Democrazia, politica, governo – 1 -
«Non si tratta di cercare di trasformare la Chiesa in una sorta di governo democratico, poiché, se guardiamo a molti Paesi del mondo di oggi, la democrazia non è necessariamente una soluzione perfetta per tutto»
Negli scorsi giorni è stato detta, a proposito dello sviluppo della sinodalità ecclesiale, la frase che ho sopra trascritto.
Vorrei invitarvi a ragionarci sopra.
La sinodalità ecclesiale viene intesa come una forma di organizzazione della vita delle comunità ecclesiali che consenta la più ampia partecipazione possibile alle decisioni che si prendono e alle cose che si decide di fare, secondo l’antico principio che ciò che riguarda tutte le persone deve essere deciso da tutte le persone. La comune opinione è che la sinodalità ecclesiale nella nostra Chiesa sia scarsa e perlopiù limitata agli ambiti episcopali e alle comunità degli Ordini religiosi. Dall’ottobre 2021 vennero iniziati processi, tuttora in corso, per svilupparla, in particolare coinvolgendo la gente di fede libera da particolari vincoli di stato ecclesiastico, quali quelli di preti e persone appartenenti ad Ordini religiosi. Ad oggi i risultati sono stati assai scarsi.
Uno dei principali problemi è il rapporto tra sinodalità e democrazia, quest’ultima vista come connotata dalla regola della decisione a maggioranza tra persone considerate eguali in dignità.
Nella nostra Chiesa tutto è formalmente in mano di una esigua minoranza, composta dal clero e dagli appartenenti ad Ordini religiosi e l’ultima parola su tutto l’ha il Papa. Questo connota la nostra Chiesa, dal punto di vista della sua organizzazione politica, come un assolutismo a legittimazione sacrale, perché teologicamente argomentato come voluto dal Cielo. La legittimazione della politica ecclesiastica ha anche carattere autocratico, perché non dipende dal basso o da ciò che c’è intorno, ma solo dall’alto. Un sistema che per essere tale e voluto dal Cielo viene propriamente definito gerarchia, parola che ci viene dal greco antico e che etimologicamente significa potere sacro.
Naturalmente questo ordine politico sacralizzato non risale alle origini, quando ancora non vi era un clero e tantomeno un episcopato monarchico, secondo il quale su ogni Chiesa locale comanda un solo vescovo. È uno sviluppo culturale e sociale i cui inizi si manifestarono verso la fine del Primo secolo, diversi decenni dopo la morte del Cristo.
Con lo svilupparsi di gerarchie ecclesiastiche, la sinodalità ecclesiale venne sempre più concentrata nelle assemblee dei vescovi, loro esperti, e di taluni esponenti della politica civile. Tutta l’altra gente, compresi i preti, venne tagliata fuori. Questo non significa che non abbia contato, ma che influì dall’esterno dell’ordine gerarchico.
D’altra parte ebbero sempre più importanza teologia e diritto, discipline che, in particolare da quando dal Duecento divennero universitarie, svilupparono ragionamenti molto complessi, al di fuori della portata degli incolti. Lo esigette lo strutturarsi della nostra Chiesa come un impero religioso, dall’Undicesimo secolo, e poi come uno stato in senso moderno, dal Seicento.
Dal Quarto secolo sempre più ebbero importanza, nell’organizzare le Chiese cristiane e nel decidere chi comandava in esse, le definizioni formali sulle questioni di fede. Sulle principali, dette dogmi, vennero definiti sistemi concettuali descritti secondo criteri logici, come si soleva fare nei ragionamenti filosofici e giuridici. Nel farlo, a lungo si utilizzò in teologia la lingua che dal Secondo millennio fu quella delle scienze, vale a dire il latino. Solo da metà Ottocento sempre più nelle scienze vennero utilizzate lingue moderne, come il francese, il tedesco e poi, in particolare nelle scienze naturali e sociali, l’inglese. L’uso del latino negli affari ecclesiastici li rese sempre più oscuri ai più. Una delle riforme del Concilio Vaticano 2º delle quali la gente si rese maggiormente conto fu la decisione di consentire la celebrazione dell’intera messa nelle lingue moderne, quelle parlate comunemente, invece che prevalentemente in latino.
Ma perché anche le persone incolte dovrebbero essere coinvolte nelle decisioni che le riguardano in una Chiesa, visto che non hanno la cultura sufficiente per rendersi conto delle questioni da risolvere? E anche limitando la partecipazione alle decisioni alle persone colte, come riuscire a metterle d’accordo tutte, senza stabilire un centro di comando che chiuda ad un certo punto i discorsi? Di fronte al manifestarsi di un certo pluralismo nelle cose ecclesiali si preferì storicamente proibire ingiungendo l’obbedienza ad un’autorità indiscutibile perché sacralizzata, vale a dire voluta dal Cielo.
Nell’Italia di oggi viviamo da tempo in ambiente democratico e in genere pretendiamo di aver voce nelle cose della politica, tuttavia sembriamo tollerare che nelle cose della Chiesa si faccia diversamente. Una volta politica e religione andavano di pari passo, costituivano un sistema coerente e anche le autorità civili erano sacralizzate. I principi organizzativi in politica e religione si assomigliavano e le rispettive autorità si sostenevano nei riguardi della gente. Da metà Settecento, con l’emergere nelle culture europee di processi democratici le cose iniziarono a cambiare. E ancor più con il diffondersi dell’istruzione popolare, dall’Ottocento. Questo fu possibile con il migliorare delle condizioni di vita delle popolazioni prodotta dall’industrializzazione sorretta dall’organizzazione capitalistica dell’economia. In precedenza i più erano colpiti da una spaventosa povertà e in quelle condizioni era difficile avere la possibilità e il desiderio di saperne di più. Quali le ragioni degli squilibri sociali? Per secoli le si erano considerate quasi una condizione naturale. Ad un certo punto ci si è cominciati ad interrogare su di esse, approfondendo, e quando la consapevolezza delle cause sociali di quelle sofferenze iniziò a diffondersi nelle popolazioni emersero i processi democratici, come li si intende nell’era contemporanea, e, va detto, lo si intende in modo diverso che nell’antichità o nel Basso Medioevo, all’epoca del manifestarsi delle autonomie nei Comuni europei.
Poiché religione e politica erano strettamente integrate, agli inizi i processi democratici vennero considerati eretici, vale a dire peccaminoso perché contrastanti con i dogmi religiosi. Da qui la pervicace resistenza delle gerarchie ecclesiastiche cristiane e, in particolare, di quella cattolica, la quale da metà Ottocento accentuò il proprio assolutismo lottando contro le democrazie. Queste ultime vennero scomunicate con l’enciclica Le gravi dispute in materia economica– Graves de communi re in oeconomica disceptationes, del 1901, del papa Vincenzo Gioacchino Pecci Leone 13º, nel senso che non fosse possibile una democrazia cristiana, nella quale la gente decidesse con metodo democratico quale organizzazione politica e sociale adottare per conformare la società ai criteri evangelici, contrastando per tale via le sofferenze sociali. Questa idea fa specie, ai tempi nostri, in Italia, dato che dal 1946 al 1994 la politica nazionale venne egemonizzata da un partito denominato Democrazia Cristiana, che proclamava la propria ispirazione cristiana nell’agire politicamente con metodo democratico.