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Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

Dall’anno associativo 2020/2021 il gruppo di AC di San Clemente Papa si riunisce abitualmente il secondo, il terzo e il quarto sabato del mese alle 17 e anima la Messa domenicale delle 9. Durante la pandemia da Covid 19 ci siamo riuniti in videoconferenza Google Meet. Anche dopo che la situazione sanitaria sarà tornata alla normalità, organizzeremo riunioni dedicate a temi specifici e aperte ai non soci con questa modalità.

Per partecipare alle riunioni del gruppo on line con Google Meet, inviare, dopo la convocazione della riunione di cui verrà data notizia sul blog, una email a mario.ardigo@acsanclemente.net comunicando come ci si chiama, la email con cui si vuole partecipare, il nome e la città della propria parrocchia e i temi di interesse. Via email vi saranno confermati la data e l’ora della riunione e vi verrà inviato il codice di accesso. Dopo ogni riunione, i dati delle persone non iscritte verranno cancellati e dovranno essere inviati nuovamente per partecipare alla riunione successiva.

La riunione Meet sarà attivata cinque minuti prima dell’orario fissato per il suo inizio.

Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

NOTA IMPORTANTE / IMPORTANT NOTE

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Il sito della parrocchia:

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sabato 30 gennaio 2016

Family Day: non in mio nome

Family Day: non in mio nome

 Oggi, al Circo Massimo, si terrà un'importante manifestazione denominata Family Day organizzata anche da molti laici di fede, tanto che, riferendosi a coloro che vi parteciperanno, se ne parla spesso, sui mezzi di comunicazione di massa, indicandoli come "i cattolici". Io però, pur credente, non parteciperò alla manifestazione e non ne condivido l'impostazione culturale e religiosa né gli obiettivi. Essa si propone di incidere sul corso parlamentare di un disegno di legge sulle unioni civili, attualmente all'esame del Senato della Repubblica, con oggetto la Regolamentazione delle unioni civili fra le persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze.  Lo scopo dichiarato della manifestazione è quello di evitare che la disciplina giuridica della Repubblica sulle unioni civili prenda a modello quella del matrimonio tra persone eterosessuali, assimilando i due istituti. Si vuole anche impedire l'approvazione della norma che consente ad una delle persone omosessuali legate ad un'altra da un'unione civile di adottare il figlio della persona alla quale si è unita. Si teme che questa possibilità giuridica possa essere  una via per legittimare la pratica dell'utero in affitto, che consiste nel far sviluppare un ovulo fecondato nell'utero di una donna estranea all'unione, da parte di due persone legate da un rapporto d'amore che però non possono avere figli per via naturale. Questa pratica non rientra però tra le facoltà giuridiche previste dalle norme del disegno di legge in discussione e, anche se queste ultime fossero approvate, rimarrebbe vietata in Italia. Ho letto anche che alcuni degli aderenti vorrebbero ottenere il ritiro del disegno di legge. 
  La mia personale posizione di cittadino e di credente è contraria alle istanze proposte dagli organizzatori della manifestazione di oggi. Culturalmente e politicamente ci situiamo quindi in campi opposti. Ma certamente ci dividono anche questioni importanti che riguardano l'applicazione di principi religiosi. Infatti ai tempi nostri anche in campo religioso e nella nostra confessione non si ammette la discriminazione delle persone omosessuali.  "Chi siamo noi per giudicare?", è stato autorevolmente detto. Tuttavia sono consapevole che vi sono state anche autorevoli pronunce del magistero che hanno ritenuto che la disciplina in esame in Parlamento faccia confusione tra matrimonio e unioni di altra natura. Non concordo con questa impostazione che, in ciò che riguarda  questioni politiche, nella specie la valutazione di un disegno di legge all'esame del Senato della Repubblica, ammette il dissenso del credente. Concordo invece sul grande valore religioso che un credente deve attribuire al matrimonio, ciò che ho sempre cercato di mettere in pratica nella mia vita. Ma non mi sento impegnato, nella fede, a disconoscere il carattere di famiglia, con il relativo potenziale di bene, che le unioni omosessuali, le quali sono molto più di semplici convivenze, sono venute manifestando sempre più chiaramente nella nostra società. Di fatto constato che non è vero che, nella società contemporanea, l'unica  famiglia sia quella fondata da coniugi eterosessuali, anche se essa è la forma sicuramente maggioritaria. La teologia e  le pronunce del magistero non hanno ancora saputo prendere atto di questa nuova situazione e rimangono in genere attestate su posizioni che oggettivamente realizzano una discriminazione intollerabile nell'Europa di oggi, anche se non mancano tentativi di sistemare diversamente la questione dal punto di vista teorico e pratico. 
 La mia posizione di cittadino della Repubblica e di credente coincide con quella che trovate espressa nella sentenza 21 luglio 15 della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo della quale qui sotto trascrivo un estratto, nella traduzione in italiano diffusa dal Ministero della giustizia.
Mario Ardigò - sotto la sua personale responsabilità di cittadino della Repubblica e di credente - Roma, Monte Sacro, Valli.
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Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 21 luglio 2015 - Ricorsi nn. 18766/11 e 36030/11 - Oliari e altri c. Italia   - Estratto
Traduzione diffusa dal Ministero della Giustizia, Direzione Generale del Contenzioso e dei Diritti umani.
PROCEDURA
1. All’origine della causa vi sono due ricorsi (nn. 18766/11 e 36030/11) proposti contro la Repubblica italiana con i quali rispettivamente in data 21 marzo e 10 giugno 2011 sei cittadini italiani, [ si omettono i nomi](“i ricorrenti”) hanno adito la Corte in virtù dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.
[…]
3. I ricorrenti hanno lamentato che la legislazione italiana non permetteva loro di sposarsi o di contrarre alcun altro tipo di unione civile ed essi erano pertanto discriminati in conseguenza del loro orientamento sessuale. Essi hanno citato gli articoli 8, 12 e 14 della Convenzione.
4. In data 3 dicembre 2013 la Camera cui il ricorso era stato assegnato ha deciso di comunicare al Governo le doglianze concernenti l’articolo 8 considerato singolarmente e in combinato disposto con l’articolo 14. Essa ha inoltre deciso di riunire i ricorsi.
5. In data 7 gennaio 2013 il Vice-Presidente della Sezione cui era stata assegnata la causa ha deciso di concedere a un ricorrente l’anonimato a norma dell’articolo 47 § 3 del Regolamento della Corte.
6. Osservazioni scritte sono pervenute anche dalla FIDH, dal Centro AIRE, dall’ILGA-Europe, dall’ECSOL, dall’UFTDU e l’UDU congiuntamente, dall’Associazione Radicale Certi Diritti, e dall’ECLJ (Centro europeo di diritto e giustizia), cui il Vice-Presidente della Camera aveva dato il permesso di intervenire (articolo 36 § 2 della Convenzione). dal Sig. Pavel Parfentev per conto di sette ONG russe (la Fondazione Famiglia e Demografia, Per i diritti familiari, il Comitato Genitori della città di Mosca, il Comitato Genitori della città di San Pietroburgo, il Comitato Genitori della città di Volgodonsk, il Centro culturale genitoriale dell’ente di beneficenza regionale “Svetlitsa”, e l’organizzazione sociale “Peterburgskie mnogodetki”), e anche tre ONG ucraine (il Comitato genitoriale ucraino, il Comitato genitoriale ortodosso e l’Organizzazione sociale sanitaria nazionale), cui il Vice-Presidente della Camera aveva permesso di intervenire. Non sono tuttavia pervenute osservazioni alla Corte.
7. Il Governo ha eccepito alle osservazioni presentate dalla FIDH, dal Centro AIRE, dall’ILGA-Europe, dall’ECSOL, dall’UFTDU e dall’UDU congiuntamente, in quanto esse erano pervenute alla Corte dopo la scadenza fissata, ovvero il 27 marzo 2014 invece del 26 marzo 2014. La Corte osserva che al momento pertinente il Vice-Presidente della Camera non ha deciso di rigettare le osservazioni presentate, che sono state effettivamente inviate alle parti perché le commentassero. Avendo tenuto conto del fatto che le osservazioni erano state anticipate mediante e mail ed erano pervenute alla Corte alle ore 2.00 del 27 marzo 2014, e che la copia cartacea pervenuta successivamente via fax in pari data conteneva delle scuse nonché la spiegazione del ritardo, essa rigetta l’eccezione del Governo.
8. I ricorrenti del ricorso n. 18766/11 hanno chiesto che fosse svolta un’udienza orale. In data 30 giugno 2015 la Corte ha esaminato tale richiesta e ha deciso che, vista la documentazione di cui era in possesso, non era necessaria un’udienza orale.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE
9. Informazioni dettagliate sui ricorrenti si trovano nell’Allegato.
Il contesto della causa
1. Il Sig. [si omette] e il Sig. A.
10. Nel luglio 2008 questi due ricorrenti, che avevano una relazione stabile, dichiararono l’intenzione di sposarsi e presentarono la pertinente richiesta di pubblicazioni di matrimonio all’Ufficio dello stato civile del Comune di Trento.
11. In data 25 luglio 2008 la loro richiesta fu respinta.
12. I due ricorrenti impugnarono il provvedimento dinanzi al Tribunale di Trento (in conformità all’articolo 98 del Codice civile). Essi argomentarono che la legislazione italiana non vietava espressamente il matrimonio tra persone dello stesso sesso, e che anche se lo avesse fatto, tale posizione sarebbe stata incostituzionale.
13. Con decisione del 24 febbraio 2009 il Tribunale di Trento respinse il loro ricorso. Esso osservò che la Costituzione italiana non stabiliva i requisiti per contrarre matrimonio, ma il Codice civile lo faceva ed esso prevedeva specificamente che gli sposi fossero di sesso opposto. Pertanto un matrimonio tra persone dello stesso sesso difettava di uno dei requisiti più essenziali per renderlo un atto giuridico valido, ovvero che le parti fossero di sesso diverso. In ogni caso non esisteva un diritto fondamentale al matrimonio, né le limitate disposizioni giuridiche potevano costituire una discriminazione, in quanto le restrizioni subite dai ricorrenti erano uguali a quelle applicate a qualsiasi persona. Esso osservò inoltre che l’Unione europea (“UE”) aveva lasciato disciplinare tali diritti all’ordinamento nazionale.
14. I ricorrenti adirono la Corte di appello di Trento. Benché la Corte abbia ribadito l’unanime interpretazione data alla legislazione italiana relativa a questo campo, ovvero nel senso che la legislazione ordinaria, in particolare il Codice civile, non consentiva il matrimonio tra persone dello stesso sesso, essa ha ritenuto pertinente rinviare le questioni di legittimità costituzionale della legislazione vigente alla Corte costituzionale.
15. Con sentenza n. 138 del 15 aprile 2010 la Corte costituzionale dichiarò inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli articoli 93, 96, 98, 107, 108, 143, 143 bis e 231 del Codice civile italiano sollevata dai ricorrenti, in quanto essa era diretta ad ottenere una pronunzia additiva non costituzionalmente obbligata.
16. La Corte costituzionale esaminò l’articolo 2 della Costituzione italiana, che prevedeva che la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili della persona, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, nonché i doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. Essa osservò che per formazione sociale si doveva intendere ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione. Tale nozione comprendeva l’unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone – nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge – il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri. Tuttavia tale riconoscimento, che necessariamente postula una disciplina di carattere generale, finalizzata a regolare diritti e doveri dei componenti della coppia, avrebbe potuto essere conseguita in modo diverso dall’istituto del matrimonio tra omosessuali. Come dimostrato dai diversi sistemi europei, la questione del tipo di riconoscimento era stata lasciata da disciplinare al Parlamento, nell’esercizio della sua piena discrezionalità. La Corte costituzionale ha tuttavia chiarito che, fatta salva la discrezionalità del Parlamento, essa sarebbe comunque potuta intervenire secondo il principio di uguaglianza in situazioni specifiche connesse ai diritti fondamentali di una coppia omosessuale, se era richiesta l’equiparazione delle unioni omosessuali al matrimonio. In tali situazioni la Corte avrebbe valutato la ragionevolezza delle misure.
17. Essa passò poi a considerare che era vero che i concetti di famiglia e di matrimonio non potevano essere ritenuti “cristallizzati” con riferimento all’epoca in cui era entrata in vigore la Costituzione, dato che i principi costituzionali devono essere interpretati tenendo presenti le modifiche dell’ordinamento giuridico e l’evoluzione della società e dei suoi costumi. Tuttavia, tale interpretazione non poteva essere estesa fino a incidere sull’essenza stessa delle norme giuridiche, modificandole in modo da includere fenomeni e problemi che non erano stati minimamente considerati quando essa era stata promulgata. In effetti i lavori preparatori alla Costituzione dimostravano che la questione delle unioni omosessuali non era stata dibattuta dall’assemblea, nonostante il fatto che l’omosessualità non fosse sconosciuta. Nel redigere l’articolo 29 della Costituzione l’assemblea aveva discusso un istituto che aveva una precisa forma e un’articolata disciplina prevista dal Codice civile. Pertanto, in assenza di un simile riferimento era inevitabile concludere che quella che era stata presa in esame era la nozione di matrimonio definita dal Codice civile, che era entrato in vigore nel 1942 e che all’epoca, e ancora oggi, stabiliva che gli sposi dovessero essere di sesso opposto. Pertanto il significato di tale precetto costituzionale non poteva essere modificato mediante un’interpretazione creativa. Conseguentemente la norma costituzionale non si estendeva alle unioni omosessuali, e intendeva riferirsi al matrimonio nel senso tradizionale.
18. La Corte ha infine considerato che, in ordine all’articolo 3 della Costituzione concernente il principio di uguaglianza, la pertinente legislazione non creava un’irragionevole discriminazione, dato che le unioni omosessuali non potevano essere considerate equivalenti al matrimonio. Anche l’articolo 12 della Convenzione europea sui diritti dell’uomo e l’articolo 9 della Carta dei diritti fondamentali non prescrivevano la piena equiparazione tra le unioni omosessuali e i matrimoni tra un uomo e una donna, dato che essa era una questione di discrezionalità parlamentare che doveva essere disciplinata dal diritto nazionale, come dimostrato dai differenti approcci esistenti in Europa.
19. In conseguenza della summenzionata sentenza, con ordinanza depositata nella pertinente cancelleria in data 21 settembre 2010, la Corte di appello rigettò interamente le richieste dei ricorrenti.
2. Il Sig. [si omette] e il Sig. [si omette]
20. Questi due ricorrenti si conobbero nel 2003 e iniziarono una relazione. Nel 2004 il Sig. F. decise di intraprendere ulteriori studi (e smise pertanto di guadagnare), possibilità che ebbe grazie al sostegno economico del Sig. Z. .
21. Il 1 luglio 2005 la coppia iniziò a vivere insieme. Negli anni 2005 e 2007 i ricorrenti scrissero al Presidente della Repubblica sottolineando le difficoltà che affrontavano le coppie omosessuali e sollecitando la promulgazione di una legge a favore delle unioni civili.
22. Nel 2008 la convivenza fisica dei ricorrenti fu trascritta nei registri delle autorità. Nel 2009 essi si designarono reciprocamente amministratori di sostegno in caso di incapacità.
23. Il 19 febbraio 2011 presentarono richiesta di pubblicazioni di matrimonio. Il 9 aprile 2011 la loro richiesta fu rigettata sulla base della legislazione e della giurisprudenza pertinente in materia (si veda Il diritto interno pertinente infra).
24. I due ricorrenti non esperirono il ricorso previsto all’articolo 98 del Codice civile, in quanto esso non poteva essere considerato effettivo a seguito della pronuncia della Corte costituzionale di cui sopra.
3. Il Sig. [si omette] e il Sig. [si omette]
25. Questi due ricorrenti si conobbero nel 2002 e iniziarono una relazione. Nello stesso anno iniziarono a convivere e hanno una relazione da quella data.
26. Nel 2006 aprirono un conto bancario congiunto.
27. Nel 2007 la convivenza fisica dei ricorrenti fu trascritta nei registri delle autorità.
28. Il 3 novembre 2009 presentarono richiesta di pubblicazioni di matrimonio. Il responsabile dell’ufficio non chiese loro di compilare la relativa richiesta, limitandosi semplicemente ad allegare la loro richiesta a diverse altre presentate da altre coppie.
29. Il 5 novembre 2009 la loro richiesta fu rigettata sulla base della legislazione e della giurisprudenza pertinente in materia (si veda Il diritto interno pertinente infra).
30. Il Sig. P. e il Sig. Z. contestarono il provvedimento dinanzi al Tribunale di Milano.
31. Con decreto del 9 giugno 2010, depositato nella pertinente cancelleria il 1 luglio 2010, il Tribunale di Milano rigettò la loro pretesa, ritenendo che il rifiuto dell’Ufficio dello stato civile di procedere alle pubblicazioni di matrimonio finalizzate al matrimonio di persone dello stesso sesso fosse legittimo, in linea con la conclusione della sentenza della Corte costituzionale n. 138 del 15 aprile 2010.
32. I ricorrenti non proposero ulteriore reclamo ai sensi dell’articolo 739 del codice di procedura civile, in quanto esso non poteva essere ritenuto effettivo a seguito della pronuncia della Corte Costituzione.
II. IL DIRITTO INTERNO, IL DIRITTO INTERNAZIONALE E LA PRASSI PERTINENTI
A. Il diritto e la prassi interni pertinenti
1. La Costituzione italiana
33. Gli articoli 2, 3 e 29 della Costituzione italiana recitano:
Articolo 2
“La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.”
Articolo 3
“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese.”
Articolo 29
“La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sulla eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare.”
2. Il matrimonio
34. Secondo le norme del diritto interno italiano alle coppie omosessuali non è consentito contrarre matrimonio, come affermato nella sentenza della Corte costituzionale n. 138 (sopra citata).
35. Lo stesso è stato affermato dalla Corte di cassazione italiana con sentenza n. 4184 del 15 marzo 2012 concernente due cittadini italiani dello stesso sesso che avevano contratto matrimonio nei Paesi Bassi e presentato reclamo dopo il rifiuto delle autorità italiane di trascrivere lo stesso nei registri di stato civile con la motivazione della sua “non configurabilità come matrimonio”. La Corte di cassazione ha concluso che i ricorrenti non avevano diritto alla trascrizione del loro matrimonio, non perché esso fosse inesistente o invalido, bensì perché inidoneo a produrre qualsiasi effetto giuridico nell’ordinamento italiano. Essa ha inoltre ritenuto che le persone dello stesso sesso che vivevano insieme e avevano una relazione stabile avevano il diritto al rispetto della loro vita privata e familiare ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione europea; pertanto, nell’esercizio del diritto di vivere liberamente il loro status inviolabile di coppia, essi possono adire un tribunale per rivendicare, in specifiche situazioni connesse ai loro diritti fondamentali, lo stesso trattamento che la legge offre alle coppie coniugate.
36. Inoltre, la Corte Costituzionale, con sentenza n. 170/2014 concernente il “divorzio imposto” a seguito di rettificazione dell’attribuzione del sesso di uno dei coniugi, ha concluso che spettava al legislatore garantire che fosse prevista un’alternativa al matrimonio, che consentisse a tale coppia di evitare la trasformazione nella loro situazione, passando dalla massima protezione giuridica a una condizione di assoluta incertezza. La Corte costituzionale ha proseguito affermando che il legislatore doveva agire con sollecitudine per risolvere il vuoto legislativo che comportava la mancata tutela della coppia.
3. L’ulteriore giurisprudenza pertinente nel contesto delle coppie omosessuali
37. In una causa dinanzi il Tribunale di Reggio Emilia, i ricorrenti (una coppia omosessuale) non avevano chiesto al giudice di riconoscere il loro matrimonio contratto in Spagna, bensì di riconoscere il loro diritto alla vita familiare in Italia, in ragione del vincolo esistente tra loro. Il Tribunale di Reggio Emilia, con ordinanza del 13 febbraio 2012, alla luce delle direttive dell’Unione europea e della loro trasposizione nella legislazione italiana, nonché della Carta europea dei diritti fondamentali, ha ritenuto che tale matrimonio fosse valido ai fini dell’ottenimento di un permesso di soggiorno in Italia.
38. Nella sentenza del Tribunale di Grosseto del 3 aprile 2014, pronunciata da un tribunale di primo grado, si è stabilita l’illegittimità del diniego di trascrizione del matrimonio contratto all’estero. Il tribunale ha pertanto prescritto alla competente autorità pubblica di procedere alla trascrizione del matrimonio. In fase di esecuzione dell’ordinanza, lo Stato ricorreva in appello avverso tale provvedimento. Con sentenza del 19 settembre 2014 la Corte di appello di Firenze, avendo rilevato un errore procedurale, ha annullato la decisione di primo grado e ha rimesso la causa al Tribunale di Grosseto.
4. I contratti di convivenza
39. Il diritto italiano non prevede specificamente i contratti di convivenza.
40. La tutela delle coppie conviventi more uxorio è sempre stata tratta dall’articolo 2 della Costituzione italiana, così come interpretato in diverse pronunce dei tribunali nel corso degli anni (successivamente al 1988). In anni più recenti (a partire dal 2012) le sentenze interne hanno ritenuto che anche le coppie omosessuali conviventi fossero meritevoli di siffatta tutela.
41. Per colmare la lacuna della legge scritta, a decorrere dal 2 dicembre 2013 è stato possibile stipulare “contratti di convivenza” [nota mia: non in base ad un'apposita legge, ma per decisione del Consiglio Nazionale del Notariato], vale a dire scritture private la cui forma non è specificamente prevista dalla legge e che possono essere sottoscritte da persone conviventi, tra le quali sussista una relazione genitoriale, ovvero che siano partner, amici, semplici coinquilini o badanti, ma non da coppie sposate. Tali contratti disciplinano principalmente gli aspetti economici della convivenza, della cessazione della convivenza e dell’assistenza in caso di infermità o incapacità .
5. Le unioni civili
42. Il diritto interno italiano non prevede alcuna unione alternativa al matrimonio, sia per le coppie omosessuali sia per le coppie eterosessuali. Le prime pertanto non dispongono di alcuno strumento di riconoscimento.
43. In una relazione del 2013 redatta dal Professor F. Gallo (all’epoca Presidente della Corte costituzionale) e indirizzata alle massime autorità costituzionali italiane, quest’ultimo ha dichiarato:
“Il dialogo che la Corte [Costituzionale] ha ormai stabilmente instaurato con i giudici europei si presenta a volte più difficile proprio con il soggetto che della Corte dovrebbe essere il naturale interlocutore, e cioè il legislatore. Questa difficoltà emerge, in particolare, nei casi in cui la Corte solleciti il legislatore a modificare una normativa che ritiene in contrasto con la Costituzione. Tali solleciti non possono essere sottovalutati. Essi costituiscono, infatti, l’unico strumento a disposizione della Corte per indurre gli organi legislativi ad eliminare situazioni di illegittimità costituzionale che, pur da essa riscontrate, non portano ad una formale pronuncia di incostituzionalità. …
Un altro esempio di “invito” rimasto sinora inascoltato è quello contenuto nella sentenza n. 138 del 2010. In tale pronuncia la Corte ha escluso l’illegittimità costituzionale delle norme che limitano l’applicazione dell’istituto matrimoniale alle unioni tra uomo e donna, ma nel contempo ha affermato che due persone dello stesso sesso hanno comunque il «diritto fondamentale» di ottenere il riconoscimento giuridico, con i connessi diritti e doveri, della loro stabile unione. Ha perciò affidato al Parlamento la regolamentazione della materia nei modi e nei limiti più opportuni.”
44. Ciononostante, alcuni comuni hanno istituito i registri delle “unioni civili” tra persone non sposate dello stesso sesso o di sesso diverso: tra essi, i comuni di Empoli, Pisa, Milano, Firenze e Napoli. Tuttavia la trascrizione delle “unioni civili” di coppie non sposate in tali registri ha un valore meramente simbolico.
6. La successiva giurisprudenza interna
45. Analogamente la Corte costituzionale italiana, con le sentenze n. 276/2010 del 7 luglio 2010, depositata in cancelleria il 22 luglio 2010, e n. 4/2011 del 16 dicembre 2010, depositata in cancelleria il 5 gennaio 2011, ha dichiarato manifestamente infondate le questioni secondo cui i summenzionati articoli del codice civile (nella misura in cui essi non consentivano il matrimonio tra persone dello stesso sesso) non erano conformi all’articolo 2 della Costituzione. La Corte costituzionale ha ribadito che il riconoscimento giuridico delle unioni omosessuali non richiedeva l’equiparazione al matrimonio, come dimostrato dai diversi approcci tenuti in paesi diversi e che ai sensi dell’articolo 2 della Costituzione spettava al Parlamento, nell’esercizio della propria discrezionalità, regolamentare e fornire garanzie e riconoscimento a tali unioni.
Più recentemente, in una causa concernente il rifiuto di pubblicazioni di matrimonio a una coppia omosessuale che lo aveva richiesto, la Corte di cassazione, con sentenza n. 2400/15 del 9 febbraio 2015, ha rigettato la richiesta dei ricorrenti. Dopo aver esaminato la recente giurisprudenza interna e internazionale, essa ha concluso che – mentre le coppie omosessuali dovevano essere tutelate ai sensi dell’articolo 2 della Costituzione italiana e spettava al legislatore assicurare il riconoscimento delle unioni di tali coppie – l’assenza del matrimonio omosessuale non era incompatibile con il sistema di diritti umani interno e internazionale applicabile. Conseguentemente l’assenza di matrimonio omosessuale non poteva costituire un trattamento discriminatorio: il problema presente nell’attuale sistema giuridico ruotava intorno al fatto che non esisteva alcun altro tipo di unione, eccetto il matrimonio, sia per le coppie eterosessuali sia per le coppie omosessuali. Essa ha tuttavia osservato che la Corte non poteva stabilire mediante la giurisprudenza questioni che eccedevano la sua competenza.
7. La legislazione recente e corrente
46. La Camera dei Deputati ha recentemente esaminato il disegno di legge n. 242 intitolato “Modifiche al Codice civile e altre disposizioni in materia di eguaglianza nell’accesso al matrimonio e di filiazione da parte delle coppie formate da persone dello stesso sesso” e il disegno di legge n. 15 “Norme contro la discriminazione matrimoniale”. Nel 2014 il Senato ha esaminato il disegno di legge n. 14 sulle unioni civili, il disegno di legge n. 197 concernente modifiche al Codice civile in materia di convivenza, nonché il disegno di legge n. 239 sull’introduzione nel Codice civile del contratto di convivenza e di solidarietà.
47. Un progetto di legge unificato riguardante tutte le pertinenti proposte di legge è stato presentato al Senato nel 2015 ed è stato adottato dal Senato il 26 marzo 2015 quale testo di base per consentire ulteriori dibattiti da parte della Commissione Giustizia. Gli emendamenti dovevano essere presentati entro il 15 maggio 2015, e il testo doveva essere presentato alle due Camere che compongono il Parlamento entro l’estate. Il 10 giugno 2015 la Camera ha adottato una mozione a favore dell’approvazione di una legge sulle unioni civili, tenendo particolarmente conto della situazione delle persone dello stesso sesso.
8. Le vie di ricorso nel sistema interno
48. Contro il provvedimento dell’ufficiale dello stato civile può essere proposto ricorso (entro trenta giorni) al tribunale ordinario, in conformità all’articolo 98 del Codice civile.
49. Contro il decreto del tribunale ordinario può essere proposto reclamo con ricorso alla Corte di appello (entro dieci giorni) in virtù dell’articolo 739 del Codice di procedura civile.
50. Secondo il suo comma 3, non è ammesso reclamo contro i decreti della Corte di appello. Tuttavia, a norma dell’articolo 111, comma 7, della Costituzione come interpretato dalla giurisprudenza consolidata, nonché a norma dell’articolo 360, comma 4, del Codice di procedura civile (come modificato dal decreto legislativo n. 40/06) se il decreto della Corte di appello riguarda diritti soggettivi, se ha carattere decisivo e costituisce la determinazione di una questione potenzialmente irreversibile (che ha pertanto il valore di una sentenza), il decreto della Corte di appello può essere impugnato con ricorso per cassazione entro sessanta giorni, nelle circostanze e nella forma stabilite dall’articolo 360 del Codice di procedura civile. A norma dell’articolo 742 del Codice di procedura civile i decreti che non rientrano nella suddetta definizione possono in ogni tempo essere revocati e modificati, se mutano le circostanze fattuali o i presupposti di diritto.
51. A norma degli articoli da 325 a 327 del Codice di procedura civile, il ricorso per cassazione deve essere presentato entro sessanta giorni dalla data della notifica della sentenza della corte di appello alla parte. In ogni caso, in assenza di notifica tale ricorso non può essere presentato decorsi sei mesi dalla pubblicazione.
52. A norma dell’articolo 324 del Codice di procedura la sentenza passa in giudicato, inter alia, quando non è più soggetta ad appello, né a ricorso per cassazione, salvo che la legge non abbia previsto diversamente.
B. Il diritto e la prassi comparati ed europei
1. Il materiale di diritto comparato
53. Il materiale di diritto comparato a disposizione della Corte sull’introduzione di forme ufficiali di unione non matrimoniale negli ordinamenti giuridici degli Stati membri del Consiglio d’Europa (CoE) dimostra che undici paesi (Belgio, Danimarca, Francia, Islanda, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi, Portogallo, Regno Unito, Spagna e Svezia) riconoscono il matrimonio omosessuale .
54. Diciotto Stati membri (Andorra, Austria, Belgio, Croazia, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Liechtenstein, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Regno Unito, Repubblica ceca, Slovenia, Spagna, Svizzera e Ungheria) autorizzano qualche forma di unione civile per le coppie omosessuali. In alcuni casi tale unione può conferire tutti i diritti e gli obblighi applicabili all’istituto del matrimonio, ed è pertanto del tutto uguale al matrimonio tranne che nella denominazione, come per esempio a Malta. Inoltre in data 9 ottobre 2014 anche l’Estonia ha riconosciuto giuridicamente le unioni omosessuali promulgando la legge sulle unioni registrate, che entrerà in vigore il 1 gennaio 2016. Il Portogallo non possiede una forma ufficiale di unione civile. La legge riconosce tuttavia le unioni civili di fatto, che hanno effetto automatico e non richiedono che la coppia compia alcun passo formale per il riconoscimento. La Danimarca, la Norvegia, la Svezia e l’Islanda avevano previsto l’unione registrata in caso di unione omosessuale, ma essa è stata abolita a favore del matrimonio omosessuale.
55. Ne consegue che fino ad oggi ventiquattro paesi dei quarantasette Stati membri del Consiglio d’Europa hanno già promulgato una legislazione che permette alle coppie omosessuali di far riconoscere giuridicamente la loro relazione come un matrimonio civile o come una forma di unione civile o di unione registrata.
2. I testi pertinenti del Consiglio d’Europa
56. Nella sua Raccomandazione 924 (1981) sulla discriminazione nei confronti degli omosessuali, l’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa (APCE) ha criticato le varie forme di discriminazione nei confronti degli omosessuali in alcuni Stati membri del Consiglio d’Europa.
57. Nella Raccomandazione 1474 (2000) sulla situazione delle lesbiche e dei gay negli Stati membri del Consiglio d’Europa, l’APCE ha invitato gli Stati membri, tra l’altro,” a promulgare una legge che prevedesse le unioni registrate”. Inoltre, nella Raccomandazione 1470 (2000) sulla questione più specifica della situazione dei gay, delle lesbiche e dei loro partner in relazione all’asilo e all’immigrazione negli Stati membri del Consiglio d’Europa, ha raccomandato al Comitato dei Ministri di invitare gli Stati membri, inter alia, “a rivedere le loro politiche in materia di diritti sociali e tutela dei migranti in modo da assicurare che le coppie e le famiglie omosessuali siano trattate secondo le stesse regole delle coppie e delle famiglie eterosessuali …”.
58. La Risoluzione dell’APCE 1547(2007) del 18 aprile 2007 intitolata “Lo stato dei diritti umani e della democrazia in Europa” ha invitato tutti gli Stati membri del Consiglio d’Europa, e in particolare i loro rispettivi organi parlamentari, ad affrontare tutte le questioni sollevate nei rapporti e nelle opinioni alla base di tale risoluzione e in particolare, inter alia, a lottare effettivamente contro tutte le forme di discriminazione basate sul genere o sull’orientamento sessuale, a introdurre una legislazione contro la discriminazione, i diritti delle unioni e programmi di sensibilizzazione, qualora essi non siano già stati attuati;” (punto 34.14.).
59. La Risoluzione 1728 (2010) dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, adottata il 29 aprile 2010 e intitolata “Discriminazione basata sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere” ha invitato gli Stati membri “ad assicurare il riconoscimento giuridico alle unioni omosessuali laddove la legislazione nazionale preveda tale riconoscimento, come già raccomandato dall’Assemblea nel 2000”, prevedendo, inter alia:
“16.9.1. gli stessi diritti e obblighi economici stabiliti per le coppie eterosessuali;
16.9.2. lo status di ‘parente stretto’;
16.9.3. misure che assicurino che laddove un partner della coppia omosessuale è straniero, a tale persona siano accordati gli stessi diritti di residenza che le sarebbero accordati se facesse parte di una coppia eterosessuale;
16.9.4. il riconoscimento delle disposizioni di analogo effetto adottate dagli altri Stati membri.”
60. Nella Raccomandazione CM/Rec(2010)5 sulle misure volte a combattere la discriminazione basata sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere il Comitato dei Ministri ha raccomandato agli Stati membri:
“1. di passare in rassegna le misure legislative e di altro tipo esistenti, di riesaminarle periodicamente e di raccogliere e analizzare i dati pertinenti al fine di monitorare e riparare qualsiasi discriminazione diretta o indiretta basata sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere;
2. di assicurarsi che siano adottate e applicate in maniera efficace misure legislative e di altro tipo miranti a combattere la discriminazione fondata sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere, a garantire il rispetto dei diritti umani delle persone lesbiche, gay, bisessuali e transessuali e a promuovere la tolleranza nei loro confronti;
...”
61. La Raccomandazione ha anche osservato:
“23. Quando la legislazione nazionale conferisce diritti e doveri alle coppie non sposate, gli Stati membri dovrebbero garantirne l’applicazione senza alcuna discriminazione, sia nei confronti delle coppie dello stesso sesso, che di quelle di sesso diverso, ivi compreso per quanto riguarda le pensioni di reversibilità e il diritto di subentrare nel contratto di locazione.
24. Quando la legislazione nazionale riconosce le unioni registrate tra persone dello stesso sesso, gli Stati membri dovrebbero cercare di garantire che il loro status giuridico e i loro diritti e obblighi siano equivalenti a quelli previsti per le coppie eterosessuali che si trovano in situazioni paragonabili.
25. Quando la legislazione nazionale non riconosce e non conferisce diritti né obblighi alle unioni registrate tra persone dello stesso sesso e alle coppie non sposate, gli Stati membri sono invitati a prendere in esame la possibilità di fornire alle coppie dello stesso sesso, senza alcuna discriminazione, ivi compreso rispetto a coppie di sesso diverso, i mezzi giuridici o di altro tipo per risolvere i problemi pratici legati alla realtà sociale in cui vivono.”
3. Il diritto dell’Unione europea
62. Gli articoli 7, 9 e 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, firmata il 7 dicembre 2000 ed entrata in vigore il 1° dicembre 2009, recitano:
Articolo 7
“Ogni individuo ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e delle sue comunicazioni.”
Articolo 9
“Il diritto di sposarsi e il diritto di costituire una famiglia sono garantiti secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio.”
Articolo 21
“1. È vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle e l’origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l’appartenenza a una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali.
2. Nell’ambito d’applicazione del trattato che istituisce la Comunità europea e del trattato sull’Unione europea è vitata qualsiasi discriminazione fondata sulla cittadinanza, fatte salve le disposizioni particolari contenute nei trattati stessi.”
63. Il Commento alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, redatto nel 2006 dalla Rete di esperti indipendenti in materia di diritti fondamentali dell’UE, dichiara quanto segue riguardo all’articolo 9 della Carta:
“Tendenze e sviluppi moderni nelle legislazioni nazionali di diversi paesi verso una maggiore apertura e accettazione delle coppie omosessuali nonostante che alcuni stati abbiano tuttora politiche pubbliche e/o regolamenti che proibiscono esplicitamente la nozione che le coppie omosessuali abbiano il diritto di sposarsi. Attualmente vi è un riconoscimento giuridico estremamente limitato delle relazioni tra partner dello stesso sesso nel senso che le coppie omosessuali non possono contrarre matrimonio. Le legislazioni nazionali della maggioranza degli stati presuppongono, in altre parole, che coloro che intendono sposarsi siano di sesso diverso. Ciononostante, in alcuni paesi, p.es. nei Paesi Bassi e in Belgio, il matrimonio tra persone omosessuali è riconosciuto giuridicamente. Altri, come i paesi scandinavi, hanno approvato una legislazione sulle unioni registrate, che implica, tra l’altro, che la maggior parte delle disposizioni relative al matrimonio, p. es. le sue conseguenze giuridiche quali la ripartizione dei beni, i diritti di successione, ecc., sono applicabili anche a queste unioni. Allo stesso tempo è importante sottolineare che la definizione di “unione registrata” è stata scelta intenzionalmente per non confonderla con il matrimonio, ed essa è stata istituita quale metodo alternativo di riconoscimento dei rapporti personali. Questo nuovo istituto è, conseguentemente, di norma accessibile solo a coppie che non possono contrarre matrimonio, e l’unione omosessuale non ha lo stesso status e gli stessi vantaggi del matrimonio. (…)
Per tenere conto della diversità dei regolamenti nazionali relativi al matrimonio, l’articolo 9 della Carta rinvia alla legislazione nazionale. Come appare dalla sua formulazione, la disposizione ha un campo di applicazione più ampio dei corrispondenti articoli di altri strumenti internazionali. Dato che non vi è un riferimento esplicito “agli uomini e alle donne” come avviene in altri strumenti relativi ai diritti umani, si può sostenere che non vi è alcun ostacolo al riconoscimento delle relazioni omosessuali nel contesto del matrimonio. Non vi è, tuttavia, alcuna disposizione esplicita che imponga che le legislazioni nazionali debbano facilitare tali matrimoni. I tribunali e la commissioni internazionali hanno finora esitato a estendere l’applicazione del diritto al matrimonio alle coppie omosessuali. (…)”
64. Diverse altre Direttive possono interessare la presente causa: esse sono reperibili nella sentenza Vallianatos e altri c. Grecia ([GC], nn. 29381/09 e 32684/09, §§ 33-34, CEDU 2013 (estratti)).
4. Gli Stati Uniti
65. Il 26 giugno 2015, nella causa Obergefell e altri c. Hodges, Director, Ohio Department of Health e altri, la Corte suprema degli Stati Uniti ha stabilito che le coppie dello stesso sesso possono esercitare in tutti gli Stati il diritto fondamentale di sposarsi e che non esiste una base legittima perché uno Stato rifiuti di riconoscere un legittimo matrimonio omosessuale, celebrato in un altro Stato, in ragione del suo carattere omosessuale.
I ricorrenti avevano lamentato che i funzionari statali resistenti, negando loro il diritto di sposarsi o di ottenere il pieno riconoscimento dei matrimoni celebrati legittimamente in un altro Stato, avevano violato il quattordicesimo emendamento.
La Corte suprema ha ritenuto che le leggi censurate limitassero la libertà delle coppie omosessuali e riducessero la portata di fondamentali precetti di uguaglianza. Essa ha considerato che la legislazione matrimoniale applicata dai resistenti fosse diseguale in quanto erano negati alle coppie omosessuali tutti i vantaggi accordati alle coppie di sesso opposto, e le prime erano escluse dall'esercizio di un diritto fondamentale. Il diniego del diritto al matrimonio alle coppie omosessuali causava un danno grave e continuo e l’imposizione di questa incapacità a gay e lesbiche contribuiva a mancare loro di rispetto e a porli in una condizione di subordinazione. Infatti, la clausola di uguale protezione, così come la clausola del giusto processo, proibivano tale ingiustificata violazione del diritto fondamentale al matrimonio. Tali considerazioni hanno condotto a concludere che il diritto al matrimonio era un diritto fondamentale insito nella libertà della persona e che, ai sensi delle clausole del giusto processo e dell'uguale protezione del quattordicesimo emendamento, le coppie omosessuali non potevano essere private di tale diritto e di tale libertà. La Corte suprema ha pertanto ritenuto che le coppie omosessuali possano esercitare il diritto fondamentale al matrimonio.
Avendo rilevato che diversi soggetti sociali avevano dedicato considerevole attenzione alla questione e che secondo il loro sistema costituzionale le persone non devono attendere l'azione del legislatore per poter esercitare un diritto fondamentale, la Corte suprema ha ritenuto che, qualora non avesse agito e avesse consentito una determinazione più lenta, operata caso per caso, della richiesta accessibilità a specifici benefici pubblici per le coppie omosessuali, essa avrebbe negato ancora una volta a gay e lesbiche molti diritti e responsabilità connessi al matrimonio.
Infine, rilevando che molti Stati già consentivano il matrimonio omosessuale e che erano già stati celebrati centinaia di migliaia di questi matrimoni, essa ha ritenuto che il turbamento generato dai divieti di riconoscimento fosse significativo e sempre maggiore. La Corte suprema ha pertanto ritenuto anche che non vi fosse una base legittima perché uno Stato rifiutasse di riconoscere un legittimo matrimonio omosessuale, celebrato in un altro Stato.
IN DIRITTO
I. SULLE ECCEZIONI PRELIMINARI
[…]
C. L’esaurimento delle vie di ricorso interne
[…]
3. La valutazione della Corte
[…]
83. Tenendo presente quanto sopra, la Corte reputa che non sussistano prove che le permettano di ritenere che, alla data di presentazione dei ricorsi alla Corte, le vie di ricorso disponibili nell’ordinamento nazionale italiano avrebbero avuto prospettive di successo. Ne consegue che i ricorrenti non possono essere biasimati per non essersi avvalsi di un mezzo di ricorso non effettivo, in via generale o fino alla fine del procedimento giudiziario. Pertanto, la Corte accetta che sussistevano circostanze particolari che sollevavano i ricorrenti dal loro normale obbligo di esaurire le vie di ricorso interne (si veda Vilnes e altri c. Norvegia, nn. 52806/09 e 22703/10, § 178, 5 dicembre 2013).
84. Fermo restando quanto sopra, in risposta all’ultima argomentazione del Governo, la Corte osserva che i procedimenti nazionali (intrapresi da quattro ricorrenti della presente causa) riguardavano il rifiuto delle autorità di consentire ai ricorrenti di sposarsi. Dal momento che in Italia non esisteva la possibilità di contrarre un’unione civile registrata, è difficile capire come i ricorrenti avrebbero potuto sollevare la questione del riconoscimento giuridico della loro unione, se non cercando di contrarre matrimonio, in particolare se si considera che non potevano adire direttamente la Corte costituzionale. Di conseguenza, la loro doglianza interna si concentrava sulla mancanza di accesso al matrimonio. In effetti, la Corte reputa che la questione del riconoscimento giuridico alternativo sia così strettamente connessa alla questione della mancanza di accesso al matrimonio, che essa deve essere ritenuta inerente al presente ricorso (si veda Schalk e Kopf, sopra citata, § 76). Pertanto, la Corte riconosce che tale doglianza, almeno nella sostanza, comprendeva la mancanza di qualsiasi altro strumento per ottenere il riconoscimento giuridico della loro relazione (ibid., § 75). Ne consegue che i tribunali nazionali, in particolare la Corte costituzionale adita in relazione alla causa dei primi due ricorrenti, erano in condizione di trattare la questione, e l’hanno, effettivamente, affrontata concisamente, ma solo per giungere alla conclusione che spettava al legislatore disciplinare la materia. Date le circostanze, la Corte è convinta che gli organi giurisdizionali nazionali abbiano avuto l’opportunità di porre rimedio alle violazioni dedotte a Strasburgo, come rappresentato altresì dalla Corte (si veda, mutatis mutandis, Gatt c. Malta, n. 28221/08, § 24, CEDU 2010).
[…]
D. Il termine semestrale
[…]
3. La valutazione della Corte
[…]
L’applicazione al caso di specie
96. Passando alle particolari caratteristiche del caso di specie, la Corte rileva che nella misura in cui sono in discussione i diritti ai sensi degli articoli 8, 12 e 14 concernenti l’impossibilità di sposarsi o di contrarre un’unione civile, le doglianze dei ricorrenti non riguardano un atto avvenuto in un dato momento né i durevoli effetti di tale atto, ma riguardano piuttosto disposizioni (o in questo caso la mancanza di esse) che danno luogo a una situazione continua, vale a dire il mancato riconoscimento della loro unione, con tutte le conseguenze pratiche che ne derivano sul piano quotidiano, riguardo al quale non era di fatto disponibile alcun ricorso interno effettivo. Gli organi della Convenzione hanno in precedenza ritenuto che, in caso di ricezione di un ricorso riguardante una disposizione giuridica che dà luogo a una situazione permanente, per la quale non esiste un ricorso interno effettivo, la questione del termine semestrale sorge solo dopo la cessazione di tale situazione: “... in tali circostanze, è esattamente come se la dedotta violazione fosse ripetuta quotidianamente, impedendo così il decorso del termine semestrale” (si vedano De Becker c. Belgio, (dec.) 9 giugno 1958, n. 214/56, Annuario 2, Paksas, sopra citata, § 83).
97. Nel caso di specie, in assenza di un ricorso interno effettivo, tenendo conto dello stato della giurisprudenza nazionale e del fatto che è chiaro che la situazione lamentata non è cessata, la situazione deve essere considerata continua (si vedano, per esempio, Anchugov e Gladkov c. Russia, nn. 11157/04 e 15162/05, § 77, 4 luglio 2013, anche se un indirizzo diverso era stato seguito in precedenza in relazione a cause britanniche riguardanti circostanze analoghe, si vedano Toner c. Regno Unito (dec.), § 29, n. 8195/08, 15 febbraio 2011, e Mclean e Cole c. Regno Unito (dec.), § 25, 11 giugno 2013). Non si può pertanto sostenere che i ricorsi siano tardivi.
[…]
II. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE E DELL’ARTICOLO 14 IN COMBINATO DISPOSTO CON L’ARTICOLO 8
99. I ricorrenti del ricorso n. 18766/11 hanno lamentato di non avere avuto mezzi per tutelare giuridicamente la loro relazione, in quanto era impossibile contrarre qualsiasi tipo di unione civile in Italia. Essi hanno invocato il solo articolo 8. I ricorrenti dei ricorsi nn. 18766/11 e 36030/11 hanno lamentato di essere stati oggetto di discriminazione in violazione dell’articolo 14 in combinato disposto con l’articolo 8. Tali disposizioni recitano:
Articolo 8
“1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza.
2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.”
Articolo 14
“Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita od ogni altra condizione.”
100. La Corte ribadisce di essere libera di qualificare giuridicamente i fatti della causa (si veda, per esempio, Gatt, sopra citata, § 19). Nel caso di specie la Corte considera che le doglianze sollevate dai ricorrenti del ricorso n. 36030/11 debbano essere esaminate ai sensi del solo articolo 8.
[…]
B. Sul merito
[…]
1. Osservazioni delle parti
[…]
 (c) Il Governo
122. Il Governo ha osservato che la Corte ha riconosciuto il diritto garantito dalla Convenzione delle coppie dello stesso sesso di vedere la loro unione riconosciuta giuridicamente, ma ha ritenuto che le disposizioni rilevanti (artt. 8, 12 e 14) non dessero luogo a un obbligo giuridico per gli Stati contraenti, dato che questi ultimi godono di un più ampio margine di discrezionalità nell’adozione di modifiche legislative atte a soddisfare il mutato “senso comune” della comunità. Difatti, alla luce di ciò, nella causa Schalk e Kopf, nonostante la mancanza di legislazione sul matrimonio o su altre forme di riconoscimento delle unioni omosessuali, lo Stato austriaco non è stato ritenuto responsabile di violazioni della Convenzione. Ad avviso del Governo, come nella causa Gas e Dubois c. Francia, (n. 25951/07, CEDU 2012), la Corte aveva riconosciuto che lo Stato non aveva l’obbligo di prevedere il matrimonio omosessuale, e quindi non aveva neanche l’obbligo di prevedere altre unioni omosessuali.
123. Facendo riferimento ai principi stabiliti dalla Corte, il Governo ha osservato che le sensibilità sociali e culturali relative alla questione del riconoscimento giuridico delle coppie omosessuali hanno dato a ogni Stato Contraente un ampio margine di apprezzamento nella scelta dei tempi e dei modi di uno specifico quadro giuridico. Esso ha inoltre invocato le disposizioni del Protocollo n. 15. Ha osservato che lo stesso margine è stato previsto per il diritto dell’Unione europea, in particolare per l’art. 9 della Carta dei diritti. Tale materia ha dovuto pertanto essere lasciata al singolo Stato (in questo caso l’Italia), che era l’unica entità in grado di avere cognizione del “senso comune” della propria comunità, in particolare in relazione a una materia delicata che riguardava la sensibilità degli individui e le loro identità culturali, e in cui era necessariamente richiesto tempo per conseguire una graduale maturazione del senso comune di una comunità nazionale sul riconoscimento di questa nuova forma di famiglia nel senso della Convenzione.
124. Secondo il Governo, la Corte non aveva alcun potere di imporre tale obbligo. Né tale obbligo poteva essere dettato da altri Stati che, nel frattempo – la maggior parte di essi solo recentemente (si veda per esempio, Malta, 2014) – avevano adottato una norma in conseguenza di un processo interno di maturazione sociale. Il Governo ha osservato che, al momento della presentazione delle sue osservazioni, meno della metà degli Stati contraenti europei aveva previsto forme di tutela giuridica delle coppie non sposate, comprese quelle omosessuali, e molti lo avevano fatto solo recentemente (per esempio, l’Austria nel 2010, l’Irlanda nel 2011 e la Finlandia nel 2012), e nell’altra metà ciò non era minimamente previsto. Esso ha inoltre ritenuto che il fatto che alla fine di una graduale evoluzione uno Stato si trovasse in una posizione isolata riguardo a un aspetto della sua legislazione non significava necessariamente che tale aspetto fosse in conflitto con la Convenzione (ha fatto riferimento a Vallianatos, § 92). Il Governo ha pertanto ritenuto che da nessun articolo della Convenzione discendesse alcun obbligo positivo di legiferare in materia di coppie omosessuali. Spettava unicamente allo Stato decidere se proibire o permettere le unioni omosessuali e attualmente non vi era alcuna tendenza in tal senso (questo processo e questo risultato potevano essere osservati anche negli Stati Uniti d’America, in cui ciascuno Stato poteva regolamentare la materia).
125. Tornando alla situazione pertinente all’Italia, il Governo ha fatto riferimento alla sentenza n. 138/10 (si veda il paragrafo 16 supra), nella quale la Corte costituzionale aveva riconosciuto l’importanza per le coppie dello stesso sesso di poter veder la loro unione riconosciuta giuridicamente, ma aveva lasciato al Parlamento il compito di identificare i tempi, i metodi e i limiti di tale quadro normativo. Pertanto, contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti, non vi era alcun obbligo immediato e la Corte costituzionale non aveva sancito tale obbligo costituzionale. Riferimento a tale conclusione era stato fatto anche nella recente sentenza della Corte costituzionale n. 170/14 relativa al “divorzio forzato” a seguito di rettificazione dell’attribuzione di sesso. Tuttavia, a differenza del caso di specie, in quest’ultimo caso la Corte costituzionale aveva invitato il legislatore ad agire sollecitamente in quanto gli interessati avevano già stabilito una relazione maritale produttiva di effetti e conseguenze che erano stati improvvisamente interrotti. Nel caso di specie, la Corte costituzionale ha riconosciuto l’esistenza di un diritto fondamentale, con conseguente necessità di assicurare la tutela giuridica delle unioni dello stesso sesso, ogniqualvolta sorga un trattamento diseguale. Essa ha tuttavia delegato ai tribunali nazionali ordinari il ruolo di controllare, caso per caso, se in ciascuno specifico caso le norme previste per le unioni di genere diverso fossero estensibili a quelle dello stesso sesso. Se, ad avviso dei tribunali, vi era un trattamento diseguale a svantaggio delle coppie dello stesso sesso, essi potevano rinviare la questione alla Corte costituzionale dichiarando che la norma esaminata era discriminatoria e chiedendo l’intervento correttivo del giudice.
126. Il Governo ha inoltre sostenuto che lo Stato italiano era impegnato nella elaborazione di uno status giuridico per le unioni dello stesso sesso fin dal 1986, attraverso un intenso dibattito e una varietà di disegni di legge sul riconoscimento delle unioni civili (anche tra coppie dello stesso sesso). La questione è sempre stata considerata urgente e rilevante, e recenti progetti di legge a tal fine, presentati da vari partiti politici, erano all’esame del Parlamento (si vedano i paragrafi 46-47 supra). Pertanto, pur osservando il diffuso fermento sociale e giuridico sulla questione, il Governo ha sottolineato che la materia ha continuato a essere discussa in tempi recenti. Ha fatto riferimento in particolare al Presidente del Consiglio dei Ministri italiano, che ha dichiarato pubblicamente di aver attribuito priorità assoluta al riconoscimento giuridico delle unioni dello stesso sesso e all’imminente discussione ed esame in Senato del disegno di legge n. 14 sulle unioni civili per le coppie dello stesso sesso, che, in termini di obblighi, corrispondeva in modo specifico all’istituto del matrimonio e ai diritti previsti da esso, compresa l’adozione, i diritti di successione, lo status dei figli di una coppia, l’assistenza sanitaria e penitenziaria, la residenza e i benefici lavorativi. L’Italia era quindi perfettamente in linea con il processo di maturazione che avrebbe portato a un consenso europeo e non poteva essere biasimata per non aver ancora legiferato in materia. Questa intensa attività degli ultimi trenta anni ha dimostrato l’intenzione da parte dello Stato di trovare una soluzione che possa ottenere l’approvazione pubblica nonché corrispondere alle esigenze di tutela di una parte della comunità. Esso ha comunque dimostrato anche che, nonostante l’attenzione prestata alla questione da parte di varie forze politiche, era difficile raggiungere un equilibrio tra le diverse sensibilità su una questione sociale tanto delicata e profondamente sentita. Ha osservato che le delicate scelte connesse alla politica sociale e legislativa dovevano conseguire il consenso unanime di diverse correnti di pensiero e sentimenti, nonché il sentimento religioso, che erano presenti nella società. Ne conseguiva che lo Stato italiano non poteva essere ritenuto responsabile del corso tortuoso verso il riconoscimento delle unioni dello stesso sesso.
127. Il Governo ha tuttavia affermato di avere già dimostrato in molti modi di aver riconosciuto le unioni omosessuali come giuridicamente esistenti e rilevanti e di aver offerto loro forme specifiche e concrete di tutela giuridica, attraverso mezzi giudiziari e non giudiziari. La giurisprudenza interna aveva riconosciuto nella maggior parte delle circostanze che le unioni dello stesso sesso erano una realtà, con rilevanza giuridica e sociale. Invero, i supremi giudici italiani avevano riconosciuto che, in alcune specifiche circostanze, le coppie dello stesso sesso potevano avere gli stessi diritti delle coppie eterosessuali sposate: ha fatto riferimento alle sentenze della Corte costituzionale n. 138/10; 276/2010 e 4/2011 (tutte citate sopra) e in particolare alla sentenza della Corte di cassazione n. 4184/12, nonché all’ordinanza di Reggio Emilia del 13 febbraio 2012 e alla sentenza del Tribunale di Grosseto (si veda il paragrafo 37 supra): secondo il Governo, a seguito di quest’ultima decisione, la trascrizione di tali matrimoni è diventata la prassi comune (un esempio ne è stato il provvedimento del Comune di Milano del 7 maggio 2013).
128. Il Governo ha sottolineato che la tutela delle coppie dello stesso sesso non era limitata al riconoscimento dell’unione e della relazione familiare stessa, ma era stata effettivamente garantita con specifico riferimento ad aspetti concreti della sua vita comune. Il Governo ha fatto riferimento a diverse sentenze dei tribunali ordinari: la sentenza del Tribunale di Roma n. 13445/82 del 20 novembre 1982 che, in una causa concernente la locazione di un appartamento, ha considerato la convivenza da parte di una coppia omosessuale sullo stesso piano di quella di una coppia eterosessuale; l’ordinanza del Tribunale di Milano del 13 febbraio 2011, in cui al partner sopravvissuto che aveva avuto una lunga relazione con la vittima è stato riconosciuto il danno morale per la perdita del partner dello stesso sesso; l’ordinanza del Tribunale di Milano del 13 novembre 2009 [sic] che ha ammesso la richiesta di costituzione come parte civile del partner omosessuale di una vittima ai fini del risarcimento della perdita subita; la sentenza n. 7176/12 della Corte di appello di Milano, Sezione Lavoro, del 29 marzo 2012, depositata nella pertinente cancelleria il 31 agosto 2012, che ha concesso al partner dello stesso sesso i benefici dell’assistenza sanitaria pagabile dal datore di lavoro alla famiglia convivente con il dipendente; la sentenza del Tribunale dei minorenni di Roma n. 299/14 del 30 giugno 2014 che ha concesso “il diritto di adottare a una coppia omosessuale” [sic], recte: il diritto di una “madre” non biologica “di adottare la figlia della sua partner lesbica (concepita mediante procreazione medicalmente assistita, all’estero, nel perseguimento del loro desidero di genitorialità condivisa), in considerazione degli interessi superiori della minore.
129. Il Governo ha inoltre sottolineato che le coppie dello stesso sesso che desideravano regolamentare giuridicamente vari aspetti della loro vita comune potevano sottoscrivere contratti di convivenza. Tali contratti consentivano alle coppie dello stesso sesso di disciplinare gli aspetti connessi a: i) le modalità di partecipazione alle spese comuni, ii) i criteri di attribuzione dei beni acquisiti durante la convivenza; iii) le modalità di uso della residenza comune (se di proprietà di uno o di entrambi i partners); iv) la procedura di divisione dei beni in caso di cessazione della convivenza; v) le disposizioni relative ai diritti in casi di malattia o incapacità fisica o mentale; e vi) gli atti di disposizione testamentaria a favore del partner convivente. Tali contratti sono stati recentemente pubblicizzati dal Consiglio Nazionale del Notariato, alla luce del crescente fenomeno delle unioni di fatto. Il Governo ha spiegato che al fine di attribuire ai contratti di convivenza il carattere organico di un quadro giuridico per le unioni di fatto, sia tra coppie dello stesso sesso o di sesso diverso, è stata presentata la proposta di emendare il Codice civile, introducendo un corpo di norme dedicate a tali situazioni (Codice civile Capo XXVI, art. 1986 bis et sequi).
130. Il Governo ha inoltre osservato che dal 1993 un crescente numero di comuni (ad oggi 155) ha istituito il Registro delle unioni civili, che ha permesso alle coppie omosessuali di registrarsi per poter essere riconosciute come famiglie ai fini delle strategie amministrative, politiche, sociali e assistenziali del comune. Esso era in vigore sia nelle piccole città che in quelle più grandi, ed è stato un segno inequivoco di un progressivo e crescente consenso sociale a favore del riconoscimento di tali famiglie. Per quanto riguarda il contenuto e gli effetti di tale forma di tutela, il Governo ha fatto riferimento, a mo’ di esempio, al registro delle unioni civili istituito dal comune di Milano (delibera n. 30 del 26 luglio 2012), con il quale il comune si è impegnato a tutelare e sostenere le unioni civili, al fine di superare situazioni di discriminazione e favorirne l’integrazione nello sviluppo sociale, culturale ed economico del territorio. Le aree tematiche nel cui ambito era necessaria un’azione prioritaria erano la casa, la sanità e i servizi sociali, le politiche per i giovani, i genitori e gli anziani, lo sport e il tempo libero, l’istruzione, la scuola e i servizi educativi, i diritti, la partecipazione e i trasporti. Gli atti dell’amministrazione dovevano prevedere accesso non discriminatorio a tali aree e prevenire condizioni di svantaggio sociale ed economico. All’interno della città di Milano, chi è iscritto nel registro è equiparato al “parente prossimo della persona con cui si è registrato” ai fini dell’assistenza. L’Amministrazione comunale rilascia, su richiesta degli interessati, un certificato di unione civile basata su vincolo affettivo di reciproca assistenza morale e materiale.
131. Il Governo ha inoltre osservato che dal 2003 la legislazione italiana ha previsto uguale trattamento nell’occupazione e nelle condizioni di lavoro ai sensi della Direttiva 2000/778/CE. Ha osservato che la tutela delle unioni civili ha ricevuto maggiore accettazione in alcuni settori dell’amministrazione statale piuttosto che in altri. A titolo di esempio, ha fatto riferimento a una decisione del Garante della Privacy (organo collegiale composto da quattro parlamentari eletti che si occupa della tutela dei dati personali) del 17 settembre 2009 che ha riconosciuto il diritto del partner sopravvissuto di richiedere una copia della cartella clinica del partner deceduto, nonostante l’opposizione degli eredi.
132. Nelle osservazioni di replica, il Governo ha negato categoricamente che il fine della misura contestata, o piuttosto l’assenza di tale misura, fosse quello di tutelare la famiglia tradizionale o la morale della società (come avevano affermato i ricorrenti).
133. In particolare, in relazione all’articolo 14, il Governo ha distinto il caso di specie e la causa Vallianatos. Esso ha osservato che non era ancora possibile affermare che esisteva una opinione comune europea in materia e che molti Stati erano, difatti, ancora sprovvisti di tale tipo di quadro giuridico. Ha inoltre invocato le conclusioni della Corte nella causa Schalk e Kopf. Il Governo ha sostenuto che mentre lo Stato italiano si era impegnato nella elaborazione di alcuni disegni di legge concernenti le coppie di fatto, esso non ha dato luogo a trattamento diseguale o a discriminazione. Analogamente visto il concreto riconoscimento e la tutela giuridica, giurisdizionale, legislativa e amministrativa riconosciuta alle coppie dello stesso sesso (come descritto sopra), la condotta dello Stato italiano non poteva essere considerata discriminatoria. Inoltre i ricorrenti non avevano fornito dettagli specifici delle sofferenze dedotte e qualsiasi danno astratto o generico non poteva essere considerato discriminatorio. Se lo fosse stato, avrebbe potuto essere considerato discriminatorio anche per le coppie eterosessuali non sposate, dato che non esisteva alcuna differenza di trattamento tra i due tipi di coppie menzionati.
[…]
2. La valutazione della Corte
(a) L’articolo 8
(i) Principi generali
159. Benché il fine essenziale dell’articolo 8 sia la tutela delle persone dall’ingerenza arbitraria delle autorità pubbliche, esso può anche porre in capo allo Stato alcuni obblighi positivi al fine di garantire l’effettivo rispetto dei diritti tutelati dall’articolo 8 (si vedano, tra altri precedenti, X e Y c. Paesi Bassi, 26 marzo 1985, § 23, Serie A n. 91; Maumousseau e Washington c. Francia, n. 39388/05, § 83, 6 dicembre 2007; Söderman c. Svezia [GC], n. 5786/08, § 78, CEDU 2013; e Hämäläinen c. Finlandia [GC], n. 37359/09, § 62, CEDU 2014). Tali obblighi possono comportare l’adozione di misure destinate a garantire il rispetto della vita privata o familiare anche nella sfera dei rapporti interpersonali (si vedano, inter alia, S.H. e altri c. Austria [GC], n. 57813/00, § 87, CEDU 2011, e Söderman, sopra citato, § 78).
160. I principi applicabili per valutare gli obblighi positivi e negativi dello Stato ai sensi della Convenzione sono simili. Si deve tener conto del giusto equilibrio che si deve garantire tra gli interessi concorrenti dell’individuo e della collettività nel suo insieme, e i fini del secondo paragrafo dell’articolo 8 hanno qualche rilevanza (si vedano Gaskin c. Regno Unito, 7 luglio 1989, § 42, Serie A n. 160, e Roche c. Regno Unito [GC], n. 32555/96, § 157, CEDU 2005 X).
161. La nozione di “rispetto” non è netta, specialmente per quanto riguarda gli obblighi positivi: vista la diversità delle prassi seguite e delle situazioni createsi negli Stati contraenti, i requisiti di tale nozione variano considerevolmente a seconda dei casi (si veda Christine Goodwin c. Regno Unito [GC], n. 28957/95, § 72, CEDU 2002 VI). Ciononostante alcuni fattori sono stati considerati rilevanti ai fini della valutazione del contenuto di tali obblighi positivi degli Stati (si veda Hämäläinen, sopra citata, § 66). Nel caso di specie ha rilevanza l’effetto che ha per un ricorrente una situazione in cui vi è divergenza tra la realtà sociale e la legislazione, dato che la coerenza delle prassi amministrative e giuridiche del sistema interno è considerata un fattore importante nella valutazione effettuata ai sensi dell’articolo 8 (si vedano, mutatis mutandis, Christine Goodwin, sopra citata, §§ 77-78; I. c. Regno Unito [GC], n. 25680/94, § 58, 11 luglio 2002, e Hämäläinen, sopra citata, § 66). Altri fattori riguardano l’impatto sullo Stato interessato del presunto obbligo positivo in questione. La questione è se l’asserito obbligo sia circoscritto e definito oppure ampio e indeterminato (si veda Botta c. Italia, 24 febbraio 1998, § 35, Reports 1998 I) o sulla portata dell’eventuale onere che l’obbligo porrebbe in capo allo Stato (si veda Christine Goodwin, sopra citata, §§ 86-88).
162. Nell’attuazione del loro obbligo positivo ai sensi dell’articolo 8 gli Stati godono di un certo margine di discrezionalità. Quando si determina l’ampiezza di tale margine si deve tener conto di diversi fattori. Nel contesto della “vita privata” la Corte ha ritenuto che, qualora sia in gioco un aspetto particolarmente importante dell’esistenza o dell’identità di una persona, il margine consentito allo Stato sarà ristretto (si vedano, per esempio, X e Y, sopra citata, §§ 24 e 27; Christine Goodwin, sopra citata, § 90; si veda altresì Pretty c. Regno Unito, n. 2346/02, § 71, CEDU 2002 III). Qualora, tuttavia, non vi sia accordo tra gli Stati membri del Consiglio d’Europa riguardo alla relativa importanza dell’interesse in gioco o ai mezzi migliori per tutelarlo, in particolare quando la causa solleva delicate questioni morali o etiche, il margine sarà più ampio (si vedano X, Y e Z c. Regno Unito, 22 aprile 1997, § 44, Reports 1997-II; Fretté c. Francia, n. 36515/97, § 41, CEDU 2002-I; e Christine Goodwin, sopra citata, § 85). Il margine sarà usualmente ampio anche quando si richiede allo Stato di garantire l’equilibrio tra opposti interessi privati e pubblici o tra diritti della Convenzione (si vedano Fretté, sopra citata, § 42; Odièvre c. Francia [GC], n. 42326/98, §§ 44 49, CEDU 2003 III; Evans c. Regno Unito [GC], n. 6339/05, § 77,CEDU 2007 I; Dickson c. Regno Unito [GC], n. 44362/04, § 78, CEDU 2007 V; e S.H.e altri, sopra citata, § 94).
(ii) La recente giurisprudenza pertinente e la portata del caso di specie
163. La Corte ha già dovuto affrontare doglianze concernenti l’assenza di riconoscimento delle unioni omosessuali. Tuttavia nella più recente causa Schalk e Kopf c. Austria, quando la Corte ha emesso la sentenza i ricorrenti avevano già ottenuto la possibilità di contrarre un’unione registrata. La Corte ha pertanto dovuto determinare unicamente se lo Stato convenuto avrebbe dovuto fornire ai ricorrenti uno strumento alternativo di riconoscimento giuridico della loro unione prima di quando lo ha fatto (vale a dire prima del 1° gennaio 2010). Avendo preso atto dell’accordo europeo in rapido sviluppo, emerso nel decennio precedente, nonché del fatto che non vi era ancora una maggioranza di Stati che prevedeva il riconoscimento giuridico delle coppie omosessuali (all’epoca diciannove stati), la Corte ha ritenuto che la materia in questione riguardasse diritti in evoluzione sui quali non vi era un accordo consolidato, rispetto ai quali gli Stati godevano di un margine di discrezionalità relativamente ai tempi dell’introduzione di modifiche legislative (§ 105). La Corte ha pertanto concluso che, pur non essendo all’avanguardia, il legislatore austriaco, non poteva essere biasimato per non aver introdotto la legge sulle unioni registrate prima del 2010 (si veda ibid., § 106). In tale causa la Corte ha concluso anche che l’articolo 14 in combinato disposto con l’articolo 8 non poneva in capo agli Stati contraenti l’obbligo di concedere alle coppie omosessuali l’accesso al matrimonio (ibid, § 101).
164. Nel caso di specie i ricorrenti non hanno a tutt’oggi la possibilità di contrarre un’unione civile o un’unione registrata (in assenza di matrimonio) in Italia. La Corte deve pertanto determinare se l’Italia, alla data dell’analisi della Corte, ovvero nel 2015, non abbia ottemperato all’obbligo positivo di garantire il rispetto della vita privata e familiare dei ricorrenti, in particolare mediante la previsione di un quadro giuridico che consentisse loro di far riconoscere e tutelare la loro relazione ai sensi del diritto interno.
(iii) L’applicazione dei principi generali al caso di specie
165. La Corte ribadisce di aver già ritenuto che le coppie omosessuali abbiano la stessa capacità delle coppie eterosessuali di instaurare relazioni stabili e che si trovino in una situazione significativamente simile a una coppia eterosessuale per quanto riguarda l’esigenza di riconoscimento giuridico e di tutela della loro relazione (si vedano Schalk e Kopf, § 99, e Vallianatos, §§ 78 e 81, entrambe sopra citate). Ne consegue che la Corte ha già riconosciuto che le coppie omosessuali necessitano di riconoscimento giuridico e tutela della loro relazione.
166. Tale stessa esigenza, nonché la volontà di provvedervi, è stata espressa dall’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, che ha raccomandato al Comitato dei ministri di esortare gli Stati membri, tra l’altro, “ad adottare leggi che prevedano le unioni registrate” già quindici anni fa, e più recentemente dal Comitato dei Ministri (nella sua raccomandazione CM/Rec(2010)5) che ha invitato gli Stati membri, quando la legislazione nazionale non riconosce o non conferisce diritti né obblighi alle unioni registrate tra persone dello stesso sesso, a prendere in esame la possibilità di fornire alle coppie dello stesso sesso i mezzi giuridici o di altro tipo per risolvere i problemi pratici legati alla realtà sociale in cui vivono (si vedano i paragrafi 57 e 59 supra).
167. La Corte osserva che i ricorrenti del caso di specie, che non possono sposarsi, non hanno potuto avere accesso a uno specifico quadro giuridico (quale quello relativo alle unioni civili o alle unioni registrate) in grado di permettere il riconoscimento del loro status e garantire loro alcuni diritti relativi a una coppia che ha una relazione stabile.
168. La Corte prende atto della situazione dei ricorrenti nel sistema interno italiano. Per quanto riguarda la trascrizione delle unioni omosessuali dei ricorrenti nel “registro comunale delle unioni civili”, la Corte osserva che laddove ciò è possibile (vale dire in meno del 2% dei comuni esistenti), tale atto ha un valore puramente simbolico ed è rilevante a fini statistici; non conferisce ai ricorrenti alcun stato civile ufficiale e non conferisce assolutamente diritti alle coppie omosessuali. Ciò non ha neanche valore probatorio (di un’unione stabile) nei tribunali interni (si veda il paragrafo 115 supra).
169. L’attuale status dei ricorrenti nel contesto giuridico interno può essere considerato semplicemente “un’unione di fatto”, che può essere disciplinata mediante alcuni accordi contrattuali privati di portata limitata. Per quanto riguarda i menzionati contratti di convivenza la Corte osserva che benché essi prevedano alcuni accordi interni in materia di convivenza (si vedano i paragrafi 41 e 129 supra), tali accordi privati non provvedono ad alcune esigenze che sono fondamentali ai fini della regolamentazione del rapporto di una coppia che ha una relazione stabile, quali, inter alia, i reciproci diritti e obblighi, compresa la reciproca assistenza morale e materiale, gli obblighi di mantenimento e i diritti successori (si confronti Vallianatos, § 81 in fine, e Schalk e Kopf, § 109, entrambe sopra citate). Il fatto che tali contratti non siano finalizzati al riconoscimento e alla tutela della coppia è ovvio perché essi sono accessibili a chiunque conviva, indipendentemente dall’essere una coppia che ha una relazione stabile (si veda il paragrafo 41 supra). Tale contratto prescrive inoltre che le persone convivano; tuttavia la Corte ha già accettato che l’esistenza di un’unione stabile è indipendente dalla convivenza (si veda Vallianatos, §§ 49 e 73). Invero, nel mondo globalizzato di oggi diverse coppie, sposate, o che hanno contratto un’unione registrata, attraversano periodi in cui vivono la loro relazione a distanza, dovendo mantenere la residenza in paesi diversi, per motivi professionali o di altro tipo. La Corte ritiene che tale fatto non abbia di per sé alcuna incidenza sull’esistenza di una relazione stabile e sulla necessità che essa sia tutelata. Ne consegue che, oltre al fatto che i contratti di convivenza non erano neanche accessibili ai ricorrenti prima del dicembre 2013, non si può ritenere che tali contratti forniscano il riconoscimento e la tutela indispensabile alle unioni dei ricorrenti.
170. Inoltre non è stato dimostrato che i tribunali nazionali potessero emettere una dichiarazione di riconoscimento formale, né il Governo ha spiegato quali sarebbero state le implicazioni di una simile dichiarazione (si veda il paragrafo 82 supra). Benché i tribunali nazionali abbiano ripetutamente confermato la necessità di garantire tutela alle unioni omosessuali e di evitare un trattamento discriminatorio, attualmente, per ricevere tale tutela, i ricorrenti, come le altre persone che si trovavano nella loro situazione, debbono sollevare diverse questioni ricorrenti dinanzi ai tribunali interni ed eventualmente anche dinanzi alla Corte costituzionale (si veda il paragrafo 16 supra), cui i ricorrenti non hanno accesso diretto (si veda Scoppola c. Italia (n. 2) [GC], n. 10249/03, § 70, 17 settembre 2009). Dalla giurisprudenza portata all’attenzione della Corte si evince che benché il riconoscimento di alcuni diritti sia stato rigorosamente confermato, altre questioni relative alle unioni omosessuali rimangono incerte, dato che, come ribadito dal Governo, i tribunali decidono caso per caso. Il Governo ha anche ammesso che la tutela delle unioni omosessuali è stata maggiormente accettata da alcuni organi piuttosto che da altri (si veda il paragrafo 131 supra). A tale proposito è stato inoltre osservato che il Governo esercita costantemente il diritto di opporsi a tali pretese (si veda, per esempio, l’appello proposto avverso la decisione del Tribunale di Grosseto) dimostrando pertanto scarso sostegno alle conclusioni che invoca.
171. Come indicato dall’ARCD, la legge prevede esplicitamente il riconoscimento del partner omosessuale in circostanze molto limitate (si veda il paragrafo 146 supra). Ne consegue che anche le più normali “esigenze” che sorgono nel contesto di una coppia omosessuale debbono essere determinate per via giudiziaria, nelle incerte circostanze sopra citate. La Corte ritiene che la necessità di ricorrere ripetutamente ai tribunali interni per sollecitare parità di trattamento in relazione a ciascuno dei molteplici aspetti che riguardano i diritti e i doveri di una coppia, specialmente in un sistema giudiziario oberato come quello italiano, costituisca già un ostacolo non irrilevante agli sforzi dei ricorrenti volti a ottenere il rispetto della propria vita privata e familiare. Ciò è ulteriormente aggravato dallo stato di incertezza.
172. Da quanto sopra consegue che la tutela attualmente disponibile non solo è carente nel contenuto, nella misura in cui non provvede alle esigenze fondamentali di una coppia che ha una relazione stabile, ma non è neanche sufficientemente stabile - dipende dalla convivenza, nonché dall’atteggiamento dei giudici (o a volte degli organi amministrativi) nel contesto di un paese che non è vincolato dal sistema del precedente giudiziario (si veda Torri e altri c. Italia, (dec.), nn. 11838/07 e 12302/07, § 42, 24 gennaio 2012). A tale proposito la Corte ribadisce che la coerenza delle prassi amministrative e giuridiche del sistema interno deve essere considerata un fattore importante nella valutazione effettuata ai sensi dell’articolo 8 (si veda il paragrafo 161 supra).
173. In relazione ai principi generali menzionati nel paragrafo 161 supra, la Corte osserva che dall’esame di cui sopra del contesto interno emerge l’esistenza di un conflitto tra la realtà sociale dei ricorrenti che prevalentemente vivono in Italia la loro relazione apertamente, e la legislazione che non fornisce loro alcun riconoscimento ufficiale sul territorio. Secondo la Corte l’obbligo di prevedere il riconoscimento e la tutela delle unioni omosessuali, consentendo in tal modo alla legge di rispecchiare le realtà delle situazioni dei ricorrenti, non comporterebbe alcun particolare onere per lo Stato italiano di tipo legislativo, amministrativo o di altro tipo. Inoltre tale legislazione risponderebbe a un’importante esigenza sociale, come ha osservato l’ARCD, le statistiche nazionali ufficiali indicano che, soltanto nell’Italia centrale, vi è circa un milione di omosessuali (o di bisessuali).
174. In considerazione delle considerazioni di cui sopra, la Corte ritiene che in assenza di matrimonio, le coppie omosessuali quali i ricorrenti abbiano particolare interesse a ottenere la possibilità di contrarre una forma di unione civile o di unione registrata, dato che questo sarebbe il modo più appropriato per poter far riconoscere giuridicamente la loro relazione e garantirebbe loro la relativa tutela – sotto forma di diritti fondamentali relativi a una coppia che ha una relazione stabile – senza ostacoli superflui. La Corte ha inoltre già ritenuto che tali unioni civili abbiano un valore intrinseco per le persone che si trovano nella situazione dei ricorrenti, indipendentemente dagli effetti giuridici, circoscritti o estesi, che esse produrrebbero (si veda Vallianatos, sopra citata, § 81). Tale riconoscimento conferirebbe inoltre un senso di legittimità alle coppie omosessuali.
175. La Corte ribadisce che nel valutare gli obblighi positivi di uno Stato occorre tener conto del giusto equilibrio che deve essere raggiunto tra gli interessi concorrenti dell’individuo e della collettività nel suo insieme. Avendo precedentemente individuato gli interessi individuali in gioco, la Corte deve procedere a valutarli in rapporto agli interessi della collettività.
176. A tale proposito, tuttavia, la Corte osserva che il Governo italiano non ha esplicitamente sottolineato ciò che, a suo avviso, corrisponde agli interessi della collettività nel suo insieme. Esso ha tuttavia affermato che “occorre necessariamente tempo per raggiungere una graduale maturazione di una visione comune della comunità nazionale sul riconoscimento di questa nuova forma di famiglia”. Esso ha inoltre fatto riferimento alle “diverse sensibilità su una questione sociale tanto delicata e profondamente sentita” e alla ricerca del “consenso unanime di differenti correnti di pensiero e di sentimento, anche di ispirazione religiosa, presenti nella società”. Esso ha al contempo categoricamente negato che l’assenza di uno specifico quadro giuridico che preveda il riconoscimento e la tutela delle unioni omosessuali abbia tentato di proteggere il concetto tradizionale di famiglia o i costumi della società. Il Governo ha invece invocato il proprio margine di discrezionalità nella scelta dei tempi e delle modalità dello specifico quadro giuridico, sostenendo di trovarsi in una posizione migliore per valutare i sentimenti della sua collettività.
177. Per quanto riguarda l’ampiezza del margine di discrezionalità, la Corte osserva che esso dipende da vari fattori. Benché la Corte possa accettare che l’oggetto della presente causa possa essere connesso a delicate questioni morali o etiche che permettono un maggiore margine di discrezionalità in assenza di accordo tra gli Stati membri, essa osserva che il caso di specie non riguarda alcuni specifici diritti “supplementari” (in contrapposizione ai diritti fondamentali) che possono o non possono sorgere da tale unione e che possono essere oggetto di una feroce controversia alla luce della loro dimensione sensibile. A tale proposito la Corte ha già ritenuto che gli Stati godano di un certo margine di discrezionalità per quanto riguarda l’esatto status conferito da mezzi di riconoscimento alternativi e i diritti e gli obblighi conferiti da tale unione o da un’unione registrata (si veda Schalk e Kopf, sopra citata, §§ 108-09). In realtà il caso di specie concerne unicamente l’esigenza generale di riconoscimento giuridico e la tutela fondamentale dei ricorrenti in quanto coppie omosessuali. La Corte considera questi ultimi aspetti dell’esistenza e dell’identità dell’individuo cui si dovrebbe applicare il margine pertinente.
178. Oltre a quanto sopra, ai fini dell’esame della Corte rileva anche il movimento a favore del riconoscimento giuridico delle coppie omosessuali che ha continuato a svilupparsi rapidamente in Europa dopo la sentenza della Corte nella causa Schalk e Kopf. Ad oggi un’esigua maggioranza di Stati del Consiglio d’Europa (ventiquattro su quarantasette, si veda il paragrafo 55 supra) ha già legiferato a favore di tale riconoscimento e della relativa tutela. La stessa rapida evoluzione può essere riscontrata a livello globale, con particolare riferimento ai paesi delle Americhe e dell’Australasia (si vedano i paragrafi 65 e 135 supra). Le informazioni disponibili mostrano pertanto un continuo movimento internazionale a favore del riconoscimento giuridico, al quale la Corte non può che attribuire qualche importanza (si vedano, mutatis mutandis, Christine Goodwin, § 85, e Vallianatos, § 91, entrambe sopra citate).
179. Ritornando alla situazione italiana, la Corte osserva che benché il Governo si trovi generalmente in una posizione migliore per valutare gli interessi collettivi, nel caso di specie il legislatore italiano non sembra aver attribuito particolare importanza alle indicazioni fornite dalla comunità nazionale, in particolare dalla popolazione italiana in generale e dalle supreme autorità giudiziarie italiane.
180. La Corte osserva che in Italia le supreme autorità giudiziarie, comprese la Corte costituzionale e la Corte di cassazione, hanno dato ampio risalto all’esigenza di riconoscere e tutelare tali relazioni. Si è fatto riferimento in particolare alla sentenza della Corte costituzionale n. 138/10 relativa alla causa dei due primi ricorrenti, le cui conclusioni sono state ribadite in una serie di successive sentenze negli anni successivi (si vedano alcuni esempi al paragrafo 45 supra). In tali cause la Corte costituzionale ha segnatamente e ripetutamente sollecitato il riconoscimento giuridico dei pertinenti diritti e doveri delle unioni omosessuali (si veda inter alia, il paragrafo 16 supra), misura che poteva essere adottata soltanto dal Parlamento.
181. La Corte osserva che tale espressione rispecchia i sentimenti della maggioranza della popolazione italiana, come dimostrato mediante studi ufficiali (si veda il paragrafo 144 supra). Le statistiche presentate indicano che vi è nella popolazione italiana una diffusa accettazione delle coppie omosessuali nonché un diffuso sostegno al loro riconoscimento e alla loro tutela.
182. In realtà, nelle osservazioni presentate a questa Corte, lo stesso Governo italiano non ha negato la necessità di tale tutela, affermando che essa non si limita al riconoscimento (si veda il paragrafo 128 supra), che inoltre, come esso ha anche ammesso, incontrava un crescente favore nella società italiana (si veda il paragrafo 130 supra).
183. Malgrado ciò, nonostante qualche tentativo nel corso di trenta anni (si vedano i paragrafi 126 e 46-47 supra) il legislatore italiano non è riuscito a promulgare una legge in materia.
184. A tale proposito la Corte rammenta che, sebbene in un contesto diverso, essa ha precedentemente ritenuto che “il tentativo deliberato di impedire l’esecuzione di una sentenza definitiva ed esecutiva, e che è, inoltre, tollerato se non tacitamente approvato, dal potere legislativo ed esecutivo dello Stato, non può essere ricondotto ad alcun legittimo interesse pubblico o agli interessi della collettività nel suo insieme. Al contrario, esso può compromettere la credibilità e l’autorità della magistratura e mettere a repentaglio la sua effettività, fattori che sono di suprema importanza dal punto di vista dei principi fondamentali che costituiscono la base della Convenzione (si veda Broniowski c. Polonia [GC], n. 31443/96, § 175, CEDU 2004 V). Benché la Corte sia consapevole delle importanti differenze giuridiche e fattuali tra la causa Broniowski e il caso di specie, essa ritiene tuttavia che nel caso di specie il legislatore, intenzionalmente o per mancanza della necessaria determinazione, abbia disatteso le ripetute esortazioni dei supremi tribunali italiani. Invero, lo stesso presidente della Corte costituzionale nella relazione annuale della Corte si è rammaricato della mancata risposta da parte del legislatore alla pronuncia della Corte costituzionale relativa alla causa dei primi due ricorrenti (si veda il paragrafo 43 supra). La Corte ritiene che questa ripetuta inosservanza da parte del legislatore delle pronunce della Corte costituzionale o delle raccomandazioni in esse contenute relative alla coerenza con la Costituzione per un significativo periodo di tempo, indebolisca potenzialmente le responsabilità della magistratura e nel caso di specie abbia lasciato gli interessati in una situazione di incertezza giuridica di cui si deve tener conto.
185. In conclusione non avendo il Governo italiano dedotto un interesse collettivo prevalente in rapporto al quale bilanciare gli importantissimi interessi dei ricorrenti, così come individuati in precedenza, e alla luce del fatto che le conclusioni dei tribunali interni in materia sono rimaste lettera morta, la Corte conclude che il Governo italiano ha ecceduto il suo margine di discrezionalità e non ha ottemperato all’obbligo positivo di garantire che i ricorrenti disponessero di uno specifico quadro giuridico che prevedesse il riconoscimento e la tutela delle loro unioni omosessuali.
186. Per concludere oggi diversamente, la Corte non avrebbe dovuto essere disposta a prendere atto delle mutate condizioni in Italia e avrebbe dovuto essere riluttante ad applicare la Convenzione in maniera pratica ed effettiva.
187. Vi è conseguentemente stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione.
[…]
IV. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
195. L’articolo 41 della Convenzione prevede:
“Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.”
A. Danno
[…]

199. La Corte osserva che la pretesa economica dei ricorrenti del ricorso n. 18766/11 non è stata quantificata né dimostrata. La Corte ritiene d’altra parte che tutti i ricorrenti abbiano subito un danno morale e accorda loro EUR 5.000 ciascuno, oltre l’importo eventualmente dovuto da essi a titolo di imposta, a questo titolo.
200. Infine, in relazione alla richiesta dei ricorrenti, la Corte osserva di aver concluso che l’assenza di un quadro giuridico che permetta di riconoscere e tutelare la loro relazione viola i loro diritti di cui all’articolo 8 della Convenzione. In conformità all’articolo 46 della Convenzione, spetta allo Stato convenuto attuare, sotto il controllo del Comitato dei Ministri, le opportune misure generali e/o individuali per adempiere all’obbligo di garantire il diritto dei ricorrenti e delle altre persone che si trovano nella loro situazione al rispetto della loro vita privata e familiare (si veda Scozzari e Giunta c. Italia [GC], nn. 39221/98 e 41963/98, § 249, CEDU 2000 VIII, Christine Goodwin, sopra citata, § 120, CEDU 2002 VI; e S. e Marper c. Regno Unito [GC], nn. 30562/04 e 30566/04, § 134, CEDU 2008).
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1.   Dichiara ricevibili le doglianze ai sensi dell’articolo 8 considerato singolarmente e dell’articolo 14 in combinato disposto con l’articolo 8, e irricevibile il resto dei ricorsi;
2.   Ritiene che vi sia stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione;
3.   Ritiene che non sia necessario esaminare la doglianza ai sensi dell’articolo 14 in combinato disposto con l’articolo 8 della Convenzione;
4.   Ritiene
a.   che lo Stato convenuto debba versare ai ricorrenti, entro tre mesi a decorrere dalla data in cui la sentenza diverrà definitiva in conformità all’articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme:
i.        EUR 5.000 (cinquemila euro) ciascuno, oltre l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per il danno morale;
ii.        EUR 4.000 (quattromila euro), congiuntamente, ai ricorrenti del ricorso n. 18766/11, oltre l’importo eventualmente dovuto dai ricorrenti a titolo di imposta, per le spese;
iii.        EUR 10.000 (diecimila euro), congiuntamente, ai ricorrenti del ricorso n. 36030/11, oltre l’importo eventualmente dovuto dai ricorrenti a titolo di imposta, per le spese, da versare direttamente sui conti bancari dei loro rappresentanti;
b.   che a decorrere dalla scadenza di detto termine e fino al versamento, tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice a un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, maggiorato di tre punti percentuali;
5.   Rigetta la domanda di equa soddisfazione dei ricorrenti per il resto.
Fatta in inglese, poi notificata per iscritto il 21 luglio 2015, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del Regolamento della Corte.
Françoise Elens-Passos
Cancelliere
Päivi Hirvelä
Presidente
In conformità all’articolo 45 § 2 della Convenzione e all’articolo 74 § 2 del Regolamento della Corte, è allegata alla presente sentenza l’opinione separata del Giudice Mahoney comune ai Giudici Tsotsoria e Vehabović.
P.H.
F.E.P.