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Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

Dall’anno associativo 2020/2021 il gruppo di AC di San Clemente Papa si riunisce abitualmente il secondo, il terzo e il quarto sabato del mese alle 17 e anima la Messa domenicale delle 9. Durante la pandemia da Covid 19 ci siamo riuniti in videoconferenza Google Meet. Anche dopo che la situazione sanitaria sarà tornata alla normalità, organizzeremo riunioni dedicate a temi specifici e aperte ai non soci con questa modalità.

Per partecipare alle riunioni del gruppo on line con Google Meet, inviare, dopo la convocazione della riunione di cui verrà data notizia sul blog, una email a mario.ardigo@acsanclemente.net comunicando come ci si chiama, la email con cui si vuole partecipare, il nome e la città della propria parrocchia e i temi di interesse. Via email vi saranno confermati la data e l’ora della riunione e vi verrà inviato il codice di accesso. Dopo ogni riunione, i dati delle persone non iscritte verranno cancellati e dovranno essere inviati nuovamente per partecipare alla riunione successiva.

La riunione Meet sarà attivata cinque minuti prima dell’orario fissato per il suo inizio.

Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

NOTA IMPORTANTE / IMPORTANT NOTE

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Il sito della parrocchia:

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giovedì 21 febbraio 2019

Bene pubblico e bene comune -13 - Public good and common good - 13 -


Bene pubblico e bene comune  -13 - 

  L’enciclica Laudato si’ - Praise be to you, diffusa nel 2015 sotto l’autorità del papa Jorge Mario Bergoglio - Francesco è il documento più avanzato della dottrina sociale cattolica e ne rappresenta una metamorfosi molto significativa, costruita culturalmente sulla base dell’esperienza e dei contributi di molte scienze particolari, sia della natura che della società. Come ha chiarito il Papa, è un lavoro collettivo, in cui è sicuramente evidente il suo pensiero, ma anche quello di molti altri, compreso quello espresso da varie assemblee di vescovi nel mondo.
 La novità più importante è di presentare il problema dell’organizzazione sociale come una questione di sistema  cruciale per la sopravvivenza del genere umano. Propone quindi una ecologia integrale, non intesa solo come disciplina scientifica, ma come orientamento politico:

«137. Dal momento che tutto è intimamente relazionato e che gli attuali problemi richiedono uno sguardo che tenga conto di tutti gli aspetti della crisi mondiale, propongo di soffermarci adesso a riflettere sui diversi elementi di una ecologia integrale, che comprenda chiaramente le dimensioni umane e sociali.
138. L’ecologia studia le relazioni tra gli organismi viventi e l’ambiente in cui si sviluppano. Essa esige anche di fermarsi a pensare e a discutere sulle condizioni di vita e di sopravvivenza di una società, con l’onestà di mettere in dubbio modelli di sviluppo, produzione e consumo. Non è superfluo insistere ulteriormente sul fatto che tutto è connesso. Il tempo e lo spazio non sono tra loro indipendenti, e neppure gli atomi o le particelle subatomiche si possono considerare separatamente. Come i diversi componenti del pianeta – fisici, chimici e biologici – sono relazionati tra loro, così anche le specie viventi formano una rete che non finiamo mai di riconoscere e comprendere. Buona parte della nostra informazione genetica è condivisa con molti esseri viventi. Per tale ragione, le conoscenze frammentarie e isolate possono diventare una forma d’ignoranza se fanno resistenza ad integrarsi in una visione più ampia della realtà.
139. Quando parliamo di “ambiente” facciamo riferimento anche a una particolare relazione: quella tra la natura e la società che la abita. Questo ci impedisce di considerare la natura come qualcosa di separato da noi o come una mera cornice della nostra vita. Siamo inclusi in essa, siamo parte di essa e ne siamo compenetrati. Le ragioni per le quali un luogo viene inquinato richiedono un’analisi del funzionamento della società, della sua economia, del suo comportamento, dei suoi modi di comprendere la realtà. Data l’ampiezza dei cambiamenti, non è più possibile trovare una risposta specifica e indipendente per ogni singola parte del problema. È fondamentale cercare soluzioni integrali, che considerino le interazioni dei sistemi naturali tra loro e con i sistemi sociali. Non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale. Le direttrici per la soluzione richiedono un approccio integrale per combattere la povertà, per restituire la dignità agli esclusi e nello stesso tempo per prendersi cura della natura.»

 In questa prospettiva, non si tratta più solo di obbedire ad un imperativo etico che obbliga a far partecipare tutti gli esseri umani ad un minimo di quel  benessere che la tecnologia e l’economia contemporanee possono consentire di raggiungere, in modo che nessuno sia privato dei beni fondamentali per la sopravvivenza, ma di costruire un modello di sviluppo che consenta uno sviluppo equilibrato della società, sia sotto il profilo dello sfruttamento delle risorse naturali che sotto quelli della ripartizione del lavoro collettivo che si fa nell’attività economica e dell'organizzazione della vita sociale,  in modo che ogni persona, come in una famiglia, accresca il proprio benessere non solo secondo ciò che possiede ma anche e soprattutto nella qualità delle relazioni sociali in cui è immerso, obiettivo che richiede di attenuare le diseguaglianze sociali.
  Certamente il punto di partenza è correggere le cause sociali della povertà e dell’esclusione:

156. L’ecologia integrale è inseparabile dalla nozione di bene comune, un principio che svolge un ruolo centrale e unificante nell’etica sociale. E’ «l’insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono tanto ai gruppi quanto ai singoli membri di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più speditamente».
157. Il bene comune presuppone il rispetto della persona umana in quanto tale, con diritti fondamentali e inalienabili ordinati al suo sviluppo integrale. Esige anche i dispositivi di benessere e sicurezza sociale e lo sviluppo dei diversi gruppi intermedi, applicando il principio di sussidiarietà. Tra questi risalta specialmente la famiglia, come cellula primaria della società. Infine, il bene comune richiede la pace sociale, vale a dire la stabilità e la sicurezza di un determinato ordine, che non si realizza senza un’attenzione particolare alla giustizia distributiva, la cui violazione genera sempre violenza. Tutta la società – e in essa specialmente lo Stato – ha l’obbligo di difendere e promuovere il bene comune.
158. Nelle condizioni attuali della società mondiale, dove si riscontrano tante inequità e sono sempre più numerose le persone che vengono scartate, private dei diritti umani fondamentali, il principio del bene comune si trasforma immediatamente, come logica e ineludibile conseguenza, in un appello alla solidarietà e in una opzione preferenziale per i più poveri. Questa opzione richiede di trarre le conseguenze della destinazione comune dei beni della terra, ma, come ho cercato di mostrare nell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium esige di contemplare prima di tutto l’immensa dignità del povero alla luce delle più profonde convinzioni di fede. Basta osservare la realtà per comprendere che oggi questa opzione è un’esigenza etica fondamentale per l’effettiva realizzazione del bene comune.»

Al centro della proposta di quel nuovo modello di sviluppo vi  è la nozione di  escosistema  applicata anche alle società umane. L’ecosistema è definito nell’enciclopedia Treccani online come l’insieme degli organismi viventi e delle sostanze non viventi con le quali i primi stabiliscono uno scambio di materiali e di energia, in un’area delimitata, per es. un lago, un prato, un bosco.  Abbiamo difficoltà, come umani a concepirci come parti di un ecosistema dal funzionamento del quale dipende la nostra sopravvivenza comune, il principale bene comune. Quindi poi le politiche di governo che definiscono che cosa sia il bene pubblico,  il complesso di obiettivi che una collettività si propone di raggiungere, sono carenti.

176. Non solo ci sono vincitori e vinti tra i Paesi, ma anche all’interno dei Paesi poveri, in cui si devono identificare diverse responsabilità. Perciò, le questioni relative all’ambiente e allo sviluppo economico non si possono più impostare solo a partire dalle differenze tra i Paesi, ma chiedono di porre attenzione alle politiche nazionali e locali.
177. Dinanzi alla possibilità di un utilizzo irresponsabile delle capacità umane, sono funzioni improrogabili di ogni Stato quelle di pianificare, coordinare, vigilare e sanzionare all’interno del proprio territorio. La società, in che modo ordina e custodisce il proprio divenire in un contesto di costanti innovazioni tecnologiche? Un fattore che agisce come moderatore effettivo è il diritto, che stabilisce le regole per le condotte consentite alla luce del bene comune. I limiti che deve imporre una società sana, matura e sovrana sono attinenti a previsione e precauzione, regolamenti adeguati, vigilanza sull’applicazione delle norme, contrasto della corruzione, azioni di controllo operativo sull’emergere di effetti non desiderati dei processi produttivi, e intervento opportuno di fronte a rischi indeterminati o potenziali. Esiste una crescente giurisprudenza orientata a ridurre gli effetti inquinanti delle attività imprenditoriali. Ma la struttura politica e istituzionale non esiste solo per evitare le cattive pratiche, bensì per incoraggiare le buone pratiche, per stimolare la creatività che cerca nuove strade, per facilitare iniziative personali e collettive.
178. Il dramma di una politica focalizzata sui risultati immediati, sostenuta anche da popolazioni consumiste, rende necessario produrre crescita a breve termine. Rispondendo a interessi elettorali, i governi non si azzardano facilmente a irritare la popolazione con misure che possano intaccare il livello di consumo o mettere a rischio investimenti esteri. La miope costruzione del potere frena l’inserimento dell’agenda ambientale lungimirante all’interno dell’agenda pubblica dei governi. Si dimentica così che «il tempo è superiore allo spazio», che siamo sempre più fecondi quando ci preoccupiamo di generare processi, piuttosto che di dominare spazi di potere. La grandezza politica si mostra quando, in momenti difficili, si opera sulla base di grandi principi e pensando al bene comune a lungo termine. Il potere politico fa molta fatica ad accogliere questo dovere in un progetto di Nazione.»
 La vita umana è breve e così, in genere, l’orizzonte della politica. Si mira ai risultati immediati in un certo contesto politico, ad esempio in una nazione o in un continente. Ma la sopravvivenza dell’umanità richiede altro.

«36. La cura degli ecosistemi richiede uno sguardo che vada aldilà dell’immediato, perché quando si cerca solo un profitto economico rapido e facile, a nessuno interessa veramente la loro preservazione. Ma il costo dei danni provocati dall’incuria egoistica è di gran lunga più elevato del beneficio economico che si può ottenere. Nel caso della perdita o del serio danneggiamento di alcune specie, stiamo parlando di valori che eccedono qualunque calcolo. Per questo, possiamo essere testimoni muti di gravissime inequità quando si pretende di ottenere importanti benefici facendo pagare al resto dell’umanità, presente e futura, gli altissimi costi del degrado ambientale.

Si tratta di un lavoro che va fatto anche a livello globale, perché i problemi hanno quella dimensione.

51. L’inequità non colpisce solo gli individui, ma Paesi interi, e obbliga a pensare ad un’etica delle relazioni internazionali. C’è infatti un vero “debito ecologico”, soprattutto tra il Nord e il Sud, connesso a squilibri commerciali con conseguenze in ambito ecologico, come pure all’uso sproporzionato delle risorse naturali compiuto storicamente da alcuni Paesi. Le esportazioni di alcune materie prime per soddisfare i mercati nel Nord industrializzato hanno prodotto danni locali, come l’inquinamento da mercurio nelle miniere d’oro o da diossido di zolfo in quelle di rame. In modo particolare c’è da calcolare l’uso dello spazio ambientale di tutto il pianeta per depositare rifiuti gassosi che sono andati accumulandosi durante due secoli e hanno generato una situazione che ora colpisce tutti i Paesi del mondo. Il riscaldamento causato dall’enorme consumo di alcuni Paesi ricchi ha ripercussioni nei luoghi più poveri della terra, specialmente in Africa, dove l’aumento della temperatura unito alla siccità ha effetti disastrosi sul rendimento delle coltivazioni. A questo si uniscono i danni causati dall’esportazione verso i Paesi in via di sviluppo di rifiuti solidi e liquidi tossici e dall’attività inquinante di imprese che fanno nei Paesi meno sviluppati ciò che non possono fare nei Paesi che apportano loro capitale: «Constatiamo che spesso le imprese che operano così sono multinazionali, che fanno qui quello che non è loro permesso nei Paesi sviluppati o del cosiddetto primo mondo. Generalmente, quando cessano le loro attività e si ritirano, lasciano grandi danni umani e ambientali, come la disoccupazione, villaggi senza vita, esaurimento di alcune riserve naturali, deforestazione, impoverimento dell’agricoltura e dell’allevamento locale, crateri, colline devastate, fiumi inquinati e qualche opera sociale che non si può più sostenere».»

  E’ necessario sviluppare in tutti, non solo in chi ha responsabilità di governo, una nuova cultura del bene comune, molto più ampia che nel passato, in modo da creare il consenso di massa che sorregga un progetto comune di un nuovo modello di sviluppo. Questo dovrebbe essere uno dei principali obiettivi formativi, fin dalle scuole per i più giovani e, in particolare, nella formazione religiosa, quanto a quest’ultima perché  è materia insegnata dalla dottrina sociale della Chiesa cattolica.

«64. Dalla metà del secolo scorso, superando molte difficoltà, si è andata affermando la tendenza a concepire il pianeta come patria e l’umanità come popolo che abita una casa comune. Un mondo interdipendente non significa unicamente capire che le conseguenze dannose degli stili di vita, di produzione e di consumo colpiscono tutti, bensì, principalmente, fare in modo che le soluzioni siano proposte a partire da una prospettiva globale e non solo in difesa degli interessi di alcuni Paesi. L’interdipendenza ci obbliga a pensare a un solo mondo, ad un progetto comune. Ma lo stesso ingegno utilizzato per un enorme sviluppo tecnologico, non riesce a trovare forme efficaci di gestione internazionale in ordine a risolvere le gravi difficoltà ambientali e sociali. Per affrontare i problemi di fondo, che non possono essere risolti da azioni di singoli Paesi, si rende indispensabile un consenso mondiale che porti, ad esempio, a programmare un’agricoltura sostenibile e diversificata, a sviluppare forme rinnovabili e poco inquinanti di energia, a incentivare una maggiore efficienza energetica, a promuovere una gestione più adeguata delle risorse forestali e marine, ad assicurare a tutti l’accesso all’acqua potabile.»

 Innanzi tutto occorre prendere coscienza di una verità insegnata dalla saggezza, vale a dire che la nessuna felicità è tale, autentica, se  è basata sull’esclusione e la sofferenza altrui.

«112. E’ possibile, tuttavia, allargare nuovamente lo sguardo, e la libertà umana è capace di limitare la tecnica, di orientarla, e di metterla al servizio di un altro tipo di progresso, più sano, più umano, più sociale e più integrale. La liberazione dal paradigma tecnocratico imperante avviene di fatto in alcune occasioni. Per esempio, quando comunità di piccoli produttori optano per sistemi di produzione meno inquinanti, sostenendo un modello di vita, di felicità e di convivialità non consumistico. O quando la tecnica si orienta prioritariamente a risolvere i problemi concreti degli altri, con l’impegno di aiutarli a vivere con più dignità e meno sofferenze. E ancora quando la ricerca creatrice del bello e la sua contemplazione riescono a superare il potere oggettivante in una sorta di salvezza che si realizza nel bello e nella persona che lo contempla. L’autentica umanità, che invita a una nuova sintesi, sembra abitare in mezzo alla civiltà tecnologica, quasi impercettibilmente, come la nebbia che filtra sotto una porta chiusa. Sarà una promessa permanente, nonostante tutto, che sboccia come un’ostinata resistenza di ciò che è autentico?»

 La felicità, alla quale ogni essere umano tende, è un bene comune, che richiede condivisione per essere realizzato, o non è felicità. La ricerca della felicità, quindi, non può avere successo se avviene con motivazioni egoistiche, come sanno bene anche i grandi ricchi i quali, raggiunta una soglia di ricchezza, cercano di sviluppare relazioni sociali che diano senso alla loro vita. Ma spesso il peso di ciò che hanno fatto per conquistare quel livello di ricchezza li ostacola e, allora, sono ricchi e infelici. Questa esperienza è diventata molto comune in Occidente.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli

Translation in English language made with the help of Google Translator

Public good and common good - 13 -

The encyclical Laudato si '- Praise be to you, released in 2015 under the authority of Pope Jorge Mario Bergoglio - Francis is the most advanced document of Catholic social doctrine and represents a very significant metamorphosis, culturally built on the basis of experience and the contributions of many particular sciences, both of nature and of society. As the Pope has made clear, it is a collective work, in which his thought is certainly evident, but also that of many others, including that expressed by various assemblies of bishops in the world.
  The most important novelty is to present the problem of social organization as a matter of a crucial system for the survival of mankind. It therefore proposes an integral ecology, not only intended as a scientific discipline, but as a political orientation:

«137. Since everything is closely interrelated, and today’s problems call for a vision capable of taking into account every aspect of the global crisis, I suggest that we now consider some elements of an integral ecology, one which clearly respects its human and social dimensions.
I. ENVIRONMENTAL, ECONOMIC AND SOCIAL ECOLOGY
138. Ecology studies the relationship between living organisms and the environment in which they develop. This necessarily entails reflection and debate about the conditions required for the life and survival of society, and the honesty needed to question certain models of development, production and consumption. It cannot be emphasized enough how everything is interconnected. Time and space are not independent of one another, and not even atoms or subatomic particles can be considered in isolation. Just as the different aspects of the planet – physical, chemical and biological – are interrelated, so too living species are part of a network which we will never fully explore and understand. A good part of our genetic code is shared by many living beings. It follows that the fragmentation of knowledge and the isolation of bits of information can actually become a form of ignorance, unless they are integrated into a broader vision of reality.
139. When we speak of the “environment”, what we really mean is a relationship existing between nature and the society which lives in it. Nature cannot be regarded as something separate from ourselves or as a mere setting in which we live. We are part of nature, included in it and thus in constant interaction with it. Recognizing the reasons why a given area is polluted requires a study of the workings of society, its economy, its behaviour patterns, and the ways it grasps reality. Given the scale of change, it is no longer possible to find a specific, discrete answer for each part of the problem. It is essential to seek comprehensive solutions which consider the interactions within natural systems themselves and with social systems. We are faced not with two separate crises, one environmental and the other social, but rather with one complex crisis which is both social and environmental. Strategies for a solution demand an integrated approach to combating poverty, restoring dignity to the excluded, and at the same time protecting nature.»

In this perspective, it is no longer just a matter of obeying an ethical imperative that obliges all human beings to participate in a minimum of the well-being that contemporary technology and economics can allow to reach, so that no one is deprived of fundamental assets for survival, but to build a model of development that allows a balanced development of society, both from the point of view of the exploitation of natural resources and those of the distribution of collective work done in economic activity and the organization of the social life, so that each person, as in a family, increases his own well-being not only according to what he possesses but also and above all in the quality of the social relationships in which he is immersed, an objective that requires to reduce social inequalities.
   Certainly the starting point is to correct the social causes of poverty and exclusion:
«IV. THE PRINCIPLE OF THE COMMON GOOD
156. An integral ecology is inseparable from the notion of the common good, a central and unifying principle of social ethics. The common good is “the sum of those conditions of social life which allow social groups and their individual members relatively thorough and ready access to their own fulfilment”.
157. Underlying the principle of the common good is respect for the human person as such, endowed with basic and inalienable rights ordered to his or her integral development. It has also to do with the overall welfare of society and the development of a variety of intermediate groups, applying the principle of subsidiarity. Outstanding among those groups is the family, as the basic cell of society. Finally, the common good calls for social peace, the stability and security provided by a certain order which cannot be achieved without particular concern for distributive justice; whenever this is violated, violence always ensues. Society as a whole, and the state in particular, are obliged to defend and promote the common good.
158. In the present condition of global society, where injustices abound and growing numbers of people are deprived of basic human rights and considered expendable, the principle of the common good immediately becomes, logically and inevitably, a summons to solidarity and a preferential option for the poorest of our brothers and sisters. This option entails recognizing the implications of the universal destination of the world’s goods, but, as I mentioned in the Apostolic Exhortation Evangelii Gaudium, it demands before all else an appreciation of the immense dignity of the poor in the light of our deepest convictions as believers. We need only look around us to see that, today, this option is in fact an ethical imperative essential for effectively attaining the common good.»
 At the center of the proposal of that new model of development is the notion of an escosystem also applied to human societies. The ecosystem is defined in the Treccani online encyclopaedia as the set of living organisms and non-living substances with which the former establish an exchange of materials and energy, in a delimited area, for ex. a lake, a meadow, a forest. We have difficulty, as humans, to conceive of ourselves as parts of an ecosystem whose functioning depends on our common survival, the main common good. So then the government policies that define what is the public good, the set of objectives that a community aims to achieve, are lacking.

«II. DIALOGUE FOR NEW NATIONAL AND LOCAL POLICIES
176. There are not just winners and losers among countries, but within poorer countries themselves. Hence different responsibilities need to be identified. Questions related to the environment and economic development can no longer be approached only from the standpoint of differences between countries; they also call for greater attention to policies on the national and local levels.
177. Given the real potential for a misuse of human abilities, individual states can no longer ignore their responsibility for planning, coordination, oversight and enforcement within their respective borders. How can a society plan and protect its future amid constantly developing technological innovations? One authoritative source of oversight and coordination is the law, which lays down rules for admissible conduct in the light of the common good. The limits which a healthy, mature and sovereign society must impose are those related to foresight and security, regulatory norms, timely enforcement, the elimination of corruption, effective responses to undesired side-effects of production processes, and appropriate intervention where potential or uncertain risks are involved. There is a growing jurisprudence dealing with the reduction of pollution by business activities. But political and institutional frameworks do not exist simply to avoid bad practice, but also to promote best practice, to stimulate creativity in seeking new solutions and to encourage individual or group initiatives.
178. A politics concerned with immediate results, supported by consumerist sectors of the population, is driven to produce short-term growth. In response to electoral interests, governments are reluctant to upset the public with measures which could affect the level of consumption or create risks for foreign investment. The myopia of power politics delays the inclusion of a far-sighted environmental agenda within the overall agenda of governments. Thus we forget that “time is greater than space”, that we are always more effective when we generate processes rather than holding on to positions of power. True statecraft is manifest when, in difficult times, we uphold high principles and think of the long-term common good. Political powers do not find it easy to assume this duty in the work of nation-building.»

Human life is short and thus, in general, the horizon of politics. We aim for immediate results in a certain political context, for example in a nation or on a continent. But the survival of humanity requires more.

«36. Caring for ecosystems demands far-sightedness, since no one looking for quick and easy profit is truly interested in their preservation. But the cost of the damage caused by such selfish lack of concern is much greater than the economic benefits to be obtained. Where certain species are destroyed or seriously harmed, the values involved are incalculable. We can be silent witnesses to terrible injustices if we think that we can obtain significant benefits by making the rest of humanity, present and future, pay the extremely high costs of environmental deterioration.»

 It is necessary to develop in everyone, not only those with responsibility for governance, a new culture of the common good, much wider than in the past, so as to create the mass consensus that supports a common project of a new model of development. This should be one of the main formative objectives, since schools for the youngest and, in particular, in religious formation, as for the latter because it is a subject taught by the social doctrine of the Catholic Church.

«64. Furthermore, although this Encyclical welcomes dialogue with everyone so that together we can seek paths of liberation, I would like from the outset to show how faith convictions can offer Christians, and some other believers as well, ample motivation to care for nature and for the most vulnerable of their brothers and sisters. If the simple fact of being human moves people to care for the environment of which they are a part, Christians in their turn “realize that their responsibility within creation, and their duty towards nature and the Creator, are an essential part of their faith”. It is good for humanity and the world at large when we believers better recognize the ecological commitments which stem from our convictions.»

First of all it is necessary to become aware of a truth taught by wisdom, that is to say that no happiness is such, authentic, if it is based on the exclusion and suffering of others.

«112. Yet we can once more broaden our vision. We have the freedom needed to limit and direct technology; we can put it at the service of another type of progress, one which is healthier, more human, more social, more integral. Liberation from the dominant technocratic paradigm does in fact happen sometimes, for example, when cooperatives of small producers adopt less polluting means of production, and opt for a non-consumerist model of life, recreation and community. Or when technology is directed primarily to resolving people’s concrete problems, truly helping them live with more dignity and less suffering. Or indeed when the desire to create and contemplate beauty manages to overcome reductionism through a kind of salvation which occurs in beauty and in those who behold it. An authentic humanity, calling for a new synthesis, seems to dwell in the midst of our technological culture, almost unnoticed, like a mist seeping gently beneath a closed door. Will the promise last, in spite of everything, with all that is authentic rising up in stubborn resistance?»

 Happiness, to which every human being tends, is a common good, which requires sharing to be realized, or is not happiness. The pursuit of happiness, therefore, can not be successful if it happens with selfish motivations, as the great richs know well, who, having reached a threshold of wealth, try to develop social relationships that give meaning to their life. But often the weight of what they have done to conquer that level of wealth hinders them and, therefore, they are rich and unhappy. This experience has become very common in the West.
Mario Ardigò - Catholic Action in San Clemente pope - Rome, Monte Sacro, Valli district