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Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

Dall’anno associativo 2020/2021 il gruppo di AC di San Clemente Papa si riunisce abitualmente il secondo, il terzo e il quarto sabato del mese alle 17 e anima la Messa domenicale delle 9. Durante la pandemia da Covid 19 ci siamo riuniti in videoconferenza Google Meet. Anche dopo che la situazione sanitaria sarà tornata alla normalità, organizzeremo riunioni dedicate a temi specifici e aperte ai non soci con questa modalità.

Per partecipare alle riunioni del gruppo on line con Google Meet, inviare, dopo la convocazione della riunione di cui verrà data notizia sul blog, una email a mario.ardigo@acsanclemente.net comunicando come ci si chiama, la email con cui si vuole partecipare, il nome e la città della propria parrocchia e i temi di interesse. Via email vi saranno confermati la data e l’ora della riunione e vi verrà inviato il codice di accesso. Dopo ogni riunione, i dati delle persone non iscritte verranno cancellati e dovranno essere inviati nuovamente per partecipare alla riunione successiva.

La riunione Meet sarà attivata cinque minuti prima dell’orario fissato per il suo inizio.

Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

NOTA IMPORTANTE / IMPORTANT NOTE

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Il sito della parrocchia:

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mercoledì 20 marzo 2019

Dall’enciclica Lavorando - Laborem exercens, diffusa il 14 settembre 1981 sotto l’autorità del papa Karol Wojtyla - Giovanni Paolo 2°- L'insegnamento e la diffusione della dottrina sociale fanno parte della missione evangelizzatrice della Chiesa. - From the encyclical Through Work - Laborem exercens, released September 14, 1981 under the authority of Pope Karol Wojtyla - John Paul 2 ° - The teaching and spreading of her social doctrine are part of the Church's evangelizing mission.


Dall’enciclica Lavorando - Laborem exercens,  diffusa il 14 settembre 1981 sotto l’autorità del papa Karol Wojtyla - Giovanni Paolo 2°- L'insegnamento e la diffusione della dottrina sociale fanno parte della missione evangelizzatrice della Chiesa. -

From the encyclical Through Work - Laborem exercens, released September 14, 1981 under the authority of Pope Karol Wojtyla - John Paul 2 ° -  The teaching and spreading of her social doctrine are part of the Church's evangelizing mission.

Nota:
 Dopo il testo italiano del brano dell’enciclica che ho citato,  c’è il testo ufficiale in inglese pubblicato dalla Santa Sede
Note:
After the Italian text of the passage from the encyclical I quoted, there is the official text in English published by the Holy See.

40. La solidarietà è indubbiamente una virtù cristiana. Già nella precedente esposizione era possibile intravedere numerosi punti di contatto tra essa e la carità, che è il segno distintivo dei discepoli di Cristo (Gv 13,35). Alla luce della fede, la solidarietà tende a superare se stessa, a rivestire le dimensioni specificamente cristiane della gratuità totale, del perdono e della riconciliazione. Allora il prossimo non è soltanto un essere umano con i suoi diritti e la sua fondamentale eguaglianza davanti a tutti, ma diviene la viva immagine di Dio Padre, riscattata dal sangue di Gesù Cristo e posta sotto l'azione permanente dello Spirito Santo. Egli, pertanto, deve essere amato, anche se nemico, con lo stesso amore con cui lo ama il Signore, e per lui bisogna essere disposti al sacrificio, anche supremo: «Dare la vita per i propri fratelli» (1 Gv 3,16). Allora la coscienza della paternità comune di Dio, della fratellanza di tutti gli uomini in Cristo, «figli nel Figlio», della presenza e dell'azione vivificante dello Spirito Santo, conferirà al nostro sguardo sul mondo come un nuovo criterio per interpretarlo. Al di là dei vincoli umani e naturali, già così forti e stretti, si prospetta alla luce della fede un nuovo modello di unità del genere umano, al quale deve ispirarsi, in ultima istanza, la solidarietà. Questo supremo modello di unità, riflesso della vita intima di Dio, uno in tre Persone, è ciò che noi cristiani designiamo con la parola «comunione». Tale comunione, specificamente cristiana, gelosamente custodita, estesa e arricchita, con l'aiuto del Signore, è l'anima della vocazione della Chiesa ad essere «sacramento», nel senso già indicato. La solidarietà, perciò, deve contribuire all'attuazione di questo disegno divino tanto sul piano individuale, quanto su quello della società nazionale e internazionale. I «meccanismi perversi» e le «strutture di peccato», di cui abbiamo parlato, potranno essere vinte solo mediante l'esercizio della solidarietà umana e cristiana, a cui la Chiesa invita e che promuove instancabilmente. Solo così tante energie positive potranno pienamente sprigionarsi a vantaggio dello sviluppo e della pace. Molti Santi canonizzati dalla Chiesa offrono mirabili testimonianze di tale solidarietà e possono servire di esempio nelle difficili circostanze presenti. Fra tutti desidero ricordare san Pietro Claver, col suo servizio agli schiavi di Cartagena de Indias, e san Massimiliano Maria Kolbe, con l'offerta della sua vita in favore di un prigioniero a lui sconosciuto nel campo di concentramento di Auschwitz-Oswiecim. 
[…]
41. […]. La dottrina sociale della Chiesa non è una «terza via» tra capitalismo liberista e collettivismo marxista, e neppure una possibile alternativa per altre soluzioni meno radicalmente contrapposte: essa costituisce una categoria a sé. Non è neppure un'ideologia, ma l'accurata formulazione dei risultati di un'attenta riflessione sulle complesse realtà dell'esistenza dell'uomo, nella società e nel contesto internazionale, alla luce della fede e della tradizione ecclesiale. Suo scopo principale è di interpretare tali realtà, esaminandone la conformità o difformità con le linee dell'insegnamento del Vangelo sull'uomo e sulla sua vocazione terrena e insieme trascendente; per orientare, quindi, il comportamento cristiano. Essa appartiene, perciò, non al campo dell'ideologia, ma della teologia e specialmente della teologia morale.
 L'insegnamento e la diffusione della dottrina sociale fanno parte della missione evangelizzatrice della Chiesa. E, trattandosi di una dottrina indirizzata a guidare la condotta delle persone, ne deriva di conseguenza l'«impegno per la giustizia» secondo il ruolo, la vocazione, le condizioni di ciascuno. All'esercizio del ministero dell'evangelizzazione in campo sociale, che è un aspetto della funzione profetica della Chiesa, appartiene pure la denuncia dei mali e delle ingiustizie. Ma conviene chiarire che l'annuncio è sempre più importante della denuncia, e questa non può prescindere da quello, che le offre la vera solidità e la forza della motivazione più alta. 
42. La dottrina sociale della Chiesa, oggi più di prima, ha il dovere di aprirsi a una prospettiva internazionale in linea col Concilio Vaticano II,  con le più recenti Encicliche  e, in particolare, con quella che stiamo ricordando [enciclica Populorum Progressio, del papa Paolo 6° - 1967].  Non sarà, pertanto, superfluo riesaminarne e approfondirne sotto questa luce i temi e gli orientamenti caratteristici, ripresi dal Magistero in questi anni. Desidero qui segnalarne uno: l'opzione, o amore preferenziale per i poveri. É, questa, una opzione, o una forma speciale di primato nell'esercizio della carità cristiana, testimoniata da tutta la Tradizione della Chiesa. Essa si riferisce alla vita di ciascun cristiano, in quanto imitatore della vita di Cristo, ma si applica egualmente alle nostre responsabilità sociali e, perciò, al nostro vivere, alle decisioni da prendere coerentemente circa la proprietà e l'uso dei beni. Oggi poi, attesa la dimensione mondiale che la questione sociale ha assunto,  questo amore preferenziale, con le decisioni che esso ci ispira, non può non abbracciare le immense moltitudini di affamati, di mendicanti, di senzatetto, senza assistenza medica e, soprattutto, senza speranza di un futuro migliore: non si può non prendere atto dell'esistenza di queste realtà. L'ignorarle significherebbe assimilarci al «ricco epulone», che fingeva di non conoscere Lazzaro il mendico, giacente fuori della sua porta  (Lc 16,19).
La nostra vita quotidiana deve essere segnata da queste realtà, come pure le nostre decisioni in campo politico ed economico. Parimenti i responsabili delle Nazioni e degli stessi Organismi internazionali, mentre hanno l'obbligo di tener sempre presente come prioritaria nei loro piani la vera dimensione umana, non devono dimenticare di dare la precedenza al fenomeno della crescente povertà. Purtroppo, invece di diminuire, i poveri si moltiplicano non solo nei Paesi meno sviluppati, ma, ciò che appare non meno scandaloso, anche in quelli maggiormente sviluppati.
Bisogna ricordare ancora una volta il principio tipico della dottrina sociale cristiana: i beni di questo mondo sono originariamente destinati a tutti.  Il diritto alla proprietà privata è valido e necessario, ma non annulla il valore di tale principio: su di essa, infatti, grava «un'ipoteca sociale», cioè vi si riconosce, come qualità intrinseca, una funzione sociale, fondata e giustificata precisamente sul principio della destinazione universale dei beni. Né sarà da trascurare, in questo impegno per i poveri, quella speciale forma di povertà che è la privazione dei diritti fondamentali della persona, in particolare del diritto alla libertà religiosa e del diritto, altresì, all'iniziativa economica. 
43. La preoccupazione stimolante verso i poveri - i quali, secondo la significativa formula, sono «i poveri del Signore» - deve tradursi, a tutti i livelli, in atti concreti fino a giungere con decisione a una serie di necessarie riforme. Dipende dalle singole situazioni locali individuare le più urgenti ed i modi per realizzarle; ma non bisogna dimenticare quelle richieste dalla situazione di squilibrio internazionale, sopra descritto. Al riguardo, desidero ricordare in particolare: la riforma del sistema internazionale di commercio, ipotecato dal protezionismo e dal crescente bilateralismo; la riforma del sistema monetario e finanziario mondiale, oggi riconosciuto insufficiente; la questione degli scambi delle tecnologie e del loro uso appropriato; la necessità di una revisione della struttura delle Organizzazioni internazionali esistenti, nella cornice di un ordine giuridico internazionale. Il sistema internazionale di commercio oggi discrimina frequentemente i prodotti delle industrie incipienti dei Paesi in via di sviluppo, mentre scoraggia i produttori di materie prime. Esiste, peraltro, una sorta di divisione internazionale del lavoro, per cui i prodotti a basso costo di alcuni Paesi, privi di leggi efficaci sul lavoro o troppo deboli per applicarle, sono venduti in altre parti del mondo con considerevoli guadagni per le imprese dedite a questo tipo di produzione, che non conosce frontiere. Il sistema monetario e finanziario mondiale si caratterizza per l'eccessiva fluttuazione dei metodi di scambio e di interesse, a detrimento della bilancia dei pagamenti e della situazione di indebitamento dei Paesi poveri. Le tecnologie e i loro trasferimenti costituiscono oggi uno dei principali problemi dell'interscambio internazionale e dei gravi danni, che ne derivano. Non sono rari i casi di Paesi in via di sviluppo, a cui si negano le tecnologie necessarie o si inviano quelle inutili. Le Organizzazioni internazionali, secondo l'opinione di molti, sembrano trovarsi a un momento della loro esistenza, in cui i meccanismi di funzionamento, i costi operativi e la loro efficacia richiedono un attento riesame ed eventuali correzioni. Evidentemente, un processo così delicato non si potrà ottenere senza la collaborazione di tutti. Esso suppone il superamento delle rivalità politiche e la rinuncia ad ogni volontà di strumentalizzare le stesse Organizzazioni, che hanno per unica ragion d'essere il bene comune. Le Istituzioni e le Organizzazioni esistenti hanno operato bene a favore dei popoli. Tuttavia l'umanità, di fronte a una fase nuova e più difficile dei suo autentico sviluppo, ha oggi bisogno di un grado superiore di ordinamento internazionale, a servizio delle società, delle economie e delle culture del mondo intero. 
44. Lo sviluppo richiede soprattutto spirito d'iniziativa da parte degli stessi Paesi che ne hanno bisogno.  Ciascuno di essi deve agire secondo le proprie responsabilità, senza sperare tutto dai Paesi più favoriti ed operando in collaborazione con gli altri che sono nella stessa situazione. Ciascuno deve scoprire e utilizzare il più possibile lo spazio della propria libertà. Ciascuno dovrà rendersi capace di iniziative rispondenti alle proprie esigenze di società. Ciascuno dovrà pure rendersi conto delle reali necessità, nonché dei diritti e dei doveri che gli impongono di risolverle. Lo sviluppo dei popoli inizia e trova l'attuazione più adeguata nell'impegno di ciascun popolo per il proprio sviluppo, in collaborazione con gli altri. É importante allora che le stesse Nazioni in via di sviluppo favoriscano l'autoaffermazione di ogni cittadino mediante l'accesso a una maggiore cultura ed a una libera circolazione delle informazioni. Tutto quanto potrà favorire l'alfabetizzazione e l'educazione di base che l'approfondisce e completa, come proponeva l'Enciclica Populorum Progressio - mete ancora lontane dall'attuazione in tante parti del mondo - è un diretto contributo al vero sviluppo. Per incamminarsi su questa via, le stesse Nazioni dovranno individuare le proprie priorità e riconoscer bene i propri bisogni secondo le particolari condizioni della popolazione, dell'ambiente geografico e delle tradizioni culturali. Alcune Nazioni dovranno incrementare la produzione alimentare, per aver sempre a disposizione il necessario al nutrimento e alla vita. Nel mondo contemporaneo- in cui la fame miete tante vittime, specie in mezzo all'infanzia-ci sono esempi di Nazioni non particolarmente sviluppate, che pure sono riuscite a conseguire l'obiettivo dell'autosufficienza alimentare e a divenire perfino esportatrici di generi alimentari.
Altre Nazioni hanno bisogno di riformare alcune ingiuste strutture e, in particolare, le proprie istituzioni politiche, per sostituire regimi corrotti, dittatoriali o autoritari con quelli democratici e partecipativi. É un processo che ci auguriamo si estenda e si consolidi, perché la «salute» di una comunità politica-in quanto si esprime mediante la libera partecipazione e responsabilità di tutti i cittadini alla cosa pubblica, la sicurezza del diritto, il rispetto e la promozione dei diritti umani-è condizione necessaria e garanzia sicura di sviluppo di «tutto l'uomo e di tutti gli uomini». 

From the encyclical Through Work - Laborem exercens, released September 14, 1981 under the authority of Pope Karol Wojtyla - John Paul 2 ° -  The teaching and spreading of her social doctrine are part of the Church's evangelizing mission.

Note:
I transcribe the official text of the encyclical published by the Holy See in English below

40. Solidarity is undoubtedly a Christian virtue. In what has been said so far it has been possible to identify many points of contact between solidarity and charity, which is the distinguishing mark of Christ's disciples (cf. Jn 13:35). In the light of faith, solidarity seeks to go beyond itself, to take on the specifically Christian dimension of total gratuity, forgiveness and reconciliation. One's neighbor is then not only a human being with his or her own rights and a fundamental equality with everyone else, but becomes the living image of God the Father, redeemed by the blood of Jesus Christ and placed under the permanent action of the Holy Spirit. One's neighbor must therefore be loved, even if an enemy, with the same love with which the Lord loves him or her; and for that person's sake one must be ready for sacrifice, even the ultimate one: to lay down one's life for the brethren (cf. 1 Jn 3:16).
At that point, awareness of the common fatherhood of God, of the brotherhood of all in Christ - "children in the Son" - and of the presence and life-giving action of the Holy Spirit will bring to our vision of the world a new criterion for interpreting it. Beyond human and natural bonds, already so close and strong, there is discerned in the light of faith a new model of the unity of the human race, which must ultimately inspire our solidarity. This supreme model of unity, which is a reflection of the intimate life of God, one God in three Persons, is what we Christians mean by the word "communion." This specifically Christian communion, jealously preserved, extended and enriched with the Lord's help, is the soul of the Church's vocation to be a "sacrament," in the sense already indicated.
Solidarity therefore must play its part in the realization of this divine plan, both on the level of individuals and on the level of national and international society. The "evil mechanisms" and "structures of sin" of which we have spoken can be overcome only through the exercise of the human and Christian solidarity to which the Church calls us and which she tirelessly promotes. Only in this way can such positive energies be fully released for the benefit of development and peace. Many of the Church's canonized saints offer a wonderful witness of such solidarity and can serve as examples in the present difficult circumstances. Among them I wish to recall St. Peter Claver and his service to the slaves at Cartagena de Indias, and St. Maximilian Maria Kolbe who offered his life in place of a prisoner unknown to him in the concentration camp at Auschwitz.
[…]
41.[…] The Church's social doctrine is not a "third way" between liberal capitalism and Marxist collectivism, nor even a possible alternative to other solutions less radically opposed to one another: rather, it constitutes a category of its own. Nor is it an ideology, but rather the accurate formulation of the results of a careful reflection on the complex realities of human existence, in society and in the international order, in the light of faith and of the Church's tradition. Its main aim is to interpret these realities, determining their conformity with or divergence from the lines of the Gospel teaching on man and his vocation, a vocation which is at once earthly and transcendent; its aim is thus to guide Christian behavior. It therefore belongs to the field, not of ideology, but of theology and particularly of moral theology.
The teaching and spreading of her social doctrine are part of the Church's evangelizing mission. And since it is a doctrine aimed at guiding people's behavior, it consequently gives rise to a "commitment to justice," according to each individual's role, vocation and circumstances.
The condemnation of evils and injustices is also part of that ministry of evangelization in the social field which is an aspect of the Church's prophetic role. But it should be made clear that proclamation is always more important than condemnation, and the latter cannot ignore the former, which gives it true solidity and the force of higher motivation.
42. Today more than in the past, the Church's social doctrine must be open to an international outlook, in line with the Second Vatican Council, the most recent Encyclicals, and particularly in line with the Encyclical which we are commemorating [encyclical Populorum Progressio, by Pope Paul 6th - 1967]. It will not be superfluous therefore to reexamine and further clarify in this light the characteristic themes and guidelines dealt with by the Magisterium in recent years.
Here I would like to indicate one of them: the option or love of preference for the poor. This is an option, or a special form of primacy in the exercise of Christian charity, to which the whole tradition of the Church bears witness. It affects the life of each Christian inasmuch as he or she seeks to imitate the life of Christ, but it applies equally to our social responsibilities and hence to our manner of living, and to the logical decisions to be made concerning the ownership and use of goods.
Today, furthermore, given the worldwide dimension which the social question has assumed, this love of preference for the poor, and the decisions which it inspires in us, cannot but embrace the immense multitudes of the hungry, the needy, the homeless, those without medical care and, above all, those without hope of a better future. It is impossible not to take account of the existence of these realities. To ignore them would mean becoming like the "rich man" who pretended not to know the beggar Lazarus lying at his gate (cf. Lk 16:19-31).
Our daily life as well as our decisions in the political and economic fields must be marked by these realities. Likewise the leaders of nations and the heads of international bodies, while they are obliged always to keep in mind the true human dimension as a priority in their development plans, should not forget to give precedence to the phenomenon of growing poverty. Unfortunately, instead of becoming fewer the poor are becoming more numerous, not only in less developed countries but-and this seems no less scandalous-in the more developed ones too.
It is necessary to state once more the characteristic principle of Christian social doctrine: the goods of this world are originally meant for all. The right to private property is valid and necessary, but it does not nullify the value of this principle. Private property, in fact, is under a "social mortgage," which means that it has an intrinsically social function, based upon and justified precisely by the principle of the universal destination of goods. Likewise, in this concern for the poor, one must not overlook that special form of poverty which consists in being deprived of fundamental human rights, in particular the right to religious freedom and also the right to freedom of economic initiative.
43. The motivating concern for the poor - who are, in the very meaningful term, "the Lord's poor" - must be translated at all levels into concrete actions, until it decisively attains a series of necessary reforms. Each local situation will show what reforms are most urgent and how they can be achieved. But those demanded by the situation of international imbalance, as already described, must not be forgotten.
In this respect I wish to mention specifically: the reform of the international trade system, which is mortgaged to protectionism and increasing bilateralism; the reform of the world monetary and financial system, today recognized as inadequate; the question of technological exchanges and their proper use; the need for a review of the structure of the existing international organizations, in the framework of an international juridical order.
The international trade system today frequently discriminates against the products of the young industries of the developing countries and discourages the producers of raw materials. There exists, too, a kind of international division of labor, whereby the low-cost products of certain countries which lack effective labor laws or which are too weak to apply them are sold in other parts of the world at considerable profit for the companies engaged in this form of production, which knows no frontiers.
The world monetary and financial system is marked by an excessive fluctuation of exchange rates and interest rates, to the detriment of the balance of payments and the debt situation of the poorer countries.
Forms of technology and their transfer constitute today one of the major problems of international exchange and of the grave damage deriving therefrom. There are quite frequent cases of developing countries being denied needed forms of technology or sent useless ones.
In the opinion of many, the international organizations seem to be at a stage of their existence when their operating methods, operating costs and effectiveness need careful review and possible correction. Obviously, such a delicate process cannot be put into effect without the collaboration of all. This presupposes the overcoming of political rivalries and the renouncing of all desire to manipulate these organizations, which exist solely for the common good.
The existing institutions and organizations have worked well for the benefit of peoples. Nevertheless, humanity today is in a new and more difficult phase of its genuine development. It needs a greater degree of international ordering, at the service of the societies, economies and cultures of the whole world.
44. Development demands above all a spirit of initiative on the part of the countries which need it. Each of them must act in accordance with its own responsibilities, not expecting everything from the more favored countries, and acting in collaboration with others in the same situation. Each must discover and use to the best advantage its own area of freedom. Each must make itself capable of initiatives responding to its own needs as a society. Each must likewise realize its true needs, as well as the rights and duties which oblige it to respond to them. The development of peoples begins and is most appropriately accomplished in the dedication of each people to its own development, in collaboration with others.
It is important then that as far as possible the developing nations themselves should favor the self-affirmation of each citizen, through access to a wider culture and a free flow of information. Whatever promotes literacy and the basic education which completes and deepens it is a direct contribution to true development, as the Encyclical Populorum Progressio proposed.These goals are still far from being reached in so many parts of the world.
In order to take this path, the nations themselves will have to identify their own priorities and clearly recognize their own needs, according to the particular conditions of their people, their geographical setting and their cultural traditions.
Some nations will have to increase food production, in order to have always available what is needed for subsistence and daily life. In the modern world - where starvation claims so many victims, especially among the very young - there are examples of not particularly developed nations which have nevertheless achieved the goal of food self-sufficiency and have even become food exporters.
Other nations need to reform certain unjust structures, and in particular their political institutions, in order to replace corrupt, dictatorial and authoritarian forms of government by democratic and participatory ones. This is a process which we hope will spread and grow stronger. For the "health" of a political community - as expressed in the free and responsible participation of all citizens in public affairs, in the rule of law and in respect for the promotion of human rights - is the necessary condition and sure guarantee of the development of "the whole individual and of all people."