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Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

Dall’anno associativo 2020/2021 il gruppo di AC di San Clemente Papa si riunisce abitualmente il secondo, il terzo e il quarto sabato del mese alle 17 e anima la Messa domenicale delle 9. Durante la pandemia da Covid 19 ci siamo riuniti in videoconferenza Google Meet. Anche dopo che la situazione sanitaria sarà tornata alla normalità, organizzeremo riunioni dedicate a temi specifici e aperte ai non soci con questa modalità.

Per partecipare alle riunioni del gruppo on line con Google Meet, inviare, dopo la convocazione della riunione di cui verrà data notizia sul blog, una email a mario.ardigo@acsanclemente.net comunicando come ci si chiama, la email con cui si vuole partecipare, il nome e la città della propria parrocchia e i temi di interesse. Via email vi saranno confermati la data e l’ora della riunione e vi verrà inviato il codice di accesso. Dopo ogni riunione, i dati delle persone non iscritte verranno cancellati e dovranno essere inviati nuovamente per partecipare alla riunione successiva.

La riunione Meet sarà attivata cinque minuti prima dell’orario fissato per il suo inizio.

Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

NOTA IMPORTANTE / IMPORTANT NOTE

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sabato 16 marzo 2019

Contro gli imperialismi - il Magistero dell’enciclica La sollecitudine sociale (della Chiesa) - Sollicitudo rei socialis - diffusa il 30 dicembre 1987 sotto l’autorità del papa Karol Wojtyla - Giovanni Paolo II -Against imperialisms - the Magisterium of the encyclical The social concern of the Church - Sollicitudo rei socialis - released December 30, 1987 under the authority of Pope Karol Wojtyla - John Paul II


Contro gli imperialismi - il Magistero dell’enciclica La sollecitudine sociale (della  Chiesa) - Sollicitudo rei socialis -  diffusa il 30 dicembre 1987 sotto l’autorità del papa Karol Wojtyla - Giovanni Paolo II

After the Italian text of my reflections ther’is the english translation, done with help of Google Traslator. The translation in english of the passages of the encyclical The social concern of the Church . Sollicitudo rei socialis, which I quote below, is instead the English text circulated by the Holy See.

 In Italia di questi tempi si è tornati a parlare di imperialismo. Tra pochi giorni sarà in Italia il presidente della Repubblica Popolare Cinese e Segretario generale del Partito Comunista Cinese Xi Jinping per concludere con l’Italia un accordo internazionale per orientare l’azione dei due stati per favorire la realizzazione di un sistema sicuro e veloce di comunicazione tra la Cina e l’Europa denominato dai cinesi BRI Belt and road iniziative  -  Iniziativa di cintura e strada. L’accordo definisce un quadro politico di futuri accordi di dettaglio, i quali in particolare avranno ad oggetto la realizzazione di importanti opere strutturali o l’ampliamento di strutture già esistenti, ad esempio nel campo dei trasporti, dei porti, delle stazioni ferroviarie, dei centri di immagazzinamento e smistamento di merci.
 Attualmente la Repubblica Popolare Cinese è il più potente e popoloso stato comunista mai esistito con circa un miliardo e mezzo di abitanti e un’economia che ormai produce gran parte delle merci di uso comune in Occidente. La sua ideologia politica  è un socialismo secondo  una variante del marxismo-leninismo. Alle origini ebbe del marxismo la forza di critica sociale diffusa, che oggi non è più ammessa verso l’interno e non è più esercitata, per ragioni tattiche, per mantenere buoni rapporti commerciali con gli stati capitalisti, verso l’esterno. La sua forma di governo è centrata sul Partito Comunista Cinese. Il suo sistema politico è comunque una forma di democrazia, perché vi è la reale possibilità di un’influenza politica dei cittadini, ma molto diversa dai sistemi liberali democratici dell’Occidente capitalistico. La politica è infatti consentita solo nel Partito Comunista o negli altri partiti ammessi che riconoscano la sua egemonia e non è quindi ammessa l’opposizione politica come negli stati Occidentali, e la libera formazione di altri partiti.
  La bandiera cinese riassume bene quell’ideologia. Il rosso indica che si tratta di uno stato nato da una rivoluzione sociale e politica. La stella gialla grande sulla sinistra è il simbolo del Partito Comunista cinese. Le quattro stelle vicine che le fanno corona rappresentano i popoli della Cina. Nel complesso la bandiera rappresenta popoli  impegnati in una rivoluzione sociale sotto la guida del Partito Comunista Cinese. Dagli anni ’80 la Repubblica Popolare Cinese ha promosso uno sviluppo di economia capitalista, in particolare creando grandi centri industriali e commerciali in alcune parti del suo immenso territorio, ma ciò è consentito solo nel quadro di una rigida programmazione pubblica controllata dal Partito Comunista. Ogni altro aspetto della vita sociale, compresi quelli religiosi, è consentito solo nell’ambito di quella programmazione. Nata come movimento dal basso, oggi la rivoluzione cinese appare dominata dall’alto, da un’oligarchia di partito, per cui appare che la carriera politica possa farsi solo per cooptazione, vale a dire per scelta dall’alto, di organi superiori che assegnano a un candidato un posto tra loro o comunque più in alto nella gerarchia sociale. Non vi sono, ad esempio, elezioni politiche sul modello di quelle europee, che possono riservare molte sorprese. La Repubblica Popolare Cinese appare uno stato più ordinato di quelli occidentali, ma vi si avverte molto più che in Occidente la pressione dei poteri pubblici. L’informazione è rigidamente controllata dal Partito Comunista. Non sono note inchieste sociali condotte con i criteri Occidentali che possano rendere un’idea affidabile dei moti sociali che percorrono quel grande stato e delle condizioni delle popolazioni e, in particolare, dei lavoratori. Nell’aprile 1989 si  manifestarono nella Repubblica Popolare Cinese moti sociali per la riforma del regime comunista che vennero repressi sanguinosamente. Da allora periodicamente filtrano notizie sulla  repressione contro singole personalità dissenzienti o gruppi sociali, come quelli  religiosi.
 Dagli anni ’90 si è sviluppato un imponente fenomeno migratorio cinese verso l’Occidente. Questo verosimilmente potrebbe portare all’assimilazione di alcuni elementi politici degli stati liberali democratici occidentali che potrebbe rifluire in Cina. Vi è stata però anche una migrazione in senso inverso e non può escludersi un’assimilazione da parte degli occidentali dei costumi politici cinesi, che consentono il governo ordinato di una società molto popolosa e complessa, con buoni risultati in termini di efficienza economica.
  La costruzione di un sistema capitalistico nella Repubblica Popolare di Cina fu avviata a seguito di accordi, del genere di quello che l’Italia sta per stabilire con quello stato, conclusi con gli Stati Uniti D’America dagli anni ’70, sotto la presidenza di Richard Nixon. Le imprese occidentali iniziarono a trasferire parti della propria produzione in Cina, sfruttando il più basso costo del lavoro. Le autorità cinesi pretesero che queste iniziative fossero condotte con la collaborazione di imprenditori cinesi, i quali poi iniziarono a fare da soli. Ora la Repubblica Popolare di Cina è al secondo posto tra i Paesi più industrializzati del mondo in termini di Prodotto Interno Lordo, che misura la ricchezza prodotta da una nazione.
  La Repubblica Popolare di Cina finora non ha sviluppato una politica imperialistica paragonabile a quella che fu realizzata dall’Unione Sovietica o è attuata dagli Stati Uniti d’America. Imperialismo è quando uno stato impone con il proprio peso politico, economico o militare una politica ad un altro stato. La Repubblica Popolare Cinese non  ha sviluppato, in particolare, un imperialismo ideologico, che creerebbe problemi alla sua espansione commerciale. Oggi in Occidente acquistiamo prodotti cinesi, che sono la gran parte di quelli di uso comune, senza collegarli al regime comunista che domina in Cina. Né gli immigrati cinesi sono considerati veicoli dell’ideologia comunista, infatti i loro costumi in Occidente non differiscono dai nostri.
 Gli accordi che si stanno per concludere in Italia con la Repubblica Popolare Cinese non possono essere considerati manifestazione di  imperialismo cinese, nel senso che sono stati ricercati dall’Italia nel corso di una lunga storia di incontri politici bilaterali, condotti dai vari governi che si sono succeduti da una decina d’anni, perché il mercato cinese comincia ad essere interessante per gli esportatori italiani, con l’aumento del reddito individuale dei cinesi. Certamente però nel tempo avranno importanti conseguenze politiche ed economiche. Questo ha irritato gli Stati Uniti d’America, che stanno attuando una guerra commerciale contro la Repubblica Popolare Cinese, senza però i connotati ideologici che caratterizzarono la Guerra fredda combattuta fino al 1991 contro l’Unione Sovietica. La strategia politica del presidente statunitense Donald Trump è quella di contrattare con i singoli stati le varie questioni rilevanti, in modo che gli Stati Uniti d’America abbiano sempre la meglio in quanto parte più grande e forte.  Con la Repubblica Popolare Cinese, un’entità più grossa degli Stati Uniti d’America, questa strategia non funziona tanto bene, tanto più se la Repubblica Popolare Cinese riesce a stringere accordi con altri stati che le aprano altri mercati.
 Per contrastare l’intesa tra l’Italia e la Repubblica Popolare Cinese gli Stati Uniti d’America nelle settimane passate hanno esercitato una pressione tipicamente imperialistica, minacciando conseguenze gravi, essenzialmente nel presupposto che con quell’accordo siano colpiti gli interessi statunitensi. Si è trattato di un’influenza svolta in forme dure come da molto tempo non accadeva, essenzialmente affidate a moniti recati per via diplomatica, come appunto si usa nella politica imperialistica. Le controversie politiche tra stati che  si considerano alleati e con pari dignità avvengono invece, e vengono risolte, a livello politico e al più alto livello.
 A seguito degli accordi di Jalta del 1945, nelle fasi terminali della Seconda Guerra Mondiale, l’Italia ricadde nella sfera di influenza delle potenze occidentali guidate dagli Stati Uniti d’America. Questi ultimi mantengono in Italia importanti basi militari. In particolare a Napoli è stanziata la Sesta Flotta degli Stati Uniti d’America, essenziale per il mantenimento dell'egemonia militare statunitense nel mar Mediterraneo.
 Dal 1945 gli Stati Uniti d’America hanno esercitato, in forme più o meno intense, condizionamenti di tipo imperialistico sulla politica e sull’economia italiana. Nessuna svolta politica è stata possibile in Italia  senza l’assenso statunitense. Quella che si è prodotta lo scorso anno deve ancora ottenerlo, in quanto il presidente statunitense non ha ancora incontrato, dopo le elezioni italiane, i capi politici dei partiti del contratto di governo, ma solo il Presidente del Consiglio dei ministri, che è una figura di mediazione tra quei partiti, garante ed esecutore dei contratto di governo concluso tra quei partiti.
 Il papa Karol  Wojtyla nell’enciclica La sollecitudine sociale (della Chiesa) - Sollicitudo rei socialis, del 1987, si occupò dell’imperialismo, che all’epoca caratterizzava la politica dei due blocchi   guidati dagli Stati Uniti d’America e dall’Unione Sovietica, ostacolando la ricomposizione della civiltà europea che quel Papa auspicava. Il suo magistero può essere utile ancora oggi per  impostare una posizione politica da cittadini italiani riguardo a quel tema e alla situazione che si sta creando.
Mario Ardigò - Azione Cattolica nella parrocchia di San Clemente papa - Roma,Monte Sacro, Valli

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Dall’enciclica La sollecitudine sociale (della  Chiesa) - Sollicitudo rei socialis

20. Se, a questo punto, esaminiamo le cause di tale grave ritardo nel processo dello sviluppo, verificatosi in senso opposto alle indicazioni dell'Enciclica Populorum Progressio, che aveva sollevato tante speranze, la nostra attenzione si ferma in particolare sulle cause politiche della situazione odierna. Trovandoci di fronte ad un insieme di fattori indubbiamente complessi, non è possibile giungere qui a un'analisi completa. Ma non si può passare sotto silenzio un fatto saliente del quadro politico, che caratterizza il periodo storico seguito al secondo conflitto mondiale ed è un fattore non trascurabile nell'andamento dello sviluppo dei popoli. Ci riferiamo all'esistenza di due blocchi contrapposti, designati comunemente con i nomi convenzionali di Est e Ovest' oppure di Oriente e Occidente. La ragione di questa connotazione non è puramente politica, ma anche, come si dice, geo-politica. Ciascuno dei due blocchi tende ad assimilare o ad aggregare intorno a sé, con diversi gradi di adesione o partecipazione, altri Paesi o gruppi di Paesi.
La contrapposizione è innanzitutto politica, in quanto ogni blocco trova la propria identità in un sistema di organizzazione della società e di gestione del potere, che tende ad essere alternativo all'altro; a sua volta, la contrapposizione politica trae origine da una contrapposizione più profonda, che è di ordine ideologico. In Occidente esiste, infatti, un sistema che storicamente si ispira ai principi del capitalismo liberista, quale si sviluppò nel secolo scorso con l'industrializzazione; in Oriente c'è un sistema ispirato al collettivismo marxista, che nacque dall'interpretazione della condizione delle classi proletarie, alla luce di una peculiare lettura della storia. Ciascuna delle due ideologie, facendo riferimento a due visioni così diverse dell'uomo, della sua libertà e del suo ruolo sociale, ha proposto e promuove, sul piano economico, forme antitetiche di organizzazione del lavoro e di strutture della proprietà, specialmente per quanto riguarda i cosiddetti mezzi di produzione.
Era inevitabile che la contrapposizione ideologica, sviluppando sistemi e centri antagonisti di potere, con proprie forme di propaganda e di indottrinamento, evolvesse in una crescente contrapposizione militare, dando origine a due blocchi di potenze armate, ciascuno diffidente e timoroso del prevalere dell'altro. A loro volta, le relazioni internazionali non potevano non risentire gli effetti di questa «logica dei blocchi» e delle rispettive «sfere di influenza». Nata dalla conclusione della seconda guerra mondiale, la tensione tra i due blocchi ha dominato tutto il quarantennio successivo, assumendo ora il carattere di «guerra fredda», ora di «guerre per procura» mediante la strumentalizzazione di conflitti locali, ora tenendo sospesi e angosciati gli animi con la minaccia di una guerra aperta e totale. Se al presente un tale pericolo sembra divenuto più remoto, pur senza essere del tutto scomparso, e se si è pervenuti ad un primo accordo sulla distruzione di un tipo di armamenti nucleari, l'esistenza e la contrapposizione dei blocchi non cessano di essere tuttora un fatto reale e preoccupante, che continua a condizionare il quadro mondiale.
[…]
22. Fatte queste considerazioni, riesce agevole avere una visione più chiara del quadro degli ultimi venti anni e comprender meglio i contrasti esistenti nella parte Nord del mondo, cioè tra Oriente e Occidente, quale causa non ultima del ritardo o del ristagno del Sud. I Paesi in via di sviluppo, più che trasformarsi in Nazioni autonome, preoccupate del proprio cammino verso la giusta partecipazione ai beni ed ai servizi destinati a tutti, diventano pezzi di un meccanismo, parti di un ingranaggio gigantesco. Ciò si verifica spesso anche nel campo dei mezzi di comunicazione sociale, i quali, essendo per lo più gestiti da centri nella parte Nord del mondo, non tengono sempre nella dovuta considerazione le priorità ed i problemi propri di questi Paesi né rispettano la loro fisionomia culturale, ma non di rado impongono una visione distorta della vita e dell'uomo e cosi non rispondono alle esigenze del vero sviluppo.
Ognuno dei due blocchi nasconde dentro di sé, a suo modo, la tendenza all'imperialismo, come si dice comunemente, o a forme di neo-colonialismo: tentazione facile, nella quale non di rado si cade, come insegna la storia anche recente. É questa situazione anormale-conseguenza di una guerra e di una preoccupazione ingigantita, oltre il lecito, da motivi della propria sicurezza-che mortifica lo slancio di cooperazione solidale di tutti per il bene comune del genere umano, a danno soprattutto di popoli pacifici, bloccati nel loro diritto di accesso ai beni destinati a tutti gli uomini. Vista così, la presente divisione del mondo è di diretto ostacolo alla vera trasformazione delle condizioni di sottosviluppo nei Paesi in via di sviluppo o in quelli meno avanzati. I popoli, però, non sempre si rassegnano alla loro sorte. Inoltre, gli stessi bisogni di un'economia soffocata dalle spese militari, come dal burocratismo e dall'intrinseca inefficienza, sembrano adesso favorire dei processi che potrebbero rendere meno rigida la contrapposizione e più facile l'avvio di un proficuo dialogo e di una vera collaborazione per la pace.
[…]
36. É da rilevare, pertanto, che un mondo diviso in blocchi, sostenuti da ideologie rigide, dove, invece dell'interdipendenza e della solidarietà, dominano differenti forme di imperialismo, non può che essere un mondo sottomesso a «strutture di peccato». La somma dei fattori negativi, che agiscono in senso contrario a una vera coscienza del bene comune universale e all'esigenza di favorirlo, dà l'impressione di creare, in persone e istituzioni, un ostacolo difficile da superare.  Se la situazione di oggi è da attribuire a difficoltà di diversa indole, non è fuori luogo parlare di «strutture di peccato», le quali come ho affermato nell'Esortazione Apostolica Reconciliatio et paenitentia- si radicano nel peccato personale e, quindi, son sempre collegate ad atti concreti delle persone, che le introducono, le consolidano e le rendono difficili da rimuovere.  E così esse si rafforzano, si diffondono e diventano sorgente di altri peccati, condizionando la condotta degli uomini.
«Peccato» e «strutture di peccato» sono categorie che non sono spesso applicate alla situazione del mondo contemporaneo. Non si arriva, però, facilmente alla comprensione profonda della realtà quale si presenta ai nostri occhi, senza dare un nome alla radice dei mali che ci affliggono. Si può parlare certo di «egoismo» e di «corta veduta»; si può fare riferimento a «calcoli politici sbagliati», a «decisioni economiche imprudenti». E in ciascuna di tali valutazioni si nota un'eco di natura etico-morale. La condizione dell'uomo è tale da rendere difficile un'analisi più profonda delle azioni e delle omissioni delle persone senza implicare, in una maniera o nell'altra, giudizi o riferimenti di ordine etico. Questa valutazione è di per sé positiva, specie se diventa coerente fino in fondo e se si basa sulla fede in Dio e sulla sua legge, che ordina il bene e proibisce il male.
In ciò consiste la differenza tra il tipo di analisi socio-politica e il riferimento formale al «peccato» e alle «strutture di peccato». Secondo quest'ultima visione si inseriscono la volontà di Dio tre volte Santo, il suo progetto sugli uomini, la sua giustizia e la sua misericordia. Il Dio ricco in misericordia, redentore dell'uomo, Signore e datore della vita, esige dagli uomini atteggiamenti precisi che si esprimano anche in azioni o omissioni nei riguardi del prossimo. Si ha qui un riferimento alla «seconda tavola» dei dieci Comandamenti (Es 20,12); (Dt 5,16): con l'inosservanza di questi si offende Dio e si danneggia il prossimo, introducendo nel mondo condizionamenti e ostacoli, che vanno molto più in là delle azioni e del breve arco della vita di un individuo. S'interferisce anche nel processo dello sviluppo dei popoli, il cui ritardo o la cui lentezza deve essere giudicata anche sotto tale luce.
37. A questa analisi generale di ordine religioso si possono aggiungere alcune considerazioni particolari, per notare che tra le azioni e gli atteggiamenti opposti alla volontà di Dio e al bene del prossimo e le «strutture» che essi inducono, i più caratteristici sembrano oggi soprattutto due: da una parte, la brama esclusiva del profitto e dall'altra, la sete del potere col proposito di imporre agli altri la propria volontà. A ciascuno di questi atteggiamenti si può aggiungere, per caratterizzarli meglio, l'espressione: «a qualsiasi prezzo». In altre parole, siamo di fronte all'assolutizzazione di atteggiamenti umani con tutte le possibili conseguenze. Anche se di per sé sono separabili, sicché l'uno potrebbe stare senza l'altro, entrambi gli atteggiamenti si ritrovano-nel panorama aperto davanti ai nostri occhi-indissolubilmente uniti, sia che predomini l'uno o l'altro. Ovviamente, a cader vittime di questo duplice atteggiamento di peccato non sono solo gli individui. possono essere anche le Nazioni e i blocchi. E ciò favorisce di più l'introduzione delle «strutture di peccato», di cui ho parlato. Se certe forme di «imperialismo» moderno si considerassero alla luce di questi criteri morali, si scoprirebbe che sotto certe decisioni, apparentemente ispirate solo dall'economia o dalla politica si nascondono vere forme di idolatria: del denaro, dell'ideologia, della classe, della tecnologia. Ho voluto introdurre questo tipo di analisi soprattutto per indicare quale sia la vera natura del male a cui ci si trova di fronte nella questione dello «sviluppo dei popoli»: si tratta di un male morale, frutto di molti peccati, che portano a «strutture di peccato». Diagnosticare così il male significa identificare esattamente, a livello della condotta umana, il cammino da seguire per superarlo.
[…]
39.[…] Superando gli imperialismi di ogni tipo e i propositi di conservare la propria egemonia, le Nazioni più forti e più dotate debbono sentirsi moralmente responsabili delle altre, affinché sia instaurato un vero sistema internazionale, che si regga sul fondamento dell'eguaglianza di tutti i popoli e sul necessario rispetto delle loro legittime differenze. I Paesi economicamente più deboli, o rimasti al limite della sopravvivenza, con l'assistenza degli altri popoli e della comunità internazionale, debbono essere messi in grado di dare anch'essi un contributo al bene comune con i loro tesori di umanità e di cultura, che altrimenti andrebbero perduti per sempre. La solidarietà ci aiuta a vedere l'«altro»-persona, popolo o Nazione-non come uno strumento qualsiasi, per sfruttarne a basso costo la capacità di lavoro e la resistenza fisica, abbandonandolo poi quando non serve più ma come un nostro «simile», un «aiuto» (Gen 2,18), da rendere partecipe, al pari di noi, del banchetto della vita, a cui tutti gli uomini sono egualmente invitati da Dio. Di qui l'importanza di risvegliare la coscienza religiosa degli uomini e dei popoli. Sono così esclusi lo sfruttamento, l'oppressione, l'annientamento degli altri. Questi fatti, nella presente divisione del mondo in blocchi contrapposti, vanno a confluire nel pericolo di guerra e nell'eccessiva preoccupazione per la propria sicurezza a spese non di rado dell'autonomia, della libera decisione della stessa integrità territoriale delle Nazioni più deboli, che son comprese nelle cosiddette «zone d'influenza» o nelle «cinture di sicurezza». Le «strutture di peccato» e i peccati, che in esse sfociano, si oppongono con altrettanta radicalità alla pace e allo sviluppo, perché lo sviluppo, secondo la nota espressione dell'Enciclica paolina, è «il nuovo nome della pace». 
In tal modo la solidarietà da noi proposta è via alla pace e insieme allo sviluppo. Infatti, la pace del mondo è inconcepibile se non si giunge, da parte dei responsabili, a riconoscere che l'interdipendenza esige di per sé il superamento della politica dei blocchi, la rinuncia a ogni forma di imperialismo economico, militare o politico, e la trasformazione della reciproca diffidenza in collaborazione. Questo è, appunto, l'atto proprio della solidarietà tra individui e Nazioni. Il motto del pontificato del mio venerato predecessore  Pio XII era Opus iustitiae pax, la pace come frutto della giustizia. Oggi si potrebbe dire, con la stessa esattezza e la stessa forza di ispirazione biblica (Is 32,17); (Gc 3,18). Opus solidaritatis pax, la pace come frutto della solidarietà. Il traguardo della pace, tanto desiderata da tutti, sarà certamente raggiunto con l'attuazione della giustizia sociale e internazionale, ma anche con la pratica delle virtù che favoriscono la convivenza e ci insegnano a vivere uniti, per costruirne uniti, dando e ricevendo, una società nuova e un mondo migliore.

Against imperialisms - the Magisterium of the encyclical The social concern of the Church - Sollicitudo rei socialis - released December 30, 1987 under the authority of Pope Karol Wojtyla - John Paul II

In Italy these days we have returned to talking about imperialism. In a few days the president of the People's Republic of China and general secretary of the Chinese Communist Party Xi Jinping will be in Italy to conclude an international agreement with Italy to guide the action of the two states to favor the realization of a safe and fast communication system between China and Europe named by the Chinese BRI Belt and road initiatives. The agreement establishes a political framework for future detailed agreements, which in particular will focus on the construction of important structural works or the expansion of existing structures, for example in the field of transport, ports, railway stations, goods storage and sorting centers.
 Currently the People's Republic of China is the most powerful and populous communist state that has ever existed with about one and a half billion inhabitants and an economy that now produces most of the goods commonly used in the West. Its political ideology is a socialism according to a variant of Marxism-Leninism. At the origin of Marxism was the force of widespread social criticism, that today is no longer admitted into the interior and is no longer exercised, for tactical reasons, to maintain good commercial relations with the capitalist states, to the outside. Its form of government is centered on the Chinese Communist Party. His political system is however a form of democracy, because there is a real possibility of a political influence of citizens, but very different from the liberal democratic systems of the capitalist West. Politics is in fact allowed only in the Communist Party or in the other admitted parties that recognize its hegemony and therefore the political opposition is not admitted as in the Western states, and the free formation of other parties.
 The Chinese flag sums up that ideology well. Red indicates that it is a state born of a social and political revolution. The big yellow star on the left is the symbol of the Chinese Communist Party. The four nearby stars that make it a crown represent the peoples of China. Overall the flag represents people  engaged in a social revolution under the leadership of the Chinese Communist Party. Since the 1980s, the People's Republic of China has promoted the development of a capitalist economy, in particular by creating large industrial and commercial centers in some parts of its immense territory, but this is only allowed within the framework of rigid public planning controlled by the Communist Party. Any other aspect of social life, including religious ones, is allowed only within the framework of that planning. Born as a movement from below, today the Chinese revolution appears to be dominated from above, by a party oligarchy, for which it appears that the political career can be done only by cooptation, that is to say by choice from above, of superior organs that assign to a candidate a place between them or at least higher up in the social hierarchy. There are, for example, political elections on the model of European ones, which can hold many surprises. The People's Republic of China appears to be a more orderly state than Western ones, but public pressure is felt more than in the West. Information is strictly controlled by the Communist Party. There are no known social investigations conducted with Western criteria that can render a reliable idea of ​​the social motions that run through that great state and the conditions of the populations and, in particular, of the workers. In April 1989, social movements for the reform of the communist regime were manifested in the People's Republic of China and were repressed bloody. From then on, periodically news on the repression against individual dissenting personalities or social groups, like religious ones, is filtered.
Since the 1990s, a massive Chinese migration phenomenon has developed into the West. This could probably lead to the assimilation of some political elements of liberal Western democratic states that could flow back to China. But there was also a migration in the opposite direction and can not be ruled out an assimilation by Westerners of Chinese political customs, which allow the orderly government of a very populous and complex society, with good results in terms of economic efficiency.
  The construction of a capitalist system in the People's Republic of China was started following agreements, of the kind that Italy is about to establish with that state, concluded with the United States of America in the 1970s, under the presidency of Richard Nixon. Western companies began to transfer parts of their production to China, taking advantage of the lowest labor costs. The Chinese authorities demanded that these initiatives be conducted with the collaboration of Chinese entrepreneurs, who then began to do it themselves. Now the People's Republic of China is in second place among the most industrialized countries in the world in terms of Gross Domestic Product, which measures the wealth produced by a nation.
  The People's Republic of China has so far not developed an imperialist policy comparable to the one that was implemented by the Soviet Union or implemented by the United States of America. Imperialism is when a state imposes a political line to another state with its own political, economic or military weight. The People's Republic of China has not developed, in particular, an ideological imperialism, which would create problems for its commercial expansion. Today in the West we buy Chinese products, which are the majority of those in common use, without linking them to the communist regime that dominates in China. Nor are Chinese immigrants considered vehicles of communist ideology, in fact their customs in the West do not differ from ours.
 The agreements that are being concluded in Italy with the People's Republic of China cannot be considered a manifestation of Chinese imperialism, in the sense that they have been sought by Italy during a long history of bilateral political meetings, led by the various governments that have succeeded for about ten years, because the Chinese market is starting to be interesting for Italian exporters, with the increase in the individual income of the Chinese. Certainly, however, over time they will have important political and economic consequences. This has irritated the United States of America, which is carrying out a trade war agains the People's Republic of China, without however the ideological connotations that characterized the Cold War fought until 1991 against the Soviet Union. The political strategy of the American president Donald Trump is to negotiate with the individual states the various relevant issues, so that the United States of America always has the better as a bigger and stronger part. With the People's Republic of China, a larger entity than the United States of America, this strategy does not work so well, especially if the People's Republic of China manages to enter into agreements with other states that open up other markets.
 To counter the agreement between Italy and the People's Republic of China, the United States of America in the past weeks has exercised a typically imperialist pressure, threatening serious consequences, essentially on the assumption that US interests are affected by that agreement. It was an influence carried out in harsh forms as had not happened for a long time, essentially entrusted to warnings launched by diplomatic channels, just as happens in imperialist policies. Political disputes between states that consider themselves allies and with equal dignity take place, and they are resolved,  at the political level and at the highest level.
 Following the Jalta agreements of 1945, in the terminal stages of the Second World War, Italy fell back into the sphere of influence of the Western powers led by the United States of America. The latter maintain important military bases in Italy. Particularly in Naples the Sixth Fleet of the United States of America is allocated, essential for the maintenance of the US military hegemony in the Mediterranean sea.
 Since 1945 the United States of America has exercised, in a more or less intense forms, imperialistic influences on politics and the Italian economy. No political turnaround was possible in Italy without the US consent. The political turnaround that took place last year has yet to have that approval, as the US president has not yet met, after the Italian elections, the political leaders of the parties of the government contract, but only the President of the Council of Ministers, which is a figure of mediation between those parties, guarantor and executor of the government contract concluded between those parties.
 Pope Karol Wojtyla in the encyclical The social solicitude (of the Church) - Sollicitudo rei socialis, from 1987, dealt with imperialism, which at the time characterized the politics of the two blocs led by the United States of America and the Soviet Union , hindering the recomposition of European civilization that that Pope called for. His teaching can still be useful today to set a political position by Italian citizens regarding that topic and the situation that is being created.

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Ecerpts from the encyclical The social concern of the Church - Sollicitudo rei socialis

20. If at this point we examine the reasons for this serious delay in the process of development, a delay which has occurred contrary to the indications of the Encyclical Populorum Progressio, which had raised such great hopes, our attention is especially drawn to the political causes of today's situation.
Faced with a combination of factors which are undoubtedly complex, we cannot hope to achieve a comprehensive analysis here. However, we cannot ignore a striking fact about the political picture since the Second World War, a fact which has considerable impact on the forward movement of the development of peoples.
I am referring to the existence of two opposing blocs, commonly known as the East and the West. The reason for this description is not purely political but is also, as the expression goes, geopolitical. Each of the two blocs tends to assimilate or gather around it other countries or groups of countries, to different degrees of adherence or participation.
The opposition is first of all political, inasmuch as each bloc identifies itself with a system of organizing society and exercising power which presents itself as an alternative to the other. The political opposition, in turn, takes its origin from a deeper Opposition which is ideological in nature.
In the West there exists a system which is historically inspired by the principles of the liberal capitalism which developed with industrialization during the last century. In the East there exists a system inspired by the Marxist collectivism which sprang from an interpretation of the condition of the proletarian classes made in the light of a particular reading of history. Each of the two ideologies, on the basis of two very different visions of man and of his freedom and social role, has proposed and still promotes, on the economic level, antithetical forms of the organization of labor and of the structures of ownership, especially with regard to the so-called means of production.
It was inevitable that by developing antagonistic systems and centers of power, each with its own forms of propaganda and indoctrination, the ideological opposition should evolve into a growing military opposition and give rise to two blocs of armed forces, each suspicious and fearful of the other's domination.
International relations, in turn, could not fail to feel the effects of this "logic of blocs" and of the respective "spheres of influence." The tension between the two blocs which began at the end of the Second World War has dominated the whole of the subsequent forty years. Sometimes it has taken the form of "cold war," sometimes of "wars by proxy," through the manipulation of local conflicts, and sometimes it has kept people's minds in suspense and anguish by the threat of an open and total war.
Although at the present time this danger seems to have receded, yet without completely disappearing, and even though an initial agreement has been reached on the destruction of one type of nuclear weapon, the existence and opposition of the blocs continue to be a real and worrying fact which still colors the world picture.
[…]
22. In the light of these considerations, we easily arrive at a clearer picture of the last twenty years and a better understanding of the conflicts in the northern hemisphere, namely between East and West, as an important cause of the retardation or stagnation of the South.
The developing countries, instead of becoming autonomous nations concerned with their own progress towards a just sharing in the goods and services meant for all, become parts of a machine, cogs on a gigantic wheel. This is often true also in the field of social communications, which, being run by centers mostly in the northern hemisphere, do not always give due consideration to the priorities and problems of such countries or respect their cultural make-up. They frequently impose a distorted vision of life and of man and thus fail to respond to the demands of true development.
Each of the two blocs harbors in its own way a tendency towards imperialism, as it is usually called, or towards forms of new- colonialism: an easy temptation to which they frequently succumb, as history, including recent history, teaches.
It is this abnormal situation, the result of a war and of an unacceptably exaggerated concern for security, which deadens the impulse towards united cooperation by all for the common good of the human race, to the detriment especially of peaceful peoples who are impeded from their rightful access to the goods meant for all.
Seen in this way, the present division of the world is a direct obstacle to the real transformation of the conditions of underdevelopment in the developing and less advanced countries. However, peoples do not always resign themselves to their fate. Furthermore, the very needs of an economy stifled by military expenditure and by bureaucracy and intrinsic inefficiency now seem to favor processes which might mitigate the existing opposition and make it easier to begin a fruitful dialogue and genuine collaboration for peace.
[…]
36. It is important to note therefore that a world which is divided into blocs, sustained by rigid ideologies, and in which instead of interdependence and solidarity different forms of imperialism hold sway, can only be a world subject to structures of sin. The sum total of the negative factors working against a true awareness of the universal common good, and the need to further it, gives the impression of creating, in persons and institutions, an obstacle which is difficult to overcome.
If the present situation can be attributed to difficulties of various kinds, it is not out of place to speak of "structures of sin," which, as I stated in my Apostolic Exhortation Reconciliatio et Paenitentia, are rooted in personal sin, and thus always linked to the concrete acts of individuals who introduce these structures, consolidate them and make them difficult to remove.65 And thus they grow stronger, spread, and become the source of other sins, and so influence people's behavior.
"Sin" and "structures of sin" are categories which are seldom applied to the situation of the contemporary world. However, one cannot easily gain a profound understanding of the reality that confronts us unless we give a name to the root of the evils which afflict us.
One can certainly speak of "selfishness" and of "shortsightedness," of "mistaken political calculations" and "imprudent economic decisions." And in each of these evaluations one hears an echo of an ethical and moral nature. Man's condition is such that a more profound analysis of individuals' actions and omissions cannot be achieved without implying, in one way or another, judgments or references of an ethical nature.
This evaluation is in itself positive, especially if it is completely consistent and if it is based on faith in God and on his law, which commands what is good and forbids evil.
In this consists the difference between sociopolitical analysis and formal reference to "sin" and the "structures of sin." According to this latter viewpoint, there enter in the will of the Triune God, his plan for humanity, his justice and his mercy. The God who is rich in mercy, the Redeemer of man, the Lord and giver of life, requires from people clear cut attitudes which express themselves also in actions or omissions toward one's neighbor. We have here a reference to the "second tablet" of the Ten Commandments (cf. Ex 20:12-17; Dt 5:16-21). Not to observe these is to offend God and hurt one's neighbor, and to introduce into the world influences and obstacles which go far beyond the actions and brief life span of an individual. This also involves interference in the process of the development of peoples, the delay or slowness of which must be judged also in this light.
37. This general analysis, which is religious in nature, can be supplemented by a number of particular considerations to demonstrate that among the actions and attitudes opposed to the will of God, the good of neighbor and the "structures" created by them, two are very typical: on the one hand, the all-consuming desire for profit, and on the other, the thirst for power, with the intention of imposing one's will upon others. In order to characterize better each of these attitudes, one can add the expression: "at any price." In other words, we are faced with the absolutizing of human attitudes with all its possible consequences.
Since these attitudes can exist independently of each other, they can be separated; however in today's world both are indissolubly united, with one or the other predominating.
Obviously, not only individuals fall victim to this double attitude of sin; nations and blocs can do so too. And this favors even more the introduction of the "structures of sin" of which I have spoken. If certain forms of modern "imperialism" were considered in the light of these moral criteria, we would see that hidden behind certain decisions, apparently inspired only by economics or politics, are real forms of idolatry: of money, ideology, class, technology.
I have wished to introduce this type of analysis above all in order to point out the true nature of the evil which faces us with respect to the development of peoples: it is a question of a moral evil, the fruit of many sins which lead to "structures of sin." To diagnose the evil in this way is to identify precisely, on the level of human conduct, the path to be followed in order to overcome it.
[…]
39. [...]Surmounting every type of imperialism and determination to preserve their own hegemony, the stronger and richer nations must have a sense of moral responsibility for the other nations, so that a real international system may be established which will rest on the foundation of the equality of all peoples and on the necessary respect for their legitimate differences. The economically weaker countries, or those still at subsistence level, must be enabled, with the assistance of other peoples and of the international community, to make a contribution of their own to the common good with their treasures of humanity and culture, which otherwise would be lost for ever.
Solidarity helps us to see the "other"-whether a person, people or nation-not just as some kind of instrument, with a work capacity and physical strength to be exploited at low cost and then discarded when no longer useful, but as our "neighbor," a "helper" (cf. Gen 2:18-20), to be made a sharer, on a par with ourselves, in the banquet of life to which all are equally invited by God. Hence the importance of reawakening the religious awareness of individuals and peoples. Thus the exploitation, oppression and annihilation of others are excluded. These facts, in the present division of the world into opposing blocs, combine to produce the danger of war and an excessive preoccupation with personal security, often to the detriment of the autonomy, freedom of decision, and even the territorial integrity of the weaker nations situated within the so-called "areas of influence" or "safety belts."
The "structures of sin" and the sins which they produce are likewise radically opposed to peace and development, for development, in the familiar expression Pope Paul's Encyclical, is "the new name for peace."
In this way, the solidarity which we propose is the path to peace and at the same time to development. For world peace is inconceivable unless the world's leaders come to recognize that interdependence in itself demands the abandonment of the politics of blocs, the sacrifice of all forms of economic, military or political imperialism, and the transformation of mutual distrust into collaboration. This is precisely the act proper to solidarity among individuals and nations.
The motto of the pontificate of my esteemed predecessor Pius XII was Opus iustitiae pax, peace as the fruit of justice. Today one could say, with the same exactness and the same power of biblical inspiration (cf. Is 32:17; Jas 3:18): Opus solidaritatis pax, peace as the fruit of solidarity.
The goal of peace, so desired by everyone, will certainly be achieved through the putting into effect of social and international justice, but also through the practice of the virtues which favor togetherness, and which teach us to live in unity, so as to build in unity, by giving and receiving, a new society and a better world.

Mario Ardigò - Catholic Action in the Catholic parish of San Clemente Pope - Rome, Monte Sacro, Valli district