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This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

Dall’anno associativo 2020/2021 il gruppo di AC di San Clemente Papa si riunisce abitualmente il secondo, il terzo e il quarto sabato del mese alle 17 e anima la Messa domenicale delle 9. Durante la pandemia da Covid 19 ci siamo riuniti in videoconferenza Google Meet. Anche dopo che la situazione sanitaria sarà tornata alla normalità, organizzeremo riunioni dedicate a temi specifici e aperte ai non soci con questa modalità.

Per partecipare alle riunioni del gruppo on line con Google Meet, inviare, dopo la convocazione della riunione di cui verrà data notizia sul blog, una email a mario.ardigo@acsanclemente.net comunicando come ci si chiama, la email con cui si vuole partecipare, il nome e la città della propria parrocchia e i temi di interesse. Via email vi saranno confermati la data e l’ora della riunione e vi verrà inviato il codice di accesso. Dopo ogni riunione, i dati delle persone non iscritte verranno cancellati e dovranno essere inviati nuovamente per partecipare alla riunione successiva.

La riunione Meet sarà attivata cinque minuti prima dell’orario fissato per il suo inizio.

Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

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lunedì 19 ottobre 2020

La teologia di papa Francesco - Il sogno di una Chiesa evangelica (presentazione del libro di Roberto Repole) - sintesi integrale

 Ripubblico il documento con la sintesi completa del libro di Roberto Repole sull’ecclesiologia  di papa Francesco

 

La teologia di papa Francesco

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Il sogno di una Chiesa evangelica

(presentazione del libro di Roberto Repole)

 

1.   Tempo fa si accesero  aspre polemiche intorno alla presentazione di una collana di libri divulgativi pubblicati dalla Libreria Editrice Vaticana sulla teologia di papa Francesco, con il titolo  La teologia di papa Francesco. Era stata resa pubblica una lettera del Papa emerito Joseph Ratzinger, eminente teologo, nella quale la si apprezzava, sostenendo che era da stolti dire che Papa Francesco fosse privo di formazione teologica o filosofica. Proseguendo, parlava dei volumi della collana come di libretti  e conteneva riserve verso uno degli autori, con il quale il Ratzinger era stato in passato in disaccordo su questioni teologiche. Il Papa emerito dichiarava di non aver potuto ancora leggere i testi, per le sue condizioni di salute e per precedenti impegni. In ciò si è voluta vedere una presa di distanza dalle posizioni teologiche di Papa Francesco.

  In effetti si tratta proprio di libretti, nel senso di volumi di piccolo formato, tascabili.  Una persona se li può portare con sé durante il giorno e leggerli nei ritagli di tempo, ad esempio in metropolitana.

  Parlano della teologia di papa Francesco, ma non sono libri di teologia. Non sono rivolti agli studiosi di teologia, ma ad un pubblico colto di non specialisti. Possono essere compresi da chi ha fatto le superiori o, comunque, si sente in grado di leggere tutte le parti di un quotidiano.

 Che cos’è la teologia?

  Può essere intesa come disciplina scientifica: la riflessione con metodo rigoroso, quindi sistematico e conseguente alla premesse, sulla fede della Chiesa. Si è riconosciuti come teologi dopo aver seguito un percorso di formazione specifico ed aver dimostrato di saper ragionare con quel metodo. Un teologo deve innanzi tutto essere istruito sulle Scritture, conoscere tutto il pensiero di fede espresso sul settore specialistico a cui si è dedicato ed essere sufficientemente informato su pensiero espresso negli altri settori. Questo modo di procedere non è diverso da quello di altri campi della scienza.

 Può essere però essere  intesa anche come il complesso delle convinzioni di fede di una persona o di un determinato gruppo di fedeli. Allora esprime il modo in cui quella persona o quel gruppo dicono e vivono la loro fede religiosa. Ogni credente ha quindi una propria teologia. Quando si parla di teologia di un  Papa  è questo il senso che si utilizza.

  Nel presentare la collana, il teologo Roberto Repole ha ricordato che i Papi in maggioranza non sono stati teologi di professione, vale a dire scienziati della teologia. Il caso del Ratzinger è un’eccezione. Tuttavia essi, come tutti i preti, hanno avuto una formazione teologica approfondita. Hanno saputo esprimere la loro fede in termini teologici, che troviamo utilizzati nei loro documenti ufficiali, ad esempio nelle encicliche, che contengono leggi per la Chiesa. I Papi si avvalgono della collaborazione di teologi di professione, come di altri scienziati di varie discipline, ma hanno una loro teologia, nel senso di concezioni e progetti di fede.

  Anche il Ratzinger, durante il suo ministero pontificio, ha scritto libri divulgativi in cui ha parlato anche di teologia ai non teologi di professione. Si tratta dei testi su Gesù di Nazareth, che io ho letto e che consiglio a tutti di leggere. Contengono, tra l’altro, molta della teologia di Ratzinger come papa Benedetto 16°, intesa come convinzioni e programmi riguardanti la fede e la Chiesa, non come studio scientifico su certi temi.

  C’è una continuità tra la teologia di papa Francesco e quella di papa Benedetto 16°, come è stato sostenuto e alcuni dubitano? Come potrebbe non esservi? Per tanto tempo hanno collaborato negli  stessi ambienti di capi religiosi: il collegio cardinalizio e il sinodo dei vescovi. Sono quasi coetanei. Papa Francesco ha studiato anche in Germania: è probabile che abbia accostato anche testi di Ratzinger come teologo. Poi ha sicuramente studiato quelli firmati dal Ratzinger come Papa, come tutti noi. Lo scienziato di teologia Ratzinger e  il Ratzinger come Papa hanno sicuramente influito sulla teologia di Papa Francesco. Ci sono, però, in quest’ultima elementi di novità.

  Alcuni sono portati ad apprezzare le novità, altri le temono. Conoscendo meglio la teologia di papa Francesco si può arrivare a capire che i timori sono ingiustificati. La novità, infatti,  è l’accentuazione e lo sviluppo del tema del Vangelo della misericordia, come fonte e criterio di riforma ecclesiale.

  Ci sono, nella teologia espressa da papa Francesco, elementi di novità. Alcuni li apprezzano, altri li temono.  Conoscendo meglio la teologia di papa Francesco si può arrivare a capire che i timori sono ingiustificati. La novità, infatti,  è l’accentuazione e lo sviluppo del tema del Vangelo della misericordia, come fonte e criterio di riforma ecclesiale.  Ma vi è anche la ripresa dell’immagine della Chiesa come popolo di Dio proposta in modo innovativo dal Concilio Vaticano 2°.

  Propongo una sintesi del volume della collana dedicato all’ecclesiologia dei Papa Francesco, vale a dire su come il Papa pensa la Chiesa, le sue prospettive, le riforme necessarie. Questo per invogliare ad approfondire mediante la lettura integrale del testo.

Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli

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Roberto Repole, Il sogno di una Chiesa evangelica. L’ecclesiologia di papa Francesco, Libreria editrice Vaticana, 2017, €12.00

Sintesi

nota: il testo è tratto dal volume. Gli elementi di raccordo tra parentesi quadre sono inseriti da chi ha estratto la sintesi.

Sintesi di Mario Ardigò

 

 

Prefazione alla collana

 

 Il pontificato di Francesco [si presenta] all’insegno di una novità di stile. In questi anni, l’immagine del papato ne [è] uscita decisamente trasformata. Ciò  - com’era prevedibile- ha ingenerato pareri anche molto discordanti tra loro. Alcuni [sono] giunti a mettere in forse l’esistenza stessa di una teologia nell’insegnamento di Francesco.

  Bergoglio ha alle spalle, soprattutto e primariamente, la lunga e radicale esperienza del religioso e del pastore. Ciò non significa, però, che il suo magistero sia privo di teologia.

  Avvalendosi della competenza e dello studio rigoroso di teologi provenienti da diversi contesti e dalla serietà ormai assodata, si  è inteso ricercare quale sia il pensiero teologico che supporta l’insegnamento del Papa. Il risultato è racchiuso negli 11 volumi che vengono a formare la collana dal titolo semplice e immediato: “La teologia di papa Francesco”.

  L’intento non è di tipo apologetico [=di difesa degli orientamenti del Papa], [ma] di cercare di vedere e di aiutare a vedere quale sia il pensiero teologico su cui si basa Francesco.

 Nell’insegnamento di Francesco  appare ormai come un punto di non ritorno ciò che tanto  la teologia  recente quanto il magistero conciliare [=del Concilio Vaticano 2° (1962-1965)] hanno insegnato:  che la dottrina, cioè, non è né può essere qualcosa di estraneo rispetto alla cosiddetta pastorale. La teologia non potrà mai ridursi ad un asettico esercizio da tavolino, sganciato dalla vita del popolo di Dio.

 

Prologo. Per custodire e far crescere un sogno

 

    Ai suoi primordi la Chiesa ha potuto “prendere il largo” grazie a un sogno. In una visione, confina con un sogno, Pietro comprende come la Chiesa non possa essere circoscritta al gruppo dei giudeo-cristiani, ma sia invece destinata a tutti (leggi At 10). Alla comunità cristiana primitiva diverrà sempre più evidente che anche i pagani dovranno essere accolti nell’unità della Chiesa. La Chiesa non [è] una conventicola o una setta destinata ad alcuni, ma [rappresenta], al contrario, luogo di riconciliazione dell’umanità intera. [Fu] una conversione dello stesso Pietro e della comunità cristiana delle origini. [Nella] sua bimillenaria storia, la Chiesa ha sempre avuto bisogno di cristiane e di cristiani capaci di riattivare quello stesso sogno.

  [Nell’esortazione apostolica La gioia del Vangelo - Evangelii Gaudium,  il Papa ha scritto:] “Sogno una Chiesa missionaria capace di trasformare ogni cosa”.  [E nel 2015, all’incontro con i rappresentanti del 5° Convegno della Chiesa italiana, ha detto:] “Mi piace una Chiesa inquieta, sempre più vicina agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti. Sognate anche voi questa Chiesa, credete in essa, innovate con libertà”.

  Il sogno di papa Francesco è in fondo molto semplice e proprio per questo piuttosto spiazzante: si potrebbe in modo immediato affermare che si tratti del sogno di una Chiesa evangelica.  Di una Chiesa capace di confrontare costantemente se stessa, la sua vita, le sue scelte e le sue strutture con la freschezza del Vangelo. L’aggettivo “inquieta” è tutt’altro che peregrino al fine di esprimerne la costituzione. Si tratta dell’inquietudine di chi ha un’ “identità aperta” e “relazionale” in diverse direzioni; è l’inquietudine che, in definitiva, deriva alla Chiesa dal suo essere al servizio [del] Signore del cosmo e di tutti gli uomini.

  [Nel magistero di papa Francesco], ci si trova alle prese con una nuova recezione dell’insegnamento ecclesiologico [=sulla Chiesa] espresso dal Vaticano 2° [=il Concilio Vaticano 2° (1962-1965].

  Francesco è il primo papa [dopo il Concilio Vaticano 2°] che non ha preso parte ai lavori conciliari. Egli è, però, pienamente figlio del Concilio e del rinnovamento ecclesiale che da esso ha preso l’avvio.  Ciò non significa che le prospettive offerte da Francesco siano prive di una certa originalità. Esse portano l’eredità di quella particolare versione della teologia latino-americana che va sotto il nome di “teologia del popolo (di cui uno dei primi e più importanti esponenti fu il pensatore italo-argentino Luciano Gera, 1924-2012).

  Con Francesco la recezione del Concilio entra in una fase nuova. Il fatto che ci sia un papa proveniente dall’America Latina, che possa far tesoro  dell’esperienza d quella Chiesa oltre che dell’elaborazione teologica lì sviluppatasi, è giù un primo frutto del Concilio se è vero che uno degli aspetti di maggiore novità del Vaticano 2° consiste in una chiesa divenuta mondiale. Una chiara prospettiva ecclesiologica  è rinvenibile nel suo insegnamento.

 

Capitolo 1°

Il primato del Vangelo

 

   Il modo con cui Francesco afferma che il centro della Chiesa non è la Chiesa è di richiamare  che essa deve se stessa al Vangelo che è, etimologicamente [=la parola viene dal greco antico e significa buona notizia], fonte di gioia per gli uomini.

  Non esiste la Chiesa se non come frutto del Vangelo. La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia.  L’affermazione della resurrezione di Cristo non è l’asserzione di un evento passato, ma del fatto che Egli continua ad essere vivo nello Spirito. Incontrare il Risorto significa, per i cristiani, una relazione viva che perdura.

  Una novità di accento con cui Francesco esprime [il] primato di Dio sulla Chiesa è data dalla centralità che nel suo insegnamento esprime il “Vangelo della misericordia”.  Per Francesco, la misericordia non è un aspetto accessorio: essa esprime qualcosa di fondamentale del volto di Dio che si è rivelato compiutamente in Cristo. Bergoglio, rifacendosi a Beda il Venerabile [monaco inglese dell’8° secolo], scelse come motto episcopale Miserando atque eligendo («Mentre ha guardato me con gli occhi della misericordia, egli mi ha scelto»). Con la misericordia si esprime qualcosa di centrale del Vangelo riassumibile in Cristo. Francesco asserisce infatti che, a partire dall’atteggiamento e dalla prassi di Gesù in quanto rivelativa di Dio, si può affermare che la misericordia è la carte d’identità del nostro Dio. Entrare in contatto con la Persona di Cristo, in cui è sintetizzabile il Vangelo, significa essere messi in relazione con il Dio che ha cuore per i miseri, specialmente con quanto sono afflitti da quella singolare miseria che è il peccato.

  La misericordia è per il Papa il nucleo del Vangelo e della nostra fede, la forza che tutto vince, che riempie il cuore di amore e che consola con il perdono.

 L’ultimo Concilio, riconsiderando lo “statuto” della verità cristiana, ha permesso di evidenziare come si tratti di una verità che coinvolge l’uomo: non agisce dal di fuori. [Questa convinzione] nel magistero di Francesco trova un nuovo sviluppo. Il Vangelo non [è] riducibile a “dottrina”. Dio [incontra] gli uomini nella diversità delle loro culture e li afferra nella singolarità della loro vita e della loro situazione esistenziale; l’incontro [implica] il libero assenso dell’uomo. Il Vangelo consiste nell’amore misericordioso di Dio, non è pensabile ridurlo ad “idea astratta” o a “dottrina”. Le formule [della dottrina] non possono rappresentare un pretesto per oscurare la verità del Vangelo della misericordia.  [Esse] sono vere nella loro finitudine e nel loro essere sempre necessariamente “figlie” di un determinato contesto. Sono perciò sempre definitive  e provvisorie  al tempo stesso. Non possono costituire un divieto allo sforzo di esprimere in altri modi quella medesima verità. [Altrimenti] si potrebbe arrivare alla situazione paradossale di sentire un linguaggio formalmente ortodosso che non indirizza al vero Vangelo di Cristo.

  «La predica cristiana - [sostiene il Papa] - trova nel cuore della cultura del popolo una fonte d’acqua viva, sia per sapere che cosa dire, sia per trovare il modo appropriato per dirlo».

  [Ad esempio], esiste un inequivocabile Vangelo della famiglia. Esso  è, però, tale, quando raggiunge le famiglie nelle loro concrete situazioni esistenziali. [È], per questo, indispensabile un costante discernimento e accompagnamento, affinché ciascuno sia aiutato a trovare il proprio modo di partecipare alla comunità ecclesiale. Nessuno può essere condannato per sempre - sostiene il Papa - perché questo non è la logica del Vangelo, riferendosi a tutti, in qualunque situazione si trovino.

  La misericordia è una meta da raggiungere e che richiede impegno e sacrificio, [Il Papa fa] una netta distinzione tra peccatori e  corrotti. Mentre i primi si sentono costantemente  bisognosi della Misericordia Divina e sanno di doversi percepire in cammino, in stato di costante conversione, i secondi si auto-giustificano ed arrivano a non avvertire nemmeno più il senso del peccato. La misericordia, pur essendo gratuita, va a buon fine laddove incontra degli uomini che, nella loro libertà, si lasciano toccare da Cristo e si convertono.

 Soltanto una Chies realmente evangelica può consentire al Vangelo di continuare la sua strada nel mondo. [E] il Vangelo della misericordia può continuare a toccare le donne e gli uomini solo attraverso il servizio della Chiesa. In quest’orizzonte si deve inquadrare la preoccupazione di Francesco per una riforma della Chiesa, per una Chiesa povera per i poveri, per una Chiesa misericordiosa. [La riforma] non si esaurisce nell’ennesimo paino per cambiare le strutture.  Solo una Chiesa povera e indirizzata  anzitutto ai poveri, agli emarginati, agli esclusi, agli scartati dalla società può farsi, infatti, trasparenza di quel Cristo  nel quale si condensa tutto il Vangelo di Dio. [Ciò era stato] già messo in evidenza nel fondamentale paragrafo 3 [ del n.8 della Costituzione dogmatica Luce per le genti - Lumen gentium]:

 

Come Cristo ha compiuto la redenzione attraverso la povertà e le persecuzioni, così pure la Chiesa e chiamata a prendere la stessa via per comunicare agli uomini i frutti della salvezza. Gesù Cristo « che era di condizione divina... spogliò se stesso, prendendo la condizione di schiavo » (Fil 2,6-7) e per noi « da ricco che era si fece povero » (2 Cor 8,9): così anche la Chiesa, quantunque per compiere la sua missione abbia bisogno di mezzi umani, non è costituita per cercare la gloria terrena, bensì per diffondere, anche col suo esempio, l'umiltà e l'abnegazione. Come Cristo infatti è stato inviato dal Padre « ad annunciare la buona novella ai poveri, a guarire quei che hanno il cuore contrito » (Lc 4,18), « a cercare e salvare ciò che era perduto» (Lc 19,10), così pure la Chiesa circonda d'affettuosa cura quanti sono afflitti dalla umana debolezza, anzi riconosce nei poveri e nei sofferenti l'immagine del suo fondatore, povero e sofferente, si fa premura di sollevarne la indigenza e in loro cerca di servire il Cristo. Ma mentre Cristo, « santo, innocente, immacolato » (Eb 7,26), non conobbe il peccato (cfr. 2 Cor 5,21) e venne solo allo scopo di espiare i peccati del popolo (cfr. Eb 2,17), la Chiesa, che comprende nel suo seno peccatori ed è perciò santa e insieme sempre bisognosa di purificazione, avanza continuamente per il cammino della penitenza e del rinnovamento. La Chiesa « prosegue il suo pellegrinaggio fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio » , annunziando la passione e la morte del Signore fino a che egli venga (cfr. 1 Cor 11,26). Dalla virtù del Signore risuscitato trae la forza per vincere con pazienza e amore le afflizioni e le difficoltà, che le vengono sia dal di dentro che dal di fuori, e per svelare in mezzo al mondo, con fedeltà, anche se non perfettamente, il mistero di lui, fino a che alla fine dei tempi esso sarà manifestato nella pienezza della luce.

 

 Non è certo casuale che il tema venga riproposto da un papa che proviene dall’America Latina e da una Chiesa che in questi decenni lo ha recepito e sviluppato.

 E’ per mezzo di una Chiesa misericordiosa che il Vangelo della misericordia può, infatti, raggiungere l’umanità di oggi, ridivenendo udibile e “sperimentabile” per le donne in carne ed ossa e dal di dentro delle loro situazioni di miseria e di peccato,

 Dice il Papa: “ Sì io credo che questo sia il tempo della misericordia. La Chiesa mostra il suo volto materno all’umanità ferita”.  [È] una delle metafore preferite da Francesco, per parlare della Chiesa: quella materna. Francesco ha espressamente riconosciuto  un debito teologico nei confronti del suo confratello gesuita Henri de Lubac [teologo francese 1896-1991] (in particolare per la sua opera Méditation sur l’Èglise - Meditazione sulla Chiesa9, per il quale tale immagine ha avuto un peso considerevole. L’immagine materna  è utile per dire come sia per mezzo della Chiesa che si viene generati, con il battesimo, alla via in Cristo; ed è solo per suo tramite che si viene raggiunti dal Vangelo.  Dal momento, poi, che il Vangelo è quello di un Dio che ha cuore per le miserie dell’umanità, tale maternità si esprime anche nell’agire misericordioso della Chiesa: dove per Chiesa si deve intendere la totalità dei cristiani.

 È attraverso i sacramenti, l’annuncio del Vangelo, l’esistenza stessa di tutti i cristiani, la loro compassione e il loro chinarsi sulle ferite dell’umanità, che il Vangelo continua ad essere udibile e vivo nel mondo. È, dunque, la maternità della Chiesa che consente di rimettere al centro la questione di Dio; non un “Dio qualunque”, ma il Dio che ha a cuore e si prende cura di un’umanità misera e peccatrica.

  Si tratta di una realtà di cui, nonostante le apparenze, l’umanità contemporanea ha, secondo il Papa, una sete infinita.

 

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Capitolo 2°

Il “santo popolo fedele di Dio”

 

  Se ci si domanda a chi si riferisca Francesco quando parla di Chiesa, la risposta appare nitida: al santo popolo di Dio.

  La categoria più importante con cui li [Concilio] Vaticano 2°  ha parlato della Chiesa è stata quella del popolo di Dio.

  Con l’intenzione di arginare un’interpretazione sociologica e democratizzante del popolo di Dio, il Sinodo dei Vescovi del 1985 affermò che idea centrale e fondamentale dei documenti conciliari  è stata l’ecclesiologia di comunione (1). [Ciò] servì a chiarificare che quanto sta a fondamento della Chiesa è la comunione con Dio.

  Uno degli effetti di questa nuova fase di recezione e di interpretazione  del Concilio fu, però, anche quello di far cadere il sospetto sulla categoria [di popolo di Dio], con il pericoloso conseguente di mettere in primo piano una visione di Chiesa nella quale l’idea di comunione può facilmente indurre o a una eccessiva spiritualizzazione o a un eccessivo giuridicismo.

 

L’immagine della Chiesa che mi piace - ha affermato - è quella del santo popolo fedele di Dio. Non c’è identità piena senza appartenere a un popolo. Nessuno si salva da solo, come individuo isolato. Il popolo  è soggetto. E la Chiesa è il popolo di Dio in cammino nella storia, con gioia e dolori.

[da A. Spadaro, Intervista a papa Francesco, pubblicata su Civiltà Cattolica, 19-8-2013]

 

  Nell’insegnamento di Francesco vengono nuovamente valorizzati, occorre menzionare, anzitutto il fatto che con la Chiesa si manifesta l’intenzione di Dio di salvare  gli uomini non individualmente  ma in quanto appartenenti al suo popolo.  In un mondo occidentale come quello contemporaneo, l’individuo si percepisce [invece] sganciato da ogni vincolo o legame e quale soggetto di diritti infiniti.

 Considerare la Chiesa quale popolo di Dio  permette, poi, di mettere maggiore evidenza la sua destinazione universale. Una delle preoccupazioni più vive di Francesco  è che la Chiesa rimanga aperta a tutti, che chiunque vi si possa sentire chiamato, che ciascuno vi si possa sentire a casa. Questa universalità [è] connessa con l’idea di una Chiesa misericordiosa, dove tutti possano trovare ospitalità. Esiste, infatti, un nesso intrinseco tra questa universalità e la misericordia - di Dio prima e della Chiesa di conseguenza - che permette di mettere in primo piano i più lontani, i poveri e i peccatori; soltanto quando siano raggiunti anche loro, si può realizzare una reale universalità; quest’ultima non si può mai costituire, al contrario, partendo dai “più vicini”.  Egli è il primo papa proveniente dall’America Latina e con lui le periferie  del sud del mondo vengono collocate al centro della Chiesa. L’America Latina è, infatti, «il subcontinente più diseguale e segnato dall’inequità - dice il teologo argentino Galli -, il che interpella la coscienza cristiana. In esso si sovrappongono la povertà e il cristianesimo: molti vivono la povertà a partire dalla propria fede e tutti dobbiamo vivere la fede per superare la povertà ingiusta. L’opzione per i poveri e la religione cattolica popolare segnano la fisionomia di una Chiesa dei poveri».

  L’aspetto inequivocabilmente più importane consegnato da un’ecclesiologia del popolo di Dio è, però quello della pari dignità e della corresponsabilità di tutti i cristiani. Il soggetto evangelizzatore non può essere solo qualcuno, ma tutti il popolo di Dio e, dunque, tutti i cristiani.

 Dice Francesco:

«Tutti facciamo il nostro ingresso nella Chiesa da laici. Il primo sacramento è il Battesimo. Ci fa bene ricordare che la Chiesa non è un’élite dei sacerdoti, dei consacrati, dei vescovi, ma che tutti formiamo il santo popolo fedele di Dio».

 Ciò non toglie né sminuisce, naturalmente, il senso e l’importanza dei ministri ordinati, [ma] essi sono dentro la Chiesa , a servizio del suo esistere: «Un pastore non si concepisce senza un gregge, che è chiamato a servire. Il pastore è pastore di un popolo, e il popolo lo serve dal di dentro».

  Francesco dichiara di apprezzare la «santità quotidiana» di questo popolo, quella riscontrabile in ogni soggetto ecclesiale in qualunque situazione di vita. Dalla visione della Chiesa quale popolo di Dio, Francesco [desume] una concezione “popolare” della Chiesa, per la quale la voce e l’apporto di ciascuno sono realmente indispensabili e nessun gruppo - né di chierici, né di laici -  può avanzare la pretesa di essere tutto o di sostituire gli altri. Tale prospettiva si traduce nella visione di un popolo di Dio che è tale in forza di legami tra i cristiani, come qualcosa di dato e al tempo stesso di perseguito, nella forza dello Spirito Santo.  Il Papa rintraccia nella fraternità mistica  la vera medicina contro la malattia dell’individualismo:

«dal momento che il modo di relazionarci con gli altri, che realmente ci risana invece di farci ammalare, è una fraternità mistica, contemplativa, che sa guardare  alla grandezza sacra del prossimo, che sa scoprire Dio in ogni essere umano, che sa sopportare le molestie del vivere insieme aggrappandosi all’amore di Dio, che sa aprire il cuore all’amore divino per cercare la felicità degli altri come la cerca il loro Padre buono».

 

note:

(1) Assemblea straordinaria del Sinodo dei Vescovi del dicembre 1985 sul tema "20° anniversario della conclusione del Concilio Vaticano II".

********Osservazioni mie**********

 

  Un teologo si interesserà a rintracciare le vicende storiche della teologia del popolo di Dio per cercare di fondarle rigorosamente nelle origini. Una persona che voglia semplicemente rendere ragione della propria fede, una volta acquisita consapevolezza dei riferimenti alle Scritture di tale pensiero, noterà i suoi elementi pratici di novità rispetto ad un’immagine di Chiesa che è ancora piuttosto radicata nella gente, quella che la presenta essenzialmente come gente radunata intorno ai chierici e ai religiosi consacrati, Papa e vescovi innanzi a tutti, gli elementi veramente caratterizzanti. Sempre nell’esperienza pratica si renderà conto della difficoltà di costruire una Chiesa di popolo sfrondata di tutti gli elementi culturali che di solito definiscono dal punto di vista antropologico e sociologico il popolo, salvo che di quello di origine teologica individuato nella misericordia reciproca. Un’unità  di popolo di tipo spirituale, mistica, quindi,  mentre solitamente ci si riconosce in un popolo in base alla condivisione di una certa cultura storicamente data. Ma la visione universalistica del popolo di Dio, destinato a comprendere nell’unità misericordiosa tutti i popoli della Terra, porta anche a superare, relativizzandole, anche se non annullandole, tutte le culture che caratterizzano quei popoli. E ciò mentre la  religione popolare, quella ad esempio centrata su certi santuari e feste locali, è fortemente legata a specifici elementi culturali locali, spesso con una storia di commistioni tra elementi religiosi e non e tra elementi religiosi di diversa origine, anche non cristiana. Tra questi, i nazionalismi, legati all’idea di popolo come nazione, che si è sviluppata a partire dall’Europa solo alla fine del Settecento.]

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 Il popolo di Dio è[…] immerso nella storia: da ciò e dal fatto di essere universale consegue che esso non possa venir pensato al margine dei diversi popoli che abitano la terra e delle loro culture.

 […]

 La Chiesa non si può esaurire evidentemente nei popoli e nelle loro culture; ciò nondimeno, essa non può neppure esistere se non inculturata al loro interno e in esse.

[…]

 Il Vaticano 2° è stato […] l’espressione di una Chiesa desiderosa di entrare finalmente in dialogo con la cultura moderna, rispetto alla quale si erano da secoli create abissali distanze. […] La fedeltà al Concilio [passa] perciò anche per una Chiesa capace di inculturarsi e di inculturare il Vangelo di cui vive nei diversi popoli e nelle loro culture.

[…]

  Senza alcun dubbio tale “compito”, all’indomani del Concilio, è stato assunto con generosità e creatività dalle Chiese latino-americane e, in un modo peculiare, dalla Chiesa argentina. Ciò ha dato vita anche al rinnovamento teologico avutosi con la cosiddetta teologia della liberazione e con la versione tipicamente argentina di tale teologia, denominata “teologia del popolo”. […] Essa si caratterizza per il fatto di considerare il popolo alla luce della sua unità  e interpreta, pertanto, l’ingiustizia sociale come anti-popolo, […] non come classe oppressa dal sistema capitalista, ma in una prospettiva socio-culturale, quale soggetto di una storia e di una cultura comune; ed è ritenuto portatore di una propria cultura, intesa come “stile di vita comune di un popolo”.[…] In questa prospettiva teologica, il popolo di Dio […] è l’unico popolo di Dio, che esiste però concretamente come abitato dalla pluralità dei popoli e delle culture in cui vive.

«Questo popolo di Dio – dice infatti Francesco -  si incarna nei popoli della Terra, ciascuno dei quali ha la propria cultura. La nozione di cultura è uno strumento prezioso per comprendere le diverse espressioni della vita cristiana presenti nel popolo di Dio. Si tratta dello stile di vita di una determinata società, del modo peculiare che hanno i suoi membri di relazionarsi tra loro, con le altre culture e con Dio. Intesa così, la cultura comprende la totalità della vita di un popolo.» [dall’esortazione apostolica La gioia del Vangelo (2013)

[…]

L’evangelizzazione [comporta] che si incida e si trasfigurino  le culture. […] La visione di un popolo di Dio che vive nei diversi popoli comporta, però, che non vi sia una cultura dentro cui si possa  pensare di esaurire la Chiesa.

[…]

 Una tale prospettiva ecclesiologica […] risulta difatto critica rispetto ad una visione che non implichi una reale pluralità e con la quale si finisce, inesorabilmente, con il sacralizzare e con l’estendere a tutti i popoli una unica cultura.

[Questa] teologia [comporta e invoca] una riforma strutturale della [Chiesa], che preveda un reale superamento del centralismo e favorisca, di conseguenza, una effettiva decentralizzazione.

[…]

Dice […] il Papa:

«in tutti i battezzati, dal primo all’ultimo, opera la forza santificatrice dello Spirito che spinge ad evangelizzare. Il popolo di Dio è santo in ragione di questa unzione che lo rende infallibile “in credendo”  [=nel credere].Questo significa che quando crede non si sbaglia, anche se non trova parole per esprimere la sua fede.»

 […]

  La teologia argentina ha […] interpretato la pietà popolare come espressione del sensum fidei fidelium [=il senso della fede dei fedeli]. […] La pietà popolare deve essere vista, per Francesco, «come spiritualità incarnata nel cuore dei semplici». [dall’esortazione apostolica La gioia del Vangelo,  n.124. […] Nella pietà popolare è in rilievo  più lo slancio personale con cui i credenti, specie i più poveri si abbandonano  filialmente a Dio, che non conoscenza credente di Dio e del suo piano salvifico.

[…]

  La pietà popolare [è] vista da Francesco anche  come espressione dell’attività evangelizzatrice  di tutti, a cominciare dai più semplici e più poveri. Essa è uno dei modi attraverso cui i poveri non sono solo destinatari del’attenzione ecclesiale, ma protagonisti della sua menzione.

[…]

 La pietà popolare  può essere anche ciò che rimane di un mondo assoggettato ad una logica strumentale ed una “via di fuga” rispetto ad esso. E’ pertanto evidente, che in tale contesto la pietà popolare più che l’espressione di una fede inculturata potrebbe essere l’espressione di una fede marginalizzata.

 

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Capitolo 3°

Chiesa estroversa

Una Chiesa che esiste per gli altri

 

  Il cuore della proposta ecclesiologia di Francesco [è] la sua visione di una Chiesa in uscita  missionaria.

  A dispetto di una visione  di Chiesa che poteva ritenere la missione come qualcosa di già realizzato, l’ultimo Concilio [Il Concilio Vaticano 2° - 1962/1965] [ha] offerto una lettura chiaramente rinnovata, richiamando anzitutto come la Chiesa -il concreto popolo di Dio- sia essa stessa il frutto della missione divina. La Chiesa  rappresenta l’incipiente  [=che si trova nella prima fase di sviluppo] unificazione dell’umanità. La fedeltà a tale origine non [può] che comportare, per la Chiesa, il suo essere strutturalmente missionaria.

  [Nei] Paesi di antica cristianità, si intravvedeva la necessità di ri-evangelizzare  categorie di persone per le quali la Chiesa stava diventando sempre più estranea, una «rilettura del Vangelo alla luce della cultura contemporanea» [da Intervista a papa Francesco, di A.Spadaro]:

«Il Vaticano 2° è stato una rilettura del Vangelo alla luce della cultura contemporanea. Ha prodotto un movimento di rinnovamento che semplicemente viene dallo stesso Vangelo. I frutti sono enormi. Basta ricordare la liturgia. Il lavoro della riforma liturgica è stato un servizio al popolo come rilettura del Vangelo a partire da una situazione storica concreta. Sì, ci sono linee di ermeneutica di continuità e di discontinuità, tuttavia una cosa è chiara: la dinamica di lettura del Vangelo attualizzata nell’oggi che è stata propria del concilio è assolutamente irreversibile.»

[da Intervista a papa Francesco, di A.Spadaro, del 19 agosto 2013 che può essere letta sul Web, alla pagina:

 

http://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2013/september/documents/papa-francesco_20130921_intervista-spadaro.html

 

 [E ciò per capire che] l’unica missione [universale] si [realizza] in modi diversi nei diversi contesti socio-antropologici.

  [A questo proposito] merita una particolare menzione [esortazione apostolica] Evangelii nuntiandi [L’impegno di annunziare il Vangelo - 1975] di Paolo 6°, a motivo che ebbe nella Chiesa latino-americana e della  forte rilevanza  nel pensiero di Jorge Bergoglio. In America Latina  il tema è stato poi approfondito e contestualizzato, come mostra una lettura del documento di Aparecida [approvato al termine della Conferenza generale del CELAM  - Consiglio episcopale Latino Americano, svoltasi ad Aparecida (San Paolo - Brasile) nel 2007], alla cui elaborazione  contribuì in modo determinante Bergogio e che, oggi confluisce nel magistero papale di Francesco.

 E’ particolarmente pregnante, in tal senso, quanto Francesco afferma agli inizi del primo capitolo [dell’esortazione apostolica] Evangelii gaudium [=La gioia del Vangelo - 2013]. Dice:

«La comunità evangelizzatrice sperimenta che il Signore ha preso l’iniziativa, l’ha presieduta nell’amore (si legga 1 Gv 4,10), e, per questo essa sa fare il primo passo, sa prendere l’iniziativa senza paura, andare incontro, cercare i lontani e arrivare agli incroci delle strade per invitare gli esclusi. Vive un desiderio inesauribile di offrire misericordia, frutto dell’aver sperimentato l’infinita misericordia del Padre e la sua forza di diffusione».

  Ad essere missionario non è un qualche soggetto ecclesiale, ma l’intera comunità, detta appunto «comunità evangelizzante». E’, evidentemente, un aspetto connesso all’idea che la Chiesa sia popolo di Dio. In tale orizzonte non si può ritenere che l’evangelizzazione riguardi solo qualcuno. Non diciamo più che siamo “discepoli” e “missionari”, ma che siamo sempre “discepoli-missionari”.

  L’evangelizzazione non [può] risolversi in un mero [=solo in un] annuncio verbale. Evangelizzazione e promozione umana se sono, infatti, distinte, non possono essere viste come separate.

  Basandosi sul magistero del suo predecessore, Francesco invita perciò a considerare come la carità non sia estranea all’opera di evangelizzazione della Chiesa. «Dal cuore del Vangelo - dice- riconosciamo l’intima connessione tra evangelizzazione e promozione umana, che deve chiaramente esprimersi e svilupparsi in tutta l’opera evangelizzatrice» [esort.apost. La gioia del Vangelo n.178].

  Il dovere che la Chiesa ha di chinarsi su tutte le ferite dell’umanità e di operare perché nessuno  possa risultare uno scarto non le deriva da qualche forma di neutrale filantropia: è esigenza del Vangelo della misericordia, che è chiamata ad annunciare.

 [L’annuncio] non può essere ridotto all’individuale rapporto del singolo con Dio o a qualcosa che rimandi ad un aldilà che nulla avrebbe a che fare con l’aldiqua di una vita, spesso misera, degli uomini. Il Vangelo implica il regnare di Dio nel mondo, permettendo così che la vita sociale diventi «uno spazio di fraternità, di giustizia, di pace, di dignità pe tutti»[esort.apost. La gioia del Vangelo n.180]. [Papa Francesco prende] le distanze  da una visione del cristianesimo che lo concepisca come religione che si occupa  della sfera intima delle persone, senza coinvolgere  un impegno attivo e trasfigurante della società umana e di tutte le sue istituzioni.

 Una Chiesa [così,] in uscita missionaria, comporta però una conversione pastorale[,per farne] un soggetto collettivo strutturalmente dinamico. Ora non ci serve una “semplice amministrazione”.

 Sono diversi gli aspetti che si potrebbero approfondire. Se ne segnalano quattro , particolarmente urgenti: la ristrutturazione delle comunità cristiane sulla base della necessità di annunciare il Vangelo a quanti non lo conoscono o ne hanno una percezione errata; la costituzione di luoghi di autentica fraternità; la scelta preferenziale dei giovani; il coinvolgimento reale e responsabile dei cristiani laici.

 Troppo spesso le comunità cristiane  formatesi in regime di cristianità [sono] ancora strutturate secondo l’ipotesi che tutti siano “normalmente cristiani”, che la fede venga trasmessa nelle famiglie di provenienza, che la vita cristiana  possa contare sull’appoggio di un contesto sociale che ne trasmette i valori. Molte delle energie sono, perciò, spese per mantenere lo status quo [=l’ordine sociale vigente], e restano, per conseguenza, poche risorse per annunciare il Vangelo a chi non ne ha ricevuto  l’annunzio o a quanti, per diversi motivi, hanno una percezione distorta del Vangelo.

 C’è l’esigenza che le comunità cristiane siano luoghi in cui i cristiani possano confrontare la loro fede. E’ più necessario che mai  poter confrontare  la propria fede  con i compagni di credenza; così come risulta  indispensabile, a partire da qui, vivere esperienze di autentica fraternità cristiana.

 [Un’autentica scelta preferenziale per i giovani dovrebbe condure, poi,  a non considerare] la condizione giovanile come una sorte di “malattia”, [cercando di raggiungere i giovani] con eventi che distolgano dall’impegno di formare delle coscienze, dal prendersi cura di una crescita e dal fare in modo che, nello Spirito, Cristo raggiunga dei cuori e illumini dei volti.

 Una conversione pastorale [deve] passare anche e soprattutto per una de-clericalizzazione della Chiesa, che comporti il riconoscimento effettivo dell’imprescindibile contributo di tutti i cristiani, anzitutto ovviamente dei cristiani laici.

  Francesco insiste sull’importanza di recuperare il senso e la prassi di un protagonismo dei laici, [i quali] sono semplicemente l’immensa maggioranza del Popolo di Dio. Al loro servizio c’è una minoranza: i ministri ordinati. Ha detto Francesco: «Ricordo ora la famosa frase “E’ l’ora dei laici”, ma sembra che l’orologio si sia fermato» [da: papa Francesco, Il santo popolo fedele di Dio, articolo in Il Regno - doc 2016/7]. Non si può pensare che esista una Chiesa ab intra [per le azioni interne], appannaggio dei chierici, ed una chiesa ab extra [per ciò che si fa nella società civile], appannaggio dei laici. Tutti sono ugualmente appartenenti al popolo di Dio e responsabili della sua missione. La Chiesa  [esiste anche] per gli altri: missionaria [e] chiamata ad abitare e trasfigurare la realtà di questo mondo. Secondo Francesco [ciò che ha bloccato il protagonismo dei laici] è il fatto di non essere stati formati a dovere, il fatto di non aver trovato spazi nelle Chiese particolari, ma anche il fatto di essere stati chiamati ad assumere spesso compiti intraecclesiali, a discapiti di un impegno di evangelizzazione all’interno  delle diverse realtà del mondo.  La Chiesa è già in uscita laddove esistono laiche e laici che vivono e trasmettono il Vangelo nel mondo.  La Chiesa esiste non soltanto nel momento del suo raccogliersi, ma anche laddove, specie per la presenza di cristiani laici, vive nelle realtà di questo mondo.

  L’annuncio del Vangelo della misericordia avviene sempre nell’incontro interpersonale. Esso implica una relazione e un autentico incontro tra chi dona e chi lo riceve. Ed è in questo orizzonte che occorre leggere anche lo stile di insegnamento assunto dallo stesso Francesco, attraverso un evidente mutamento del linguaggio magisteriale che[, per il Papa deve] essere normalmente un linguaggio pastorale, in quanto è finalizzato all’evangelizzazione [il suo intento non è anzitutto quello di formulare una dottrina, ma di guidare  persone all’accogliere il Vangelo nelle loro specifiche situazioni di vita].

  Sembra di dover leggere in questi termini la grande rilevanza data da Francesco all’omelia, quale strumento normale con cui esercitare il suo personale magistero di vescovo di Roma. L’omelia è una forma di comunicazione  viva, dove sono coinvolte persone reali e nella quale è fondamentale il rapporto che si crea tra chi parla e chi ascolta.

  Poiché, però, le persone non esistono al di fuori di una cultura, la missione della Chiesa implica sempre, per Francesco, una inculturazione ed una evangelizzazione delle culture.  E’ singolare come questa venga interpretata dal Papa attraverso la categoria dell’accoglienza; quasi che evangelizzare  comporti, per la Chiesa, l’ospitalità in sé di alcune sue dimensioni.

  Può essere utile segnalare tre orizzonti di conversione.

  Il primo concerne la necessità di passare da una Chiesa che poteva far conto su un “cristianesimo di massa” ad una Chiesa che si strutturi sapendo che il Vangelo non può che essere trasmesso da persona a persona.

 Il secondo riguarda l’importanza che, in questo orizzonte, viene ad avere la teologia. Senza una reale valorizzazione del lavoro teologico, difficilmente la Chiesa sarà capace di rendere udibile e di inculturare il Vangelo entro la cultura tardo-moderna o post-moderna.

 Infine il compito di evangelizzare la cultura comporta per delle Chiese che abitano società come quella occidentali, generalmente democratiche, l’assunzione di una capacità di abitare lo spazio pubblico, senza più contare su una posizione di forza e di potere, e senza, tuttavia, abdicare al compito di  offrire la forza trasfigurante del Vangelo per la realizzazione di una società più giusta e fraterna. Per farlo, i cristiani dovranno essere capaci di mostrare, nei discorsi pubblici, la forza umanizzante dei de valori evangelici; ed essere pronti ad operare - nel normale “gioco  democratico” - per convincere dell’impatto umanizzante di tali valori anche quanti cristiani non sono.

 La Chiesa [infine] non potrebbe  annunciare il Vangelo della misericordia che la fa esister senza denunciare, al contempo, quegli idoli che pretendono di prendere il posto di Dio, finendo per disumanizzare e disintegrare la terra. E’ quanto il Papa mette in luce a proposito dell’idolatria del denaro sottesa a certo liberismo economico, che dà vita ad una economia ingiusta, che disumanizza tanto chi ne è vittima quanto chi la prodice.

  Francesco mette in rilievo la portata ugualmente anti-evangelica e disumanizzante del  relativismo pratico.

 

«[…] la cultura del relativismo è la stessa patologia che spinge una persona ad approfittare di un’altra e a trattarla come un mero oggetto, obbligandola a lavori forzati, o riducendola in schiavità  a causa di un debito. » [dall’enciclicica Laudato si’, del 2015].

 

 La Chiesa dovrà essere  voce profetica, tanto rispetto al relativismo teorico, quanto rispetto a quello pratico. Essa esprimerà così quella “riserva critica” anche nei confronti del mondo postmoderno e globalizzato che deve rappresentare rispetto a qualsivoglia cultura.  Il relativismo pratico  può insinuarsi  anche in quei cristiani la cui dottrina è inoppugnabile, anche costoro possono infatti vivere come se Dio non esistesse o decidere come se i poveri non ci fossero. E’, dunque, possibile essere cristiani, professare una dottrina e idee spirituali corrette e, tuttavia, incorrere in tale relativismo. Papa Francesco lo reputa ancora più pericoloso di quello dottrinale: esso appare, infatti, come una minaccia subdola, che può far sì che la comunità dei credenti in Cristo parli del Vangelo, senza essere evangelica. E per questo la conversione è, per la Chiesa, un compito costante e mai concluso; così come indispensabile è la sua riforma.

      

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Capitolo 4°

La necessaria riforma

   I testi [del Concilio Vaticano 2° (1962/1965)] non [sono] sempre così univoci  nel prospettare una trasformazione della Chiesa. La riforma di importanti istituzioni ecclesiali che molto si aspettavano all’indomani del Concilio non [è] sempre stata attuata.

  Per Francesco una riforma della Chiesa è necessaria affinché la Chiesa rimanga sempre evangelica e trasparente al Dio misericordioso che la abita e la fa esistere. La riforma, proprio per questo, [è] intimamente connessa all’idea di una Chiesa in uscita missionaria. La Chiesa, infatti, avverte il dovere di  uscire e di far incontrare tutti con il Dio misericordioso comunicatosi in modo ultimo in Cristo e nel dono  del suo Spirito.

  Non ci si deve aspettare dal Papa un programma di riforma sistematico e offerto in modo organico. Al contempo, [per Francesco], non si tratta di occupare spazi ma di avviare processi.

  Proprio per questo, risulta forse impossibile e addirittura insensato delineare un quadro preciso delle riforma che si dovrebbero attuare.  Farlo significherebbe  in fondo smentire  alcuni capisaldi della visione di Francesco: che la Chiesa sia un soggetto dinamico guidato dalla presenza viva dello Spirito di Cristo; il fatto che tutti i cristiani siano soggetti vivi e attivi nella Chiesa; che le Chiese locali  non  siano dipartimenti amministrativi, ma Chiese con una loro soggettualità.

 Ciò nondimeno  si possono evidenziare  alcune fondamentali linee di riforma nell’insegnamento di Francesco. Concernono la sinodalità della Chiesa, l’importanza di una collegialità intermedia, il papato e la realtà del Sinodo dei vescovi.

 Con il papato di Francesco, il tema ecclesiologico della sinodalità [è] tornato prepotentemente alla ribalta. Esso non è stato esplicitamente tematizzato dal Vaticano 2°: nella visione ecclesiologica del popolo di Dio e nella conseguente  concezione del [senso della fede - sensus fidei] [nota mia: =la facoltà per cui il popolo di Dio, guidato dallo Spirito, intuirebbe la verità e sarebbe preservato dall’errore in materia di fede - vedi anche, sotto, la nota 1] vi erano, però, le premesse per il suo sviluppo.

 Per il Papa, la strada della sinodalità [è] da percorrere in quanto è quella che permette in questo nostro mondo, di attivare sinergie in vista della missione della Chiesa. Il Papa ha infeatti parlato della sinodalità come dimensione costitutiva della Chiesa. [Infatti] la Chiesa non è altro che il camminare insieme [la parola del greco antico da cui deriva il termine italiano sinodo è composta da altri due termini che appunto richiamano l’idea del camminare insieme] del Gregge di Dio sui sentieri della storia incontro a Cristo Signore. Il fondamento di ciò è da rintracciarsi proprio nel fatto che la Chiesa è il popolo di Dio.

  All’interno della Chiesa nessuno può essere collocato al di sopra degli altri.  Chi assume al suo interno il ministero è posto piuttosto al servizio degli altri.

 Affinché sia realmente percepito il [senso della fede - sensus fidei] [vedi sotto la nota 1] vi è - secondo il Papa - la necessità di un ascolto, che investe la Chiesa a tutti i livelli e in tutti i soggetti. Una Chiesa sinodale - dice infatti Francesco - è una Chiesa dell’ascolto.

 Un tale discorso concerne la questione della riforma, proprio perché obbliga a chiedersi dove si dia la Chiesa.

 Si sa come al Vaticano 2° ci sia dato un evidente ripristino della visione  secondo cui quelle locali sono realmente Chiese e della prospettiva che vede la Chiesa quale comunione di Chiese - communio Ecclesiarum. [Ma] il collegio dei vescovi è visto ancora come realtà in parte slegata dalla comunione delle Chiese. Francesco pare orientarsi con decisione verso la concezione per cui non si possa intendere l’universalità della Chiesa come realtà previa all’esistenza delle Chiese locali. [Il Papa parla] della Chiesa locale non quale parte, bensì come porzione della Chiesa. [Per questo] Francesco [ha] chiesto che si aprisse  una porta senta in ogni Chiesa particolare e che la prima porta fosse aperta in Africa. Si tratta infatti di segni concreti con cui si dice che le Chiese locali  non sono parti o distretti di una Chiesa universale, da pensarsi astrattamene come realtà previa al  loro esistere: esse sono, piuttosto, la Chiesa in  quanto esiste in un determinato “luogo” così come emerge dalle lettere [di san Paolo].

  Poiché c’è un recupero della piena consistenza  delle Chiese locali, si comprende perché, per il Papa, la sinodalità debba anzitutto realizzarsi proprio a quel livello e comporti una necessaria riforma degli organismi di partecipazione, il Consiglio presbiterale, il Collegio dei Consultori, il Capitolo dei canonici e il Consiglio pastorale. Le parole del Papa mostrano  la coscienza, comune a molti oggi, che tali istituti  abbiano spesso attraversato una crisi e debbano essere rivitalizzati. [Per il Papa] tali organismi di partecipazione non debbano essere solo luoghi  di organizzazione delle attività [all’interno], in quanto  debbono partire dai problemi di ogni giorno che la gente vive; e non debbono risolversi solo in luoghi di ascolto, ma anche di condivisione.

  La sinodalità [deve] allargarsi ad altri livelli e [deve] coinvolgersi i vescovi che presiedono le Chiese e debbono rappresentarle. Si tratta, in questo caso, di ciò che va sotto il nome di collegialità episcopale. Proprio a tal riguardo e, specificamente, a livello di quanto viene espresso in termini di collegialità intermedia, [vale a dire un effettivo  esercizio di collegialità episcopale anche nel caso di Conferenze episcopali nelle quali partecipano solo i vescovi di un determinato territorio], pare di percepire le principali istanze di riforma da parte di papa Francesco.  Vi sono stati quanti hanno invece ritenuto  che un effettivo esercizio di collegialità si avrebbe solo con la partecipazione di tutti i vescovi: negli altri casi  si esprimerebbe solo  una collegialità affettiva. Da una tale prospettiva si avrebbe - [a parte il concilio come fatto eccezionale]- il governo del papa, per quel che concerne la Chiesa universale, e quello di ogni singolo vescovo, per quel che attiene alla Chiesa locale. Oltre a dover rimarcare  come una tale visione contraddica la prassi della Chiesa antica, è bene rilevare come essa  sarebbe assai poco funzionale ad una Chiesa missionaria, che necessita di istanze intermedie per prendere  delle decisioni che possano favorire l’annuncio evangelico in Chiese che vivono in culture anche sensibilmente diverse tra loro.  Papa Francesco sembra andare decisamente nella linea di una decentralizzazione e, dunque, di una valorizzazione effettiva delle istanze di collegialità intermedia. Ciò richiede, evidentemente, che il discernimento e le decisioni vengano assunte  dagli episcopati locali e non siano demandati a Roma. Nell’ottica di una Chiesa in uscita missionaria, infatti, una centralizzazione    è di ostacolo invece che essere di aiuto.

 Sin dall’inizio [papa Francesco] non ha citato soltanto i suoi predecessori, ma diversi interventi di differenti Conferenze episcopali: ha così mostrato di riconoscere un loro reale magistero. Con ciò, come è chiaro, [egli ha] rimesso in primo piano l’impellenza di un ripensamento del papato.

 

   La necessità di realizzare una riforma che coinvolga lo stesso papato [non è] totalmente nuova, né sul piano teologico né su quello magisteriale. E’ doveroso ricordare  il desiderio espresso da Giovanni Paolo 2° [nell’enciclica del 1995] Perché siano una cosa sola - Ut unum sint, ai n.95-96,  di instaurare  un dialogo fraterno con i responsabili delle Chiese e i loro teologi al fine di rintracciare una modalità di esercizio del primato [del Papa] che, senza rinunciare all’essenziale della sua missione, si apra però a una situazione nuova.

  Papa Francesco si muove  sulla stessa sca. Può essere sintomatico di ciò il fatto che sin dalla prima sera della sua elezione si sia presentato alla Chiesa con il titolo di vescovo di Roma e che spesso abbia continuato a presentarsi cisì. In quest anni, con i suo gesti e la sua maniera di porsi [ha] operato in direzione di una evidente desacralizzazione del suo ruolo. E’ lui stesso ad aver  esplicitamente dichiarato di prendere in seria considerazione  una riforma del papato, nell’orizzonte di una Chiesa in uscita missionaria.

 [In particolare] Francesco ha mostrato l’intenzione di apportare reali cambiamenti alla cura romana, affinché non sovrasti né i singoli vescovi né le conferenze episcopali, ma sia piuttosto di aiuto al papa e ad essi.

  In relazione ad un’effettiva riforma del papato, uno degli istituti fondamentali che domanda anch’esso di essere riformato è quello del Sinodo dei Vescovi. [Papa Francesco] ha agito affinché il Sinodo venisse sempre meglio incastonato nell’alveo di un più ampio processo sinodale, [perché] ferma restando la natura di un Sinodo dei vescovi, venga realmente coinvolto l’intero popolo di Dio e siano anzitutto resi responsabili quei cristiani più direttamente coinvolti nel tema di volta in volta trattato. Francesco ne ha parlato come espressione della collegialità episcopale la quale può diventare in alcune circostanze effettiva, congiungendo i vescovi tra loro e con il Papa nella sollecitudine del Popolo di Dio. [Quindi] una collegialità episcopale nella quale i vescovi, con e sotto il Papa, eserciterebbero una responsabilità di governo nella Chiesa universale.

EPILOGO

Coinvolgersi nel sogno per rimanere fedeli al Vangelo

 

[Nella visione del Papa] la Chiesa  appare come il santo popolo fedele di Dio, la cui perenne ed inesauribile sorgente è il Vangelo della misericordia, che ha il suo centro in Cristo e rimane vivo nello Spirito. Da ciò deriva che il Vangelo debba raggiungere le persone nella loro unicità, nella loro libertà e all’interno di una determinata cultura, il fatto che il  popolo di Dio sia dinamico e formato  da cristiani dotati di pari dignità e corresponsabile, il fatto che si tratti di un popolo che vive nei diversi popoli della Terra, il fatto che risulti fondamentale il [senso della fede -] sensus fidei [vedi sotto la nota 1]  che si esprime nel popolo, al di là della capacità di concettualizzare la fede che i cristiani possiedono e che giustifica una rinnovata attenzione alla dimensione sinodale della Chiesa, il fatto che questa popolarità della Chiesa non possa in alcun modo confondersi con alcun genere di populismo.

[L’annuncio del Vangelo della misericordia implica] il superamento di ogni possibile separazione con la carità e la promozione umana.

 Per Francesco una Chiesa missionaria [è] una Chiesa profetica. Essa è chiamata a denunciare ogni genere di idolatria; costituendo così una istanza critica, non solo verso il relativismo dottrinale, ma anche al relativismo pratico che può insinuarsi persino al suo interno. [Vi è ] la necessità di una costante conversione della Chiesa.

  La riforma [deve] essere orientata ad una decisa decentralizzazione della Chiesa, nel reale superamento di una visione universalistica della stessa. Essa deve conferire centralità e soggettualità alle Chiese locali, valore alla collegialità episcopale intermedia e portare ad una nuova interpretazione del senso del Sinodo dei vescovi e del servizio del papato, che renda possibile una maggiore collegialità nel governo della Chiesa.

 [Si tratta di un sogno che] domanda l’adesione reale e indifesa di tutte la Chiese e di tutti i cristiani; chiede, cioè, di essere un sogno condiviso.

   Un’autentica  riforma [chiede] di recepire in modo creativo  la svolta conciliare, concentrandosi in particolare  sul livello delle Chiese locali: nel superamento  di una visione monarchica  del ministero del vescovo come di quello dei preti, nel recupero della realtà del presbiterio e della novità del ministero  dei diaconi, nel ripensamento degli organismi di partecipazione, affinché sia davvero intercettato il ]senso della fede -] sensus fidei [vedi sotto la nota 1], vi sia la valorizzazione dei diversi carismi e si attui un’autentica corresponsabilità; in una nuova valorizzazione del Sinodo diocesano, dove ministri ordinati e laici si trovano insieme, pur nella differenza dei ruoli, ad assumere la responsabilità delle scelte pastorali fondamentali della Chiesa cui appartengono.

 

Nota 1: spiegazione del significato teologico dell’espressione sensus fidei -  senso della fede

 

dalla Costituzione dogmatica sulla Chiesa     Luce per le genti -Lumen gentium, deliberata durante il Concilio Vaticano 2° (1962/1965)

 

Il senso della fede e i carismi nel popolo di Dio

12. Il popolo santo di Dio partecipa pure dell'ufficio profetico di Cristo col diffondere dovunque la viva testimonianza di lui, soprattutto per mezzo di una vita di fede e di carità, e coll'offrire a Dio un sacrificio di lode, cioè frutto di labbra acclamanti al nome suo (cfr. Eb 13,15). La totalità dei fedeli, avendo l'unzione che viene dal Santo, (cfr. 1 Gv 2,20 e 27), non può sbagliarsi nel credere, e manifesta questa sua proprietà mediante il senso soprannaturale della fede di tutto il popolo, quando « dai vescovi fino agli ultimi fedeli laici » mostra l'universale suo consenso in cose di fede e di morale. E invero, per quel senso della fede, che è suscitato e sorretto dallo Spirito di verità, e sotto la guida del sacro magistero, il quale permette, se gli si obbedisce fedelmente, di ricevere non più una parola umana, ma veramente la parola di Dio (cfr. 1 Ts 2,13), il popolo di Dio aderisce indefettibilmente alla fede trasmessa ai santi una volta per tutte (cfr. Gdc 3), con retto giudizio penetra in essa più a fondo e più pienamente l'applica nella vita.