si era cominciato a chiamare deregulation (=deregolamentazione); nota mia]. Questa libertà di accumulare con poche regole ha fatto saltare il sistema, ha causato un crack, una crepatura nel sistema, appunto come nel cartone animato, e tutto ha cominciato a cadere nel vuoto, tra il 2001 e il 2006. Ci troviamo ancora in questa fase. Come Scrat, a volte, ci sembra di poter recuperare, di mettere insieme ciò che si era disperso cadendo, ad esempio ci rincuoriamo per un aumento minimo dell’occupazione o se la differenza tra i tassi d’interesse del nostro debito pubblico e quelli delle nazioni più forti, il cosiddetto  spread, si abbassa, ma in realtà stiamo ancora cadendo e non si riesce a vedere la fine di questa caduta.
  Il problema, ci è stato spiegato, è che abbiamo puntato tutto sulla libertà  e sull’uguaglianza, ma si tratta di principi che tendenzialmente confliggono. L’uguaglianza  ci omologa e tende a limitare la nostra libertà. La libertà ci fa meno uguali.
 La dottrina sociale invita ad agire anche secondo il principio della fraternità.
 Libertà, uguaglianza  e  fraternità erano del resto i grandi principi che, all’epoca in cui in Europa originarono le democrazia contemporanee, a fine Settecento, vennero considerati fondamentali.
  Siamo stati invitati, a questo punto, a rispondere ad alcune domande, un vero e proprio test.
 Chi si sente veramente libero?, è stato chiesto. Nessuno si sentiva veramente libero.
 Chi si sente veramente uguale  a un altro? Nessuno.
 Poi è stato chiesto chi avesse avuto l’esperienza della vita con un fratello. Molti.
 L’esperienza della fraternità è profondamente umana e cambia il modo di considerare le cose quando si prendono delle decisioni. Allora non teniamo conto solo della nostra libertà e dell’esigenza dell’uguaglianza, ma anche della relazione di vita con queste persone di famiglia con le quali siamo legati da un profondo affetto.
 E’ stato fatto un esempio tratto dalla vita personale del docente che ci parlava. Il suo fratello maggiore, che usava il telefono cellulare per lavoro, voleva cambiarlo con un altro più potente ed evoluto. Ha proposto al docente di acquistarlo; il ricavato sarebbe servito al maggiore per pagare parte del prezzo del nuovo telefono. Poi il secondogenito poteva vendere il suo vecchio telefono alla sorella e quest’ultima il suo vecchio al fratellino più piccolo, che andava ancora a scuola.  Il docente però aveva il denaro per acquistare il telefono vecchio del fratello maggiore, ma la sorella non aveva i soldi per acquistare il suo vecchio e tanto meno il ragazzo più piccolo quello vecchio della sorella. Il sistema basato sull’economia di mercato non avrebbe consentito a tutti di rinnovare il proprio telefono. In base al principio di uguaglianza si sarebbe potuto vendere il telefono del fratello più grande e, con il ricavato, acquistare  tutti lo stesso telefono, ma così il fratello più grande avrebbe avuto un telefono insufficiente per il suo lavoro e il più piccolo un telefono con prestazioni troppo potenti per quello che gli serviva. Allora, i fratelli, sulla base del principio di fraternità, hanno deciso che i tre minori avrebbero dato al maggiore ciò che avevano a disposizione per acquistare un telefono, e lui si sarebbe accontentato: poi il secondogenito avrebbe donato alla sorella il suo telefono vecchio e la sorella il suo vecchio all’ultimogenito: così tutti i fratelli hanno avuto un telefono adeguato alle loro esigenze.
   E’ stata poi proiettata una sequenza del film La ricerca della felicità(2006), del regista Gabriele Muccino, con Will Smith, in cui il protagonista parla con il figlio bambino in un campetto di basket, con il seguente dialogo:
Figlio: Guarda pa’, diventerò un professionista!
Chris: Sì, cioè, non lo so. Forse giocherai più o meno come giocavo io. È così che funziona, sai, io ero abbastanza negato. Quindi, probabilmente, arriverai, non so, al mio stesso livello, forse. Sarai bravissimo in un sacco di cose. In questa, non credo. Perciò non voglio che stai qui a tirare la palla per tutto il giorno, ok?
Figlio: ok. [Il bambino, deluso, ripone il pallone in una busta]
Chris: Ehi…
Figlio: Sì…
Chris: Non permettere mai a nessuno di dirti che non sai fare qualcosa. Neanche a me. Ok?
Figlio: ok
Chris: Se hai un sogno, tu lo devi proteggere. Quando le persone non sanno fare qualcosa lo dicono a te che non la sai fare. Se vuoi qualcosa, vai e inseguila. Punto.
  La scena del film è stata lo spunto per leggere e commentare il brano del Compendio della dottrina sociale della Chiesa  che ho trascritto all’inizio.
  C’è una società con tante formazioni sociali fatte da persone, che dalle relazioni con le altre persone traggono il senso e le motivazioni della vita. Innanzi tutto la famiglia, poi le varie forme di aggregazioni sociali, come la parrocchia, i gruppi sportivi, i partiti e via dicendo. Secondo la dottrina sociale della Chiesa i poteri pubblici da un lato, in positivo, devono stimolarli e sostenerli, e dall’altro,  in negativo,  devono “astenersi da quanto restringerebbe, di fatto, lo spazio vitale delle cellule minori ed essenziali della società. La loro iniziativa, libertà e responsabilità non devono essere soppiantate.”  Questo perché è proprio “la rete di questi rapporti [che] innerva il tessuto sociale e costituisce la base di una vera comunità di persone, rendendo possibile il riconoscimento di forme più elevate di socialità”, vale a dire di una comunità fraterna  e in quanto fraternapartecipe  e solidale, in cui ognuno si senta valorizzato e non indotto ad attendere solo da altri la soluzione dei problemi sociali.
  E’ stata infine proiettata una sequenza del film Bianco Rosso e Verdone, del 1981, con protagonista in vari ruoli e regista l’attore Carlo Verdone. Nelle immagini si vede una famiglia, composta da papà, mamma e due bambini, mentre si sta accingendo a partire in automobile per le vacanze. L’uomo è molto pedante e insistente nel far fare alla moglie una sorta di revisione di tutto ciò che doveva essere caricato e anche nel progettare il viaggio, tutto secondo schemi molto precisi e dettagliati, elaborati da lui solo, per cui la moglie appare insofferente.
 Se ne è tratto spunto per criticare la burocrazia che è spesso di intralcio alle iniziative sociali e imprenditoriali dei cittadini con tutte le sue pretese di rispetto di precise formalità e istruzioni. E’ stata vista come una lesione del principio di sussidiarietà che è ora entrato anche nella Costituzione della nostra Repubblica, all’art.118, e addirittura in quella dell’Unione Europea.
 Questa è stata senz’altro la parte meno convincente dei ragionamenti esposti nel corso dell’incontro. Non tutta la burocrazia intorno alle attività private è inutile.
 Non lo sono tutte le prescrizioni in materia di sicurezza e igiene dei posti di lavoro, anche se si verta in materia di attività svolte da volontari. Qui è in ballo l’integrità e la salute della persona umana. Perché ogni attività umana presenta dei rischi, anche salire su una scala per tinteggiare volonterosamente e gratuitamente la scuola dei propri figli (è l'esempio che è stato fatto nel corso dell'incontro per dare un'idea di un'attività utile, ideata dalla base sociale, ma ostacolata dalla burocrazia). La scala deve essere a norma. Ci deve essere un’assicurazione. Perché se un papà, tinteggiando da volontario, cade, batte la testa e diventa un tronco umano, che ne sarà dei suoi figli? Allora si rimpiangerà di non aver osservato quelle prescrizioni e del fatto che non si è assicurati.
 Non lo sono le prescrizioni igienico-sanitarie e in materia di sicurezza degli ambienti anche se riguardano attività pubbliche svolte senza fini di lucro, come quelle che potrebbero essere svolte nel nostro teatrino parrocchiale e che ora, giustamente, non possono essere svolte perché non è a norma. Che accadrebbe se, in caso di un incendio, la gente si trovasse intrappolata dentro senza poter evacuare rapidamente l’ambiente per mancanza di efficienti uscite di sicurezza?
 E’ stato poi evocato, come esempio di burocrazia oppressiva, l’obbligo del DURC per qualsiasi tipo di lavoro in appalto, pubblico o privato. Il DURC è il documento unico di regolarità contributiva che viene rilasciato dagli enti previdenziali ai datori di lavoro che intendano assumere appalti pubblici o privati e serve a dimostrare che non vengono impiegati lavoratori in  nero, che quindi per quei lavoratori vengono pagati i contributi previdenziali per il caso di infortunio, malattia e per la pensione di vecchiaia.
 Tutte queste prescrizioni sono proprio espressione dell’obbligo di solidarietà sociale che rientra nel principio di fraternità.
 E’ proprio il liberismo  economico criticato all’inizio dell’incontro a pretendere che si sia liberati  dall’osservanza di quelle regole di solidarietà sociale.
 E, insomma, mi è parso di  notare una apparente contraddizione tra l’impostazione iniziale e quella dell’ultima parte, svolta da colui che ci è stato presentato come il  fondatore dell’iniziativa Olt3. Su questo occorrerebbe una maggiore riflessione da parte sua, dei suoi collaboratori e anche nostra.
  Bisogna ricordare che il principio di sussidiarietà, che ha avuto tanta fortuna anche al di fuori dei nostri ambienti religiosi tanto da improntare la nostra nuova Europa, con l’importante contributo di  politici formatisi nella nostra dottrina sociale, venne elaborato sulla base di una lunga, vasta e intensa esperienza di impegno sociale fatta dal nostro popolo di fede fin dall’Ottocento, sulla quale ha tanto scritto ad esempio una persona come Giuseppe Toniolo (1845-1918. Economista, sociologo, protagonista della riforma dell’Azione Cattolica a inizio Novecento e infine beato).
 Esso venne così formulato per la prima volta in modo compiuto, nell’enciclica Il Quarantennale (1931, del papa Achille Ratti, per il quarantennale della prima enciclica sociale, la Le novità  del papa Vincenzo Gioacchino Pecci, del 1891):
80. È vero certamente e ben dimostrato dalla storia, che, per la mutazione delle circostanze, molte cose non si possono più compiere se non da grandi associazioni, laddove prima si eseguivano anche delle piccole. Ma deve tuttavia restare saldo il principio importantissimo nella filosofa sociale: che siccome è illecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con le forze e l'industria propria per affidarlo alla comunità, così è ingiusto rimettere a una maggiore e più alta società quello che dalle minori e inferiori comunità si può fare. Ed è questo insieme un grave danno e uno sconvolgimento del retto ordine della società; perché l'oggetto naturale di qualsiasi intervento della società stessa è quello di aiutare in maniera suppletiva le membra del corpo sociale, non già distruggerle e assorbirle. 
81. Perciò è necessario che l'autorità suprema dello stato, rimetta ad associazioni minori e inferiori il disbrigo degli affari e delle cure di minor momento, dalle quali essa del resto sarebbe più che mai distratta ; e allora essa potrà eseguire con più libertà, con più forza ed efficacia le parti che a lei solo spettano, perché essa sola può compierle; di direzione cioè, di vigilanza di incitamento, di repressione, a seconda dei casi e delle necessità. Si persuadano dunque fermamente gli uomini di governo, che quanto più perfettamente sarà mantenuto l'ordine gerarchico tra le diverse associazioni, conforme al principio della funzione suppletiva dell'attività sociale, tanto più forte riuscirà l'autorità e la potenza sociale, e perciò anche più felice e più prospera la condizione dello Stato stesso. 
  Tuttavia nella prima dottrina sociale, marcatamente antisocialista, antiliberale, e avversa allo statalismo laico, il richiamo alla società civile venne inteso essenzialmente come mezzo per il  mantenimento di uno spazio in cui il potere autocratico dei pontefici potesse ancora dispiegarsi. Si era, nel 1931, nel quadro del compromesso concluso dal Ratti con il regime mussoliniano, con i Patti Lateranensi, nell’illusione di poter mantenere quello spazio pur in un regime statale autoritario e totalitario come quello del fascismo storico. I Papi infatti predicavano allo stato un principio, quello di sussidiarietà,  che poi non osservavano nell’esercizio del proprio potere religioso, che fino all’ultimo Concilio, e per certi versi tuttora, rimase fortemente accentrato nella romana Santa Sede, autocratico, autoritario.
 In Italia, nell’attuale regime democratico, viene inteso molto diversamente, in modo più ampio e soprattutto riferito all’articolazione democratica della società.
 Nella dottrina sociale rimane però sempre difficile il rapporto con le esigenze di libertà, che nella concezione liberale non significa mancanza di regole ma rispetto delle persone, e di uguaglianza, che nella concezione socialista non significa omologazione e coartazione ma rispetto della dignità e della libertà  di tutti.
 La fraternità poi, alla base delle concezioni socialiste della società, viene intesa talvolta in religione non nel suo aspetto liberante, in particolare dall’ingiustizia e dal servaggio sociale, ma in quello della comune soggezione a un padre  autoritario, quale i papi, dai quali la dottrina  sociale promana,  e  i loro collaboratori del clero intendono ancora essere. Così si finisce anche col pensare che la vera libertà possa sperimentarsi solo nel quadro di un dovere, per cui, qualunque cosa accada si debba fare ciò che si deve, e, in definitiva, la vera libertà consista nello scegliersi un sovrano a cui cederla, quindi nel disfarsene.
 Conseguentemente, allora, questa società civile in cui la persona  è inserita, e che si vuole difendere dalle ingerenze degli stati, finisce anche con il diventare un insieme di organizzazioni, a cominciare dalla famiglia, in cui la libertà delle singole persone viene coartata, invece che sviluppata: appunto quello che i rivoluzionari francesi di fine Settecento vollero smembrare, con riferimento all’organizzazione corporativa  del regno di allora e per un’esigenza  di liberazione  delle persone. Ed ecco che poi la pretesa, liberante, dello  stato il quale, quando si organizzano dei lavoratori per una qualsiasi attività, pretende che vengano corrisposti regolarmente i contributi previdenziali può essere sentita come un’oppressiva e impeditiva burocratizzazione dell’attività privata, mentre, in realtà, impiegare lavoratori  in nero, quindi non regolarmente denunciati agli enti previdenziali, è questa sì una forma di coartazione della libertà  dei lavoratori, la cui condizione può avvicinarsi molto a quella degli schiavi antichi. Qui chi opprime non è lo stato, ma chi impiega lavoratori in quel modo.
 Si vorrebbe, in questa concezione, uno stato pagatore, ma non regolatore. Lo stato democratico non dovrebbe immischiarsi nell'organizzazione delle formazioni minori se non per sovvenzionarle: in questo modo però le persone sarebbero lasciate all'arbitrio di chi quelle formazioni domina, non sempre in modo democratico e rispettoso della personalità individuale. Nelle formazioni sociali in fondo si preferirebbe un’organizzazione modellata su quella della famiglia, con capi naturali e biologici, i genitori, e con persone soggette per natura e  per sempre alla loro autorità, i  figli. E appunto come figli appariamo ai nostri capi religiosi del clero e anche a quest'ultimo (in religione siamo sottomessi a una schiera sterminata di padri). Appare insomma ancora lunga la via per l’inculturazione dei processi democratici in religione. La democrazia è un potere che si sviluppa dal basso, sulla base dei principi di libertà e uguaglianza e, come loro derivazione e non sulla base di soggezione ad un’unica autorità paterna, di fraternità.



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Quinto incontro del ciclo Immìschiati  per avvicinare alla dottrina sociale della Chiesa, sulla  partecipazione

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[Dal Compendio della dottrina sociale della Chiesa (2004)]
http://www.vatican.va/roman_curia/pontifical_councils/justpeace/documents/rc_pc_justpeace_doc_20060526_compendio-dott-soc_it.html

V. LA PARTECIPAZIONE

a) Significato e valore
189 Caratteristica conseguenza della sussidiarietà è la partecipazioneche si esprime, essenzialmente, in una serie di attività mediante le quali il cittadino, come singolo o in associazione con altri, direttamente o a mezzo di propri rappresentanti, contribuisce alla vita culturale, economica, sociale e politica della comunità civile cui appartieneLa partecipazione è un dovere da esercitare consapevolmente da parte di tutti, in modo responsabile e in vista del bene comune.
Essa non può essere delimitata o ristretta a qualche contenuto particolare della vita sociale, data la sua importanza per la crescita, innanzi tutto umana, in ambiti quali il mondo del lavoro e le attività economiche nelle loro dinamiche interne, l'informazione e la cultura e, in massimo grado, la vita sociale e politica fino ai livelli più alti, quali sono quelli da cui dipende la collaborazione di tutti i popoli per l'edificazione di una comunità internazionale solidale. In tale prospettiva, diventa imprescindibile l'esigenza di favorire la partecipazione soprattutto dei più svantaggiati e l'alternanza dei dirigenti politici, al fine di evitare che si instaurino privilegi occulti; è necessaria inoltre una forte tensione morale, affinché la gestione della vita pubblica sia il frutto della corresponsabilità di ognuno nei confronti del bene comune.

b) Partecipazione e democrazia
190 La partecipazione alla vita comunitaria non è soltanto una delle maggiori aspirazioni del cittadino, chiamato ad esercitare liberamente e responsabilmente il proprio ruolo civico con per gli altri, ma anche uno dei pilastri di tutti gli ordinamenti democratici, oltre che una delle maggiori garanzie di permanenza della democrazia. Il governo democratico, infatti, è definito a partire dall'attribuzione, da parte del popolo, di poteri e funzioni, che vengono esercitati a suo nome, per suo conto e a suo favore; è evidente, dunque, che ogni democrazia deve essere partecipativa. Ciò comporta che i vari soggetti della comunità civile, ad ogni suo livello, siano informati, ascoltati e coinvolti nell'esercizio delle funzioni che essa svolge.
191 La partecipazione si può ottenere in tutte le possibili relazioni tra il cittadino e le istituzioni: a questo fine, particolare attenzione deve essere rivolta ai contesti storici e sociali nei quali essa dovrebbe veramente attuarsi. Il superamento degli ostacoli culturali, giuridici e sociali, che spesso si frappongono come vere barriere alla partecipazione solidale dei cittadini alle sorti della propria comunità, richiede un'opera informativa ed educativa. Meritano una preoccupata considerazione, in questo senso, tutti gli atteggiamenti che inducono il cittadino a forme partecipative insufficienti o scorrette e alla diffusa disaffezione per tutto quanto concerne la sfera della vita sociale e politica: si pensi, ad esempio, ai tentativi dei cittadini di «contrattare » le condizioni più vantaggiose per sé con le istituzioni, quasi che queste fossero al servizio dei bisogni egoistici, e alla prassi di limitarsi all'espressione della scelta elettorale, giungendo anche, in molti casi, ad astenersene.
Sul fronte della partecipazione, un'ulteriore fonte di preoccupazione è data dai Paesi a regime totalitario o dittatoriale, in cui il fondamentale diritto a partecipare alla vita pubblica è negato alla radice, perché considerato una minaccia per lo Stato stesso;  dai Paesi in cui tale diritto è enunciato soltanto formalmente, ma concretamente non si può esercitare; da altri ancora in cui l'elefantiasi dell'apparato burocratico nega di fatto al cittadino la possibilità di proporsi come un vero attore della vita sociale e politica.
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  Lo scorso venerdì sei maggio, con inizio alle 19:30, si è tenuto in parrocchia l’ultimo degli incontri del ciclo Immìschiati  per avvicinare alla bellezza della dottrina sociale della Chiesa. Era dedicato alla partecipazione.
 Dopo il consueto filmato in cui si vede il Papa, in udienza pubblica, che invita a immischiarsi  nella politica, perché, se condotta con spirito evangelico, può essere un’alta forma di carità, è stata proiettata parte di una puntata della rubrica televisiva Le Iene,  con filmati girati in un campo profughi di tende dove erano stati accolti gli sfollati dopo il terremoto di L’Aquila del 2009. Abbiamo visto le immagini di case sventrate, con gli ambienti domestici,  i mobili, i letti, i quadri alle pareti, visibili dall’esterno attraverso le pareti squarciate. Poi le telecamere hanno girato tra le tende e sono state intervistate diverse persone lì rifugiate. Tutte hanno detto di essere state felici di aver riscoperto la bellezza di frequentare gli altri, in particolare di incontrarsi con loro negli orari che di solito trascorrevano in solitudine  in poltrona davanti alla televisione. Le persone intervistate erano in prevalenza donne di mezz’età o anziani. Hanno parlato anche due bambini. Che ne pensavano gli altri? Probabilmente erano impegnati tra le macerie delle loro case e a cercare di ricostruire le loro vite.
  I bambini, in particolare, hanno detto di aver scoperto la libertà di girare in mezzo alla gente, che gli era negata prima del terremoto, così come è negata ai bambini del nostro quartiere.
 Due signore, che prima della catastrofe abitavano in appartamenti vicini senza incontrarsi quasi mai, erano andate a vivere nella stessa tenda e si trovavano molto bene insieme.
  Nel servizio televisivo sfilavano facce abruzzesi, aquilane in particolare. In una grande città come Roma arriva gente da tutt’Italia e anche da tutto il mondo. Ci sono facce di tutti i tipi. In una regione come l’Abruzzo è diverso: le persone che abitano nei paesi hanno un po’ tutte un’aria di famiglia. Ogni paese un tipo di faccia. Ecco perché ho riconosciuto facce aquilane (per un po’ ho vissuto in Abruzzo, dove è nata la mia primogenita).  Così ci si sente effettivamente in famiglia, quando ci si ritrova insieme. Ma non è solo un fatto fisico, di faccia  e facciata. Tra “paesani” c’è una solidarietà che non si sperimenta tra i quartieri  anonimi nelle grandi città, abitati da quelle che i sociologi definisco folle solitarie. Da più giovane ho lavorato per tre anni in una cittadina sulla costa abruzzese ed è un realtà umana, quella abruzzese, che ho vissuto personalmente e mi è piaciuta moltissimo, mi ha molto coinvolto. Là mi sentivo a casa  come non mi sono mai sentito in altre parti, né prima né dopo. Venni adottato  non solo dalla gente del posto, ma anche dagli abruzzesi della diaspora. Quando tornavo qui a Roma, mi bastava dire di abitare laggiù per avere la solidarietà dei molti abruzzesi che ci sono qui in città. Penso quindi che dopo il terremoto la gente dell’Aquila si sia fatta forza di questo profondo legame di tipo familiare che c’era già prima, l’abbia riscoperto per sopravvivere in condizioni molto difficili. In una grande città come Roma quel legame manca. Costruirlo è difficile, certe cose non si improvvisano. Ma ci si può provare, soprattutto da giovani, età in cui certe relazioni vengono spontanee ed è più facile superare certe remore e certi pregiudizi sugli altri.
 Il giovane docente che ci spiegava la dottrina sociale della Chiesa sulla partecipazione ha tratto spunto dalle immagini per dare una prima idea della partecipazione secondo quell’insegnamento: uscire dalle proprie case per incontrare gli altri. Ha ricordato anche il testo della canzone C’è solo la strada, cantata da Giorgio Gaber, del 1974, secondo il quale “appena una porta si chiude si comincia ad ammuffire e la strada è l'unica salvezza/c'è solo la voglia e il bisogno di uscire/ di esporsi nella strada e nella piazza.”
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Testo della canzone  C’è solo la strada  (1974), cantata da Giorgio Gaber 

Maria ti amo. Maria ho bisogno di te. Poi la stringo e la bacio, infagottato d'amore e di vestiti. E anche lei si muove, felice della sua apparenza e del nostro amore. E la cosa continua bellissima per giorni e giorni. Una nave, con una rotta precisa che ci porta dritti verso una casa, una casa con noi due soli, una gran tenerezza e una porta che si chiude.
Nelle case
non c'è niente di buono
appena una porta si chiude
dietro un uomo

Succede qualcosa di strano
non c'è niente da fare
è fatale quell'uomo
incomincia a ammuffire

Ma basta una chiave
che chiuda la porta d'ingresso
che non sei già più come prima
e ti senti depresso.

La chiave è tremenda
appena si gira la chiave
siamo dentro una stanza
si mangia si dorme si beve.

Ne ho conosciute tante di famiglie, la famiglia è più economica e protegge di più. Ci si organizza bene, una minestra per tutti, tranquillanti aspirine per tutti, gli assorbenti il cotone i confetti Falqui, soltanto quattrocento lire per purgare tutta la famiglia, un affare. Si caga, in famiglia, si caga bene, lo si fa tutti insieme.
Nelle case
non c'è niente di buono
appena una porta si chiude
dietro un uomo.

Quell'uomo è pesante
e passa di moda sul posto
incomincia a marcire
a puzzare molto presto.

Nelle case
non c’è niente di buono
c'è tutto che puzza di chiuso e di cesso
si fa il bagno ci si lava i denti
ma puzziamo lo stesso.

Amore ti lascio ti lascio.
C'è solo la strada
su cui puoi contare
la strada è l'unica salvezza
c'è solo la voglia e il bisogno di uscire
di esporsi nella strada e nella piazza.

Perché il giudizio universale
non passa per le case
le case dove noi ci nascondiamo
bisogna ritornare nella strada
nella strada per conoscere chi siamo.

C'è solo la strada su cui puoi contare
la strada è l'unica salvezza
c'è solo la voglia e il bisogno di uscire
di esporsi nella strada e nella piazza.

Perché il giudizio universale
non passa per le case
e gli angeli non danno appuntamenti
e anche nelle case più spaziose
non c’è spazio per verifiche e confronti.

Laura, ti amo. Laura, ho bisogno di te. Con te io ritrovo la strada, le piazze i giovani, gli studenti. Li avevo lasciati qualche anno fa con la cravatta. Sono molto cambiati, sono molto più belli. Le idee sì, le idee sono cambiate, e i loro discorsi e il modo di vestire.  Gli esseri meno, gli esseri non sono molto cambiati. Vanno ancora nelle aule di scuola a brucare un po' di medicina, fettine di chimica, pezzetti di urbanistica con inserti di ecologia, a ore pressappoco regolari, ed esiste ancora il bar, tra un intervallo e l'altro. E poi l'amore, per fabbricarsi una felicità. Come noi ora, una coppia e ancora tante coppie. Unica diversità un viaggio in India su una Due Cavalli. Due, come noi.
E poi ancora una porta
e ancora una casa
ma siamo convinti
che sia un'altra cosa

Perché abbiamo esperienze diverse
non può finir male
perché abbiamo una chiave moderna
abbiamo una Yale.

Perché è tutto un rapporto diverso
che è molto più avanti
ma c’è sempre una casa
con altre aspirine e calmanti.

E di nuovo mi trovo a marcire
in un altra famiglia la nostra la mia
abbracciarla guardando la porta
è la mia poesia.

Amore ti lascio vado via.
C'è solo la strada
su cui puoi contare
la strada è l'unica salvezza.

C'è solo la voglia e il bisogno di uscire
di esporsi nella strada nella piazza.

Perché il giudizio universale
non passa per le case
in casa non si sentono le trombe
in casa ti allontani dalla vita
dalla lotta dal dolore e dalle bombe.

Lidia, ti amo. Lidia, ho bisogno di te. Ma per favore, in un hotel meublè.
Perché il giudizio universale
non passa per le case
le case dove noi ci nascondiamo
bisogna ritornare nella strada
nella strada per conoscere chi siamo.

C'è solo la strada su cui puoi contare
la strada è l'unica salvezza.
C'è solo la voglia e il bisogno di uscire
di esporsi nella strada nella piazza.

Perché il giudizio universale
non passa per le case
in casa non si sentono le trombe
in casa ti allontani dalla vita
dalla lotta dal dolore e dalle bombe.

Perché il giudizio universale
non passa per le case
in casa non si sentono le trombe
in casa ti allontani dalla vita
dalla lotta dal dolore e dalle bombe.

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  Ma come interagire con gli altri? Come partecipare?
  Il docente ha ricordato che, a volte, la politica viene considerata un affare da affidare solo ai migliori. In questa concezione è bene  che vi siano ostacoli alla partecipazione, perché così solo coloro che arrivano a superarli, coloro che dimostrano di avere la forza per superarli, imigliori, arrivano a  fare politica. Si tratterà sempre di una minoranza, che arriverà al potere dopo una selezione. Al vertice troveremo quindi una oligarchia  (parola che deriva dal greco antico e che significapotere dei pochi), che concepirà sé stessa come una  aristocrazia(anche questa una parola che deriva del greco antico e che significa potere dei migliori). Questa concezione è dietro anche all’ideale di meritocrazia: una parola nuova dei nostri tempi che significa che deve comandare chi l’ha meritato, vale a dire chi ha dato prova del proprio valore. Secondo il docente queste idee della politica avrebbero a che fare con la concezione liberale  della politica, ma questo mi pare piuttosto opinabile in quanto il liberalismo nasce storicamente combattendo oligarchie e aristocrazie.
 Il docente ha proseguito presentando l’ideale, opposto al primo, della politica come democrazia diretta, in cui a tutti  è consentito di esprimere il proprio parere, di parlare su tutto. Questo ai tempi nostri si può fare più agevolmente sfruttando le possibilità concesse dalle reti telematiche su internet. Ma quando tutti parlano si fa una gran confusione e non ci si capisce più nulla. Allora questa concezione della politica richiede la creazione di imponenti segreterie politiche, che dal centro dirigono la gente, che viene organizzata in sezioni  territoriali in modo che ciascuno possa farvi parte, dovunque. In definitiva la personalità individuale viene coartata.
 Mi pare che si siano accostate due esperienze molto diverse: quella dei partiti di una volta, di massa,  con le loro organizzazioni pesanti, strutturate, diffuse, e quella degli attuali partiti liquidi basati sui contatti telematici. Questi ultimi sono nati all’epoca della crisi  della  democrazia,  dell’allentarsi dei legami sociali, mentre i primi, sviluppatisi in epoche in cui si faceva molto conto sull’azione collettiva, la democrazia l’hanno sostenuta e sviluppata, e soprattutto insegnata a diverse generazioni consentendo anche di farne tirocinio, non solo diparlarne.
 A questo punto sono state presentate alcune sequenze del film La febbre  del 2005, diretto da Antonio D’Alatri.
 Le potete rivedere su Youtube all’indirizzo
https://www.youtube.com/watch?v=FSpfMqA6M_g
  Racconta un sogno del protagonista, Mario un giovane che vorrebbe aprire una discoteca ma incontra tante difficoltà burocratiche. Il presidente, impersonato dall’attore Arnoldo Foà, in bicicletta arriva nel locale del giovane e, sorseggiando una birra,  e gli parla. Il giovane gli restituisce la carta d’identità, non vuole più essere un cittadino, non vuole più essere italiano, ma solo sé stesso e basta, getta la spugna. Perché?, domanda il presidente. Mi avevate fatto credere che avevate bisogno di me, che potevo partecipare, e invece mi avete solo preso in giro, risponde il giovane, il gioco è truccato. E’ adesso che non sei più niente, che farai?, gli replica il presidente. Me ne starò qui nel mio bar, un posto, mio, tutto mio. Ah, Mario, Mario, tu vuoi sfuggire la realtà, osserva il presidente, e la speranza chi te la salva?, la poesia dalla vita. Signor presidente, la salvi lei. Adesso tocca a quelli come te, dice il presidente.  Io ci ho provato, ma ho trovato un verme sulla mia strada, risponde Mario. Il presidente  ridacchia e fa: i vermi hanno buon gusto, quando hanno fame scelgono la frutta migliore. Allunga a Mario la sua carta d’identità dicendo di riprendersela, perché anche se sarà solo, nel suo bar, gli potrà sempre servire.
 La partecipazione, nella concezione della dottrina sociale della Chiesa, ha detto il docente, è anzitutto un impegno per il bene comune. “La partecipazione è un dovere da esercitare consapevolmente da parte di tutti, in modo responsabile e in vista del bene comune.”, è scritto nel Compendio   della dottrina sociale della Chiesa.
 Ha poi preso la parola un giovane studente universitario che collabora nell’animazione degli incontri Immìschiati e ha spiegato il collegamento che c’è tra tutti i temi trattati nel ciclo di eventi: persona, bene comune, solidarietà, sussidiarietà, partecipazione.
 Ci sono due atteggiamenti negativi: la sola indignazione  e la rassegnazione.
  Non basta indignarsi, protestare per l’offesa alla propria dignità, occorre impegnarsi. E non serve rassegnarsirestituire la propria dignità di cittadino, come fa Mario  nel film La febbre  con la sua carta d’identità. In entrambi i casi ci si ritira e questo non è degno della persona. Se le cose non funzionano dobbiamo impegnarci senza attendere che altri, le istituzioni, risolvano i problemi: è il principio di sussidiarietà. Per cambiare ciò che non va dobbiamo tener conto anche degli altri, perché si è veramente  persona  solo nelle nostre relazioni con gli altri e tenendo conto anche di loro: il nostro vero bene può essere allora solo un bene comune, solidale. Realizzarlo richiede di partecipare, di resistere alla tentazione di ritirarsi.
  Posso aggiungere che, storicamente, la partecipazione democratica si è sviluppata con l’emergere di una coscienza politica di classe, prima della borghesia, di quella parte della popolazione che aveva cominciato ad avere un ruolo sempre più importante nell’economia della modernità, e poi dei ceti popolari, di tutti i lavoratori. Ci si è fatti uno spazio politico che i gruppi prima dominanti erano restii a concedere. La partecipazione democratica è stata quindi, e ancora è, anche un’esperienza di lotta. Senza una coscienza politica non c’è partecipazione democratica e non c’è solidarietà. Questo, di creare una coscienza politica nella gente, era uno dei lavori più importanti che facevano le vecchie organizzazioni dei partiti popolari. Sì, certo, c’è il bene comune, quello che ci fa sentire felici insieme agli altri, ma questo non basta. C’è una resistenza al miglioramento: chi resiste, chi si oppone? E che fare per vincere questa resistenza? Ce ne ha parlato don Ciotti quando è venuto in parrocchia. E poi: serve veramente unirsi in tanti per fare le cose che servono? Che cosa ci unisce? Possiamo veramente fidarci gli uni degli altri? La politica democratica, infine, è anche e anzi fondamentalmente un’esperienza di libertà. Si  è iniziato a partecipare democraticamente quando si è riusciti a desiderare e progettare la liberazione. Sussidiarietà  significa anche questo: un’esperienza di libertà. Ma nella nostra fede la libertà è vista ancora con tanto sospetto. La si sospetta di egoismo e spesso questo sospetto viene indotto da gerarchie (ora non solo clericali) gelose della propria libertà, a scapito della nostra. Così, non di rado la libertà è diffamata in religione.  La riscoperta del valore religioso della libertà fu al centro della ribellione  dei resistenti cattolici durante l’ultima guerra mondiale. Riporto di seguito la trascrizione di alcuni passi di un’intervista che fu fatta a don Giovanni Barbareschi, protagonista della Resistenza lombarda, andata in onda su Rai TG-R settimanale con il titolo “Don Giovanni Barbareschi - il prete della libertà”:
Commentatrice: Un prete della Resistenza don Giovanni Barbareschi. Nasce a Milano novant’anni fa, è un bambino sotto il regime fascista.
Barbareschi: “Questa è la mia fotografia di Balilla, avevo dodici anni e mezzo. Alla domenica dovevo andare alle adunate … fasciste, evidentemente. Tornavo a casa tutto contento e dicevo a papà: «Papà, ci hanno portato anche a Messa!». E papà rispondeva: «Quella messa non vale niente!». «Perché?...». «Perché siete andati obbligati».
Commentatrice: In famiglia, anche a costo di pagarla cara, nessuno prende la tessera fascista.
Barbareschi:  “E questo mi ha innamorato della libertà, questa educazione di famiglia.”
Commentatrice: Così l’8 settembre, quando Badoglio proclama l’armistizio con gli Alleati e nel Centro-Nord d’Italia con la repubblica di Salò comincia la barbarie dell’occupazione nazi-fascista, Babareschi non ha dubbi.
Barbareschi: “Il 9 settembre 1943 sono entrato nella Resistenza.”
Commentatrice: Barbareschi entra nelle brigate Fiamme VerdiE’ tra i fondatori del giornale clandestino Il Ribelle, con Teresio Olivelli, Carlo Bianchi, David Maria Turoldo, Mario Apollonio, Dino Del Bo. Olivelli e Bianchi pagheranno con la vita il loro impegno per la libertà. Il giornale esce come e quando può  ha un solo motto:
Barbareschi: “Non  ci sono liberatori, ma solo uomini che si liberano. Insomma, il primo atto di fede che un uomo deve fare non è in Dio. Il primo atto di fede  che deve fare è nella sua libertà, cioè nella sua capacità di diventare persona libera.  Altrimenti la religione sarebbe superstizione, se non fosse un atto libero.  Sarebbe fanatismo o sarebbe superstizione. Invece è un atto libero.  E questo è un atto difede.”
 E, visto che nell’incontro sulla partecipazione è stata ricordata una canzone di Gaber,  trascrivo il testo di un’altra molto in tema, Libertà è partecipazione, che presenta la partecipazione come esperienza di libertà, che dà un senso umano alla libertà che altrimenti è vuota:

“Vorrei essere libero
libero come un uomo

Come un uomo appena nato
che ha di fronte solamente
la natura
che cammina dentro un bosco
con la gioia di inseguire
un’avventura

Sempre libero e vitale
fa l’amore come fosse
un animale
incosciente come un uomo
compiaciuto della propria
libertà

Gaber con il coro:

La libertà
non è star sopra un albero
non è neanche il volo di un moscone
la libertà non è uno spazio libero
libertà è partecipazione

Vorrei essere libero come un uomo

Come un uomo che ha bisogno
di spaziare con la propria fantasia
e che trova questo spazio
solamente nella sua democrazia

Che ha il diritto di votare
e che passa la sua vita a delegare
e nel farsi comandare
ha trovato la sua nuova libertà

Gaber con il coro:

La libertà
non è star sopra un albero
non è neanche avere un’opinione
la libertà non è uno spazio libero
libertà è partecipazione
la libertà
non è star sopra un albero
non è neanche il volo di un moscone
la libertà non è uno spazio libero
libertà è partecipazione

Vorrei essere libero come un uomo

Come l’uomo più evoluto che si innalza
con la propria intelligenza
e che sfida la natura con la forza
incontrastata della scienza

Con addosso l’entusiasmo di spaziare
senza limiti nel cosmo
è convinto che la forza del pensiero
sia la sola libertà

Gaber con il coro:

La libertà non è star sopra un albero
non è neanche un gesto un’invenzione
la libertà non è uno spazio libero
libertà è partecipazione
la libertà
non è star sopra un albero
non è neanche il volo di un moscone
la libertà non è uno spazio libero
libertà è partecipazione
la libertà
non è star sopra un albero
non è neanche il volo di un moscone
la libertà non è uno spazio libero
libertà è partecipazione.


 Al termine dell’incontro i giovani animatori di Immìschiati hanno invitato tutti a partecipare al loro lavoro: ne hanno tanto bisogno (per ulteriori informazioni: http://www.ol3roma.it/). Basta dare la propria disponibilità, poi si sarà contattati. Si tratta di andare per tutta l’Italia a proporre la dottrina sociale della Chiesa con il loro metodo veramente molto efficace. Loro giò partecipavano ad attività in parrocchia, ma hanno sentito il bisogno di fare di più, di uscire  per incontrare gente nuova. E’ proprio quell’impegno che è insegnato dalla dottrina sociale della Chiesa.
 Il 20 maggio prossimo, alle ore 19:30 in sala rossa, si terrà l’ultimo incontro del ciclo sulla dottrina sociale della Chiesa, con la partecipazione del prof. Pizzimenti. In quell’occasione potranno essere fatte domande e osservazioni.
 Io vorrei farne due: quelle che propongo di seguito.
 E’ vero che la dottrina sociale ha avuto una evoluzione, dalla Rerum Novarum - Le novità del papa Leone 13° - Vincenzo Gioacchino Pecci alla Laudato si’  di papa Francesco - Jorge Mario Bergoglio? Se sì, che cosa ha provocato questa evoluzione? Il mondo del laicato di fede ha avuto qualche ruolo in questo e può averne ancora?
 La seconda è legata alla prima.
 La dottrina  sociale  è solo una parte della teologia che può essere proclamata con autorità esclusivamente dal Papa e dai vescovi, o è anche un insegnamento  che non ha solo un significato teologico, ma anche sociale, politico, alla cui elaborazione possono, e anzi devono, partecipare anche i  laici, man mano che si scoprono e si fa esperienza delle novità sociali?
 Voglio concludere con un forte apprezzamento per il lavoro che gli animatori di Immischìati, del gruppo Ol3, promosso da Gigi De Paolo, hanno fatto nella nostra parrocchia, veramente molto efficace. In particolare mi sono reso conto che, con il loro metodo, quello che dicono rimane fortemente impresso nella memoria, collegato com’è alle  tante emozioni suscitate dai brani di film che vengono proposti. Anzi, in un prossimo intervento proporrò la filmografia degli incontriImmìschiati  nella nostra parrocchia. Ho acquistato i DVD dei film che non avevo. Mia moglie, che insegna alle medie, ha proposto il filmBianca come il latte, Rossa come il sangue ai suoi alunni. Un film che non conoscevo, lo avevo sottovalutato quando è uscito e non l’ero andato a vedere, ma che mi è piaciuto moltissimo, così come la colonna sonora dei Modà.
Bravi, bravi tutti.

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Appendice

Dottrina sociale: l’opinione dello storico Pietro Scoppola

Propongo di seguito alcune pagine dello storico Pietro Scoppola (1926-2007) su dottrina sociale e democrazia

[Da: Pietro Scoppola, La democrazia dei cristiani - Intervista a cura di Giuseppe Tognon, Laterza, 2005, €10,00. E’ alla portata di chi abbia terminato la scuola secondaria superiore]

Domanda Tognon: Recentemente è stato diffuso il nuovo “bignamino” della dottrina sociale della Chiesa [si tratta del Compendio della dottrina sociale della Chiesa. Nota mia]. I cattolici impegnati in politica sono vincolati al rispetto di questa dottrina  sociale? La dottrina sociale della Chiesa è il manifesto politico dei cattolici italiani?
Scoppola: Il Compendio della dottrina sociale della Chiesa, pubblicato il 25 ottobre 2004 ed elaborato su espresso incarico di Giovanni Paolo II, è effettivamente una sintesi di molta dottrina già nota: non mi sembra che offra grandi elementi di novità.
 Sulla dottrina sociale il discorso è molto complesso. Anzitutto: dottrina o insegnamento? Nel tempo sono state utilizzate entrambe le formule: dottrina fa pensare a qualcosa di rigido e stabile, insegnamento evoca sviluppo ed evoluzione, che in realtà vi sono stati e molto profondi. La dottrina (o insegnamento) sociale della Chiesa è stata a lungo intesa come un sistema concettuale rigido, come una deduzione necessaria dai dati della natura umana e della Rivelazione e perciò vincolante per il credente.
 Vi sono stati gruppi, specialmente in Francia, i quali affermavano che il movimento cattolico-sociale rappresentava uno sviluppo logico, normale, oggettivo della dottrina immutabile della Chiesa, e che parlavano di un diritto naturale come di una vera scienza… una teoria oggettiva della conoscenza.
D. In sostanza la dottrina sociale veniva quasi assorbita nell’ambito del dogma cattolico?
S. Non entrava direttamente nel dogma ma ne era in qualche modo una conseguenza oggettiva e necessaria.  E’ una questione interessante perché investe, da un lato il tema del rapporto fra ragione e fede, fra natura e grazia, dall’altro lato quello del rapporto tra cattolicesimo e democrazia.
D. Puoi spiegare la sostanza del problema?
S. Posso provare a spiegare come io lo ho capito. Mi è stato utile lo studio della grande opera dello storico tedesco Ernst Troeltsch Le dottrine sociali delle chiese e i gruppi cristiani del 1912. E’ un’opera classica e l’autore non è un cattolico ma un protestante, come di vede bene dalla sua argomentazione. Troeltsch si richiama all’eterno problema del rapporto fra natura e grazia che aveva travagliato il pensiero agostiniano e che, come si sa, è anche all’origine della Riforma protestante. Spiega come nel pensiero tomista [il filone di pensiero originato da quello del teologo e filosofo Tommaso D’Aquino (1225-1274)] esso appaia in qualche modo sanato: la natura, ordinata in gradi ascendenti, è concepita quale premessa del regno della grazia; la volontà di Dio è identificata con l’ordine della ragione, l’etica cristiana  identificata con il diritto di natura, anche se superiore ad esso in ragione del precetto della carità; in definitiva ogni aspetto della vita umana  appare, in quella concezione, inquadrato in una visione organica e gerarchica della realtà; le competenze della Chiesa e dello Stato definite e distinte, restando peraltro il secondo subordinato alla prima per la subordinazione stessa dei fini rispettivi.
D. Ma che cosa ha a che fare tutto ciò con la dottrina sociale della Chiesa?
S. La condiziona profondamente. In questa visione  del tomismo, e i particolare del tomismo restaurato da Leone XIII, «l’ordine universale - come nota Troeltsch - riposa sulla ragione, ma sulla ragione divina e non sull’umana, sulla ragione oggettiva e non sulla soggettiva».
  La tradizione cattolica si oppone perciò in radice ad ogni forma di individualismo e stenta a fare i conti con la soggettività; questo è il presupposto di quella visione della storia moderna che è alla base dell’intransigenza  cattolica ottocentesca [che si opponeva ad ogni mediazione con le culture della modernità. Nota mia]: essa vede  nel «funesto e deplorevole spirito di novità - come si legge nella Immortale Dei [enciclica del 1885. Nota mia] - suscitatosi nel secolo XVI [sedicesimo]  e cioè nell’individualismo religioso della Riforma, travasato  poi nel campo politico e da ultimo, con il liberalismo, nella concezione stessa dello Stato, «la radice di tutti i mali della moderna società».
D.Ti sembra di poter condividere l’analisi dello storico tedesco?
S. Oggi, come vedremo, è decisamente superata. Ma riassume efficacemente, anche se con qualche schematismo, l’orientamento del pensiero cattolico prima del Concilio Vaticano II, un vecchio orientamento del quale si avvertono ancora le tracce in alcuni ambienti cattolici.
 La riflessione dello storico tedesco (ma il tema è stato ripreso in anni a noi più vicini dal francese Emile Poulat) pone infatti in luce il legame culturale fra la dottrina sociale della Chiesa e le premesse ideologiche dell’intransigenza cattolica (della tendenza cioè che rifiuta ogni concessione alla modernità): di fatto il cattolicesimo sociale che è emerso vivace alla fine del XIX (diciannovesimo = Ottocento) secolo, quello delle opere in campo associativo, cooperativo, assistenziale, editoriale ecc. ha trascurato lo sforzo di talune componenti del cattolicesimo ottocentesco e in particolare del cattolicesimo liberale, volto a cercare una conciliazione tra la «ragione oggettiva» - per riprendere l’espressione di Troeltsch - e la «ragione soggettiva». Sulla base di queste premesse  culturali l’insegnamento sociale della Chiesa assume quei caratteri che con varie accentuazioni conserverà fino a Pio XII.
D. Perché dicevi che questa concezione condiziona il rapporto tra cattolicesimo e democrazia?
S. Perché la democrazia è lo strumento in cui si esprime la libera dinamica di una società ed è difficilmente  compatibile con la visione di un ordinamento astrattamente definito.
 All’inizio del secolo scorso [l’Ottocento nel momento in cui parlava Scoppola], quando si comincia a parlare di democrazia cristiana, Leone XIII, nell’enciclica Graves de communi, tenta di costringere la democrazia cristiana nascente entro gli spazi del cattolicesimo sociale con la famosa definizione della democrazia cristiana come “actio benefica in populo” (azione sociale in favore del popolo) che si contrappone a quella proposta in Italia da Romolo Murri e in Francia da molti esponenti del clero più impegnato politicamente, gli Abbes democrates, ai quali si deve la formula «pour le peuple et par le peuple» [per il popolo e dal popolo]. La democrazia cristiana, dunque, nasce sul ceppo del cattolicesimo sociale, ma lo supera.
 Di qui la distinzione   a tratti la polemica tra cattolicesimo sociale e democrazia cristiana all’inizio del secolo: il cattolicesimo sociale è uno spazio garantito dalla Chiesa entro il quale i cattolici agiscono sotto la guida della Chiesa stessa e sono vincolati all’unità: la democrazia cristiana nasce come iniziativa autonoma, implica un appello alla mobilitazione popolare per l’attuazione  della giustizia ed assume perciò tra i suoi obiettivi quello della democrazia politica, dovendosi di conseguenza misurare con il problema della libertà.
D. Che cosa rimane oggi di quelle vecchie posizioni del cattolicesimo sociale?
S.  Direi che lo stesso magistero della Chiesa ha superato quelle posizioni. Nello sviluppo del magistero in materia sociale vi è uno spartiacque che non spezza la continuità ma accentua il rinnovamento di metodo e di contenuti: si può indicarlo nel magistero di Giovanni  XXIII e soprattutto nel Concilio. In sostanza si sostituisce al metodo deduttivo, per cui si partiva dai principi e si arrivava alle prescrizioni operative, un metodo induttivo e storico, che parte dalla lettura e dalla comprensione della realtà storica per coglierne poi le implicazioni dal punto di vista cristiano.
 Questa svolta è legata alla nuova formula dei «segni dei tempi» che ha radici ecclesiologiche profonde: la Chiesa non è tanto interprete e garante di un ordine di ragione, ma portatrice di una tensione escatologica che agisce dentro la storia degli uomini; la sua presenza  nella storia e il suo stesso insegnamento sono un elemento di giudizio e di crisi nella storia. La comunità cristiana e i cristiani stessi sono portatori di un annuncio che è motivo di continuo inappagamento rispetto ad ogni ordine costituito (in questo senso Aldo Moro parlava del «principio di non appagamento»): non più l’ordine costituito  (come nei documenti del magistero ottocentesco) è l’obiettivo della loro azione, ma un miglioramento sempre possibile  e mai compiuto della società perché ogni concreta realizzazione storica rimane sempre inadeguata rispetto al messaggio di Cristo.

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Resoconti di Mario Ardigò  - Azione Cattolica in san Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli