Democrazia – politica – governo
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A volte si suppone, ma senza fondamento, che
la politica non abbia a che fare con la religione. Quest’ultima è la pratica
della fede e, in quanto pratica, ha un importante aspetto politico, perché non
si pratica se non ciò che si vive e, vivendo, si assorbe in una collettività.
La politica è il governo di una collettività,
la quale, in quanto esprime un governo, si manifesta come comunità. Comunità è
la collettività in quanto ritiene di vivere qualcosa di comune che, come tale,
richiede di essere governato.
Il governo è una funzione collettiva che non
è esercitata solo dalle istituzioni costituite a quello scopo. Tutte le persone
che interagiscono in una comunità partecipano alla funzione di governo, in
tutte le loro interazioni sociali. Questo
è vero anche per le comunità religiose e, in particolare, per le Chiese cristiane,
che hanno iniziato storicamente a manifestarsi come tali quando in esse si sono
strutturate forme di governo.
Le istituzioni costituite per esercitare il
governo di una società si distinguono come tali per il potere loro attribuito
di dettar legge anche ai dissenzienti. Quando si impongono su un certo
territorio a prescindere da una formale adesione di chi vi è sottoposto sono
dette pubbliche. Dal Quarto secolo al Diciannovesimo le Chiese cristiane
europee sono state istituzioni pubbliche. Poi la situazione è cambiata per l’affermarsi
dei processi democratici, in base ai quali sono stati posti limiti dal basso ai
poteri pubblici.
La Chiesa cattolica è attualmente
organizzata, per ragioni storiche, come una monarchia assoluta con
caratteristiche feudali. Dal Diciannovesimo secolo ha strutturato le sue
istituzioni sul modello di quelle statali. Non è una democrazia perché i suoi
poteri non hanno limiti dal basso. E’ una monarchia assoluta perché il potere
del suo vertice non ha limiti. Ha caratteristiche feudali perché i centri di potere
intermedio sono a loro volta monarchie legate al vertice supremo da un patto di
sottomissione ma con ampia autonomia di governo verso il basso, senza necessità
di alcuna legittimazione dal basso e senza che i sottoposti li possano mettere
in questione. Le istituzioni di governo ecclesiastico sono strutturate in
questo modo. La funzione di governo, però, è esercitata di fatto dal basso come
dall’alto, come in ogni altra comunità. Questo spiega gran parte dei fenomeni
evolutivi delle comunità ecclesiali e delle istituzioni ecclesiastiche. A prescindere dal riconoscimento giuridico e teologico
di un ruolo di governo la gente ha di fatto inciso sul governo ecclesiastico, e
ciò in particolare negli ultimi settant’anni, in Europa.
Democrazia,
come la si intende nell’era
contemporanea in Occidente, e in particolare nell’Unione Europea, non significa
che le istituzioni di governo siano controllate dal popolo, comunque lo si voglia intendere, e ci sono
diversi modi di intendere questa parola. Fondamentalmente con popolo si intende in genere un’entità mitica, quindi
non realmente esistente come tale, che comprende una popolazione in quanto
stabilmente stanziata su un certo territorio e legittimata ad agire
politicamente, quindi nel governo, al modo di un’istituzione. Si osserva, giustamente,
che nella realtà governano nelle istituzioni solo piccoli gruppi
legittimati mediante cicliche procedure formali. Dunque, un governo di pochi,
non di tutti: ciò che gli antichi greci, che idearono molte delle
categorie politiche ancora in uso oggi, dicevano oligarchia. E tuttavia
non è nemmeno solo un governo di
pochi, perché il potere di quei pochi ha dei limiti, e quei limiti vengono dal basso,
sia mediante procedure specifiche, sia attraverso il riconoscimento e l’esercizio
di libertà individuali e di gruppo.
Democrazia è, nell’accezione
contemporanea, quel tipo di organizzazione del potere politico secondo il quale
nessun potere sociale, pubblico o privato, è senza limiti e questi limiti
sono anche di tipo partecipativo e diffusi. Questo, e non solo il principio maggioritario
secondo il quale nelle decisioni prevale la maggioranza, il vero discrimine tra
ciò che è democrazia e ciò che non lo è. In una vera democrazia anche il potere
delle maggioranze incontra limiti e, paradossalmente, anche nei diritti di
libertà delle minoranze.
Qual è il vantaggio della democrazia politica
rispetto alla politica non democratica? E’
quello di ostacolare la prevaricazione e l’abuso.
Ogni potere che non incontra limiti
effettivi sicuramente prevaricherà e abuserà, prima o poi. Questa è una regola generale del
potere sociale, vale a dire qualcosa che, date certe condizioni, accade immancabilmente.
In questo la storia è un importante laboratorio di osservazione sociale.
Non importa quanto virtuose siano le
personalità di potere e virtuosi i loro propositi: dato un potere senza
limiti effettivi, l’abuso è certo.
Questo può dirsi anche nell’organizzazione ecclesiastica.
Una persona sapiente e virtuosa potrebbe dirigere meglio una
società rispetto a chi non lo è, e in particolare
ad una massa di meno sapienti o meno virtuosi. Ma sicuramente, in assenza di
limiti effettivi, abuserà del suo potere. E’ quanto storicamente si è sempre
osservato prima o poi.
Tuttavia preporre alle istituzioni di governo
persone sapienti e virtuose è sempre saggio, ma questo non è sufficiente al
buon governo: è necessario costituire un sistema di limiti dal basso, costituiti
da procedure partecipative e diritti di libertà. Questo è l’obiettivo dei
processi democratici.
Necessariamente le democrazie sono tenute in
una condizione di instabilità, che è fisiologica e indispensabile. Deve essere
sempre possibile, in particolare, contestare e sostituire centri di potere pubblico
e il loro potere deve trovare limiti rigidi in procedure e diritti di libertà.
Così la democrazia non riguarda solo le istituzioni
di governo, e in particolare quelle pubbliche, ma ogni aspetto politico della
società e dunque la funzione di governo nel complesso, anche quella che si
manifesta nei rapporti tra persone e tra gruppi.
Si può essere, allora, d’accordo
o non con chi sostiene che non
per ogni cosa va bene la democrazia? Se parliamo di politica, quindi
della funzione di governo, se si sostiene che la democrazia non vada bene
sempre si vuol mantenere poteri politici, e in particolare pubblici, che non
incontrano limiti e questo, invariabilmente, conduce alla prevaricazione e all’abuso.
Una politica che prevarica e abusa non è mai, in nessun caso, una buona politica,
perché porta all’infelicità dei più e, a lungo andare, alla crisi terminale,
perché nessun potere pubblico che genera l’infelicità dei più può resistere, nonostante
la violenza che metta in campo per riuscirvi. La nostra Chiesa sta appunto vivendo
una crisi di questo tipo e cerca di uscirvi mediante processi sinodali, che
hanno carattere democratico in quanto costituiscano limiti dal basso nei poteri ecclesiastici. Il problema è che non
si è ancora riusciti a strutturarli come realmente effettivi come tali.
La
nostra gerarchia nel pensare la sinodalità diffusa, come la si vorrebbe
realizzare, si affida alla distinzione che l’antico filosofo greco Aristotele
pose tra il potere di molti, di pochi
e di uno, pensando a questi
poteri come gradi progressivi e successivi. Prima verrebbe quello dei molti,
poi quello dei pochi e infine quello di uno. In questo modo i pochi
dominerebbero sui molti, come
realmente accade nella nostra Chiesa. Si può osservare che i poteri dei molti,
nelle democrazie come oggi le si intende, non viene mai meno, che quello
dei pochi ne viene sempre limitato e che quello dell’uno
non può esistere realmente se non
solo sulla carta, perché nessun umano può realmente fare da solo, ed è
appunto quello che si è osservato finora in ogni organizzazione umana. Le cose
potrebbero cambiare con lo sviluppo dei sistemi di intelligenza non umana, che oggi
chiamiamo artificiale pensandola come un’imitazione di quella umana, mentre essa, da questo punto
di vista, si avvia ad essere sovrumana. In un certo senso, questa tecnologia costituisce
un pericolo per le democrazie molto più serio delle minacce dei totalitarismi e
delle autocrazie che storicamente si sono manifestati. Il potere dei pochi e tanto più quello dell’uno, o di un super-uno
quale un’intelligenza non umana sovrumana, se non limitato democraticamente,
dal basso, quindi dai molti, mediante procedure e libertà, conduce immancabilmente
all’abuso e alla prevaricazione a danno dei molti.
Mario
Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli