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Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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Questo blog è un'iniziativa di laici aderenti all'Azione Cattolica della parrocchia di San Clemente papa e manifesta idee ed opinioni espresse sotto la personale responsabilità di chi scrive. Esso non è un organo informativo della parrocchia né dell'Azione Cattolica e, in particolare, non è espressione delle opinioni del parroco e dei sacerdoti suoi collaboratori, anche se i laici di Azione Cattolica che lo animano le tengono in grande considerazione.

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Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

Dall’anno associativo 2020/2021 il gruppo di AC di San Clemente Papa si riunisce abitualmente il secondo, il terzo e il quarto sabato del mese alle 17 e anima la Messa domenicale delle 9. Durante la pandemia da Covid 19 ci siamo riuniti in videoconferenza Google Meet. Anche dopo che la situazione sanitaria sarà tornata alla normalità, organizzeremo riunioni dedicate a temi specifici e aperte ai non soci con questa modalità.

Per partecipare alle riunioni del gruppo on line con Google Meet, inviare, dopo la convocazione della riunione di cui verrà data notizia sul blog, una email a mario.ardigo@acsanclemente.net comunicando come ci si chiama, la email con cui si vuole partecipare, il nome e la città della propria parrocchia e i temi di interesse. Via email vi saranno confermati la data e l’ora della riunione e vi verrà inviato il codice di accesso. Dopo ogni riunione, i dati delle persone non iscritte verranno cancellati e dovranno essere inviati nuovamente per partecipare alla riunione successiva.

La riunione Meet sarà attivata cinque minuti prima dell’orario fissato per il suo inizio.

Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

NOTA IMPORTANTE / IMPORTANT NOTE

SUL SITO www.bibbiaedu.it POSSONO ESSERE CONSULTATI LE TRADUZIONI IN ITALIANO DELLA BIBBIA CEI2008, CEI1974, INTERCONFESSIONALE IN LINGUA CORRENTE, E I TESTI BIBLICI IN GRECO ANTICO ED EBRAICO ANTICO. CON UNA FUNZIONALITA’ DEL SITO POSSONO ESSERE MESSI A CONFRONTO I VARI TESTI.

ON THE WEBSITE www.bibbiaedu.it THE ITALIAN TRANSLATIONS OF THE BIBLE CEI2008, CEI1974, INTERCONFESSIONAL IN CURRENT LANGUAGE AND THE BIBLICAL TEXTS IN ANCIENT GREEK AND ANCIENT JEWISH MAY BE CONSULTED. WITH A FUNCTIONALITY OF THE WEBSITE THE VARIOUS TEXTS MAY BE COMPARED.

Il sito della parrocchia:

https://www.parrocchiasanclementepaparoma.com/

sabato 2 marzo 2019

Uno sguardo sulla situazione europea e italiana - A look at the European and Italian situation


Uno sguardo sulla situazione europea e italiana

Estratto dalla relazione introduttiva di Mariarosaria Guglielmi al Congresso dell’associazione di magistrati italiani Magistratura Democratica, dal titolo “Il giudice nell’Europa dei populismi”.

La relazione integrale può essere letta e scaricata dal WEB a questo indirizzo:
http://www.magistraturademocratica.it/congresso/2019/relazione-guglielmi


Note: after the Italian text there is the translation in English, done with the help of Google Translator. I tried to correct, within the limits of my knowledge of English, some inaccuracies that automatic translation still inevitably entails. I have experimented that even with these inaccuracies the translation allows us to be understood by those who speak English, in the many national versions of the world, or who use it as a second or third language. It is the function that in ancient times carried out the Greek. Trying to be understood by other peoples corresponds to an ancient vocation of the Church of Rome, which is still current.


A cura di Mario Ardigò - Azione Cattolica nella parrocchia di San Clemente papa - Roma, quartiere Monte Sacro - Valli 
Curated by Mario Ardigò - Catholic Action in the parish of San Clemente pope - Rome, Monte Sacro - Valleys district


1. In pochi mesi il volto del nostro Paese è cambiato. E sembra essersi interrotto il percorso che ha condotto sin qui la nostra democrazia. Un percorso fatto di pagine buie e di momenti drammatici, di cui ancora conserviamo vive le ferite e il doloroso ricordo. Un percorso che ha attraversato difficili stagioni in cui la tenuta delle nostre istituzioni è stata minacciata dalla violenza eversiva del terrorismo e della criminalità organizzata, da fenomeni diffusi di illegalità pubblica, da conflitti di interesse portati ai vertici dello Stato e da tentativi di stravolgimento dell’assetto repubblicano.
Ma è stato – sin qui e sino ad oggi – il percorso di una democrazia, la nostra democrazia. È stato lo svolgersi della sua storia che non si è mai discostato dalla traccia segnata, sin dalla sua nascita, da ciò che l’ha resa possibile: il nuovo patto fondativo rappresentato dalla Costituzione sorta dalla Resistenza e dalla sconfitta del fascismo, che ci ha consegnato un nuovo progetto di società basato su una promessa di eguaglianza e di solidarietà e sul riconoscimento della pari dignità di tutti gli individui.
Nella cornice di valori disegnata dalla Costituzione la nostra democrazia ha attraversato le sue alterne e difficili stagioni senza mai tradire se stessa. In questo “recinto” si è strutturata la nostra comunità, confrontandosi con i suoi conflitti, le sue inquietudini e le sue contraddizioni ed è cresciuto il nostro senso di appartenenza ad una collettività, alla sua storia e alla sua identità.
[…]
In un’epoca di grandi incertezze create dalla crisi della diseguaglianza globaledalle sue dimensioni e dalla radicalità che ne ha caratterizzato l’evoluzione, l’esito di quel voto, non così lontano, ci restituiva la certezza di una Costituzione forte, il nostro patrimonio comune di valori, come le leggi nelle lettere persiane di Montesquieu da toccare solo con mano tremante.
La scommessa vinta dalla Costituzione repubblicana apriva uno scenario diverso, di possibile cambiamento, offrendo nuove opportunità alla politica e ad una sinistra in cerca di identità: voltare pagina rispetto ad una lunga stagione di pensiero debole, di resa alla legge dei mercati e di arretramento nella tutela dello Stato sociale e nei diritti dei lavoratori; invertire la rotta rispetto ad un percorso di dismissione del suo patrimonio di valori e del suo passato, e ai tentativi di prendere pericolose scorciatoie sulla scia del populismo dilagante che si sarebbe rivelato da lì a poco il suo peggior nemico; riappropriarsi del punto di vista dei vecchi e dei nuovi perdenti e ritrovare una progettualità intorno ai principi di solidarietà, rimettendo al centro di un processo di ricostruzione sociale e democratica il diritto al lavoro e le sue tutele; tornare a fare della tensione verso la piena attuazione del principio di eguaglianza l’unificatore politico e culturale di ogni azione, elaborazione e strategia; rifondare su queste basi un progetto di cambiamento all’altezza delle sfide poste da una crisi economica diventata crisi sociale, crisi della democrazia rappresentativa, dei suoi meccanismi e delle sue regole che non hanno saputo veicolare verso l’alto le istanze di equità sociale né porre limiti alla legge dei mercati e della finanza e sono perciò apparse regole vuote, finite sotto accusa come inutili formalismi e strumenti funzionali solo alla conservazione della “casta”.
[…]
  La politica ha perso queste opportunità. […] Si sono imposti, come ha scritto Ezio Mauro, due radicalismi simmetrici: il radicalismo del nuovo sovranismo che ha intercettato il risentimentoe  gli ha offerto un bersaglio e un nemico, rappresentato dallo straniero che minaccia la nostra sicurezza, usurpa i nostri diritti e contamina la nostra identità; il radicalismo egualitario e camaleontico dell’antipolitica che, senza il vincolo di ideologie, senza il peso di un passato e di una sua storia di riferimento, ha assecondato il ribellismo e gli umori del momento, ha sancito la sconfitta della sinistra conquistando il suo popolo e oggi, con il suo inesauribile trasformismo, può scendere a compromessi persino sulla pelle dei migranti abbandonati al loro destino in mare.
[…] Abbiamo colto il grande rifiuto verso la politicaintesa come strumento e luogo di elaborazione di un progetto collettivo di cambiamento, e del pensiero politico come veicolo di nuove visioni e di aspirazioni comuni: non una richiesta di una discontinuità con il passato, di un cambio di passo, ma la rimozione di tutto quello che sino ad oggi è stato.
  Ogni cambiamento radicale ha bisogno di interrompere la storia, di segnare con un “atto I” la separazione fra il prima e il dopo, di esprimere e di alimentare una nuova emotività. Quella istintuale, che il radicalismo vincente ha intercettato, raccoglie ma non è in grado di elaborare le istanze di maggiore equità e farne la base di un’azione collettiva; crea i luoghi dove si libera la parola ma non si dialoga; cerca nuove agorà dove non si organizza un pensiero critico ma si fomentano il ribellismo e le sue parole d’ordine.
[…]
È un nuovo sentire che accomuna le periferie delle nostre città, interi e vasti strati sociali ma non unisce, non genera solidarietà, e si nutre anzi della contrapposizione alle élites e al sistema, come dei conflitti sociali generati dalla perdita dei diritti e delle tutele.
Stiamo smarrendo il senso di appartenenza ad una comunità, con i suoi valori unificanti dell’eguaglianza emancipatrice e della pari dignità, base della coesione sociale.
Non ci sentiamo più parte di un insieme né di un progetto collettivo: l’aspirazione ad una società di eguali e al bene comune ha lasciato il posto alle rivendicazioni dei singoli – non più cittadini associati ma individui – ad escludere gli altri. Rotto ogni patto di solidarietà, i nuovi perdenti devono essere e sentirsi nemici di altri perdenti, soggetti deboli e senza diritti, siano essi i migranti, i poveri e gli emarginati.
2.  Il radicalismo vincente, che ha intercettato questo nuovo sentire, persegue ed esso stesso è già espressione di un progetto di mutazione genetica che vuole disfarsi dei vecchi arnesi della democrazia rappresentativa e sostituirli con le illusioni della democrazia diretta e del “governo del popolo”.
Stanno emergendo i tratti con i quali Gustavo Zagrebelsky ha descritto la fisionomia della democrazia acritica: al popolo non si riconosce il potere, supremo ma non illimitato, di orientare il governo della cosa pubblica ma l’apparenza di una sovranità infallibile; armata dell’idea che questa sia il suo massimo attributo democratico, la democrazia acritica non discute sui limiti e sulle imperfezioni del popolo, non lo sottrae alla passività e alla reattività per farne una forza attiva capace di progetti elaborati non da altri che da se stessi, ma lo trasforma nel popolo passivo dei sondaggi. Un popolo che è unitario quando è eccitato da suggestioni e parole d’ordine collettive, ma che ha un’anima sola, risultato di tante solitudini individuali. Un popolo non soggetto di politica ma strumento di chi si propone come unico interprete della sua volontà.
Si è aperta la strada per uno stravolgimento nei fatti del nostro patto repubblicano attraverso nuove incontrollabili forme di personalizzazione della leadership e di investitura dell’uomo solo al comando, che si propone come vendicatore delle donne e degli uomini dimenticati, unico legittimato a rappresentarne la volontà.
La crisi sociale si salda alla crisi della democrazia rappresentativa. Stiamo perdendo ogni consapevolezza del ruolo delle nostre istituzioni, delle regole e dei meccanismi che nell’assetto costituzionale esprimono la complessità, la dialettica e le dinamiche della democrazia. Stiamo dimenticando, cito ancora Zagrebelsky, che la moltiplicazione delle istituzioni, la loro differenziazione funzionale, la garanzia della loro durata e il loro bilanciamento sono un’esigenza della democrazia critica, anche dal punto di vista del mantenimento della sua condizione psicologica: la perenne tensione al meglio e l’insoddisfazione per l’esistente, che trasformano in virtù i limiti della democrazia, la sua imperfezione e la sua incompiutezza.
Abbiamo scoperto in pochi mesi una nuova, diffusa e radicata emotività, e tutte le contraddittorie istanze espresse nel consenso al radicalismo che ha intercettato la domanda di cambiamento. E negli stessi mesi abbiamo acquisito consapevolezza del percorso irreversibile che stiamo imboccando verso un mutamento non solo delle forme e degli equilibri dell’assetto costituzionale della nostra convivenza ma di ciò che ne rappresenta la sostanza.
Si preannunciava una nuova difficile stagione, una prova di resilienza per la nostra democrazia. Oggi emergono i tratti, sempre più netti e riconoscibili, di quello che Luigi Ferrajoli ha definito un chiaro e consapevole disegno di alterazione del suo paradigma costituzionale, che si salda al più ampio progetto eversivo di colpire l’Europa unita e i suoi valori fondanti; assistiamo alla disgregazione delle vecchie forme di soggettività politica collettiva, basate sull’eguaglianza nei diritti e sulla solidarietà tra eguali e alla loro sostituzione con soggettività politiche di tipo identitario, che trovano oggi la loro più forte e simbolica espressione nella contrapposizione fra il “cittadino” e lo “straniero”, gli “italiani” e gli “immigrati”.
La costruzione di nuove soggettività di tipo identitario è parte rilevante della strategia del populismo e dei neonazionalismi, che, alimentando strumentalmente la percezione dell’invasione da parte degli stranieri, ha innescato anche nel nostro Paese una deriva xenofoba e razzista, e sta rimettendo in discussione i principi e i valori fondanti della democrazia europea.
Con la chiusura dei nostri porti e la messa al bando delle ONG si è consumata una violazione senza precedenti degli obblighi giuridici e morali di soccorso e di accoglienza, che derivano dal diritto interno ed internazionale.
[…]
Sulla sorte dei migranti abbiamo ingaggiato una sfida con l’Europa “per la solidarietà” che rappresenta un’inversione morale di questo principio e abbiamo simbolicamente impresso una forte accelerazione al progetto di chiudere il nostro Paese nelle frontiere emotive del rifiuto e della paura.
Abbiamo in pochi mesi e con pochi gesti annientato intere esperienze di integrazione e di inclusione. Abbiamo così distrutto intere comunità cresciute intorno al valore dell’accoglienza e alle opportunità che la pacifica convivenza offre a tutta la collettività. Abbiamo privato “persone” di diritti, non per quello che fanno ma perché diverso dal nostro è il Paese dove sono nate e dal quale sono state costrette a fuggire.
Siamo di fronte, ha scritto Luciano Manicardi, a un uso politico strumentale di due distinte emozioni: la paura certo, ma anche la vergogna. Il rifiuto, l’espulsione trasmettono al migrante come a tutti i marginali il senso del “non diritto all’esistenza”, e del carattere “vergognoso” della loro presenza. Ma oggi – come dice Manicardi – siamo noi a doverci vergognare.
3. «Oggi vorrei parlarvi della tragedia dell’Europa. Questo nobile continente che comprende nel suo insieme le regioni più eque e colte della terra. E in che condizione l’Europa è stata ridotta? … . Tra i vincitori c’è una babele di voci, tra i vinti il cupo silenzio della disperazione… Eppure esiste ancora un rimedio che, se venisse generalmente e spontaneamente adottato dalla grande maggioranza dei popoli in molti Paesi, trasformerebbe per miracolo l’intera scena… qual è questo rimedio sovrano? Consiste nella ricostruzione della Famiglia europea, o di tutto ciò che di essa ci è possibile ricostruire, e nel dotarla di una struttura nella quale possa dimorare in pace, sicurezza e libertà. Dobbiamo costruire una sorta di Stati Uniti d’Europa».
A distanza di 73 anni queste parole tratte dal discorso tenuto da Winston Churchill all’Università di Zurigo il 19 settembre 1946, conservano la loro attualità.
L’Europa unita è, per noi contemporanei e per le generazioni future, una necessità.
Di fronte al ritorno dei nazionalismi e dei loro simboli non è un esercizio retorico ricordare che questa nostra comunità di destino è nata dalla sconfitta dei totalitarismi e che in ogni momento i veleni del nazionalismo possono riportare sanguinosi conflitti anche nel cuore dell’Europa. I demoni, ammoniva J.C. Juncker qualche tempo fa, come ha dimostrato il sanguinoso conflitto nei Balcani, non se ne sono andati, stanno solo dormendo. Oggi noi siamo testimoni del loro risveglio.
Ma l’Unione Europea non è solo una necessità. Come nel progetto visionario di chi l’ha concepita, rappresenta l’unica dimensione dove possono pienamente realizzarsi le condizioni per la fioritura e la perennità di una democrazia durevole (Alain Caillé), e per preservare quell’universalismo dei diritti fondamentali, politici e civili, di libertà e sociali proclamato nella sua Carta dei diritti.
Su tutti noi oggi grava una responsabilità storica.
Ereditiamo un’Europa indebolita dagli effetti della crisi economica e sociale, dall’esplosione delle diseguaglianze, dalla disaffezione e dal senso di distanza dalle sue istituzioni che non hanno saputo raccogliere le istanze di maggiore equità sociale dei singoli e di solidarietà di interi Paesi provati duramente dalla crisi economica. Abbiamo assistito in questi anni, senza consapevolezza delle loro implicazioni, a scelte di rottura con la sua identità di comunità fondata sulla solidarietà e sulla pari dignità delle persone.
Abbiamo tollerato i gesti che hanno dato concretezza a queste scelte (i respingimenti dei migranti ai confini, in Ungheria come in Francia) e l’ostentazione delle loro azioni simboliche (i muri, i fili spinati, le marce religiose per presidiare i confini e per esorcizzare l’ingresso degli infedeli).
Abbiamo riscoperto l’importanza dei confini europei e, con la fine della coraggiosa operazione Mare Nostrum, abbiamo accettato di arretrare “fisicamente ed eticamente” su questa linea di confine (nota Asgi).. Oggi ci sfidiamo, da “nazioni sovrane”, sul dovere condiviso della “solidarietà” chiudendo i porti alle ultime navi impegnate nel soccorso umanitario – quelle dei volontari – presenti nel Mediterraneo.
[…]
Abbiamo voltato le spalle al Mediterraneo accettando l’assuefazione di fronte alla quotidiana evidenza di una strage infinita, “affidando” la sorte dei migranti alla casualità delle operazioni di cosiddetto salvataggio della Guardia costiera libica, di fatto rinviandoli ai centri di detenzione e abbandonandoli ad un contesto disumano e degradante, ripetutamente e inutilmente denunciato da tutte le organizzazioni internazionali.
Con l’inerzia, l’indifferenza e l’incapacità di superare i veti incrociati e gli egoismi nazionali l’Europa ha tradito l’impegno assunto nella sua Carta dei diritti fondamentali di garantirne il godimento nei confronti dell’intera comunità umana e delle generazioni future.
4. Il futuro di un’Europa fondata sui diritti e sui valori universali e indivisibili di solidarietà, eguaglianza e pari dignità delle persone, deve oggi confrontarsi con un progetto di disgregazione, che è l’altra faccia di un contagioso processo di regressione democratica e di affermazione delle democrazie “illiberali” in Paesi membri dell’Unione.
[…]
  Si alterano le forme della democrazia e si svuota di contenuti la sua “dimensione sostanziale” con scelte regressive per i diritti civili e sociali, per la libertà di espressione e per quella accademica, per i diritti dei migranti, dei richiedenti asilo e dei rifugiati, per la libertà di riunione e di associazione e per i diritti delle persone appartenenti alle minoranze.
[…]
«Io credo che dovremmo essere “ambiziosi” quando parliamo di “Stato di diritto” e di diritti fondamentalialmeno quanto l’Europa è “ambiziosa” nel mettere in opera nuovi meccanismi di assistenza finanziariae regole per l’unione monetaria e bancariaPerché banche e bilanci sono certamente molto importanti per la nostra economia…. ma l’Europa non è solo banche e bilanci. È molto di più. E deve essere molto di più, se vogliamo conquistare non solo le “tasche” ma anche il cuore e la mente dei cittadini europei. Ecco perché è così importante creare un nuovo meccanismo per tutelare lo Stato di diritto».
Con queste parole Viviane Reding presentava il nuovo quadro per la tutela dello Stato di diritto adottato nel marzo 2014. È stata la risposta della Commissione europea ai segnali di allarme rappresentati dal ripetersi di situazioni di violazioni sistemiche dei valori fondanti dell’Unione: le espulsioni delle popolazioni Rom in Francia nell’estate del 2010; le riforme adottate in Ungheria a partire dal 2011 con gravi ricadute sull’indipendenza del sistema giudiziario, sulla Corte costituzionale e sui diritti fondamentali delle persone; la crisi determinata in Romania nell’estate del 2012 dall’adozione di una serie di misure urgenti da parte del Governo, che alteravano gli equilibri costituzionali e riducevano le competenze della Corte costituzionale.
È stato un passo importante per riaffermare che, nella visione europea, lo Stato di diritto, in quanto posto a fondamento dell’Unione e della sua azione esterna, non è espressione della sovranità statale, protetta dalla insindacabilità delle scelte relative all’assetto costituzionale e all’equilibrio fra i poteri negli Stati membri, ma è espressione dell’insieme dei valori e dei principi costituzionali e giuridici comuni che l’Unione deve assumere a parametri di valutazione della continuità dell’azione anche degli Stati membri con i criteri di Copenaghen.
[…]
  A fronte del dilagante processo di regressione dello Stato di diritto, l’Europa deve procedere con determinazione nella direzione più volte indicata dal Parlamento europeo, adottando un sistema di monitoraggio costante per tutti gli Stati membri, che prescinda dall’esistenza di situazioni di grave e persistente violazione dei valori di cui all’articolo 2 del Trattato, e realizzi invece le condizioni per una permanente e reciproca sorveglianza democratica in difesa di tutti i principi fondativi del sistema costituzionale europeo: un processo regolare, sistematico e obiettivo di monitoraggio e di dialogo, al quale partecipino tutti gli Stati membri, con il coinvolgimento delle istituzioni europee , per salvaguardare i valori fondanti dell'Unione e tutti i principi dello Stato di diritto.
Si tratta di una prospettiva essenziale per il futuro dell’Unione come comunità fondata sulla ”forza non di un esercito o di una polizia comune”, ma dei principi dello Stato di diritto (sentenza Les Vertes CGUE C- 294/83 del 1986), chenon si risolve nel rispetto della legalità formale ma afferma il primato dei diritti fondamentali, garantito solo da sistemi giudiziari indipendenti.
 Si tratta di passi importanti nella costruzione di un ruolo centrale delle istituzioni europee nella promozione e nella tutela dello Stato di diritto, verso un’identità europea fondata sui valori declamati dai Trattati, che può aprire per la politica dell’Unione prospettive più ampie ed ambiziose rispetto all’ effettiva realizzazione dello spazio comune di libertà, giustizia e sicurezza.
A pochi mesi da elezioni decisive per il futuro della democrazia europea, è questo il momento per riaffermare, senza incertezze, la nostra aspirazione ad una piena integrazione politica e sociale dell’Unione, ad un’Europa capace di dare un’anima alle sue politiche monetarie anteponendo alle esigenze del mercato scelte di valore in nome della coesione e solidarietà, dotata delle forza politica necessaria per affrontare le grandi sfide che la storia le pone davanti ed essere protagonista sulla scena mondiale nella difesa degli ideali dell’uomo che sono i suoi ideali (Caillé).
La democrazia europea avrà un futuro se sarà in grado di ritrovare il suo demos. E solo seguendo la trama dei diritti, come ha scritto Stefano Rodotà, potremo davvero scoprire un’altra Europa, assai diversa dalla prepotente Europa economica e dall’evanescente Europa politica. Questa è la via obbligata che ci indica la Carta dei diritti fondamentali per una rifondazione in senso democratico dell’Unione. E in questa direzione la giurisdizione, nazionale ed europea, dovrà continuare a svolgere il ruolo fondamentale che ha assunto in questi anni nella costruzione dell’ordinamento giuridico dell’Unione, fondato sulla centralità della persona e dei suoi bisogni.
5. In un contesto di crescente complessità della domanda di giustizia, nel vuoto di tutela per i diritti e nell’assenza di regole di presidio alla legalità, si rinnovano per la giurisdizione, e in forme sempre diverse, grandi sfide e terribili responsabilità.
L’esplosione delle nuove diseguaglianze, che anche le cifre e l’analisi dell’ultimo rapporto Oxfam descrivono in maniera spietata, confermando la loro crescente estensione e una concentrazione delle ricchezze a livello mondiale eticamente inaccettabile, ha disarticolato il nostro quadro culturale di riferimento.
Nell’epoca delle nuove diseguaglianze, i perdenti e i soggetti deboli sono disseminati in luoghi inattesi e la tutela dei diritti richiede anzitutto la comprensione piena del fenomeno rispetto a nuove forme di esclusione sociale, prodotte dalla mancanza di accesso alla conoscenza e all’informazione, ai servizi fondamentali come la tutela della salute e l’istruzione, e in ambiti già esplorati, come quello del lavoro, sia dipendente che autonomo.
Quanto la realtà del mondo del lavoro si sia sempre più allontanata dal modello disegnato dalla nostra Costituzione è sotto gli occhi di tutti. Da strumento di emancipazione, e principale condizione di accesso ad un’ esistenza libera e dignitosa fattore di produzione di nuove diseguaglianze: con il lavoro atipico e il lavoro precario si sono moltiplicate le disparità retributive; pesanti sono gli effetti di esclusione della diseguaglianza di genere e della frammentazione del lavoro, attraverso la creazione di nuove e sempre più diffuse forme contrattuali, dalla galassia del parasubordinato al contratto di somministrazione di mano d’opera, e un’ulteriore effetto di discriminazione è prodotto dalla concentrazione del lavoro atipico sulle nuove generazioni. Questa realtà non è l’inevitabile risultato delle trasformazioni tecnologiche o della competitività giocata sul mercato globale ma, come ha scritto Roberto Riverso, il frutto di una costruzione sociale in cui il ruolo decisivo appare svolto dallo Stato e il prodotto di una politica, una cultura, di leggi approvate negli ultimi venti anni che hanno scardinato il sistema di tutele costruito intorno al lavoro come priorità del sistema democratico: la definizione del contratto a tempo indeterminato come regola generale del rapporto di lavoro; l’inderogabilità delle tutele accordate in sede legislativa; l’affermazione della proporzionalità tra inadempimento del lavoratore e reazione del datore e conseguente controllabilità del modo in cui il datore di lavoro esercita questo potere; l’esistenza di un giudice ad hoc che, pur arbitro imparziale tra le parti, è capace di comprendere la diversa capacità di resistenza economica, e dunque processuale, tra le parti, così da svolgere un concreto ruolo promozionale delle garanzie individuali e di assicurare effettiva certezza ai diritti, non solo economici, dei lavoratori. E in questo scenario economico e sociale, di riduzione del ruolo di garanzia del giudice del lavoro, al quale si chiede di abbandonare un controllo sostanziale interno, per porne in essere uno meramente formale ed esterno, e di non intromettersi in scelte dettate dalla situazione economica contingente, posta a giustificazione di scelte imprenditoriali che incidono pesantemente sulle tutele, non solo economiche, dei lavoratori, è mancata una politica alternativa di difesa dei diritti e per una riforma del welfare.
Sono mancati gli strumenti e le misure d’intervento in grado – come ha detto Paolo Guerrieri – di migliorare l’uguaglianza delle opportunità oltre che colmare le disuguaglianze nelle condizioni di partenza, realizzando allo stesso tempo una combinazione virtuosa tra una efficace effettiva redistribuzione e un adeguato dinamismo dei mercati.
La centralità del lavoro, con il suo valore in termini di emancipazione della persona e costruzione di rapporti sociali solidi, rischia di essere messa in ombra dalle misure di contrasto della povertà. Il reddito di cittadinanza, se da un lato appare importante in chiave di contrasto a diseguaglianze ormai inaccettabili, dall’altro comporta il rischio di incanalare in prospettive di assistenzialismo le battaglie per il lavoro e per una società meno povera. Potrebbero così rimanere sul tappeto i veri problemi: creazione di lavoro vero e non povero; riforma dei centri per l’impiego; piano di investimenti strategico per ridare linfa al lavoro; universalismo dei diritti dei lavoratori.
Nella riflessione svolta al congresso di Bologna sul tema delle diseguaglianze abbiamo ritrovato le ragioni del nostro impegno per una giurisdizione all’altezza del difficile compito che oggi richiedono l’attuazione dell’eguaglianza nelle sue nuove declinazioni e la sua realizzazione nella dimensione “costituzionale” piena, con la rimozione di ciò che di fatto la ostacola.
Sfide nuove, dunque, e terribili responsabilità per la giurisdizione che oggi deve confrontarsi con un contesto che sta rapidamente evolvendo, in ambito europeo e nazionale, verso un nuovo assetto normativo e culturale fortemente regressivo per i diritti e per le garanzie e verso una manomissione dei principi dello Stato di diritto che priva la giurisdizione del suo ruolo di garanzia e di terzietà.
[…]
In questi mesi [in Italia] abbiamo assistito all’umiliazione del Parlamento e a crescenti manifestazioni di insofferenza verso le istituzioni e le regole della democrazia. […] Attraverso la riduzione degli ambiti di intervento della giurisdizione, si rimettono in discussione il fondamento egualitario e solidaristico del nostro Stato costituzionale e i principi che ne costituiscono l’essenza: l’universalismo dei diritti fondamentali, la centralità della persona e della pari dignità, la libertà di autodeterminazione, la laicità dello Stato.
Espropriando la giurisdizione del suo ruolo di garanzia e di terzietà, si altera in maniera permanente il rapporto fra autorità e libertà e il quadro di valori che dà legittimazione al sistema penale, ponendo limiti all’arbitrio del potere punitivo.
[…]
  L’immigrazione è rappresentata e deve essere vissuta come una questione di ordine pubblico; lo straniero, clandestino o integrato, è comunque il diverso, responsabile della nostra insicurezza e dell’usurpazione di diritti e di opportunità a danno dei “cittadini”.
[…]
Si intravede un progetto alternativo di società: un nuovo ordine fondato sul superamento teorizzato, dichiarato e rivendicato, del carattere universale dei diritti fondamentali, del principio di eguaglianza fra gli individui e della solidarietà quale valore che appartiene alla nostra storia e alla nostra comunità.
[…]
Dobbiamo ricordare che, come ha scritto Paolo Rumiz, profughi si diventa e profughi tutti noi possiamo diventare in un solo attimo. Basta una guerra.
[…]
 Si moltiplicano i segnali di un nuovo oscurantismo, di una utopia regressiva che investe interi sistemi di diritti, come il diritto di famiglia, e vuole passi indietro su conquiste fondamentali che riguardano i diritti del vivere e la libertà di agire di ciascuno di noi davanti alle decisioni della vita.
6.  Le continue torsioni e deformazioni subite dal diritto penale in questi anni, sotto la spinta delle pulsioni ed emergenze del momento, hanno prodotto una dilatazione irrazionale dello strumento repressivo e l’abbandono del modello garantista rappresentato dal diritto penale minimo: si moltiplicano le leggi d’eccezione e di occasione come le definiva Francesco Carrara; si ricorre all’uso demagogico della norma penale che alimenta l’illusione repressiva aumentando la paura e, criminalizzando le persone in luogo delle condotte, individua il nemico contro cui dirigerla.
[…]
 Torniamo ad una visione arcaica e primitiva della pena: è l’afflizione che merita chi ha sbagliato, e che per questo deve tornare a pagare; ed è l’afflizione massima, che non ammette la prospettiva di recupero né di reinserimento. La certezza della pena diventa certezza del carcere.
[…]
  Si abbandona ogni prospettiva di una giustizia riparativa, di strumenti di riconciliazione, di forme ripristinatorie o riparatorie perché contrarie alle esigenze di tutela della collettività. La risposta al reato è e può essere solo una ritorsione, e una sanzione che ne riproduce in senso analogico la negatività, il suo essere male (Luciano Eusebi).
[…]
 Il percorso intrapreso non solo porta al definitivo abbandono della prospettiva di un sistema penitenziario e di esecuzione penale pienamente conforme al dettato della Costituzione ma ci allontana dall’idea di pena che è patrimonio della nostra cultura giuridica, coerente con i principi di necessità, personalità, finalismo rieducativo: principi che fanno parte del suo contenuto ontologico, come ci ha ricordato la Corte costituzionale, che devono evitare «il rischio di strumentalizzare l’individuo per fini generali di politica criminale» o di «privilegiare la soddisfazione di bisogni collettivi di stabilità e sicurezza (difesa sociale), sacrificando il singolo attraverso l’esemplarità della sanzione»; qualità essenziali per la «legittimazione e funzione» della pena, che «l’accompagnano da quando nasce, nell’astratta previsione normativa, fino a quando in concreto si estingue».
[…]
Il processo penale si allontana dal suo paradigma garantista: quello per cui, come ha scritto Cordero, “la caccia vale più della preda”. Se i termini si invertono, la caccia non ha bisogno di regole e anzi delle regole che la ostacolano deve liberarsi.
E la preda catturata deve essere esibita: la messa in scena organizzata dalla propaganda di stato per “celebrare” la fine della latitanza di Cesare Battisti ha trasformato la vittoria dello Stato di diritto e la chiusura di una vicenda dolorosa della nostra storia in una pagina umiliante, che – come denunciato dall’Unione delle Camere penali – rappresenta nel modo più plastico e drammatico un’idea arcaica di giustizia ed un concetto primitivo della dignità umana, estranei alla cultura del nostro Paese.
Un’idea arcaica di giustizia come vendetta privata ispira la nuova disciplina della legittima difesa. Messa al primo punto degli interventi nell’area penale previsti dal contratto di governo, questa riforma – come ha scritto Gaetano Insolera – persegue in modo evidente la costruzione di una emergenza e di una retorica disancorate da razionali considerazioni volte a contemperare la molteplicità delle situazioni fattuali e la ponderazione degli interessi in gioco con la rigidità di un dato normativo”.
È una retorica che corrisponde invece ad opzioni viscerali, estreme, più simili alla logica semplificata della Castle Doctrine e delle stand your ground laws che in America ispirano le norme sulla legittima difesa, fornendo un elevatissimo grado di tutela per chi usi la forza letale contro chi si introduca illecitamente in un’abitazione, sulla base di opzioni di valore sino a ieri estranee alla nostra cultura.
Una riforma “manifesto”, con gravissime implicazioni sul piano culturale come su quello giuridico: anteporre l’inviolabilità del domicilio alla tutela incondizionata della vita umana significa consumare un ulteriore strappo con il sistema dei valori della nostra Costituzione, sovvertendo la collocazione che da questo sistema ricevono e la graduazione della loro tutela conforme ad elementari principi di civiltà giuridica.
[…]
Il processo penale si allontana dal suo paradigma garantista: quello per cui, come ha scritto Cordero, “la caccia vale più della preda”. Se i termini si invertono, la caccia non ha bisogno di regole e anzi delle regole che la ostacolano deve liberarsi.
E la preda catturata deve essere esibita: la messa in scena organizzata dalla propaganda di stato per “celebrare” la fine della latitanza di Cesare Battisti ha trasformato la vittoria dello Stato di diritto e la chiusura di una vicenda dolorosa della nostra storia in una pagina umiliante, che – come denunciato dall’Unione delle Camere penali – rappresenta nel modo più plastico e drammatico un’idea arcaica di giustizia ed un concetto primitivo della dignità umana, estranei alla cultura del nostro Paese.
Un’idea arcaica di giustizia come vendetta privata ispira la nuova disciplina della legittima difesa. Messa al primo punto degli interventi nell’area penale previsti dal contratto di governo, questa riforma – come ha scritto Gaetano Insolera – persegue in modo evidente la costruzione di una emergenza e di una retorica disancorate da razionali considerazioni volte a contemperare la molteplicità delle situazioni fattuali e la ponderazione degli interessi in gioco con la rigidità di un dato normativo”.
È una retorica che corrisponde invece ad opzioni viscerali, estreme, più simili alla logica semplificata della Castle Doctrine e delle stand your ground laws che in America ispirano le norme sulla legittima difesa, fornendo un elevatissimo grado di tutela per chi usi la forza letale contro chi si introduca illecitamente in un’abitazione, sulla base di opzioni di valore sino a ieri estranee alla nostra cultura.
Una riforma “manifesto”, con gravissime implicazioni sul piano culturale come su quello giuridico: anteporre l’inviolabilità del domicilio alla tutela incondizionata della vita umana significa consumare un ulteriore strappo con il sistema dei valori della nostra Costituzione, sovvertendo la collocazione che da questo sistema ricevono e la graduazione della loro tutela conforme ad elementari principi di civiltà giuridica.
[..]
La giustizia a portata di mano non tollera i valori più complessi della giurisdizione e vive con insofferenza i vincoli delle garanzie.
All’illusione panpenalistica si accompagna quella pangiustizialista e si svela l’altra faccia del diritto penale orientato alla massima repressione: accanto al diritto penale diseguale che accentua la risposta repressiva per i soggetti marginali, il trattamento egualitario che rovescia il senso delle garanzie trascinando verso il basso i soggetti più forti con lo stesso sbrigativo trattamento che spetta a quelli più deboli.
La risposta a mali endemici e a fenomeni di criminalità gravi e complessi è la “tolleranza zero” e il linguaggio della nuova politica criminale vuole trasmettere il senso di un intervento “risolutivo”: è – come ha detto Vittorio Manes – un lessico distorsivo, prigioniero e irretito dalla finalità di legittimare un utilizzo del diritto penale come strumento di lotta a fenomeni sociali, che si assumono sistemici, se non persino come strumento di “vendetta sociale”.
[…]
Una impostazione che può portare al mutamento della fisionomia del diritto e del processo penale: le garanzie non sono una concessione o una rinuncia a favore degli avversari della legalità ma rappresentano un’esigenza della giurisdizione, il limite strutturale dell’intervento penale, che lo legittima con la massima riduzione dei suoi margini di arbitrio.
Nessuna scelta finalizzata all’efficienza del processo penale è neutra rispetto alla tenuta del sistema di garanzie e dei principi del giusto processo.
Per questo riteniamo che oggi sia compito di Md contribuire a riportare il dibattito sulle riforme del processo penale sui giusti binari, restituendo al confronto la complessità della riflessione che le garanzie e i principi del giusto processo richiedono.
[…]
Come ha scritto Stefano Rodotà, la magistratura è l’avamposto istituzionale nella società, direttamente investita da tutta una serie di situazioni nuove, difficili, che trovano il loro primo interlocutore nella giustizia.
Nel suo ruolo di dare prospettive allo sviluppo della democrazia progressiva delineata dal [2° comma]  dell’articolo 3 della Costituzione,
»E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.» 
 la giurisdizione si colloca al centro delle dinamiche e dell’ambivalente rapporto che da sempre lega la democrazia ai diritti: in quanto “fondamentali” i diritti sono necessari alla democrazia, garanzia della sua sopravvivenza; ma il loro riconoscimento e la loro tutela affidati ai giudici, e sottratti al legislatore, genera la diffidenza della democrazia verso i “diritti” e la perenne tensione alla quale è sottoposto il ruolo della giurisdizione come possibile fattore di alterazione dell’equilibrio fra i poteri e di limitazione della sovranità popolare.
Oggi sono chiari i segnali di una rapida involuzione di queste dinamiche. Nella democrazia acritica che non ammette mediazioni rispetto alla giustizia attesa dal popolo, la diffidenza si trasforma in conflitto, e si rimette in discussione il fondamento stesso della legittimazione della giurisdizione: l’essere la giurisdizione attuazione dei diritti, ciò che deve renderli effettivi per tutti e dovunque siano negati da ostacoli di fatto o di diritto; l’essere la giurisdizione il luogo dove, nella concretezza del suo esercizio, il potere punitivo limita se stesso e il suo arbitrio, arrestandosi di fronte alle garanzie e alla sfera dell’indecidibile (Ferrajoli), che presidia le libertà e i diritti fondamentali delle persone.
La diffidenza verso il ruolo di garanzia della giurisdizione è il filo rosso che lega tutti i recenti interventi di riforma: si marginalizza la giurisdizione che attua i diritti; si vuole snaturare la sua funzione liberandola dai “vincoli” delle garanzie.
Una diffidenza dichiarata nella novella della legittima difesa, che vuole eliminare gli “elementi di incertezza interpretativa” insiti nella valutazione della proporzionalità fra difesa e offesa; nell’annuncio della riforma […]su sicurezza e immigrazione, che denuncia l’“anomalia tutta italiana” prodotta dall’abuso della protezione umanitaria fondato su “ampi margini di incertezza interpretativa”, e nel tentativo di tipizzarne le ipotesi con l’obiettivo dichiarato di limitare il potere discrezionale del giudice che ne avrebbe fatto un troppo ampio utilizzo; nel disegno di legge [sull’affidamento dei flgli in caso di fine di una relazione coniugale] che, in coerenza con il contratto di Governo, rivendica la scelta di una “progressiva de-giurisdizionalizzazione” della materia per rimettere al centro la famiglia e i genitori e il loro diritto di decidere sul futuro dei loro figli, lasciando al giudice un ruolo residuale; nelle preclusioni e negli automatismi che devono vincolare il giudice nella scelta di quanto punire e di come punire.
Da tempo la magistratura si misura con le logiche e i contenuti del diritto penale del nemico: la dialettica che contrappone lo Stato al suo nemico mette in discussione la terzietà della giurisdizione, percepita come un ostacolo alle finalità di lotta e di neutralizzazione dell’avversario.
Con incoerenze, oscillazioni e cadute nelle prassi, la giurisdizione ha sempre saputo recuperare, attraverso una lettura costituzionalmente orientata delle norme, il terreno sottratto alle garanzie e ai principi fondamentali che governano il nostro sistema penale.
Oggi la sfida per la giurisdizione si presenta ancora più complessa: parte della dialettica fra lo Stato e il suo nemico è il popolo, e in nome della volontà popolare si chiede ai giudici di farsi carico delle esigenze di prevenzione e di neutralizzazione del nemico sociale, di entrare nel conflitto che lo contrappone allo Stato.
In questa dialettica, ha scritto Massimo Donini, ai giudici si chiede di scegliere apertamente, di dichiarare da che parte stanno, e si rimette in discussione che essi debbano stare sempre dalla parte dei diritti e delle garanzie.
E, ammoniva Donini, lo scenario si complica quando si guarda a quel che accade fuori dai palazzi e dalle aule di giustizia: se le nostre città fossero state colpite dagli eventi tragici di Parigi o Bruxelles, quanti sarebbero oggi disposti ad accettare l’unica risposta che la giurisdizione deve e può dare? Siamo dalla parte dei diritti e delle garanzie.
[…]
Quel che sta accadendo ci chiama in causa come persone e come magistratura, animata da quei valori che la Costituzione ha voluto imprimere nella sua fisionomia. Nessuno può oggi tacere quando con parole sprezzanti si commenta la morte di una persona in stato di arresto. Nessuno può restare indifferente al rifiuto di offrire un approdo a chi fugge da indicibili sofferenze. È un dovere civico e morale reagire all’indifferenza, all’assuefazione e alla banalizzazione di quel che ignominiosamente accade intorno a noi. E ricordare a noi stessi e agli altri, come ha fatto il procuratore generale di Torino, che anche la pietà nel nostro Paese oggi sta morendo.
Il pericolo maggiore che in una democrazia minaccia i giudici è il pericolo dell’assuefazione, dell’irresponsabilità anonima... non sappiamo che farcene dei giudici di Montesquieu, esseri inanimati, fatti di pura logica.
Noi vogliamo essere i giudici con l’anima di Calamandrei: giudici engagés, che sappiano portare, con vigile impegno umano, il grande peso di questa immane responsabilità che è il rendere giustizia.
E auspichiamo un’Associazione in grado di rappresentare i giudici con l’anima, capace di cogliere la complessità del momento storico che stiamo vivendo.


Translation in English language made with the help of Google Translator

A look at the European and Italian situation

Extract from the introductory report by Mariarosaria Guglielmi to the Congress of the association of Italian magistrates Magistratura Democratica, entitled "The judge in the Europe of populism".

The full report can be read and downloaded from the WEB at this address:
http://www.magistraturademocratica.it/congresso/2019/relazione-guglielmi

1. In a few months the face of our country has changed. And the path that has led our democracy so far seems to have been interrupted. A journey made of dark pages and dramatic moments, of which we still keep alive the wounds and the painful memory. A path that has gone through difficult seasons in which the stability of our institutions has been threatened by the subversive violence of terrorism and organized crime, by widespread phenomena of public lawlessness, by conflicts of interest brought to the top of the State and by attempts to disrupt Republican structure.
But it has been - up until now - the path of a democracy, our democracy. It was the unfolding of its history that has never diverged from the track marked, since its inception, from what made it possible: the new founding pact represented by the Constitution born of the Resistance and the defeat of fascism, which delivered a new project of society based on a promise of equality and solidarity and on the recognition of the equal dignity of all individuals.
Within the framework of values ​​drawn by the Constitution, our democracy has gone through its alternate and difficult seasons without ever betraying itself. In this "enclosure" our community has been structured, confronting itself with its conflicts, its concerns and its contradictions and our sense of belonging to a community, to its history and its identity has grown.
[...]
In an era of great uncertainties created by the crisis of global inequality, its size and the radical nature that characterized its evolution, the outcome of that vote, not so far, gave us the certainty of a strong Constitution, our common heritage of values, such as the laws in the Persian letters of Montesquieu to be touched only with a trembling hand.
The bet won by the Republican Constitution opened a different scenario, of possible change, offering new opportunities to politics and a left in search of identity: turn the page over a long season of weak thought, surrender to the law of the markets and back in the protection of the welfare state and workers' rights; to reverse the route with respect to a process of divestment of its heritage of values ​​and its past, and to attempts to take dangerous shortcuts in the wake of rampant populism that would soon be revealed to its worst enemy; reappropriate the point of view of the old and the new losers and find a project around the principles of solidarity, putting the right to work and its protections at the center of a process of social and democratic reconstruction; to return to the tension towards the full implementation of the principle of equality, the political and cultural unifier of every action, elaboration and strategy; re-establish on these bases a project of change that meets the challenges posed by an economic crisis that has become a social crisis, a crisis of representative democracy, its mechanisms and its rules that have not been able to channel the demands of social equity upwards or limits to the law of markets and finance and therefore empty rules appeared, ended up under accusation as useless formalisms and functional tools only for the preservation of the "caste".
[...]
Politics has lost these opportunities. [...] Two symmetric radicalisms have been imposed, as Ezio Mauro wrote: the radicalism of the new sovereignism that has intercepted the resentment has offered him a target and an enemy, represented by the foreigner who threatens our security, usurps our rights and contaminate our identity; the egalitarian and chameleonic radicalism of anti-politics which, without the constraint of ideologies, without the weight of a past and its history of reference, has supported the rebellion and the moods of the moment, has sanctioned the defeat of the left conquering its people and today, with its inexhaustible transformism, it can compromise even on the skin of migrants abandoned to their destiny at sea.
[...] We have grasped the great refusal towards politics, understood as an instrument and place for the elaboration of a collective project of change, and of political thought as a vehicle for new visions and common aspirations: not a request for a discontinuity with the past, of a change of pace, but the removal of all that has been until today.
  Every radical change needs to interrupt the story, to mark with an "I act" the separation between the before and the after, to express and nourish a new emotionality. The instinctual, which the winning radicalism has intercepted, collects but is not able to elaborate the instances of greater equity and make it the basis of a collective action; creates the places where the word is freed but does not dialogue; he is looking for new agoras where critical thinking is not organized, but rebellion and its slogans are fostered.
[...]
It is a new feeling that unites the suburbs of our cities, whole and vast social strata but does not unite, does not generate solidarity, and nourishes instead of the opposition to the elites and the system, as the social conflicts generated by the loss of rights and protections.
We are losing the sense of belonging to a community, with its unifying values ​​of emancipating equality and equal dignity, the basis of social cohesion.
We no longer feel part of a whole or of a collective project: the aspiration to a society of equals and to the common good has given way to the demands of individuals - no longer associated citizens but individuals - to exclude others. Broken every solidarity pact, the new losers must be and feel themselves the enemies of other losers, weak subjects and without rights, be they migrants, the poor and the marginalized.
2. The winning radicalism, which has intercepted this new feeling, pursues and itself is already the expression of a project of genetic mutation that wants to get rid of the old tools of representative democracy and replace them with the illusions of direct democracy and "government of the people" .
The features with which Gustavo Zagrebelsky described the physiognomy of uncritical democracy are emerging: the people do not recognize the supreme but not unlimited power to direct the government of public affairs, but the appearance of an infallible sovereignty; armed with the idea that this is its highest democratic attribute, uncritical democracy does not discuss the limits and imperfections of the people, does not remove it from passivity and reactivity to make it an active force capable of projects developed not by others but by themselves , but transforms it into the passive people of the polls. A people that is unitary when it is excited by suggestions and words of collective order, but which has a single soul, the result of so many individual solitudes. A people not a subject of politics but an instrument of those who propose themselves as the sole interpreter of his will.
The road has been opened for a distortion in the facts of our republican pact through new uncontrollable forms of personalization of leadership and investiture of man only in command, which proposes itself as an avenger of forgotten women and men, the only legitimized to represent their will .
The social crisis is supported by the crisis of representative democracy. We are losing all awareness of the role of our institutions, of the rules and mechanisms that express the complexity, the dialectic and the dynamics of democracy in the constitutional order. We are forgetting, I still mention Zagrebelsky, that the multiplication of institutions, their functional differentiation, the guarantee of their duration and their balance are a requirement of critical democracy, also from the point of view of maintaining its psychological condition: the perennial tension at best and dissatisfaction with the existing, which transform into virtues the limits of democracy, its imperfection and its incompleteness.
In a few months we have discovered a new, widespread and deeply rooted emotionality, and all the contradictory demands expressed in the consensus of radicalism that has intercepted the demand for change. And in the same months we have become aware of the irreversible path we are taking towards a change not only of the forms and balances of the constitutional set-up of our coexistence but of what is its substance.
It promised a new difficult season, a proof of resilience for our democracy. Today the more and more distinct and recognizable traits emerge from what Luigi Ferrajoli has defined a clear and conscious design of alteration of his constitutional paradigm, which is linked to the broader subversive project of striking a united Europe and its founding values; we witness the disintegration of the old forms of collective political subjectivity, based on equality in rights and on solidarity between equals and their substitution with identity-type political subjectivities, which find today their strongest and most symbolic expression in the contrast between the "citizen" and the "foreigner", the "Italians" and the "immigrants".
The construction of new identity-type subjectivities is an important part of the strategy of populism and of neonisms, which, by instrumentally feeding the perception of invasion by foreigners, has also triggered a racist and racist drift in our country, and is calling into question the founding principles and values ​​of European democracy.
With the closure of our ports and the banishment of the NGOs, an unprecedented violation of the legal and moral obligations of rescue and reception, which derive from domestic and international law, has been consummated.
[...]
On the fate of the migrants we have engaged a challenge with Europe "for solidarity" which represents a moral reversal of this principle and we have symbolically given a strong acceleration to the project of closing our country in the emotional borders of rejection and fear.
We have in a few months and with few gestures annihilated entire experiences of integration and inclusion. We have thus destroyed entire communities that have grown up around the value of hospitality and the opportunities that peaceful coexistence offers to the whole community. We have deprived "people" of rights, not for what they do but because different from ours is the country where they were born and from which they were forced to flee.
We are facing, wrote Luciano Manicardi, an instrumental political use of two distinct emotions: fear of course, but also shame. The refusal, the expulsion transmit to the migrant as to all the marginal ones the sense of the "not right to existence", and of the "shameful" character of their presence. But today - as Manicardi says - we are to be ashamed of it.
3. "Today I would like to talk to you about the tragedy of Europe. This noble continent which comprehends as a whole the most equitable and educated regions of the earth. And in what condition has Europe been reduced? .... Among the winners there is a babel of voices, among the vanquished the dark silence of despair ... Yet there is still a remedy that, if it was generally and spontaneously adopted by the great majority of peoples in many countries, would miraculously transform the whole scene ... what is this sovereign remedy? It consists in the reconstruction of the European Family, or of all that we can reconstruct it, and in providing it with a structure in which it can dwell in peace, security and freedom. We must build a sort of United States of Europe ".
73 years later, these words taken from the speech given by Winston Churchill at the University of Zurich on September 19, 1946, retain their relevance.
A united Europe is, for us contemporaries and for future generations, a necessity.
Faced with the return of nationalisms and their symbols, it is not a rhetorical exercise to remember that this community of destiny was born from the defeat of totalitarianism and that at any moment the poisons of nationalism can bring back bloody conflicts even in the heart of Europe. The demons, warned J.C. Juncker some time ago, as demonstrated by the bloody conflict in the Balkans, they are not gone, they are just sleeping. Today we are witnesses of their awakening.
But the European Union is not just a necessity. As in the visionary project of those who conceived it, it represents the only dimension where the conditions for the flowering and perenniality of a lasting democracy (Alain Caillé) can fully fulfill, and to preserve the universalism of fundamental, political and civil rights. , freedom and social proclaimed in its Charter of Rights.
Today all of us bear a historical responsibility.
We inherit a Europe weakened by the effects of the economic and social crisis, by the explosion of inequality, by disaffection and by the sense of distance from its institutions that have not been able to collect the demands of greater social equity of individuals and solidarity of entire countries hardly tried from the economic crisis. In these years we have witnessed, without awareness of their implications, choices to break with their identity as a community founded on solidarity and on equal dignity of people.
We have tolerated the gestures that have given substance to these choices (the rejections of migrants on the borders, in Hungary as in France) and the ostentation of their symbolic actions (the walls, the barbed wires, the religious marches to garrison the borders and for exorcise the entrance of the infidels).
We have rediscovered the importance of the European borders and, with the end of the courageous Mare Nostrum operation, we have agreed to move back "physically and ethically" on this border line (Asgi note). Today we challenge ourselves, from "sovereign nations", on the shared duty of "solidarity" by closing the ports to the last ships involved in humanitarian aid - those of the volunteers - present in the Mediterranean.
[…]
We turned our backs on the Mediterranean, accepting the addiction to the daily evidence of an endless massacre, "entrusting" the fate of the migrants to the randomness of the so-called Libyan Coast Guard rescue operations, deferring them to the detention centers and abandoning them to a inhuman and degrading context, repeatedly and unnecessarily denounced by all international organizations.
With inertia, indifference and the inability to overcome cross-vetoes and national egotism, Europe has betrayed the commitment made in its Charter of Fundamental Rights to guarantee its enjoyment of the entire human community and of generations future.
4. The future of a Europe based on the universal and indivisible rights and values ​​of solidarity, equality and equal dignity of persons must today face a project of disintegration, which is the other side of a contagious process of democratic regression and of affirmation of "illiberal" democracies in member countries of the Union.
[...]
  The forms of democracy are altered and its "substantial dimension" is emptied of content with regressive choices for civil and social rights, for freedom of expression and for the academic, for the rights of migrants, asylum seekers and refugees, for freedom of assembly and association and for the rights of persons belonging to minorities.
[...]
"I believe we should be" ambitious "when we speak of" rule of law "and fundamental rights, at least as much as Europe is" ambitious "in implementing new mechanisms of financial assistance, and rules for monetary and banking union . Because banks and financial statements are certainly very important for our economy .... but Europe is not just banks and budgets. It's much more. And it must be much more, if we want to conquer not only the "pockets" but also the heart and mind of European citizens. This is why it is so important to create a new mechanism to protect the rule of law ".
With these words Viviane Reding presented the new framework for the protection of the rule of law adopted in March 2014. It was the European Commission's response to the warning signals represented by the repetition of situations of systemic violations of the founding values ​​of the Union: the expulsions of Roma populations in France in the summer of 2010; the reforms adopted in Hungary since 2011 with serious consequences for the independence of the judicial system, the Constitutional Court and the fundamental rights of persons; the crisis determined in Romania in the summer of 2012 by the adoption of a series of urgent measures by the Government, which altered the constitutional balance and reduced the competences of the Constitutional Court.
It was an important step to reaffirm that, in the European vision, the rule of law, as a foundation of the Union and its external action, is not an expression of state sovereignty, protected by the unquestioning choices regarding the constitutional set-up and equilibrium between the powers in the Member States, but is an expression of the common set of values ​​and constitutional principles that the Union must assume as parameters of assessment of the continuity of the action also of the Member States with the Copenhagen criteria.
[…]
Faced with the rampant process of regression of the rule of law, Europe must proceed with determination in the direction repeatedly indicated by the European Parliament, adopting a system of constant monitoring for all Member States, which is independent of the existence of serious and persistent violation of the values ​​referred to in Article 2 of the Treaty, and instead establish the conditions for a permanent and reciprocal democratic oversight in defense of all the founding principles of the European constitutional system: a regular, systematic and objective process of monitoring and dialogue, in which all the Member States participate, with the involvement of the European institutions, to safeguard the founding values ​​of the Union and all the principles of the rule of law.
This is an essential prospect for the future of the Union as a community founded on the "strength not of an army or a common police", but of the principles of the rule of law (judgment in Les Vertes CGUE C-294/83 of 1986), chenon is resolved respecting formal legality but affirms the primacy of fundamental rights, guaranteed only by independent judicial systems.
 These are important steps in the construction of a central role for the European institutions in the promotion and protection of the rule of law, towards a European identity based on the values ​​declaimed by the Treaties, which can open wider and more ambitious prospects for the policy of the Union. respect to the effective realization of the common area of ​​freedom, justice and security.
A few months after decisive elections for the future of European democracy, this is the moment to reaffirm, without uncertainty, our aspiration for full political and social integration of the Union, to a Europe capable of giving a soul to its policies monetary policies, putting value choices in the name of cohesion and solidarity, with the political force necessary to face the great challenges that history puts before them and being a protagonist on the world stage in the defense of the ideals of man who are his ideals (Caillé).
European democracy will have a future if it is able to rediscover its demos. And just by following the plot of rights, as Stefano Rodotà wrote, we can really discover another Europe, very different from the overwhelming economic Europe and the evanescent political Europe. This is the obligatory path that shows us the Charter of fundamental rights for a re-foundation in the democratic sense of the Union. And in this direction the national and European jurisdiction must continue to play the fundamental role it has played in recent years in the construction of the legal system of the Union, based on the centrality of the person and his needs.
5. In a context of increasing complexity of the demand for justice, in the void of protection for rights and in the absence of rules governing the rule of law, great challenges and terrible responsibilities are renewed for the jurisdiction, and in ever-changing forms.
The explosion of new inequalities, which even the figures and the analysis of the last Oxfam report describe in a ruthless manner, confirming their growing extent and a concentration of worldly ethically unacceptable wealth, has disarticulated our cultural frame of reference.
In the age of new inequalities, the losers and the weak subjects are scattered in unexpected places and the protection of rights requires above all the full understanding of the phenomenon with respect to new forms of social exclusion, produced by the lack of access to knowledge and information, to basic services such as health protection and education, and in areas already explored, such as labor, both dependent and self-employed.
How much the reality of the world of work has increasingly moved away from the model designed by our Constitution is there for all to see. As an instrument of emancipation, it is the main condition of access to a free and dignified existence as a factor in the production of new inequalities: with the atypical work and precarious work the wage disparities have multiplied; the effects of exclusion of gender inequality and of the fragmentation of labor are heavy, through the creation of new and increasingly widespread contractual forms, from the parasubordinate galaxy to the contract for the supply of labor, and a further effect of discrimination is produced by the concentration of atypical work on the new generations. This reality is not the inevitable result of technological transformations or competitiveness played on the global market but, as Roberto Riverso wrote, the fruit of a social construction in which the decisive role appears to be played by the State and the product of a policy, a culture , laws passed in the last twenty years that have undermined the protection system built around work as a priority of the democratic system: the definition of the permanent contract as a general rule of the employment relationship; the indefeasibility of the protections granted in the legislative area; the affirmation of the proportionality between the non-fulfillment of the worker and the reaction of the employer and consequent controllability of the way in which the employer exercises this power; the existence of an ad hoc judge who, although impartial referee between the parties, is able to understand the different capacity of economic resistance, and therefore trial, between the parties, so as to play a concrete promotional role of individual guarantees and to ensure effective certainty to the rights, not just economic, of workers. And in this economic and social scenario, a reduction of the role of guarantee of the labor judge, who is asked to abandon a substantial internal control, to put in place a merely formal and external, and not to interfere in choices dictated by the economic situation contingent, placed to justify entrepreneurial choices that heavily affect the protection, not only economic, of workers, an alternative policy of defending rights and a reform of welfare has been lacking.
There have been no instruments and measures of intervention capable - as Paolo Guerrieri has said - of improving the equality of opportunities as well as bridging the inequalities in the starting conditions, while at the same time creating a virtuous combination between effective effective redistribution and adequate dynamism of the markets.
The centrality of work, with its value in terms of emancipation of the person and the construction of solid social relationships, risks being overshadowed by measures to combat poverty. The income of citizenship, while on the one hand appears to be important in contrast to inequalities that are now unacceptable, on the other hand, entails the risk of channeling labor struggles and a poorer society into prospects of welfareism. So the real problems could remain on the table: creation of real and not poor work; reform of employment centers; strategic investment plan to restore lymph to work; universalism of workers' rights.
In the reflections carried out at the congress of Bologna on the theme of inequalities we have rediscovered the reasons for our commitment to a jurisdiction that is up to the difficult task that today requires the implementation of equality in its new forms and its realization in the full "constitutional" dimension. , with the removal of what actually hinders it.
New challenges, therefore, and terrible responsibility for the jurisdiction that today has to deal with a context that is rapidly evolving, in the European and national, towards a new regulatory and cultural framework strongly regressive for rights and guarantees and to a tampering with the principles of the rule of law which deprives the jurisdiction of its role of guarantee and of third party.
[...]
In these months [in Italy] we have witnessed the humiliation of Parliament and increasing signs of intolerance towards institutions and the rules of democracy. [...] Through the reduction of the areas of intervention of the jurisdiction, we call into question the egalitarian and solidarity foundation of our constitutional state and the principles that constitute its essence: the universalism of fundamental rights, the centrality of the person and equal dignity , the freedom of self-determination, the secular nature of the state.
Expropriating the jurisdiction of its role as guarantor and third party, the relationship between authority and freedom and the framework of values ​​that gives legitimacy to the penal system is permanently altered, placing limits on the arbitrary power of punishment.
[...]
  Immigration is represented and must be experienced as a matter of public order; the foreigner, clandestine or integrated, is however the different, responsible for our insecurity and the usurpation of rights and opportunities to the detriment of "citizens".
[...]
An alternative project of society is glimpsed: a new order based on the theorized, declared and claimed overcoming of the universal character of fundamental rights, of the principle of equality between individuals and of solidarity as a value that belongs to our history and to our community.
[...]
We must remember that, as Paolo Rumiz wrote, refugees become and refugees we can all become in a single moment. A war is enough.
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  The signs of a new obscurantism, of a regressive utopia that invests entire systems of rights, such as family law, are multiplying and wants backtracks on fundamental achievements concerning the rights of living and the freedom to act of each of us before the decisions of life.
6. The continuous twists and deformations suffered by criminal law in recent years, under the pressure of the urges and emergencies of the moment, have produced an irrational dilation of the repressive instrument and the abandonment of the guarantor model represented by the minimum criminal law: the laws multiply of exception and occasion as defined by Francesco Carrara; we resort to the demagogic use of the penal norm that feeds repressive illusion by increasing fear and, criminalizing people in place of conduct, identifies the enemy against whom to direct it.
[...]
 Let us return to an archaic and primitive vision of punishment: it is the affliction that deserves those who have made a mistake, and for this reason must return to pay; and it is the maximum affliction, which does not admit the prospect of recovery or reintegration. The certainty of the sentence becomes certainty of the prison.
[...]
  All perspectives of restorative justice, of instruments of reconciliation, of restorative or reparatory forms are abandoned because they are contrary to the needs of protection of the community. The answer to the crime is and can only be a retaliation, and a sanction that reproduces in an analogical sense the negativity, its being evil (Luciano Eusebi).
[...]
 The path taken not only leads to the definitive abandonment of the prospect of a penitentiary system and criminal execution fully compliant with the dictate of the Constitution, but away from the idea of ​​punishment that is the heritage of our legal culture, consistent with the principles of necessity, personality, re-educational finalism: principles that are part of its ontological content, as the Constitutional Court reminded us, which must avoid "the risk of exploiting the individual for general purposes of criminal policy" or "favoring the satisfaction of collective needs for stability and security (social defense), sacrificing the individual through the exemplarity of the sanction "; essential qualities for the "legitimization and function" of the sentence, which "accompany it when it is born, in the abstract normative provision, until it becomes extinct in practice".
[...]
The criminal trial moves away from its guaranteeist paradigm: that for which, as Cordero wrote, "hunting is worth more than prey". If the terms are reversed, the hunt does not need rules and even the rules that obstruct it must free itself.
And the captured prey must be exhibited: the staging organized by state propaganda to "celebrate" the end of the hiding of Cesare Battisti has transformed the victory of the rule of law and the closure of a painful story of our history on a humiliating page which - as denounced by the Union of Criminal Chambers - represents in the most plastic and dramatic way an archaic idea of ​​justice and a primitive concept of human dignity, extraneous to the culture of our country.
An archaic idea of ​​justice as private revenge inspires the new discipline of self-defense. Put to the first point of the interventions in the penal area provided by the government contract, this reform - as Gaetano Insolera wrote - clearly pursues the construction of an emergency and a rhetoric unmoored by rational considerations aimed at reconciling the multiplicity of factual situations and the weighting of the interests at stake with the rigidity of a normative data ".
It is a rhetoric that corresponds instead to visceral options, extreme, more similar to the simplified logic of the Castle Doctrine and the stand your ground laws that in America inspire the rules on self-defense, providing a very high level of protection for those who use lethal force against those who illicitly introduces itself into a house, based on value options that until yesterday were foreign to our culture.
A "manifest" reform, with serious implications on the cultural as on the juridical one: to put the inviolability of the domicile in front of the unconditional protection of human life means to consume a further rift with the system of values ​​of our Constitution, subverting the position that this system receive and graduation of their protection consistent with elementary principles of legal civilization.
[...]
The criminal trial moves away from its guaranteeist paradigm: that for which, as Cordero wrote, "hunting is worth more than prey". If the terms are reversed, the hunt does not need rules and even the rules that obstruct it must free itself.
And the captured prey must be exhibited: the staging organized by state propaganda to "celebrate" the end of the hiding of Cesare Battisti has transformed the victory of the rule of law and the closure of a painful story of our history on a humiliating page which - as denounced by the Union of Criminal Chambers - represents in the most plastic and dramatic way an archaic idea of ​​justice and a primitive concept of human dignity, extraneous to the culture of our country.
An archaic idea of ​​justice as private revenge inspires the new discipline of self-defense. Put to the first point of the interventions in the penal area provided by the government contract, this reform - as Gaetano Insolera wrote - clearly pursues the construction of an emergency and a rhetoric unmoored by rational considerations aimed at reconciling the multiplicity of factual situations and the weighting of the interests at stake with the rigidity of a normative data ".
It is a rhetoric that corresponds instead to visceral options, extreme, more similar to the simplified logic of the Castle Doctrine and the stand your ground laws that in America inspire the rules on self-defense, providing a very high level of protection for those who use lethal force against those who illicitly introduces itself into a house, based on value options that until yesterday were foreign to our culture.
A "manifest" reform, with serious implications on the cultural as on the juridical one: to put the inviolability of the domicile in front of the unconditional protection of human life means to consume a further rift with the system of values ​​of our Constitution, subverting the position that this system receive and graduation of their protection consistent with elementary principles of legal civilization.
[…]
Justice at hand does not tolerate the most complex values ​​of jurisdiction and lives intently the constraints of guarantees.
Pan-criminalistics illusion is accompanied by that of the pan-giustizialism one and reveals the other side of penal law aimed at maximum repression: alongside the unequal penal law that accentuates the repressive response for marginal subjects, the egalitarian treatment that reverses the sense of guarantees dragging towards low the stronger subjects with the same hasty treatment that belongs to the weaker ones.
The answer to endemic ills and to serious and complex crime phenomena is "zero tolerance" and the language of the new criminal policy wants to convey the meaning of a "decisive" intervention: it is - as Vittorio Manes said - a distortive vocabulary, prisoner and ensnared by the purpose of legitimizing the use of criminal law as an instrument to fight social phenomena, which are assumed to be systemic, if not even as a means of "social revenge".
[...]
An approach that can lead to changes in the physiognomy of law and criminal prosecution: guarantees are not a concession or a renunciation in favor of the adversaries of legality but represent a requirement of jurisdiction, the structural limit of criminal intervention, which legitimizes it with the maximum reduction of its margins of arbitrariness.
No choice aimed at the efficiency of the criminal trial is neutral with respect to the maintenance of the guarantee system and the principles of due process.
For this reason we believe that today it is Md's duty to contribute to bringing the debate about reforms of the penal process back to the right tracks, giving back to the comparison the complexity of the reflection that guarantees and the principles of due process require.
[...]
As Stefano Rodotà wrote, the magistracy is the institutional outpost in society, directly hit by a whole series of new and difficult situations, which find their first interlocutor in justice.
In its role of giving prospects to the development of progressive democracy outlined by the [2nd paragraph] of Article 3 of the Constitution,
»It is up to the Republic to remove the economic and social obstacles which, by limiting the freedom and equality of citizens, prevent the full development of the human person and the effective participation of all workers in political organization, economic and social development of the country. "
 jurisdiction is at the center of the dynamics and the ambivalent relationship that has always linked democracy to rights: as "fundamental" rights are necessary for democracy, guarantee of its survival; but their recognition and their protection entrusted to the judges, and subtracted from the legislature, generates the distrust of democracy towards the "rights" and the perennial tension to which the role of jurisdiction is subjected as a possible factor of alteration of the balance between the powers and limitation of popular sovereignty.
Today the signs of a rapid involution of these dynamics are clear. In uncritical democracy that does not allow mediation with respect to the justice expected by the people, mistrust becomes a conflict, and the very foundation of the legitimacy of jurisdiction is called into question: the jurisdiction to implement rights, what must make them effective for all and wherever they are denied by obstacles of fact or law; being the jurisdiction the place where, in the concreteness of its exercise, the punitive power limits itself and its arbitrariness, stopping in front of the guarantees and the sphere of the undecidable (Ferrajoli), which guards the liberties and fundamental rights of the people .
The distrust of the role of guarantee of jurisdiction is the common thread that links all the recent reform interventions: the jurisdiction that implements rights is marginalized; we want to distort its function by freeing it from the "restrictions" of guarantees.
A diffidence declared in the novel of the legitimate defense, that wants to eliminate the "elements of interpretative uncertainty" inherent in the evaluation of the proportionality between defense and offense; in the announcement of the [...] reform on security and immigration, which denounces the "all-Italian anomaly" produced by the abuse of humanitarian protection based on "wide margins of interpretative uncertainty", and in the attempt to characterize the hypotheses with the objective declared to limit the discretionary power of the judge who would have used it too widely; in the bill [on the assignment of children in the event of termination of a marital relationship] which, in accordance with the Government contract, claims the choice of a "progressive de-jurisdictionalization" of the matter to restore the family and parents to the center and their right to decide on the future of their children, leaving the judge with a residual role; in preclusions and automatisms that must bind the judge in choosing how much to punish and how to punish.
The judiciary has long been measured by the logic and content of the criminal law of the enemy: the dialectic that opposes the state to its enemy calls into question the third party jurisdiction, perceived as an obstacle to the purpose of the opponent's fight and neutralization.
With inconsistencies, oscillations and falls in practice, the jurisdiction has always been able to recover, through a constitutionally oriented reading of the rules, the ground removed from the guarantees and fundamental principles that govern our penal system.
Today the challenge for the jurisdiction is even more complex: part of the dialectic between the State and its enemy is the people, and in the name of the popular will the judges are asked to take on the needs of prevention and neutralization of the social enemy, to enter the conflict that opposes it to the state.
In this dialectic, Massimo Donini wrote, the judges are asked to choose openly, to state which side they are on, and calls into question that they should always be on the side of rights and guarantees.
And, Donini warned, the scenario becomes more complicated when one looks at what happens outside the palaces and halls of justice: if our cities had been hit by the tragic events of Paris or Brussels, how many would today be willing to accept the only answer? that the jurisdiction must and can give? We are on the side of rights and guarantees.
[...]
What is happening calls us into question as persons and as magistrates, animated by those values ​​that the Constitution wanted to impress in its physiognomy. No one can be silent today when the words of a person arrested are commented with contemptuous words. No one can remain indifferent to the refusal to offer a landing for those fleeing unspeakable suffering. It is a civic and moral duty to react to indifference, to addiction and to the trivialization of what ignominiously happens around us. And to remind ourselves and others, as the Turin Attorney General did, that even piety in our country today is dying.
The greatest danger that in a democracy threatens the judges is the danger of addiction, of anonymous irresponsibility ... we do not know what to do with the judges of Montesquieu, inanimate beings, made of pure logic.
We want to be the judges with the soul of Calamandrei: judges engagés, who know how to bring, with vigilant human commitment, the great weight of this immense responsibility that is to do justice.
And we hope for an Association able to represent the judges with the soul, able to grasp the complexity of the historical moment we are experiencing.