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Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

Dall’anno associativo 2020/2021 il gruppo di AC di San Clemente Papa si riunisce abitualmente il secondo, il terzo e il quarto sabato del mese alle 17 e anima la Messa domenicale delle 9. Durante la pandemia da Covid 19 ci siamo riuniti in videoconferenza Google Meet. Anche dopo che la situazione sanitaria sarà tornata alla normalità, organizzeremo riunioni dedicate a temi specifici e aperte ai non soci con questa modalità.

Per partecipare alle riunioni del gruppo on line con Google Meet, inviare, dopo la convocazione della riunione di cui verrà data notizia sul blog, una email a mario.ardigo@acsanclemente.net comunicando come ci si chiama, la email con cui si vuole partecipare, il nome e la città della propria parrocchia e i temi di interesse. Via email vi saranno confermati la data e l’ora della riunione e vi verrà inviato il codice di accesso. Dopo ogni riunione, i dati delle persone non iscritte verranno cancellati e dovranno essere inviati nuovamente per partecipare alla riunione successiva.

La riunione Meet sarà attivata cinque minuti prima dell’orario fissato per il suo inizio.

Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

NOTA IMPORTANTE / IMPORTANT NOTE

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Il sito della parrocchia:

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sabato 5 settembre 2020

Dall’Ufficio catechistico nazionale - Ripartiamo insieme - Linee guida per la catechesi in italia in tempo di Covid 19

 

Dall’Ufficio catechistico nazionale

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Ripartiamo insieme

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Linee guida per la catechesi in italia in tempo di Covid 19

 

Introduzione

 

 «Iniziare processi, più che occupare spazi». Questa affermazione di Papa Francesco (cfr. Evangelii gaudium, n. 223) ha come ispirato e accompagnato il lavoro corale di tutti noi negli ultimi mesi: dell’Équipe dell’Ufficio Catechistico Nazionale, dei Direttori degli Uffici diocesani e regionali e delle loro rispettive équipe, della Consulta nazionale, dell’Azione Cattolica e dell’Agesci, nonché di alcuni Uffici pastorali della CEI. Sono nati così i Laboratori ecclesiali sulla catechesi, che ci hanno visti impegnati da maggio a luglio del 2020. La partecipazione consapevole e fattiva di ogni attore ha fatto sì che diventasse una operazione davvero comunitaria. In questo senso, vogliamo pensare che si sia trattato di un processo paradigmatico, che cioè ci ha insegnato un metodo duplicabile ancora ovvero di uno stile ecclesiale. Da questo lavoro comunitario è scaturito il primo testo che viene proposto qui di seguito: la Sintesi dei Laboratori ecclesiali sulla catechesi. È una foto realistica della catechesi nella nostra Chiesa italiana scattata “dal basso”, da quanti cioè operano con costanza e generosità sul campo. Se le immagini possono essere a volte non del tutto gradevoli, sono tuttavia vere. Nei mesi segnati dal lockdown la vita, quel percorso affascinante e misterioso che riguarda ciascuno di noi, ha riservato sorprese, sofferenze, disincanti, slanci e tante altre esperienze che non avevamo messo nel conto. Per i credenti e per tanti non credenti è stata l’occasione per porsi la domanda su Dio. La Chiesa in tutte le sue articolazioni si è interrogata anche sulle sue prassi, a cominciare dall’evangelizzazione, provando a restare aderente al reale per quanto questo possa apparire nuovo e disorientante. Nessuno però si è tirato indietro di fronte alla sfida di ascoltare la realtà, il punto di partenza di ogni catechesi.

  Partendo da questa istantanea, scattata con maestria e sincerità, l’Équipe dell’UCN ha elaborato poi una riflessione che si è tradotta nel secondo testo di questo documento: Per dirci nuovamente “cristiani”. Spunti per un discernimento pastorale alla luce di At 11. Ci siamo chiesti quale luce potesse gettare la Parola di Dio sulla realtà appena descritta. Ne è scaturito un testo che intende offrire alcune chiavi di lettura per decodificare il presente e soprattutto per decidere nuove vie evangeliche nel prossimo futuro. A noi sembra questo il tempo per una conversione ecclesiale, che consenta di trovare maggiore aderenza alla vita delle persone e maggior efficacia nell’azione catechistica. Alla libertà e alla creatività delle realtà ecclesiali locali suggeriamo quindi qualche pista da percorrere e qualche elemento utile al discernimento delle priorità pastorali. Pensiamo che questo documento, nella sua articolazione in due parti, possa costituire uno strumento utile per i Vescovi, i Direttori degli Uffici Catechistici e i catechisti stessi che sono in prima linea nella fase di ripartenza del nuovo anno pastorale.

                                        Mons. Valentino Bulgarelli

 

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Sintesi dei Laboratori ecclesiali sulla catechesi Introduzione

 

Sulla stessa barca

  All’inizio del 2020 anche le Chiese locali in Italia si sono trovate a vivere la drammatica situazione della pandemia: tutti improvvisamente eravamo «sulla stessa barca» (Francesco, Veglia a Piazza S. Pietro, 27 marzo 2020). Per noi ritrovarsi sulla stessa barca significa non solo soffrire insieme, ma anche condividere in modo responsabile lo stesso impegno e la stessa meta.

 

Il Triduo pasquale

  L’emergenza sanitaria ha costretto a passare dalla  normalità frenetica e satura di impegni alla novità quieta e disorientante del lockdown, durante il quale abbiamo assistito agli effetti devastanti della pandemia: malattia e morte. Ma là dove prevalevano il dolore del Venerdì Santo e il silenzio del Sabato Santo, i cristiani hanno cominciato a cogliere i bagliori della Domenica di risurrezione (cfr. CEDAC, È risorto il terzo giorno; CEI, Incontriamo Gesù, n. 41).

 

Annuncio e liturgia

  Anche le consuetudini pastorali ne hanno risentito, quasi obbligate a spostare il loro baricentro là dove la vita chiamava. Essere prossimi a tante persone reali ha significato riconoscere implicitamente una debolezza della nostra Chiesa: la mancata corrispondenza tra partecipazione ai sacramenti e formazione alla vita cristiana (Francesco, Evangelii gaudium, n. 63). Ci siamo accorti che l’assenza dell’Eucarestia ha spinto diverse persone ad impegnarsi maggiormente nella cura spirituale e altre a ridurre la partecipazione alla Messa domenicale: una certa disaffezione verso la liturgia induce a pensare all’urgenza di una diversa catechesi sui sacramenti. Se è vero che l’Eucaristia resta centrale quale “culmine e fonte” della vita cristiana (Lumen gentium, n. 10), ciò che abbiamo vissuto ci spinge a rinnovarne il modo in cui è proposta e celebrata. Ma anche alla necessità di una rinnovata catechesi sulla centralità dell’Eucaristia nella vita cristiana.

 

Carità

  Nel periodo del lockdown buona parte dell’annuncio è passata attraverso l’azione di quanti si sono impegnati nella carità, ad esempio nella distribuzione di generi alimentari e farmaci, mostrando così il volto di una Chiesa madre che si prende cura in modo concreto dei più bisognosi. Si è trattato di una testimonianza reale dell’essere credenti (cfr. CEI, Incontriamo Gesù, n. 18), che non disgiunge l’annuncio dalla carità. Prendersi cura delle persone significa adesso accompagnare il passaggio da una pratica caritativa o religiosa occasionale alla maturazione di una scelta di fede consapevole e stabile.

 

Nuovi strumenti

  Molte comunità e tanti singoli volenterosi hanno esplorato nuovi linguaggi e strumenti per trasmettere la fede. Mentre era evidente la passione e la creatività, emergeva anche la necessità e l’urgenza di una formazione specifica sul valore e l’utilizzo degli ambienti digitali.

 

Ricominciare o ripartire?

 

  Ed ora? Più o meno consapevolmente, molti vorrebbero tornare alla “normalità pastorale” di sempre. È questo un indice della fatica ad interiorizzare la portata del cambiamento in atto e la conseguente opportunità ecclesiale. È importante rifuggire la tentazione di soluzioni immediate e cercare piuttosto di discernere una nuova gerarchia pastorale: quali prassi pastorali mettere in secondo piano o persino tralasciare e quali mettere in cima e privilegiare? Si tratta di una salutare “potatura” per ricominciare e non soltanto ripartire. Il tempo nuovo che si è aperto ci interroga: cosa significa essere discepoli del Signore Gesù oggi? Ci basta andare in chiesa o siamo invitati a vivere diversamente la comunità? Che cosa è stato significativo in questi mesi? Come essere annunciatori del Vangelo in questo tempo specifico?

 

Quattro punti su cui porre l’accento

 

  Le nostre Chiese locali si trovano a fronteggiare alcune sfide cruciali. Eppure Papa Francesco ci ricorda che proprio le «sfide esistono per essere superate. Siamo realisti, ma senza perdere l’allegria, l’audacia e la dedizione piena di speranza! Non lasciamoci rubare la forza missionaria!» (Francesco, Evangelii gaudium, n. 109). Abbiamo individuato quattro punti su cui porre l’accento per una rinnovata prassi ecclesiale: l’ascolto, la narrazione, la comunità e la creatività.

 

1. L’ascolto

  L’ascolto fa parte della spiritualità biblica del credente. Questo presuppone di accettare di non avere già una risposta pronta, di non dare nulla per scontato. L’ascolto richiede una sana empatia e rende aderenti alla realtà della persona. Solo questo atteggiamento consente di immergere la vita nella Parola di Dio con libertà e senza forzature o finzioni. Solo da un simile ascolto, fedele alla vita, scaturisce il prendersi cura dell’altro secondo i suoi bisogni reali e i ritmi della sua progressione di fede, avendo fiducia che il Signore è all’opera in ogni situazione.

 

2. La narrazione

  Chi si sente ascoltato con amore racconta se stesso di fronte al volto del Padre, che Gesù ha svelato. Insegnare a raccontarsi significa aiutare a riconoscersi discepoli di Cristo in ascolto costante del Maestro e gli uni degli altri. La catechesi basata su ascolto e narrazione alla luce della Parola di Dio valoNuovi strumenti Ricominciare o ripartire? 1. L’ascolto 2. La narrazione 5 rizza la famiglia e la comunità quali luoghi principali della vita e della fede. La famiglia e gli adulti, con la loro vita ordinaria, aiuterebbero a superare l’impostazione solo finalizzata ai sacramenti e l’attenzione rivolta quasi esclusivamente ai bambini e ai ragazzi (cfr. CEI, Incontriamo Gesù, n. 29).

 

3. La comunità

 La comunità non è un dato a priori e non corrisponde tout court alla parrocchia, anche se questa è il luogo ecclesiale naturale in cui immaginare l’essere comunità che riparte. Accanto e nella parrocchia non vanno dimenticate però le associazioni e i movimenti, che spesso hanno nella parrocchia il loro “campo base” ma che sviluppano anche percorsi pastorali specifici come quelli legati all’Iniziazione Cristiana o all’apostolato di ambiente. In realtà, la comunità è prima di tutto un luogo interiore e poi relazionale di ascolto, di narrazione, di confronto con la Parola di Dio e di annuncio. Non si può più presumere che quanti si radunano per l’Eucaristia siano comunità. Non si possono nemmeno dimenticare le persone che si sono allontanate e che per vari motivi stentano a ristabilire un rapporto con la Chiesa. Compito dei formatori e dei catechisti è quello di riallacciare i legami in nome del Vangelo. Le strutture parrocchiali e diocesane sono quindi chiamate a rinnovarsi, passando dai progetti tradizionali ad un’attenzione all’esistenza concreta delle persone (cfr. CEI, Incontriamo Gesù, 66). In quest’ottica, “fare comunità” significa dare slancio alle relazioni, liberandole dalla tentazione del possesso o dei numeri e facendo emergere il contributo di ciascuno. Uno sguardo contemplativo e intriso di Parola di Dio consentirà di portare la vita reale nella preghiera domestica e nella celebrazione eucaristica

 

4. La creatività

  La comunità cristiana creativa non rincorre la retorica del nuovo a tutti i costi, ma individua le priorità e l’essenziale dell’annuncio: il kerygma (cfr. Francesco Evangelii gaudium, n. 164). Un esempio di questa creatività è l’annuncio che trova spazio nel mondo dei social media. Questo nuovo ambiente può essere a servizio della catechesi: non sostituisce quel “corpo a corpo” in cui si esprime fisicamente la gioia contagiosa del Vangelo (cfr. Francesco, Evangelii gaudium, n. 88). Inoltre l’annuncio, che è sempre realisticamente attento al qui ed ora delle persone, non potrà non tenere conto della situazione economica e sociale che si sta aprendo. Abitare tutti i luoghi e i linguaggi in relazione all’annuncio del Vangelo è dunque una sfida che richiede creatività e realismo da parte di tutti soggetti ecclesiali impegnati nell’evangelizzazione.

 

Cinque trasformazioni pastorali

 

  Quale volto rinnovato possiamo sognare per la catechesi delle nostre comunità cristiane? Papa Francesco ci aiuta con le sue parole: «Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione» (Evangelii gaudium, n. 27). La scelta missionaria è un sogno coraggioso e potente, che può trasformare tutto e che inizia a farsi concreto quando modifica le relazioni. Siamo coscienti dell’urgenza di vivere e annunciare il Vangelo in chiave missionaria (cfr. CEI, Incontriamo Gesù, n. 71). Il sogno e il realismo consentono di individuare alcune piste concrete. Quelle che provengono dal lavoro svolto tra Uffici Catechistici diocesani e regionali, dalle Associazioni laicali nonché in collaborazione con alcuni Uffici pastorali della CEI, sono affidate al discernimento delle diocesi e delle parrocchie: tempi, modi, formazione e gestione dei piccoli gruppi, momenti per la celebrazione dei sacramenti, ecc. Emerge l’opportunità, quindi, di una stretta e proficua collaborazione tra uffici diocesani, parrocchie, associazioni e movimenti ecclesiali.

 

1. Calma sapiente

  Le incognite di questo tempo esigono che si resista alla tentazione di preparare progetti pastorali troppo dettagliati. Siamo invitati a dedicare tempo sufficiente ai consigli pastorali e ai vari organismi di partecipazione attiva per interrogarci insieme su che cosa è necessario. Vorremmo riscoprire il primo annuncio, che è “primo” perché “principale” (cfr. Francesco, Evangelii gaudium, n. 164). Con questo spirito è doveroso pensare anzitutto alle sorelle e ai fratelli che in questi mesi hanno smesso di animare le nostre comunità, facendo loro sentire di quanta attenzione fraterna sono oggetto. Sentiamo di dover riscoprire l’ispirazione catecumenale della catechesi (cfr. Incontriamo Gesù, n. 52), che non si limita ad indicare la scansione celebrativa dei sacramenti, ma apre la strada ad una nuova identità di credenti e di comunità che annunciano la fede ricevuta. Riprendere con calma significa destinare un tempo disteso alla formazione, all’ascolto e a processi decisionali che coinvolgano l’intera comunità. Non è opportuno affannarsi a recuperare frettolosamente i sacramenti che non sono stati celebrati l’anno passato. I criteri per individuare il momento opportuno per i riti di iniziazione restano, nel limite del possibile, la formazione condivisa, il dialogo e il discernimento insieme con la famiglia, le esperienze significative e la dignità celebrativa comunitaria degli stessi, mai ridotti a gesti privati o di gruppo. Il contesto ecclesiale è genuino quando la comunità condivide con famiglie e ragazzi i vissuti fraterni, la carità e la preghiera: solo allora sarà possibile vivere i sacramenti. In vista di una ripresa sapientemente calma anche gli ambienti vanno resi più sicuri, puliti e adattati in modo creativo.

 

2. Ritmi e risorse reali

 Durante il lockdown ci si è resi conto ancora una volta di quanto sia delicata e fondamentale la missione evangelizzatrice delle famiglie. Più che riflettere su come coinvolgere le famiglie nella catechesi abbiamo compreso di dover assumere la catechesi nelle famiglie. Ma per far questo bisogna partire dai loro ritmi e dalle loro risorse reali, valorizzando ciò che c’è piuttosto che stigmatizzare ciò che manca. La parrocchia sia molto attenta ad offrire strumenti adeguati per vivere la fede in casa: la preghiera familiare e l’ascolto della Parola siano sostenuti attraverso sussidi semplici, suggerimenti per il coinvolgimento del nucleo familiare con pratiche di vita evangelica ed iniziative di carità. Il servizio dei catechisti non sostituisce, ma sostiene il mandato missionario degli sposi e dei genitori. Le norme di cautela sanitaria costringono poi a formare piccoli gruppi per la catechesi: questa è l’occasione per una conoscenza reciproca più profonda, per relazioni più attente di fraternità e di cura reciproca. Il numero più contenuto di bambini o ragazzi consentirà ai catechisti di creare più facilmente un contatto con le famiglie stesse, riallacciando i legami che in questi mesi si sono allentati. Si potrà far sì che gli spazi usuali del catechismo non resti l’unico luogo degli incontri, spostandosi piuttosto in altri ambienti nei quali fare esperienza di iniziazione. Alcune famiglie potranno a volte ospitare il piccolo gruppo nella propria abitazione. Si potranno vivere esperienze di catechesi attraverso l’arte oppure si potranno fare esperienze di servizio con l’aiuto della Caritas parrocchiale o diocesana o di altre associazioni ecclesiali. La parrocchia potrà avviare occasioni di narrazione della Parola o di partecipazione attiva alla liturgia. Siamo invitati ad usare la stessa creatività anche per i ritmi degli incontri, valorizzando la Domenica e i tempi forti dell’anno liturgico. Il segreto resta quello di elaborare itinerari chiari e condivisi con appuntamenti regolari. Si potrà passare dalla catechesi come attività di un singolo catechista ad un mandato missionario condiviso di tutto il gruppo dei catechisti, accompagnati da alcuni coordinatori, insieme ad educatori, animatori ed evangelizzatori. Questa pluralità di figure esprime meglio la ricchezza della comunità, rispetto ad una figura non di rado lasciata sola in un compito così delicato e difficile. Qualora poi queste figure non fossero disponibili, sarà necessario confrontarsi con le famiglie stesse, sostenendo il più possibile il loro compito. In questa ottica, il ruolo oggi spesso frainteso dei padrini del battesimo potrebbe essere rilanciato in ottica missionaria: qualcuno di loro potrebbe esser disponibile e motivato a onorare l’impegno preso.

 

3. Cura dei legami

  Durante il lockdown il digitale ha occupato prepotentemente la ribalta: non si tratta solo di strumenti di comunicazione, ma di un vero e proprio ambiente che influenza quanti lo abitano (cfr. Christus vivit, n. 86). La comunicazione digitale contemporanea cambia dunque anche il modo di relazionarsi: richiede contenuti sobri, ma soprattutto una competenza diversa nella cura delle relazioni (cfr. Francesco, Evangelii gaudium, nn. 128-129). Le parrocchie, le associazioni e i movimenti sono chiamati a riflettere e a formare all’uso intelligente e non ingenuo dei media. Si avverte l’esigenza di nuove figure a servizio della comunicazione, che aiutino le comunità ad essere attente a valori come la trasparenza, l’inclusione, la responsabilità, l’imparzialità, la tracciabilità, la sicurezza e la privacy. Dopo la sorpresa iniziale è ora tempo di attrezzarsi per continuare in modo sapiente gli incontri online. Non si tratta di porre in alternativa la presenza fisica e quella online, ma di far sì che ogni ambiente favorisca una relazione verace. Nessun legame si improvvisa o si auto-conserva, ma richiede cura, tempo e passione (Evangelii gaudium, n. 88). In quest’ottica, la catechesi come azione eminentemente ecclesiale non può non essere inclusiva. La Chiesa, che è madre sapiente, guarda la realtà dal basso ovvero a partire dai più piccoli: questo si traduce in un atteggiamento di accoglienza delle persone con disabilità. Durante il lockdown diverse iniziative encomiabili hanno garantito questa attenzione pastorale, confermando ad esempio che i piccoli gruppi favoriscono tale inclusione: si tratta ora di rendere queste esperienze un vero e proprio stile ecclesiale.

 

4. Immersione nel kerygma

  In genere, i tempi dell’iniziazione cristiana in parrocchia sembrano dettati più dal calendario scolastico che da quello liturgico. I ritmi della liturgia potrebbero invece offrire alla catechesi un respiro diverso: si potrebbe attendere l’inizio dell’anno liturgico ed iniziare gli incontri con l’Avvento, dedicando i mesi precedenti alla formazione, all’ascolto, alla cura dei legami. In questo modo, una maggiore attenzione sarebbe accordata ai tempi forti, per poi integrare i mesi estivi come parte mistagogica di un anno non ancora terminato. Nell’anno liturgico si dispiega infatti il kerygma, centro dell’annuncio cristiano. La salvezza inaugurata dal Risorto si celebra nella Pasqua domenicale, che si apre alla condivisione fraterna soprattutto con i più poveri. La Settimana Santa ne fa rivivere i passaggi fino alla pienezza della Pentecoste. La centralità del mistero dell’Incarnazione è rinnovato ogni anno nel Natale del Signore. Avvento e Quaresima dettano i tempi dell’attesa e della conversione. L’essenziale della fede trova qui una traccia tradizionale e sicura. Inoltre, l’anno liturgico consente la lettura continua di buona parte della Sacra Scrittura, seguendo lo schema del Lezionario.

La centralità della domenica chiede una particolare creatività, affinché l’Eucaristia mostri tutta la sua ricchezza di simboli e linguaggi. Le norme igieniche e sanitarie, che riguardano anche le assemblee liturgiche, possono diventare occasione per un’accoglienza più accurata. Celebrare rispettando il distanziamento non impedisce di rilevare i codici simbolici dei riti: la fraternità, i gesti, il canto, la proclamazione, l’ascolto, il silenzio, i profumi ed i colori. Proprio in questo contesto la Chiesa italiana ha ricevuto il dono della terza edizione del Messale Romano: sarà opportuno che la sua accoglienza passi attraverso momenti specifici di formazione.

 

5. Vissuto personale

  Nella formazione offerta al clero, ai catechisti, ai religiosi, alle religiose e ai laici si abbia il coraggio di dare tempo all’ascolto e alle narrazioni di vita, per evitare un ritorno scoraggiato, ispirato solo alle attività consuete e non intriso di speranza evangelica. Rinnovare le motivazioni missionarie di chi annuncia permette di integrare le fatiche e le sfide di questo tempo. La Chiesa ha ormai maturato la convinzione che l’annuncio e la catechesi non si possano limitare all’iniziazione cristiana dei bambini e dei ragazzi. Si sente l’esigenza che le comunità non solo avviino alla fede, ma accompagnino anche la persona in tutta la sua crescita. In particolare, si vorrebbe dare nuova linfa alla catechesi di adolescenti e giovani, che attraversano quella delicata fase in cui si prendono decisioni cruciali sulla vita e sulla fede, e alla catechesi degli adulti, che a loro volta possono essere testimoni credibili e affidabili per le nuove generazioni di credenti. Per i catechisti, poi, si abbia cura di organizzare momenti di formazione che includano accoglienza, ascolto e incoraggiamento. Non serve offrire a tutti le medesime proposte: è più piuttosto opportuno dare vita ad un accompagnamento personalizzato, con i percorsi differenziati che rispondano alle domande sorte nella vita di ciascuno.

Conclusione

 

«Peggio di questa crisi, c’è solo il dramma di sprecarla» (Francesco, Omelia di Pentecoste, 31 maggio 2020). Anche in questo tempo il Signore accompagna il suo popolo perché senta vicino il suo Pastore. Si tratta adesso di avere il coraggio di prendere l’iniziativa, di primerear, di fare il primo passo, senza subire le situazioni come una fatica. Siamo chiamati piuttosto ad essere una Chiesa dalle porte aperte, capace di prendere l’iniziativa, di coinvolgersi e di accompagnare (cfr. Francesco, Evangelii gaudium, n. 24).

 

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Per dirci nuovamente “cristiani” Spunti per un discernimento pastorale alla luce di At 11

Premessa

 

  Cosa vuole dire essere “cristiani” nel tempo della pandemia e dopo l’esperienza del lockdown? Quale insegnamento possono trarre le nostre Chiese locali e la catechesi in generale da questa stagione dell’umanità? Come può la comunità cristiana modificare se stessa per essere più aderente al Vangelo e più capace di annunciarlo al mondo di oggi? Quale luce per il discernimento giunge alla Chiesa dalla Parola di Dio? Il contesto sociale in cui la Chiesa è inserita è in continua trasformazione. Il lockdown ha messo in evidenza alcuni limiti pastorali che la prassi abitudinaria non consentiva di vedere, perché ci si accontentava del “si è sempre fatto così” che di fatto, però, rischiava di non intercettare più le persone nella concretezza della loro vita. Paradossalmente, però, proprio questo è il tempo favorevole per modificarsi, per tornare a fidarsi del Signore Risorto che opera nella storia e per leggere i “segni dei tempi” come ha saputo fare la prima comunità cristiana, assecondando l’azione dello Spirito e accogliendo il mondo nella sua concretezza senza inutili idealismi o finzioni. D’altra parte questo è l’atteggiamento del Dio biblico, che in prima istanza accoglie l’uomo così com’è: non lo lascia però così com’è, ma lo fa evolvere nel rispetto della sua libertà. La nostra Chiesa può finalmente apprendere questo stile biblico: accogliere le persone nella realtà della loro vita, comprenderle in profondità e proporre loro cammini di crescita nella fede. Da una pastorale prevalentemente preoccupata di programmi e strutture ad una pastorale attenta alle persone concrete. In questo senso la comunità ecclesiale può riscoprire la propria vocazione di mediatrice dell’incontro tra Dio e l’uomo.

 Pensare che la pastorale e la catechesi possano riprendere come prima del lockdown sarebbe una ingenuità e una occasione perduta. La pandemia sta lasciando strascichi che rendono il quotidiano più incerto: molti dovranno fare i conti con crisi lavorative e sociali, mentre le famiglie si scoprono sole nel compito di educare i figli. Sentiamo il bisogno di ritrovare una dimensione comunitaria, che ci consenta di uscire insieme dalla crisi. In questo contesto, la comunità ecclesiale può dire la sua, ad esempio diventando un ‘‘ 11 luogo in cui si impara la fiducia: è questo l’anello che lega le relazioni, da quelle familiari a quelle amicali. Si tratta di un atteggiamento che anima tante azioni quotidiane: del resto, se la vita fosse ispirata da diffidenza o paura si ricadrebbe in una nevrosi paralizzante.

 La comunità cristiana primitiva si è trovata più volte in momenti storici delicati. Il brano degli Atti degli Apostoli, che racconta degli albori della Chiesa di Antiochia (At 11,19-26), fotografa uno di questi momenti. Proprio i credenti che attraversarono creativamente quella crisi si meriteranno di essere chiamati per la prima volta “cristiani”. Rileggendo quell’episodio si scorgono elementi che possono essere utili per riscoprire e tradurre nel nostro presente alcuni tratti del proprium cristiano.

 

L’episodio di At 11,19-26

 

19.In quei giorni quelli che si erano dispersi a causa della persecuzione scoppiata a motivo di Stefano erano arrivati fino alla Fenicia, a Cipro e ad Antiochia e non proclamavano la Parola a nessuno fuorché ai Giudei. 20. Ma alcuni di loro, gente di Cipro e di Cirene, giunti ad Antiochia, cominciarono a parlare anche ai Greci, annunciando che Gesù è il Signore. 21. E la mano del Signore era con loro e così un grande numero credette e si convertì al Signore. 22. Questa notizia giunse agli orecchi della Chiesa di Gerusalemme, e mandarono Barnaba ad Antiochia. 23. Quando questi giunse e vide la grazia di Dio, si rallegrò ed esortava tutti a restare, con cuore risoluto, fedeli al Signore, 24. da uomo virtuoso qual era e pieno di Spirito Santo e di fede. E una folla considerevole fu aggiunta al Signore. 25. Barnaba poi partì alla volta di Tarso per cercare Saulo: 26. lo trovò e lo condusse ad Antiochia. Rimasero insieme un anno intero in quella Chiesa e istruirono molta gente. Ad Antiochia per la prima volta i discepoli furono chiamati cristiani.

  Si tratta del racconto della fondazione di una nuova comunità: la Chiesa di Antiochia. Questo evento determina lo spostamento dei confini ecclesiali, dalla sola Gerusalemme ai territori fuori dalla Palestina. L’evento traumatico della morte di Stefano, il primo martire (At 6,8-7,60), consiglia ad alcuni credenti di lasciare la Città Santa e di trasferirsi altrove (At 11,19a; cfr. At 8,1.4). Ad Antiochia alcuni si limitano a “proclamare la Parola” ai soli Giudei (At 11,19b); ma altri decidono di parlare di Gesù anche ai Greci (At 11,20). La conseguenza è che «un grande numero credette e si convertì al Signore» (At 11,21).

 Presto la notizia di questa nuova situazione ecclesiale effervescente, anche se forse un po’ disordinata, arriva alle orecchie dei capi della Chiesa di Gerusalemme, che mandano Barnaba per verificare (At 11,22). Questi constata la grazia di Dio in azione ad Antiochia (At 11,23-24a). Si sposta poi a Tarso a prelevare Saulo (At 11,25), perché lo aiuti a predicare proprio lì.

 

Quattro piste per ricominciare

 

1. La diffusione della Parola di Dio

  Se l’episodio di At 11 inizia con l’evento drammatico della morte di Stefano, un risvolto singolare è l’imprevista diffusione della Parola di Dio: l’annuncio che «Gesù è il Signore» (At 11,20) non si ferma infatti alla Chiesa madre di Gerusalemme, ma si diffonde in territori nuovi. Il dolore genera un nuovo zelo. I credenti si disperdono ma al contempo si diffondono: persi tra le genti, diventano veri annunciatori del Risorto. Nel prossimo anno pastorale immaginiamo una catechesi sempre più squisitamente biblica, che parta dal cuore del kerygma cristiano: «Il Signore è risorto». Si tratta di una parola non vuota, ma che sa rispondere al male con il bene, alla morte con la vita. Questo annuncio pasquale potrà tornare a risuonare in modo libero nelle forme e nei luoghi che il lockdown aveva forse forzatamente creato: nel contesto familiare, nei social media, nei piccoli gruppi organizzati per la preghiera spontanea e per la meditazione della Parola di Dio.

 

2. L’esortazione dei pastori

  Nel racconto di Atti un ruolo essenziale è giocato dalla Chiesa madre di Gerusalemme (At 11,22): accortasi della grazia carismatica in azione, interviene in questo caso con l’invio di Barnaba, «uomo buono/virtuoso, pieno di Spirito Santo e di fede» (At 11,24a). La sua virtù umana nonché la sua vita di fede lo rendono adatto ad intervenire, perché le sue scelte sono spirituali ed ecclesiali, e non determinate da preoccupazioni di mero controllo o repressione (At 11,23). Barnaba capisce che la grazia del Risorto è all’opera: allora ne gioisce e lavora per rendere questa situazione non occasionale ma salda e costante. Abbiamo bisogno di pastori – cioè vescovi e presbiteri – che, come Barnaba, “figlio dell’esortazione” (cfr. At 4,36), sappiano svolgere lietamente e con larghezza di vedute il compito di “esortare”: cioè accompagnare, incoraggiare, stimolare, favorire e far crescere i semi di Vangelo già presenti nella vita delle persone, sollecitando e attivando la collaborazione e la corresponsabilità di altri. Nei momenti più difficili della pandemia tanti hanno dato prova di una generosità che ha il profumo del martirio cristiano: sarebbe bello profittare di questo tempo per “confermare” l’azione dello Spirito nelle esperienze concrete di abnegazione dei medici, di responsabilità delle forze dell’ordine, di servizio dei volontari, di accoglienza tra familiari. Si tratta di prendere sul serio l’umano nei suoi aspetti migliori, per riconoscerlo e valorizzarlo.

 

3. Il coraggio dell’annuncio.

  Barnaba compie un altro gesto molto istruttivo e maturo: chiede aiuto. Così si reca a Tarso per prelevare Saulo (cfr. Gal 1,18-24; 2,1) e tornare con lui ad Antiochia. Non è una operazione di strategia ecclesiale: è il gesto di un credente adulto verso un fratello e collaboratore nella evangelizzazione. Barnaba si era già fatto garante di Paolo, aveva spiegato agli altri credenti la parabola della sua vita e il suo percorso di fede (At 9,27-28): anche in lui aveva operato la grazia di Cristo, sia pure in modo inusuale. Barnaba e Saulo, così diversi eppure così essenziali nella Chiesa: l’uno è il mediatore, l’adulto che conferma la grazia, il facilitatore della comunione; l’altro è colui che era stato vinto dal Risorto, divenuto poi missionario del Vangelo e apostolo delle genti. La stagione della ripartenza all’inizio dell’anno pastorale dovrebbe vedere sorgere dei “nuovi Saulo”: catechisti, formatori ed educatori che abbiano orizzonti grandi e il coraggio di percorrere nuove vie di evangelizzazione. Perché non immaginare ambienti per il catechismo che non siano più sale al chiuso, ma spazi aperti? Perché non spiegare ad esempio ai bambini la creazione, mostrando il cielo stellato? Perché non provare a sfruttare i monumenti sacri e le opere artistiche delle nostre città per introdurre nei grandi misteri della fede? Perché non percorrere i sentieri dentro e fuori le città per insegnare il senso della costante compagnia di Dio, della crescita nella fede, della comunione ecclesiale? Perché non andare ad incontrare comunità di altre confessioni cristiane e religioni presenti nel territorio, per valorizzare i punti in comune e insegnare ad apprezzare le differenze?

 

4. Il tempo dello Spirito

  Nel racconto di Atti 11 è lo Spirito Santo che anima Barnaba (At 11,24). In realtà, lo Spirito Santo pervade tutti i personaggi della storia della salvezza e in particolare degli inizi della Chiesa: «Tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi» (At 2,4). Lo Spirito Santo è un operatore divino tanto nascosto quanto essenziale nella vita della Chiesa, sia carismatica che istituzionale. Se il tempo del lockdown ci ha fatto tornare alle radici della fede cristiana meditando sul mistero pasquale (cfr. CEDAC, È risorto il terzo giorno), il nuovo anno pastorale potrebbe essere il tempo in cui sviluppare il tema dell’opera dello Spirito nella vita dei cristiani. Potrebbe essere opportuno proporre il senso del discernimento spirituale, della intelligenza umana illuminata dallo Spirito: ai più giovani questo servirebbe per le grandi decisioni sul proprio stato di vita, ma aiuterebbe tutti ad imparare a fare scelte quotidiane secondo la volontà di Dio. La vita nello Spirito indurrebbe a trovare prassi evangeliche concrete di fraternità e di solidarietà, che sembrano oggi ancora più urgenti. Sarebbe anche l’occasione per rimettere al centro la questione della progressione personale, della crescita nelle varie fasi della esistenza umana per diventare davvero adulti nella fede. A tutti i cristiani si potrebbe rivolgere la formazione per diventare accompagnatori spirituali, guide nel cammino verso la maturità della vita cristiana. La Sacra Scrittura tornerebbe ad essere il libro di tutta la vita, il libro della catechesi.

 

Per un discernimento pastorale

 

  Cosa vuol dire essere “cristiani” oggi? La Chiesa è chiamata ad evangelizzare, ad esprimere in termini sempre attuali la lieta novella del mistero pasquale: il Signore Gesù, crocifisso per amore, è veramente risorto. Questo è il cuore dell’evangelo: il Dio biblico ha da sempre instaurato con la sua creatura un rapporto di amore senza riserve e mai del tutto interrotto. In quest’ottica, evangelizzare significa creare le condizioni perché ogni persona si lasci amare dal Dio Crocifisso e Risorto e così impari a sua volta ad amare gli altri. Alla luce di questo kerygma ci si può interrogare su cosa sia davvero prioritario oggi per la comunità credente. In un’ottica prospettica, si può dire che alla Chiesa interessa accompagnare ciascuno nei passaggi di vita, piuttosto che il semplice espletamento di un precetto; far vivere e far maturare l’esperienza sacramentale; alimentare e nutrire una speranza affidabile; attivare processi di trasformazione, piuttosto che cercare affannosamente soluzioni immediate. Per far questo, può essere utile ribadire la concezione cristiana della persona umana. La nostra è una antropologia totale e dinamica: è totale perché tiene in considerazione tutte le dimensioni dell’uomo (corpo, intelletto, volontà, emotività, spirito, etc.); è dinamica perché intende la persona in continua crescita. Inoltre, la persona si evolve in pienezza con gli altri: nei rapporti con la famiglia di origine, nelle relazioni amicali, nel confronto con un maestro spirituale, nella responsabilità verso i più piccoli e i bisognosi. L’orizzonte del dovere è inglobato nella bellezza di una vita vissuta con gioia in ogni sua stagione. Questa è la proposta di percorsi di crescita nella fede, che la Chiesa può ancora avanzare all’uomo di oggi. Con il dovuto discernimento e gli opportuni adattamenti, le Chiese locali in Italia possono darsi un tempo per rimettere al centro il kerygma e trovare forme sempre più capaci di intercettare la vita delle persone nelle loro diverse stagioni. Così, dopo aver riletto in modo sapienziale quanto è emerso dai Laboratori ecclesiali sulla catechesi, siamo consapevoli che anche la Chiesa italiana si trova in un delicato tempo di passaggio, che è anche una grande opportunità. Infatti, se da un lato riprenderà al più presto la proposta catechistica con le dovute precauzioni sanitarie, dall’altro sentiamo forte l’esigenza di un nuovo discernimento sulla realtà pastorale e sociale e sul rilancio dei percorsi catechistici.

                        

                           L’Équipe dell’Ufficio Catechistico Nazionale