Il salotto buono
Nelle case borghesi di una volta c’era una stanza dove si entrava raramente, e i bambini mai. Era il salotto buono. Ci si tenevano i mobili più eleganti e il vasellame e le stoviglie più belle e costose che venivano messe in tavola solo nelle grandi occasioni.
Che ne direste se si decidesse di creare una stanza così in una parrocchia e di intitolarla a papa Francesco, il quale esortava ad aprire tutte le porte? E per di più utilizzando l’unica sala dotata insieme di riscaldamento e di un costoso impianto multimediale, che era sempre stata destinata a varie attività con la gente, tra le quali quelle catechistiche e associative.
Ci si allestisce un altarino al Papa scomparso, per onorarne la memoria, ci si mettono tendine nuove, si fa dare una rinfrescata alle pareti e poi la si chiude a chiave. Non ci si entra più, salvo che per eventi liturgici di rilievo e sotto stretta sorveglianza. In particolare, bambine e bambini, ragazze e ragazzi, e i gruppi associativi devono riunirsi altrove, altrimenti si rischia che la nuova stanza si rovini. Non c’è posto sufficiente per ragazze e ragazzi che si stanno formando per la Cresima. Sono numerosi. Si accalcano nelle altre stanzette, Non c’è che da sperare, allora, che dopo aver ricevuto il Sacramento non vengano più in parrocchia, com’è d’uso, fisiologico addirittura, viene osservato. Le persone giovani vengono in parrocchia se c’è un posto dove possono stare, anche autogestendosi con responsabilità, ad esempio per studiare e fare i compiti insieme. Nella nostra parrocchia, ad esempio, c’era e si chiamava “Il Poliedro”, ispirandosi al magistero di papa Francesco, ma nel corso dei recenti lavori di manutenzione è stato utilizzato come deposito provvisorio di masserizie e poi non è stata più ripristinato.
Una persona manifesta di non essere d’accordo e lo fa presente alle altre. Viene ripresa, doveva prima parlarne con chi quella decisione aveva preso, e aveva preso senza consultarsi prima con nessuno. Nonostante che fosse stato finalmente istituito un Consiglio pastorale. A chi aveva obiettato viene risposto che si prende atto del suo dissenso ma che la decisione non sarà modificata, perché chi l’aveva presa ritiene di mantenerla ferma e ritiene di avere il potere di farlo. La questione del salotto buono è chiusa, la decisione irrevocabile, non si sente la necessità di tornarci sopra alla luce delle obiezioni, vissute con fastidio come indisciplina, secondo i costumi ecclesiastici di sempre.
Nella vicenda, un esempio di scuola diciamo (non mi capacito che possa realmente accadere), sarebbe in questione, si potrebbe osservare, la sinodalità, che faticosamente si cerca di far realizzare anche nelle comunità di prossimità, come sono o dovrebbero essere le parrocchie.
Sinodalità significa anche decidere insieme, innanzi tutto consultandosi prima di decidere. Non significa necessariamente rimettere tutto alla decisione di una maggioranza. Ma discutere insieme prima di fare qualcosa che ha riflessi sulla vita della comunità.
Dire “decido io solo” corrisponde senz’altro a ciò che si è sempre fatto, ma è molto umiliante per tutte le altre persone e sicuramente contrario al principio di sinodalità. Nel caso che ho presentato non sono in questione temi dottrinari. Si tratta dell’agibilità di una struttura essenziale per la cosiddetta pastorale, che significa formazione e animazione, in particolare riguardo alle persone laiche, perché si suppone che i preti una certa formazione l’abbiano già avuta. A ciò che sostengono persone competenti nel ramo, sembra tuttavia che nei seminari essa sia un po’ insufficiente sotto certi aspetti. Le volte che ho avuto contatti con gli ambienti dei seminari mi è parso che si desse molta importanza alla ritualità liturgica e alla spiritualità misticheggiante e meno alle relazioni con l’altra gente, quella a beneficio della quale è stato istituito l’Ordine sacro. Insomma, per farla breve, i seminaristi mi sono sembrati piuttosto diffidenti verso di noi persone laiche, pur appartenenti ad organizzazioni di apostolato.
La sinodalità, nell’attuale versione cattolica, è compatibile con il dire “ne parliamo in Consiglio pastorale, ma poi della decisione finale prenderò io la responsabilità”, ma non con “decido io solo, anche senza sentire nessuno e se qualche persona dissente continuo a decidere tutto io solo, senza portare la decisione in Consiglio pastorale.”
Nel documento finale del recente Sinodo sulla sinodalità si è raccomandata l’accountability nell’esercizio dell’autorità, che significa essere disposti a rendere ragione delle proprie decisioni e dei loro risultati. A chi? Certo ai superiori, in un ordinamento gerarchico quale quello ecclesiastico. Ma in una comunità improntata al principio di sinodalità anche alla comunità stessa e, innanzi tutto, al Consiglio pastorale che, per statuto, può sentire l’altra gente e istituire commissioni per approfondire l’esame di problemi, anche con la partecipazione di altra gente. È molto raro, tuttavia, che nelle parrocchie ciò accada. I preti che le presiedono sembrano diffidare della sinodalità e le persone laiche non vi sono state formate. E invece dovrebbero esserlo, anche perché la pratica della sinodalità è un ottimo tirocinio per quella democratica che cittadine e cittadini devono esercitare nella società civile, per diffondervi i principi della dottrina sociale. Ma chi potrebbero essere i formatori? Se ne può discutere. Mi pare certo che i preti non possano farlo da soli, anche perché non sempre ne hanno la competenza.
Non fare da soli: questa è appunto la sinodalità. Non solo da noi, non senza di noi.
A chi avesse preso la decisione del salotto buono in una ipotetica parrocchia, sottraendole una struttura essenziale per la pastorale e per di più intitolandolo proprio a papa Francesco, direi: “Ma come ti è saltato in mente? Non vedi la contraddizione tra la pastorale del ‘salotto buono’ e il magistero di quel Papa? Corri a spalancare le porte di quella stanza e lasciavi entrare il ‘buon popolo di Dio’, come lo chiamava Francesco! E se hai dei dubbi, parlane in Consiglio pastorale o con i saggi dell’Equipe pastorale [se in quell’ipotetica parrocchia dell’esempio fosse stata istituita]”.
Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli - acvivearomavalli.blogspot.com