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Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

Dall’anno associativo 2020/2021 il gruppo di AC di San Clemente Papa si riunisce abitualmente il secondo, il terzo e il quarto sabato del mese alle 17 e anima la Messa domenicale delle 9. Durante la pandemia da Covid 19 ci siamo riuniti in videoconferenza Google Meet. Anche dopo che la situazione sanitaria sarà tornata alla normalità, organizzeremo riunioni dedicate a temi specifici e aperte ai non soci con questa modalità.

Per partecipare alle riunioni del gruppo on line con Google Meet, inviare, dopo la convocazione della riunione di cui verrà data notizia sul blog, una email a mario.ardigo@acsanclemente.net comunicando come ci si chiama, la email con cui si vuole partecipare, il nome e la città della propria parrocchia e i temi di interesse. Via email vi saranno confermati la data e l’ora della riunione e vi verrà inviato il codice di accesso. Dopo ogni riunione, i dati delle persone non iscritte verranno cancellati e dovranno essere inviati nuovamente per partecipare alla riunione successiva.

La riunione Meet sarà attivata cinque minuti prima dell’orario fissato per il suo inizio.

Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

NOTA IMPORTANTE / IMPORTANT NOTE

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Il sito della parrocchia:

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domenica 20 settembre 2020

Il problema comunitario

 

Il problema comunitario

 

1. Quand’è che per la prima volta si avvicina consapevolmente la Chiesa? Da bambini, al catechismo per la prima Comunione. Io vi partecipai dal tempo in cui facevo le scuole elementari, come accade anche oggi. A quell’epoca si era in una fase cruciale di un processo storico di riforma della nostra Chiesa, quella che si è prodotta durante il Concilio Vaticano 2° (1962-1965). Fui un bambino che fece tempo ad assistere a messe celebrate in latino. La prima messa in italiano fu celebrata il 7 marzo 1965 ed io facevo la terza elementare (andai in prima a cinque anni).  Andavo già al primo catechismo, che frequentai proprio nella nostra parrocchia. Se ben ricordo feci Prima Comunione e Cresima, a qualche giorno di distanza come si usava allora, l’anno dopo.

  Il parroco era all’epoca don Vincenzo Pezzella, e lo era stato dalla fondazione della nostra parrocchia, nel 1956 (la mia famiglia venne nel quartiere nel 1958, proveniente da Bologna). Lo rimase poi fino al 1983, quando fu trasferito nella parrocchia di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri, la grande basilica a piazza Esedra. Fu sostituito da don Carlo Quieti il quale, formatosi nelle comunità del Cammino Neocatecumenale, lo introdusse da noi, fino ad aggregare dieci comunità. Nell’ottobre 2015 venne tra noi l’attuale parroco, don Remo Chiavarini, con un incarico molto preciso del vescovo, quello di indurre una rigenerazione della nostra parrocchia e di migliorare le relazioni vive con la gente del quartiere. Per questo lavoro gli vennero assegnati nove anni, dei quali cinque sono ormai passati: scadranno nel 2024. Non si è ritenuto di ripetere l’esperienza degli incarichi precedenti, durati rispettivamente ventisette e trentadue anni.

  Alle scuole elementari veniva un sacerdote della parrocchia a farci religione. Il nostro maestro, che si era formato alla fede durante il fascismo mussoliniano (1922-1945), una volta che quel prete se n’era andato ci diceva di dimenticare quello che ci aveva detto e di ascoltare solo ciò che ci diceva lui. Poi mi sono reso conto che quel sacerdote ci parlava della Chiesa secondo le nuove concezioni che si andavano manifestando durante il Concilio.

  Fui tra i bambini che ricevettero dalla madre la carezza del Papa, come aveva invitato a fare il papa Giovanni 23° durante quello che fu chiamato “Il discorso alla Luna”, tenuto la sera dell’11 ottobre 1962 a Roma, in occasione dell’apertura del Concilio. Quello  fu mio primo contatto con la nostra Chiesa, quella carezza materna me la fece realmente madre e maestra, il titolo della  grande enciclica sociale  di quel Papa, che era stata diffusa l’anno precedente. Questo volto della Chiesa era molto diverso da come me lo presentava il mio maestro delle elementari, per il quale la Chiesa era parte essenziale di un sistema gerarchico di governo dell’Italia, per dare a noi futuri soldati la forza morale di immolarci in guerra per fare grande e potente la nazione. Q

  Ricordo che una volta il prete che ci faceva religione ci chiese che cosa era la Chiesa per noi. Questa domanda ci fu ripetuta anche al catechismo. Naturalmente rispondemmo che era dove andavamo a messa. Noi, ci rispose, eravamo noi. Ne fui molto meravigliato e rimasi anche un po’ incredulo, anche per quello che ci diceva il maestro sulle lezioni di religione di quel sacerdote, quindi chiesi a mia madre, e scoprì che era proprio come ci aveva detto l’insegnante di religione. Ma anche così, ci misi poi molto a capire che significava quell’essere Chiesa. Fino a quel momento la Chiesa mi era sembrata più che altro un supporto all’autorità dei miei genitori, per cui, se le disobbedivo, sarei stato punito da Dio oltre che da loro. E questa idea mi rimase piuttosto radicata, come anche nei miei compagni di classe e di catechismo, tanto che, quando iniziammo a confessarci, cercavamo di capire dove si era peccato e più che altro ci accusavamo di disobbedienza ai genitori. Non riuscivamo a concepire che fosse peccato, ad esempio, picchiare e umiliare i nostri coetanei, rendere loro la vita impossibile, farci reciprocamente del male, cercare di umiliare e sottomettere gli altri, mettere in ridicolo quelli che erano più lenti e impacciati a difendersi, cosa che rientrava nelle nostre prassi quotidiane, ma in cui non vedevamo proprio nulla di male, e non ce lo vedevano neanche  i grandi,  che ne parlavano come di bambinate. Ma a catechismo non era diverso. L’assimilazione di quel diverso essere Chiesa di cui si era parlato al Concilio fu lunga e piuttosto travagliata. Tra noi bambini, come anche per i grandi.

  E insomma, quella Chiesa come carezza di Dio, che mi si era sorprendentemente manifestata nella mia prima fanciullezza, non la trovai poi spesso, crescendo.

  Da genitore volli marcatamente distaccarmi dall’idea di Chiesa come supporto alla mia autorità familiare, paterna in particolare. Le mie figlie non sono cresciute secondo quella concezione, non hanno avuto in me un padre sacrale.

  Una volta, il giorno della Prima Comunione di una delle mie figlie, il parroco don Carlo ci presentò il programma di preparazione della Cresima, che a quel tempo si faceva durante le scuole medie, con un specifica preparazione. Voleva affidare i nostri figli a famiglie di catechisti, secondo l’uso Neo Catecumenale, per metterli in riga, qualcosa di simile disse. Il concetto era quello. Io, che all’epoca non ero molto interessato alla parrocchia se non per il catechismo frequentato dalle mie figlie, insorsi e gli dissi che mia figlia aveva già una famiglia e che, per me, la religione non doveva servire a metterla in riga. Poi mia moglie mi diede di gomito per dirmi di piantarla, di non sciupare la festa, e così feci, ma quella era, ed è ancora, la mia opinione.

  Ecco, la Chiesa come strumento di governo, per mettere in riga  la gente era stata quella pensata e vissuta più o meno fino al Concilio, l’altra, quella della carezza di Dio  e dell’essere tutti Chiesa era quella del Concilio. Era centrata sull’idea di comunità: questa fu l’idea centrale del trentennio  di rinnovamento della catechesi iniziato con il cosiddetto Documento di base “Il rinnovamento della catechesi”, diffuso il 2 febbraio 1970 dalla Commissione episcopale per la dottrina della fede e la catechesi.

 Vi leggiamo:

 

«Il principio fondamentale che ispira il DB e ne costituisce l’“anima” è la fedeltà al Concilio, “catechismo dei tempi moderni”. Dal Concilio derivano le scelte che il Documento sviluppa nei suoi 10 capitoli. Sono scelte che, formulate con rigore dottrinale e aperte alle istanze della comunità ecclesiale e della realtà socio-culturale, mirano alla integrazione tra la fede e la vita e caratterizzano l’azione catechistica della nostra Chiesa:

-  la catechesi promuove itinerari per una crescita permanente del cristiano, dall’infanzia all’età adulta, avendo come fine l’acquisizione di una mentalità di fede;

-  la catechesi è radicata nella parola di Dio, nella Tradizione e il Magistero della Chiesa; è incentrata sul mistero di Cristo, che apre al mistero di Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, al mistero della Chiesa e dell’uomo redento;

-  la comunità di fede, di culto e di carità è soggetto e ambiente vitale della catechesi;

-  la fedeltà a Dio e la fedeltà all’uomo, in un unico atteggiamento d’amore, è legge fondamentale del metodo catechistico;

-  la Chiesa affida la catechesi a catechisti da essa stessa “mandati ”, formati come maestri, educatori e testimoni della verità e capaci di trasmetterla integralmente e fedelmente all’uomo del nostro tempo. Queste scelte per la spinta pastorale che imprimono, vengono a giusto titolo considerate il fondamento del progetto catechistico italiano

 

All’inizio del 1979 aderii alla FUCI - Federazione Universitaria Cattolica Italiana  e l’assistente ecclesiastico, che era un professore di antropologia teologica dell’Università Lateranense che fu poi anche arcivescovo, ci fece adottare il Catechismo per i giovani che proprio quell’anno era stato diffuso  per la consultazione e la sperimentazione  dalla Conferenza episcopale italiana. Gli attuali catechismi della CEI furono diffusi tra il 1991  e il 1997.

  In mezzo a questo lungo lavoro di rielaborazione della catechesi secondo l’idea di Chiesa - comunità si situa le deliberazione nel 1992, da parte del papa Giovanni Paolo 2°, del Catechismo della Chiesa cattolica, revisionato nel 1997. Questo documento, nonostante il nome, non è solo  uno strumento per la formazione alla fede, ma è stato deliberato come legge  della Chiesa, con l’autorità del Papa e ha voluto mettere ordine  negli sviluppi di quel rinnovamento  di cui dicevo. E’ stato dato  dall’alto, dal vertice gerarchico, mentre i documenti prodotti nel corso del rinnovamento italiano della catechesi volevano imparare dall’esperienza pratica. In qualche modo è stato concepito con l’idea di mettere in riga, non la gente comune, i non specialisti, per i quali è una vera enciclopedia dei nodi principali delle nostre concezioni di fede, pur mancando quasi del tutto di uno spessore storico, quindi di raccontare realisticamente la storia della Chiesa per dare la consapevolezza di corpo sociali in evoluzione nel tempo, ma gli specialisti della riflessione teologica, i quali, infatti, nei loro testi scientifici hanno iniziato a citarlo come fanno con altri documenti normativi della nostra Chiesa, ad esempio con le encicliche papali. Chi se ne discosta, infatti, può essere sanzionato con provvedimenti dell’autorità ecclesiastica. A un teologo può essere revocata la qualifica di teologo cattolico. In questo suo intento di mettere in riga è espressione di una concezione di Chiesa precedente al Concilio Vaticano 2°.

2. Quando parliamo di comunità di fede, affrontiamo un tema che è ancora piuttosto controverso e, soprattutto, non ha veramente trovato applicazioni pratiche nello spirito dei principi dell’ultimo Concilio. Infatti tra il proclamare che la Chiesa è comunità  e farne realmente un corpo sociale con caratteristiche comunitarie c’è molto lavoro da fare e molte resistenze da superare. Ma, del resto, come deve essere organizzata una comunità e il suo modo di vivere come tale? Nella nostra Chiesa in questo ci si imbatte nei problemi suscitati dall’esistenza di una ipertrofica struttura di governo, per di più organizzata al modo del feudalesimo medievale, essenzialmente intorno a centri di potere monarchici strutturati in una gerarchia che, al vertice, ha il Papato, con il Papa e le varie autorità collaterali che l’affiancano nelle funzioni di vertice. Un sistema di autorità che ha connotati sacrali, vale a dire santo, nel senso di presidiato da sanzioni  soprannaturali in caso di violazioni. In questa struttura, dal punto di vista burocratico, la parrocchia appare come un’istituzione di governo su una certa porzione del territorio, affidata al potere delegato di un funzionario che è il suo parroco. In questo l’ideologia comunitaria  del Concilio Vaticano 2° ha poco inciso. I connotati sacrali della parrocchia si sono via via piuttosto attenuati, per cui essa ha credito tra la gente del quartiere più che alro perché rende una serie di servizi, che sono in primo luogo quello liturgico, per celebrare degnamente gli eventi fondamentali delle persone e delle loro famiglie, in secondo luogo quello formativo, per l'educazione morale dei giovani,  quel metterli in riga  di cui dicevo, e per molti di loro è quella è la sola formazione etica che riceveranno nella loro vita, ma anche la direzione spirituale degli adulti e degli anziani, nei frangenti più difficili, in cui si impongono scelte di vita importanti, e, infine, quelli di assistenza sociale di varia natura, sia morale, per sostenere psicologicamente le persone nei momenti critici, che materiale, e questo del resto secondo consuetudini che risalgono alle comunità delle origini. Quindi poi, la comunità parrocchiale  assume più che altro l’aspetto di una comunità di utenti, che fruiscono  di quei servizi, tra i quali vi è anche la disponibilità di locali per varie esigenze sociali, un gruppo di spiritualità come un’assemblea di condominio. E, sotto questo aspetto, la relazione con la parrocchia è un po’ come quella di chi prende in affitto  un locale, rispetto a chi lo concede in locazione.

  In realtà, quando nel rinnovamento della catechesi, si pensò a  una comunità, si progettava qualcosa di altro.

  Il problema era che, nell’affermarsi di processi democratici a livello della gente, del resto anche secondo la formazione che veniva acquisita in Azione Cattolica, il principale agente italiano di inculturazione popolare della democrazia, il potere sacrale  della gerarchia ecclesiastica si era indebolito, per cui le persone avevano iniziato a dimostrarsene piuttosto insofferenti. Secondo questa mentalità, le persone non volevano limitarsi ad ubbidire  ai pastori, con costumi da gregge, ma volevano anche ben capire, questo secondo i costumi democratici, secondo i quali nessun potere può pretendere obbedienza senza rendere ragione e, quindi, argomentare. Altrimenti ne va della dignità  delle persone chiamate semplicemente a obbedire.

  Ora, negli anni ’70 nella gerarchia ecclesiastica si confidava ancora che, come già si era ritenuto nell’Ottocento ai tempi del durissimo contrasto con il liberalismo democratico del nuovo Regno d’Italia, lo stato nazionale che aveva posto fine con la violenza militare allo Stato pontificio, il piccolo regno del Papato nell’Italia centrale (domani si celebra la ricorrenza della conquista di Roma da parte delle truppe italiane), nel popolo italiano  fosse viva una cultura, fatta di antiche consuetudini e credenze recepite per via di tradizione familiare, diciamo di madri in figli, che comprendevano anche la sottomissione  alla religione tradizionale, con la sua suggestiva mitologia, con le sue belle liturgie, ma anche con il suo ordine gerarchico sacrale, che inglobava anche costumi familiari e personali, diciamo un’etica sociale  e individuale. Dunque si pensò di presidiare l’ordine  ecclesiale minacciato dai processi democratici costruendo  comunità vive basate su quei valori popolari che si ritenevano un po’ come innati  tra la gente, e solo superficialmente offuscati dalla mentalità democratica. Insomma, dove prima la pressione   per mantenere in riga  la gente derivava da un timore sacrale, ora, nel declino del sacro, quella pressione doveva essere esercitata dalle comunità. La gente doveva vedere come era bello stare insieme  secondo le indicazioni della dottrina religiosa, che non venivamo messe in questione se non marginalmente, in una sorta di aggiornamento non in una vera e propria riforma.

  Infatti, a ben leggere sia il Documento di base, sia gli altri documenti che ciclicamente intervennero sulla materia del rinnovamento della catechesi (i più significativi possono essere scaricati da

http://www.educat.it/elenco_documenti.jsp

non vi è alcun cenno alla possibilità di intervenire con processi democratici nella vita delle comunità attive da cui ci si attendeva un ruolo fondamentale nella formazione alla fede delle persone. Si sarebbe dovuti stare insieme  al modo delle greggi intorno ai pastori, secondo la bella immagine evangelica, e così, dimostrando come era bello stare insieme in quel modo, premere  sulle persone perché si adeguassero a quei costumi prendendo esempio dagli altri,  al modo in cui, fino ad una certa età, accade ai figli con i genitori e, in genere, gli anziani della famiglia. In sostanza il modello di società che si aveva in mente di realizzare era strutturato su una sorta di gerarchia familiare, dove prima si trattava di radunarsi sottomessi  a una gerarchia sacrale.  Sempre di un problema di governo si trattava e sempre secondo una gerarchia  lo si voleva risolvere. Pensando che, in qualche modo, l’ordine gerarchico familiare avesse una sua sacralità  per così dire naturale, dove quello ecclesiastico ne aveva una propriamente soprannaturale. Nei confronti di comunità di questo tipo si stava sostanzialmente nel ruolo di figli e, come si sa, una persona, rispetto ai propri genitori, rimane figlia per sempre e nonostante tutto. Ebbene, questo disegno è fallito, nonostante la sua affascinante cornice teologica, perché, in particolare, l’idea di padre  e di madre ha correlati nella mitologia sacrale, e quindi ci si può ricamare molto sopra. E’ fallito perché implica, come l’ordine sacrale,  una  sottomissione  che (ancora) ripugna alla mentalità degli europei del nostro tempo, e anche agli italiani.

  Del resto il principale problema di sempre dei giovani  è quello di affrancarsi dall’autorità genitoriale, e più tardi, crescendo, recuperare nei confronti dei genitori un affetto che ha più connotati amicali che altro. Questo spiega la scarsa attrattiva che esercita quel tipo di comunità educante  sui giovani, ma anche sugli adulti i quali, conquistata l’emancipazione, non sopportano di essere nuovamente ridotti in una condizione di minorità.

 Ma non si deve obbedire a Dio, piuttosto che agli uomini, come è scritto?

 

[dagli Atti degli apostoli, capitolo 5, versetti 26-32]

26. Il comandante delle guardie partì subito con i suoi uomini per arrestare di nuovo gli apostoli, ma senza violenza, perché temevano di essere presi a sassate dalla gente.

27. Li portarono via e li fecero comparire davanti al tribunale. Il sommo sacerdote cominciò ad accusarli: 28. «Noi vi avevamo severamente proibito di insegnare nel nome di quell’uomo, e voi invece avete diffuso il vostro insegnamento per tutta Gerusalemme. Per di più, volete far cadere su di noi la responsabilità della sua morte». 29. Ma Pietro e gli apostoli risposero: «Si deve ubbidire a Dio piuttosto che agli uomini. 30. Ora, il Dio dei nostri padri ha fatto risorgere Gesù, quello che voi avete fatto morire inchiodandolo a una croce. 31. Dio lo ha innalzato accanto a sé, come nostro capo e Salvatore per offrire al popolo d’Israele l’occasione di cambiare vita e di ricevere il perdono dei peccati. 32. «Noi siamo testimoni di questi fatti: noi e lo *Spirito Santo, che Dio ha dato a quelli che gli ubbidiscono». 

 

 Certo è proprio così, ma  quell’episodio biblico mette in luce, narrando di un episodio di anarchia per così dire apostolica verso le autorità religiose israelitiche di quel tempo antico motivata dal dovere supremo di obbedienza a Dio,  che bisogna distinguere quell’obbedienza da quella pretesa dalle autorità gerarchiche costituite da esseri umani per il governo delle società. Le democrazie contemporanee, così ricche di valori umanitari anche con derivazione religiosa, nel loro ripudio di ogni autorità che pretenda obbedienza assoluta, illimitate e indiscutibile, quindi sottratta all’argomentare critico, sono fondate su quel medesimo principio.

  Il problema della nostra parrocchia, a cui si volle tentare di porre rimedio dall’ottobre 2015, è stato costituito dal duro e incontrovertibile fallimento del tentativo di trasformare quasi per intero la nostra parrocchia in una comunità familiare educante  del tipo che ho descritto, lasciando spazio alle esperienze sociali del passato solo come contorno  dedicato ad esigenze particolari o come luoghi per irriducibili. Dove altrove questo fallimento si è manifestato in modi meno eclatanti, perché si era mantenuto un certo pluralismo, da noi è stato diverso perché di quel pluralismo si è stati molto insofferenti, con il risultato del distacco della gente del quartiere dalla parrocchia. Ma il nuovo corso, finora, non è riuscito a sanare veramente la situazione, anche se, certamente, quel distacco si è molto attenuato, e ciò senza abolire nulla, ma cercando di non seguire un certo estremismo del passato. Questo perché non ha seguito la via della formazione di mentalità democratiche. Del resto si tratta di un lavoro per i quali i preti da moltissimo tempo non sono più preparati. Lo ripeto spesso: questo stupisce dato il ruolo fondamentale che alcuni grandi preti hanno avuto nella costruzione della nostra democrazia.  Ma, bisogna dire, essi completavano come autodidatti la loro formazione alla politica democratica: ora come alla loro epoca non la ricevevano nelle scuole ecclesiastiche. Solo dal 1991, con l’enciclica Il Centenario, del papa Giovanni Paolo 2°, è stata riconosciuto la dignità della democrazia, ma solo nella società civile. Uno dovrebbe agire con spirito libero  democratico nella società civile e da persona sottomessa  nella Chiesa. Difficile da sopportare. Dunque si fa così: si cerca di agire da democratici nella società civile e si esercita molta ipocrisia nella Chiesa, per evitare l’emarginazione o, per chi ha fatto della religione una professione, anche peggio. Ma si soffre, certo. Oppure, imparata la sottomissione nella vita di Chiesa, la si cerca anche nella società civile dove si cerca una sorta di arcivescovo laico, un uomo forte, al quale obbedire  con spirito filiale, nella prospettiva poi, della ricompensa con il vitello grasso  della parabola del padre misericordioso.

  La proposta dell’Azione Cattolica, palestra di democrazia, è radicalmente diversa e non ci sono molte altre organizzazioni ecclesiali che la presentano. Ecco che noi, con le difficoltà che abbiamo, ci troviamo ad avere e sapere ciò che può servire a liberarci dalle difficoltà cui, come parrocchia, ci troviamo. Abbiamo una mentalità democratica. Non ci sono arcivescovi laici  in Azione Cattolica, la carica la si lascia a chi compete, né personalità carismatiche, che una volta al vertice si circondano di autorità sacrale e sostituirle viene presentato come un dramma.

 Ma come potrebbe essere organizzata, secondo principi democratici, una comunità  parrocchiale? Come fare i conti con il potere giudico monarchico che compete al parroco e che riguarda anche l’amministrazione di risorse e beni che, a confronto con quelle di una famiglia comune, appaiono ingenti? Come prevenire che la parrocchia, nello svilupparsi sfavorevole di processi democratici, come può effettivamente accadere ma che  è accaduto anche al di fuori di essi, cada in mani indegne? Come prevenire quella che  i teorici della democrazia chiamano la tirannia della maggioranza?

 Ecco, questo dovrebbe essere al centro del dibattito e dei tirocini pratici che dovrebbero partire da un gruppo parrocchiale di Azione Cattolica come il nostro.

Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli