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Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

Dall’anno associativo 2020/2021 il gruppo di AC di San Clemente Papa si riunisce abitualmente il secondo, il terzo e il quarto sabato del mese alle 17 e anima la Messa domenicale delle 9. Durante la pandemia da Covid 19 ci siamo riuniti in videoconferenza Google Meet. Anche dopo che la situazione sanitaria sarà tornata alla normalità, organizzeremo riunioni dedicate a temi specifici e aperte ai non soci con questa modalità.

Per partecipare alle riunioni del gruppo on line con Google Meet, inviare, dopo la convocazione della riunione di cui verrà data notizia sul blog, una email a mario.ardigo@acsanclemente.net comunicando come ci si chiama, la email con cui si vuole partecipare, il nome e la città della propria parrocchia e i temi di interesse. Via email vi saranno confermati la data e l’ora della riunione e vi verrà inviato il codice di accesso. Dopo ogni riunione, i dati delle persone non iscritte verranno cancellati e dovranno essere inviati nuovamente per partecipare alla riunione successiva.

La riunione Meet sarà attivata cinque minuti prima dell’orario fissato per il suo inizio.

Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

NOTA IMPORTANTE / IMPORTANT NOTE

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Il sito della parrocchia:

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martedì 5 settembre 2017

Populismo

Populismo

  Gli studiosi di politica segnalano in Italia il pericolo del populismo. Quest’ultimo, per come lo si intende nel dibattito pubblico di oggi, è una strategia politica per conquistare e conservare il potere. Viene attuata da gruppi in crisi di legittimazione, vale a dire quando non riescono a convincere la gente con altri argomenti. Consiste nel confermare le persone nelle loro paure irrazionali, giustificando le loro tentazioni cattive. Si sostiene che la situazione è tanto grave che non c’è altro modo per uscirne che essere cattivi, come si fa in guerra. I populisti si offrono di fare il male per conto altrui: propongono un patto che consiste nel dar loro il potere senza stare tanto a sottilizzare e promettono di fare loro il lavoro sporco che occorre per salvarsi, liberando le coscienze dei loro mandanti politici. Però richiedono mani libere. Non vogliono sentire obiezioni in corso d’opera. E quando cominciano a far danno e qualcuno protesta, dicono che è troppo presto per farlo, che bisogna lasciarli lavorare. E’ sempre troppo presto.  E se si osserva che, continuando in un certo modo, le cose non potranno che peggiorare, allora accusano chi fa queste previsioni di essere un menagramo e un disfattista. Proposta questa impostazione politica, si è di fronte al populismo, nel senso che ho sopra precisato. E’ chiaro che si tratta di un atteggiamento che ricorre in misura maggiore o minore in quasi tutte le politiche italiane di oggi. E’ una manifestazione del degrado della politica. Si tratta di un fenomeno che è in corso dagli scorsi anni ’80, quando appunto gli studiosi cominciarono a parlare di crisi dei legittimazione della politica. E’ degrado per tre aspetti: per il fatto che non si dice alla gente la verità sui mali sociali; perché si propone come soluzione un lavoro sporco, che consiste nell’essere cattivi; perché, infine, si propone di dare fiducia incondizionata a certi politici, disertando un lavoro essenziale in democrazia che è quello della costante critica politica razionale.
  Il populismo può essere considerato come una grave malattia della democrazia. Infatti è una strategia che è stata attuata storicamente da correnti politiche non democratiche e dai loro principali esponenti. Fu sostanzialmente populista la politica del fascismo mussoliniano, fino alla sua prima caduta nel luglio del 1943. Successivamente esso fu caratterizzato essenzialmente dalla violenza politica, fino al disastro finale nell’Italia del Nord, nel 1945. Ma populismo e violenza politica spesso si accompagnano. Questo perché il populismo di solito prende di mira certi settori sociali, dai quali può venire una reazione alla quale si oppone una repressione violenta. Il populismo è insofferente dei limiti che caratterizzano le politiche democratiche e li considera parte del problema da risolvere senza tanti scrupoli morali. Il pericolo della violenza politica incombe quindi in tutte le politiche populiste.
  Parliamo di popolo  e di paure. Ma quali sono le paure esagerate artificiosamente dal populismo? Possono essere le più varie, a seconda degli strati sociali coinvolti. In questa prospettiva il popolo perde il suo aspetto unitario, di massa in cui non si riesce bene a distinguere granché, come in una fotografia dell’alto del grande pubblico di un concerto rock. Appaiono vari gruppi, ciascuno dei quali ha le sue specifiche paure. Il populista confermerà tutti nelle loro paure, senza curarsi di avere un atteggiamento coerente. A tutti dirà che penserà lui a mettere le cose a posto, andando al potere. Se si cerca di approfondire, andrà su generico, ad esempio dicendo di ispirarsi a qualche modello straniero  vincente. Ma le ragioni per cui ci sono nazioni  vincenti  e nazioni  perdenti sono appunto quelle che occorre studiare per capire che fare. Com’è successo che certi siano tra i perdenti? E come farà il nostro populista a ribaltare la situazione? Che competenza ha? Un discorso come questo dà fastidio al populista: a questo punto i fascisti storici iniziavano a menare le mani. Quando ci affidiamo ad una qualche azienda per le nostre esigenze, ad esempio per acquistare l’automobile alla quale affidiamo le nostre vite, ci informiamo delle referenze di chi produce e vende. Il populista in genere non è in grado di esibire curriculi impressionanti. A volte è veramente alle prime armi. O le sue esperienze di amministrazione riguardano situazioni piuttosto limitate. Ma è ambizioso, se gli si affidasse il mondo intero avrebbe la soluzione a tutti i suoi problemi. E fa una colpa a chi ha da obiettare in merito.
  Immaginate di dover subire un delicato intervento chirurgico. Preferireste affidarvi a chi capita o ad un medico con un buon curriculum?
  Tutti dovrebbero intendersi un po’ di politica. Non è come per la medicina, dove per capirci occorre aver seguito un impegnativo corso di studi. Ma governare una grande città, una regione o una nazione intera richiede molto più che l’intendersi un po’  di politica: occorre aver dimostrato di saper fare e, innanzi tutto, di conoscere veramente e realisticamente le istituzioni con le quali si deve avere a che fare, le funzioni da svolgere e i problemi che ci sono.
  Poi, a disastro avvenuto, ci sarà sempre qualcuno che dirà che il populista  qualcosa di buono l’avrà pure fatto. Questo argomento mi è stato proposto questa estate a proposito del Mussolini.
  Allora ho fatto l’esempio che segue. Qualche anno fa il secondo pilota di un aereo di linea, rimasto solo alla guida, ha mandato l’apparecchio a schiantarsi contro una montagna. Aveva deciso di farla finita. In quel momento gli è parsa una buona soluzione e si è trascinato dietro gli altri membri dell’equipaggio e i passeggeri. Si è scoperto che aveva avuto problemi psichiatrici, che però non erano stati segnalati alla compagnia aerea. Ma qualcosa di buono l’avrà pure fatto! Avrà voluto bene a qualcuno. Avrà avuto una famiglia che ha seguito amorevolmente. Prima di quell’ultimo volo, non aveva fatto  sempre  quello che doveva? Eh, sì, qualcosa di buono certamente l’avrà fatto. Ma voi, se aveste saputo dei problemi psichiatrici che aveva maturato quel pilota, ci sareste saliti con lui su quell’ultimo volo? E’ così che vanno giudicati i politici di governo, prima e dopo il loro servizio. Sì, ad esempio, avranno pure fatto qualcosa di buono, ma ora sono in grado di pilotare  la nazione? Non è che ci manderanno a sbattere contro una montagna? Nel caso del Mussolini, non è che egli abbia nascosto le sue intenzioni: voleva fare guerra, diceva, per conquistare  uno spazio vitale, in cui erano comprese Libia ed Etiopia. Lo ha detto chiaro e forte e agli italiani, fin da piccoli, ha messo in mano libro e moschetto (un tipo di fucile utilizzato in guerra). Seguiva i futuristi, per i quali la guerra  era l’unica igiene del mondo. Bene, l’Italia ebbe la guerra, diverse guerre, prima quelle coloniali e poi quella  mondiale. Gli italiani, che erano meno ricchi della gente di altre nazioni, speravano di guadagnarci.  Conquistare  non significa anche un po’  rapinare, che è quando con la violenza ci si impossessa delle ricchezze altrui? Gli italiani ritennero di averne il diritto, perché anche gli altri europei facevano lo stesso. Quindi poi alla fine sono andati a sbattere in una disastrosa guerra mondiale, dalla quale la nazione è uscita pressoché annientata. Alcuni sono ancora tentati da quella via, ma capiscono che qualcosa non è andato per il verso giusto e allora, quando non passano a menare le mani, propongono l’argomento principe dei populisti  di sempre a disastro avvenuto, appunto quello del ma qualcosa di buono l’avrà fatto. Altri sostengono che  però sarebbe  meglio vederci chiaro, realisticamente,  prima  ed  ora su come andrà a finire nel complesso con una politica; a loro non basta che chi comanda qualcosa di buono l'abbia comunque fatto.  E se poi la storia si ripetesse? E se ci si schiantasse? I saggi invitano ad imparare dalla storia, che è, dicono, maestra di vita.
   Ognuno ha delle paure per come vanno le cose in società. Il sociologo Zygmunt Bauman (1925-2017) ha scritto che la nostra epoca è caratterizzata dall’insicurezza  sociale, ed anche nelle società più ricche. Non si è più sicuri del lavoro, di avere una casa, di essere aiutati nelle difficoltà. Si cerca di trovare soluzioni private a questi mali sociali, ma di solito si è sempre indietro, in fondo impotenti, rimane sempre questa paura. Ma com'è che accade anche nelle nazioni più ricche? Non ci si potrebbe fare qualcosa con gli strumenti della politica? Probabilmente sì, perché si tratta di mali sociali che sono le conseguenze di  sistemi  di relazioni sociali che non funzionano bene. Si tratta di costruzioni umane che, come sono state fatte, possono anche essere cambiate. Però si tratta di sistemi molto complessi, di reti di relazioni che ormai coinvolgono tutto il mondo. Per cui, ad esempio, il pericolo di una guerra nucleare dall’altra parte del globo ci preoccupa, e veramente ci deve preoccupare ha sostenuto il capo del governo tedesco Angela Merkel,  non tanto perché potrebbe arrivarci addosso un qualche missile sparato da laggiù, ma perché gran parte delle nostre cose di uso quotidiano, che compriamo a basso prezzo, ci vengono da quelle parti. Prima di operare bisogna, quindi, innanzi tutto capire e capire  in modo veritiero, realistico,  che significa  in modo aderente ai fatti  e   razionalmente. E, capendo, si  potrebbe avere la spiacevole sorpresa di concludere che le cose non possono cambiare veramente se non si decide innanzi tutto di cambiare il modo come è impostata la propria vita. Non serve essere cattivi  con qualcun altro. E’ appunto ciò che viene proposto nell’enciclica Laudato si’, diffusa nel 2015 dal papa Francesco. E’ un documento che contiene un’analisi realistica e razionale dei mali sociali di oggi. Ma non contiene populismo, come i detrattori del Papa sostengono: innanzi tutto perché si tratta di un’analisi realistica della realtà; poi perché non conferma la gente nelle sue paure, ma anzi esorta a non avere paura; non propone di essere cattivi per salvarsi, ma anzi di essere virtuosi, e, infine, e questo è molto importante per distinguere la sua prospettiva da quella populista, il suo principale problema non è di conquistare o di mantenere un potere politico, ma di migliorare la situazione sociale.
  Il principale intento del populista è invece quello di conquistare o di mantenere il potere politico, non di risolvere i problemi della gente. E’ per questo che non ha necessità di una visione realistica e razionale dei problemi della società. Gli basta avere una visione realistica e razionale dei  suoi  problemi, che pensa di risolvere andando al potere e mantenendolo. Ma a mente fredda gli altri non gli darebbero credito perché non ha mai dimostrato di essere granché come politico:  bisogna allora che la gente abbia paura e abbandoni la razionalità, il  costume della critica sociale, e, insomma, si fidi senza stare troppo a sottilizzare, si fidi sulla parola di chi le garantisce che la salverà, anche se a costo di sofferenze altrui, il lavoro sporco del quale il populista promette di occuparsi, senza farlo gravare sulle coscienze dei suoi mandanti. Così il populista incoraggia la gente ad avere paura perché in questo modo pensa che gli cadrà nelle mani, senza tante remore, scrupoli di coscienza, resistenze intellettuali o  morali. Il suo principale argomento è “non è il momento di fare tanto gli schizzinosi”. L’etica passa in secondo piano, come la razionalità. Ma come essere veramente sicuri di non rimanere vittime di questo abbandono dell’etica, di quello che gli economisti chiamano  azzardo morale, che significa appunto fare i propri interessi, egoisticamente, senza fare tanto gli schizzinosi?
  Attualmente la principale paura che le politiche populiste incoraggiano nella nostra gente è quella degli immigrati, in particolare dall’Africa. Sembra che tutti i nostri problemi dipendano da questo. E’ una paura irrazionale, naturalmente. Non è per questo che rischiamo, ad esempio, il posto di lavoro e che il lavoro viene pagato, in genere, sempre meno. E non è per questo che le risorse per i servizi sociali, ad esempio per l’istruzione o la sanità, appaiono sempre eccessive, troppo onerose, mentre quei servizi hanno crescenti difficoltà appunto per mancanza di risorse sufficienti. L’economia ha prodotto crescenti diseguaglianze sociali. E si vogliono spendere meno soldi per i servizi sociali, pubblici, che contribuiscono ad aumentare il benessere di tutti, correggendo quelle diseguaglianze in fondo ingiuste, quelle che il Papa chiama inequità.  Il tenore di vita di chi sta peggio  è attualmente sostenuto dal vantaggio di poter ancora acquistare a basso la gran parte dei prodotti di uso comune, perché vengono prodotti in Oriente, dove i lavoratori vengono pagati meno che da noi. L’aver spostato in Oriente la produzione di questi beni è una delle ragioni per cui ci sono meno posti di lavoro in Europa. Noi acquistiamo senza tanti problemi quei prodotti, anche se sappiamo che incorporano uno sfruttamento dei lavoratori delle industrie che li hanno realizzati. Come lavoratori siamo danneggiati, ma come consumatori avvantaggiati. In generale è il lavoro che, qui da noi e in Oriente, non è pagato il giusto. Bisognerebbe mettere in questione il sistema economico che attribuisce questo valore ingiusto al lavoro. E’ il  mercato. Non è una potenza della natura. Le forze del mercato hanno regole e non solo quelle economiche. Una serie di trattati internazionali consente alle cose di andare come vanno, creando una cornice giuridica in cui  poi si realizza questa ingiustizia per cui il lavoro non è pagato il giusto. Vi è chi si avvantaggia. Per questo,  appunto, in Occidente come in Oriente sono aumentate fortemente le diseguaglianze sociali. Sono una minoranza quelli che si trovano in una posizione privilegiata. E quest’ultima dipende dalle politiche correnti, che creano la struttura giuridica per mantenere un sistema economico che produce diseguaglianze e, quindi, sofferenze sociali. Ma, alla fine e in particolare nei sistemi democratici, non dovrebbero essere le maggioranze a prevalere? In astratto, sì. Di fatto, paradossalmente, la maggioranza della gente rimane soggetta alle minoranze dei privilegiati sociali e la situazione tende ad inasprirsi sempre più se i correttivi sociali si fanno più deboli, ad esempio se si fa più debole la resistenza dei sindacati nei rapporti di lavoro. Per mantenere il controllo dei più, le minoranze dei privilegiati sviluppano politiche populistiche. Significa che ancora la giustizia sociale non è di questo mondo? Ma potrebbe esserlo, si potrebbe tentare di fare in modo che lo sia,  sarebbe interesse dei più cercare di promuoverla. Questa è anche la posizione della dottrina sociale. Ecco come inizia, ad esempio, la lettera apostolica  Octogesima Adveniens - Avvicinandosi l’ottantesimo anniversario (potete leggerla sul WEB a questo indirizzo
http://w2.vatican.va/content/paul-vi/it/apost_letters/documents/hf_p-vi_apl_19710514_octogesima-adveniens.html
diffusa nel 1971 dal papa Giovanni Battista Montini, in religione Paolo 6°:
1. L'80° anniversario della pubblicazione dell'enciclica Rerum novarum, il cui messaggio continua a ispirare l'azione per la giustizia sociale, ci spinge a riprendere e a prolungare l'insegnamento dei nostri predecessori, in risposta ai nuovi bisogni di un mondo in trasformazione. La chiesa, infatti, cammina con l'umanità e ne condivide la sorte nel corso della storia. Annunciando agli uomini la buona novella dell'amore di Dio e della salvezza nel Cristo, essa illumina la loro attività con la luce dell'evangelo, aiutandoli in tal modo a corrispondere al divino disegno d'amore e a realizzare la pienezza delle loro aspirazioni.
Appello universale a maggiore giustizia
2. Con fiducia, noi vediamo lo Spirito del Signore continuare la sua opera nel cuore degli uomini e radunare dovunque comunità cristiane coscienti delle loro responsabilità nella società. In tutti i continenti, tra tutte le razze, le nazioni, le culture, in mezzo ad ogni sorta di condizioni, il Signore continua a suscitare autentici apostoli dell'evangelo.
Ci è stato dato di incontrarli, di ammirarli, di incoraggiarli durante i nostri recenti viaggi. Abbiamo avvicinato le folle e ascoltato i loro appelli, grida di miseria e di speranza al tempo stesso.
In queste circostanze, i gravi problemi del nostro tempo ci sono apparsi con un nuovo rilievo, come particolari, certo, a ciascuna regione, ma tuttavia comuni a una umanità che si interroga sul suo avvenire, sull'orientamento e il significato dei mutamenti in corso. Differenze evidenti sussistono nello sviluppo economico, culturale e politico delle nazioni: accanto a regioni fortemente industrializzate, altre sono ancora allo stadio agricolo; accanto a paesi che conoscono il benessere, altri lottano contro la fame; accanto a popoli ad alto livello culturale, altri continuano a occuparsi della eliminazione dell'analfabetismo. Da ogni parte sale un'aspirazione a maggiore giustizia e si alza il desiderio di una pace meglio assicurata, in un mutuo rispetto tra gli uomini e tra i popoli.
   Il populista cerca di accattivarsi la fiducia dei più promettendo di farli privilegiati o, comunque, di trattarli come tali. Non ha di mira la giustizia sociale. Qualcuno ci rimetterà, ma, assicura, non saranno quelli a cui promette un patto richiedendo fiducia incondizionata.
  Siamo terrorizzati da chi ha la pelle di un colore diverso dalla nostra, non si esprime (ancora) bene in Italiano ed è povero. Sembra che finirà per sottrarci qualche cosa. Ma, se consideriamo bene, non è vero che le principali sofferenze ci sono inflitte, invece, da connazionali? Ad esempio da chi ci licenzia dall’oggi al domani e magari era tanto tempo che lavoravamo per lui. Oggi le leggi danno più libertà di licenziare. Nella maggior parte dei casi oggi è previsto solo un indennizzo pecuniario. Fino a qualche anno fa era diverso: le cose, dunque, sono cambiate in peggio. Uno oggi può essere licenziato più facilmente, pagandogli qualcosa. Ma, perso il lavoro, e quindi poi anche la dignità, che se ne fa uno di un gruzzoletto che presto finisce? Siamo disgustati se si spacciano stupefacenti o ci si offre in prostituzione sotto casa nostra, ma chi sono i clienti? Chi sta peggio cerca di imitare i costumi di vita di chi sta meglio, ma essi sono costosi. Allora può accadere che si rubi o si rapini. Magari per scoprire che quello che si è ottenuto non serve per una vita buona, non dà la felicità e che si è sempre gli stessi, poveri in umanità e dunque infelici,  pur in mezzo a case a volte trasformate in delle  specie di magazzini in cui sono affastellate alla rinfusa cose costose ma di cattivo gusto. E’ questa l’impressione che si ricava, ad esempio, dalle foto, diffuse dai giornali e dalle televisioni, delle perquisizioni nelle abitazioni di certi criminali che si sono arricchiti. Bisognerebbe invece imparare la vita buona e la virtù, da qui viene la felicità: questo è l’insegnamento della dottrina sociale.
  Di fatto agli immigrati africani si sono chiuse certe vie per raggiungere le nostre coste. Questo è costato violenza. Avviene tutto lontano dai nostri occhi, così cerchiamo di dimenticarcene. Il populista ci rassicura: abbiamo ragione a non avere scrupoli di coscienza. Non si poteva fare diversamente. Il Papa, invece, ci ricorda il tremendo rimprovero biblico a Caino e  ai suoi seguaci, "Dov'è il tuo fratello?". Gente viene ora respinta in massa. Questi respingimenti collettivi non sarebbero consentiti dalle norme internazionali in vigore, ad esempio dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.
Articolo 19
Protezione in caso di allontanamento, di espulsione e di estradizione
1.   Le espulsioni collettive sono vietate.
2.   Nessuno può essere allontanato, espulso o estradato verso uno Stato in cui esiste un rischio serio di essere sottoposto alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti.
 Un divieto analogo è contenuto nella Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata proprio a Roma nel 1950. Nel 2014 la Repubblica italiana è stata condannata con sentenza della Corte Europea dei Diritti Umani per averli attuati. Ma ora tutto si svolge in un’altra nazione, considerata insicura dalle autorità internazionali ma anche dalle nostre autorità: e tutto si fa in base ad accordi che abbiamo concluso laggiù, anche con autorità locali. Le nostre paure hanno trovato una specie di conforto, effettivamente l’immigrazione africana si è ridotta, senza che ci tocchi la violenza che è stata necessaria per riuscirci, ma rimane la gente che è già riuscita a giungere tra noi, anche quella ci fa paura. E quando  riuscissimo a  sistemare  anche quella, ma sarà più difficile farlo perché certe soluzioni sbrigative  non le possiamo proprio attuare sul nostro territorio nonostante tutte le nostre   cattive intenzioni, poi le cose andrebbero veramente meglio? Alcuni sono convinti di sì e le politiche populiste li incoraggiano, come appunto i populisti sono soliti fare. Ma poi, in genere, non si soffre veramente a causa degli immigrati, che al più, se poveri, possono essere un brutto spettacolo, come la povertà in genere è, ma null’altro. Si soffre, ad esempio, per il taglio della spesa pubblica, che determina una riduzione delle spese sociali, di benessere di tutti, e consegue anche, ma non solo, al proposito di tagliare le tasse. Meno tasse, meno entrate fiscali, meno spesa pubblica:  i conti così tornano. Il populista, però, a chi è preoccupato per le tasse, promette di ridurle, e a chi è preoccupato per la riduzione della spesa pubblica, promette di aumentarla. Come farà? Di solito si tiene sul vago. Promette di colpire l’evasione fiscale, ma allora poi protesteranno i suoi sostenitori che sono preoccupati per le tasse e forse hanno già scelto quella via per proteggersene. O propone di liberarsi dai vincoli europei e di uscire dall’area dell’Euro, la moneta comune della nostra Unione Europea, la nostra nuova Europa, riacquistando la sovranità  monetaria, per tornare così, rapidamente, all’inflazione a due cifre che chi ha la mia età ha sperimentato. Negli anni ’70 arrivò, in concomitanza con la crisi energetica,  quasi fino al 25% annuo e così stipendi e risparmi della gente evaporavano. Una soluzione  che, secondo molti studiosi, ci manderebbe a sbattere. Non è stampando  più carta moneta che si risolvono i problemi dell’economia, tanto più che è molto aumentata la nostra dipendenza dall’estero, dove acquistiamo praticamente tutti i prodotti di uso comune. Che  mercato  potrebbe avere una moneta svalutata?
  Perché il populismo ha preso tanto piede, venendo utilizzato, in misura più o meno ampia, anche da forze che non se ne servirono in passato? E’ appunto, come ho scritto, per la crisi di legittimazione della politica, per cui la gente non ritiene più utile  fare  politica e non se ne vuole più occupare. Si è stufata di discorsi politici ragionevoli, li ritiene più o meno degli imbrogli. Tutti i politici sono uguali, pensa, e fanno solo i propri interessi. Servirebbe piuttosto farsene dei complici. E' appunto questa la proposta del populista. Allora si finisce per dare  ascolto ai tipi sbrigativi, anche se poco referenziati, che promettono di esonerare la gente da tutte quelle preoccupazioni: faranno tutto loro, promettono, anche il lavoro sporco, che poi potrebbe dare  problemi di coscienza, e lo faranno anche nel nostro interesse, ma sempre in danno di certi altri, quelli che di volta in volta sono additati come responsabili del male che c’è, assicurandoci che noi non saremo tra quelli. Sono promesse che assomigliano certe volte, appunto,  ad un arruolamento come complici. E può prevedersi che, quando le cose finiranno male, i populisti con cui ci saremo federati ci chiameranno a correi: diranno che noi siamo stati loro complici. Certe cose le avevamo chieste noi.  Ma anche di più, storicamente  è accaduto proprio questo: diranno che le cose sono andate male non per colpa loro, che hanno tenuto fede ai patti, ma per colpa nostra, perché non siamo stati abbastanza determinati nell'essere cattivi. Ci accuseranno di aver avuto troppi scrupoli, di aver guastato tutto per aver frenato mettendo di mezzo, ad un certo punto, la ragione e l'etica. Non si era concordato di non fare tanto gli schizzinosi? Ci troveremmo, allora, in questo caso, davanti al tribunale della storia, insieme a loro. 
  Non sarebbe meglio, invece,  seguire la via della virtù indicata dalla dottrina sociale?

Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli