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Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

Dall’anno associativo 2020/2021 il gruppo di AC di San Clemente Papa si riunisce abitualmente il secondo, il terzo e il quarto sabato del mese alle 17 e anima la Messa domenicale delle 9. Durante la pandemia da Covid 19 ci siamo riuniti in videoconferenza Google Meet. Anche dopo che la situazione sanitaria sarà tornata alla normalità, organizzeremo riunioni dedicate a temi specifici e aperte ai non soci con questa modalità.

Per partecipare alle riunioni del gruppo on line con Google Meet, inviare, dopo la convocazione della riunione di cui verrà data notizia sul blog, una email a mario.ardigo@acsanclemente.net comunicando come ci si chiama, la email con cui si vuole partecipare, il nome e la città della propria parrocchia e i temi di interesse. Via email vi saranno confermati la data e l’ora della riunione e vi verrà inviato il codice di accesso. Dopo ogni riunione, i dati delle persone non iscritte verranno cancellati e dovranno essere inviati nuovamente per partecipare alla riunione successiva.

La riunione Meet sarà attivata cinque minuti prima dell’orario fissato per il suo inizio.

Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

NOTA IMPORTANTE / IMPORTANT NOTE

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Il sito della parrocchia:

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lunedì 27 giugno 2022

Appunti dalla conversazione sul tema “Vocazione all’impegno politico del cristiano” tenuta il 24-6-22, in video conferenza Zoom, per il MEIC – Lazio dal prof. Roberto Regoli, docente di storia contemporanea della Chiesa – a cura di Mario Ardigò – testo non rivisto dal relatore

 

Appunti dalla conversazione sul tema “Vocazione all’impegno politico del cristiano” tenuta il 24-6-22, in video conferenza Zoom,  per il MEIC – Lazio  dal prof. Roberto Regoli, docente di storia contemporanea della Chiesa – a cura di Mario Ardigò – testo non rivisto dal relatore

 

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0.   Struttura l’intervento in due momenti: una riflessione storica, come premessa, e una riflessione sul tempo presente basata sulle considerazioni storiche.

  L’argomento di oggi, la vocazione politica del cristiano, può apparire ovvio per chi viene da un cammino come quello del MEIC, quindi da un cammino cattolico che ha fatto dell’orizzonte del mondo un impegno personale. Oggi non è più così. Parlando con fratelli nella fede che sono deputati o senatori si viene a sapere che appena vengono eletti spesso sono marginalizzati nelle comunità. Si sentono messi da parte, come se dovessero giustificare la loro scelta, come se l’impegno politico non fosse più l’impegno nobile di una volta. Questo viene detto da rappresentanti di diversi partiti, senza distinzione tra destra e sinistra. La politica non è più percepita a livello pratico come una vocazione. A livello pratico, tra di noi, ce la raccontiamo in questa maniera, perché ci crediamo profondamente. Però a livello di comunità più diffusa non è così.

  Questa diversa lettura non è solamente del tempo presente. L’abbiamo avuta anche nella storia del passato.

1. conferenziere introduce delle immagini tratte dall’arte, di cui si dichiara appassionato, e dalla storia dell’arte.

 Tante volte, nel vedere l’arte religiosa, noi vediamo il rapporto che c’è tra il cristianesimo e il mondo, tra il credente e la realtà mondana.

  Le prime rappresentazioni artistiche di Cristo sono quelle di Cristo imberbe. Viene presa una figura che precedeva il cristianesimo, del pastore, senza barba. Come deve essere interpretata questa scelta a livello della storia dell’arte? Il Cristo imberbe rappresenta in qualche modo il disimpegno del cristianesimo di fronte all’impero [l’antico impero romano, nota mia], quello che oggi potremmo chiamare il mondo, la politica. C’è un contenuto teologico ma non di impegno [nel mondonota mia]. Se consideriamo altre rappresentazioni successive di Cristo, si nota che il connubio tra cristianesimo e politica è molto più chiaro. Ad esempio quando Cristo viene rappresentato come imperatore. Ormai l’impero è non solo l’orizzonte del cristianesimo, ma c’è una commistione chiara: non si può pensare l’uno senza l’altro. E questo anche se abbiamo forme di cristianesimo fuori dell’impero romano: il primo regno confessionale del mondo, nel 4° secolo, è il regno di Armenia. Ci furono dei cristiani che arrivarono fino all’India. Abbiamo però nell’impero romano un’evoluzione del cristianesimo in rapporto alla politica che è tutta speciale, unica rispetto ad altri mondi.

 A volte il cristianesimo indica anche un impegno nel mondo come predominio, per controllare la realtà. Pensate alle raffigurazioni del Cristo nelle forme carolingie, un uomo forte, con fisiognomica germanica, che controlla tutte le forze del male. E di questo passo possiamo andare avanti fino ai nostri giorni. Partiamo da un disimpegno del cristianesimo di fronte al politico, che  in qualche modo è anche una scelta politica diremmo noi con le categorie di oggi: il politico non era l’impegno del credente alle origini. Arriviamo ad altre forme in cui c’è un connubio e addirittura una sovrapposizione tra politico e religioso. Pensiamo al medioevo, con la christianitas.

 E’ interessante considerare gli imperatori medievali perché, innanzi tutto, hanno un sacramento tutto loro, la famosa Cresima dei re, che all’epoca non si sapeva se fosse un sacramentale  o un sacramento, ma che dava loro un’aura di potenza unica. Il re francese faceva miracoli dopo la sua consacrazione.

 Quella commistione tra politico e religioso si ha nello stesso imperatore quando gli veniva consentito di abbigliarsi con abiti liturgici, la stola, la dalmatica, il piviale. Pensate anche alla corona imperiale: al suo interno ha una mitria, rigirato ma c’era, sia in Austria che in Russia.

  Insomma, ci sono delle forme nel tempo in cui il politico e il religioso si vanno a sovrapporre. Detto in termini positivi: nel mondo antico c’è unità profonda, che gradualmente salta nella modernità.

  Quando si produsse una spaccatura dentro il mondo cristiano occidentale tra il cattolicesimo e i diversi mondi della protesta cristiana – e siamo quindi nel Sedicesimo secolo – questo connubio venne ripensato. Si spezzò l’unità religiosa e si ha una maggiore diversificazione tra il politico e il religioso, tanto è vero che poi si parla di secolarizzazione.  Va detto però che questa divisione condusse ad esiti differenti. Se pensiamo alle Chiese protestanti o alle Chiese ortodosse, lì c’è una stretta dipendenza del religioso dal politico. Non solo perché il sovrano è anche capo religioso, ma perché il religioso e veramente il supporto del politico. L’anomalia, dentro il cristianesimo, è quella del cattolicesimo, che si pone sempre come un’istanza critica: ciò fu dovuto principalmente alla presenza del Papato, che non permette ai diversi  cattolicesimi nazionali  di dipendere troppo dal sovrano.

 Il modo di rapportarsi alla politica dall’antichità fino ai nostri giorni è variato enormemente.

  Nell’epoca della secolarizzazione, c’è un altro passaggio importante per il nostro tema che tocca anche il cattolicesimo che conosciamo oggi. Dopo che fu avviata, nel Sedicesimo secolo, la distinzione di cui s’è detto prima, il fatto più rilevante fu quello della Rivoluzione francese. Questo perché cambiò la politica. I termini Destra e Sinistra nacquero a quell’epoca. Inizialmente per indicare dove alcuni politici, rappresentanti del popolo, sedevano nell’assemblea: da quella collocazione nello spazio si arrivò a una diversa collocazione di idee, a una diversa collocazione politica. La distinzione binaria tra Destra e Sinistra, Tradizionalista  e Progressista, Liberale e Conservatore, entrò nel linguaggio. E’ una semplificazione, certo, ma poi quel linguaggio politico, se ci pensate bene, è entrato anche nel religioso. Questo si nota benissimo anche nell’Ottocento, quindi nei primi anni dopo quella rivoluzione. Pensate ai cattolici liberali, o pensate ai cattolici ultras: si tratta di categorie politico-filosofiche che [vengono applicate in politica ma anche nel mondo religioso – testo incerto – è un mia interpretazione]. Ciò alla lunga creò delle fratture che viviamo ancora oggi nel mondo cattolico, e non solo cattolico religioso. Nei secoli passati c’è stata una certa contrapposizione in base alle visioni teologiche e dottrinali, quindi da una parte i cattolici e dall’altra i protestanti, da una parte i cristiani e dall’altra gli ebrei, ormai le contrapposizioni non sono più di questa natura: da una parte ci sono i Conservatori (cattolici, protestanti ed ebrei) e dall’altra i Progressisti (cattolici, protestanti ed ebrei). L’elemento della lettura del mondo da un punto di vista politico ha prevalso su un’interpretazione teologica del mondo.

 Noi oggi ci troviamo agli epigoni, o ai colpi di coda, di questo mondo così strutturato.

  Il sociale viene posto al centro del tutto.

  Questo modo di procedere lo troviamo anche in alcune istanze teologiche. Pensate alla teologia della liberazione: come può essere interpretata? Ce ne sono di diverse possibili. In forza di una sorta di eterogenesi dei fini, risponde ad un’istanza che fu portata avanti negli anni ’20 dal papa Pio 11°, con la teologia del Cristo Re. Nel momento in cui si riconosce Cristo come proprio Re, hai la pretesa di portare questo Regno di Cristo su questa terra. Era anche la pretesa del cristianesimo medievale, con l’idea di christianitas. D’altra parte la teologia della liberazione ha, in ultimo, la stessa pretesa. Che cosa è successo, poi, nella teologia della liberazione? E’ successo che alcuni suoi epigoni come sacerdoti hanno preso le armi. Ci sono diversi studi su questo versante. E anche la figura del povero, spesso messa al centro delle riflessioni cattoliche del Novecento, perde le caratteristiche bibliche, il povero  come colui che dipende dagli altri  per cui si idealizza questa condizione per il cristiano come colui che dipende da Dio, assumendo delle caratteristiche propriamente sociali e poi politiche. Si pensi ad esempio, nella metà del Novecento, al Peronismo e al cosiddetto Evitismo (da Evita Peron, la moglie di Peron). Il Peronismo è un primo populismo.

 Nel Novecento, a livello concettuale e poi a livello di scelte politiche, pratiche e terminologiche, un mèlange [=mescolanza – nota mia], una contaminazione tra il linguaggio politico e quello religioso, che sotto certi aspetti era cominciata già prima. Si pensi, nell’Ottocento, ciò che fu per noi italiani il Risorgimento, che significa Risurrezione. Se si considerano certi discorsi risorgimentali di un Mazzini o di un Garibaldi, uomini che fecero tutt’altre scelte rispetto a quelle del mondo cattolico: adottarono tutto un linguaggio che si rifaceva all’immaginario religioso. Questo modo di procedere si è intensificato nel Novecento. In questa cornice troviamo l’impegno dei cattolici.

  Sul versante italiano,  c’era stato un divorzio tra il Paese e il cattolicesimo per tutta la questione romana e solo alcuni gruppi di cattolici si erano impegnati nella costruzione politica. Tuttavia nel sostenere il processo di unificazione il cattolicesimo diede un contributo fondamentale. Si pensi all’apporto delle scuole, ad esempio ai salesiani e alle salesiane, che contribuivano a creare un’unità culturale: ad esempio in tutta Italia rappresentavano gli stessi spettacoli teatrali. C’erano diversi modi per un cattolico per rapportarsi alla politica, si pensi ad esempio all’intransigentismo.  Nel Novecento si sceglie l’impegno politico, che già c’era, con il Partito popolare. Durante la Seconda guerra mondiale si scelse la via del partito unico dei cattolici. Esso chiaramente non era un partito cattolico, vale a dire confessionale. Tuttavia la stragrande maggioranza dei cattolici vennero spinti in quella direzione, in un contesto in cui, però si creavano sempre più frizioni fra gli stessi cattolici. Questo perché era venuta meno una unità religiosa.

 Quando parliamo della fine dell’unità politica dei cattolici ci concentriamo sulle conseguenze di questo processo, che sono state originate dal fatto che prima era finita l’unità culturale dei cattolici, il prepolitico.

 Qual è l’aspetto forte che si vive ai nostri giorni, ma che era molto più presente negli ultimi vent’anni? Si tratta del venir meno dell’unità religiosa tra gli stessi cattolici, ma anche dei cristiani in quanto tali.

 Abbiamo vissuto la perdita dell’unità politica, prepolitica, culturale, ma anche di quella religiosa.

 In questo contesto stiamo trattando la questione della vocazione all’impegno politico del cristiano.

  Questa chiamata alla politica, nel Magistero, nell’associazionismo cattolico, e anche in altre forme di movimenti, ma non in tutti, è un dato ovvio, costante, ma, ciononostante, c’è una difficoltà attuale nell’impegno dei cattolici, in particolare dei giovani cattolici, nell’ambito politico. Non solo perché il politico è stato deprezzato nel tempo, dall’epoca di Tangentopoli in poi. Si pensi anche a tutte quelle discriminazioni che si sono fatte nei discorsi pubblici di fronte al potere, che non viene più considerato più come l’ambito e lo spazio del servizio, ma di altro, considerato losco.

  C’è stato un immaginario pubblico diffuso che non era semplicemente socio-culturale, ma che è entrato anche nella Chiesa.

 Anche un giovane credente che si vuole impegnare nella politica si deve scontrare non solo con la cultura circostante, ma anche con questo movimento che c’è stato nel tempo in cui il cattolicesimo non ha parole, e neanche religiosità [per la politica  -interpretazione mia].

 In questo contesto si pone la vocazione all’impegno politico del cristiano

 Abbiamo avuto negli anni passati degli interventi del Magistero, pensiamo alla Nota della Congregazione per la dottrina della fede ai tempi del cardinale Ratzinger [ Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti 
l'impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica 
-24-11-02  -
https://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_20021124_politica_it.html ] o agli interventi più recenti di papa Francesco, che in un incontro con l’Azione Cattolica di qualche anno fa ricordò l’impegno nel politico (e nel mondo cattolico si discusse della permanente attualità della scelta religiosa,  e come articolarla, questione che al resto del mondo non interessava, e quale dovesse essere la scelta per questo nuovo tempo).

 L’excursus sul lungo periodo di cui sopra è molto essenziale, conciso,  ma a volte la storia diviene anche un’ipoteca che ci lega a scelte di decenni passati, senza riuscire ad essere originali nel tempo presente. Il rischio di tanto mondo cattolico è quello di guardare più al passato che al futuro.

2. Il conferenziere si dedica alla formazione dei giovani alla politica e sulla base di questa esperienza passa al secondo momento dell’intervento.

  Ci sono due aspetti essenziali: il primo  è culturale. Di fronte ad un mondo sempre più parcellizzato, atomizzato, la prima risposta che può dare il cattolicesimo è di far fare ai giovani una esperienza di comunità. Proporre loro fortemente la comunità. Una comunità fondata su esperienza di fede significative, quindi anche sul saper pregare e sul pregare insieme. Saper adorare.

 Ricorda che una volta quando i  giovani della FUCI andavano a trovare qualche vecchio politico, qualche membro della Corte Costituzionale, rimanevano ammirati nel vedere che questi personaggi pubblici apprezzati tenevano sulla loro scrivania di ufficio il breviario, il rosario e nell’apprendere che andavano ogni giorno a messa. E non è che lo facessero per mostrarsi religiosi, ma perché vivevano la fede in quel modo. Bisogna proporre una unità fondata sulla fede. Tutte le divisioni che ci sono e di cui s’è parlato prima possono essere superate, dentro la compagine cattolica, da un’unità di fede.

 Fatto questo discorso di comunità, nel nostro mondo parcellizzato e aggressivo, bisogna saper riproporre il dialogo, cioè la capacità di accettare la diversità di opinioni.

  Nella sua esperienza di formazione alla politica dei giovani, vengono invitati personaggi politici che la pensano anche molto diversamente. Esponenti anche di concezioni economiche divergenti fra loro. Questo perché, in un mondo intollerante, va insegnato il sapersi confrontare con tutti, rendendo ragione delle scelte compiute.   

  Al di là dei discorsi sulla società aperta e sull’accoglienza, questo non accade nella vita reale.

  Anche il discorso della cancel culture, molto americana, ma che sta entrando anche in Europa e in Italia, indica un’incapacità di accettazione e della storia e degli altri.

  Il fatto di distruggere delle statue, di rimuovere delle immagini, indica il voler riscrivere ciò che è stato e quindi indica in  fondo una intolleranza verso l’altro o verso quella storia diversa da quella che si preferisce scrivere.

  In questo momento è importante il fatto di saper fare comunità vera, in cui il credente si scopre come l’altro credente, e, in questa uguaglianza di fede, sapersi confrontare con il diverso. Quindi anche in una comunità che ha membri di Destra, di Centro, di Sinistra, e si usano le categorie politiche perché hanno influenzato il religioso, ritornare sul religioso perché in quella comunità politica non si creino fratture così gravi per cui uno poi si trova meglio con l’altro, totalmente diverso, che con il fratello con cui divide lo stesso pane eucaristico. E’ bene sapersi trovare a proprio agio con tutti e due! Ma riconoscendo le differenze.

  Se si vuole arrivare a un vero discorso di impegno democratico, questo richiede il dialogo. E il dialogo richiede due punti di vista diversi. Per questo è molto importante aiutare anche i cattolici ad avere una identità cattolica, perché solo in quel momento, con uno diverso da sé, è possibile entrare in un dialogo, altrimenti c’è una uniformazione, una uniformità che non serve. Infatti, se non c’è un’identità serena, si corrono due rischi, o della rigidità, quindi alla contrapposizione che porta ad una guerra costante, o un adeguarsi troppo all’altro che crea un problema, perché non porta un contributo proprio.

  In questo contesto sono necessarie comunità e capacità di arrivare ad un’identità che sappia mettersi a confronto con le altre nel dialogo.

 Per quanto riguarda poi la democrazia, la scelta chiara a favore del regime democratico si è avuta negli scorsi anni Quaranta. C’erano state delle premesse già sotto il pontificato del papa Leone 13°, ma con movimento pendolare. I primi orientamenti chiari a favore della democrazia si ebbero negli scorsi anni Quaranta durante il pontificato di Leone 13°. Era ritenuta una forma di governo auspicabile.

 Il sistema democratico, che responsabilizza il singolo cittadino, richiede  la virtù  dei cittadini. Il sistema democratico funziona tanto quanto i cittadini sono virtuosi. Se vengono meno le virtù, il sistema democratico diviene una maggioranza contro una minoranza, continuamente fluttuante, con vincitori e vinti che cambiano a seconda degli umori. Il nostro attuale contesto sociale è quello degli umori, dei sentimenti, degli affetti. Il conferenziere si dichiara critico sul diritto basato sul sentimento, sul fatto che come uno sente ciò diviene fonte del suo diritto [fa una allusione al cosiddetto gender, che a suo avviso significa voler essere riconosciuti come ci si sente-  nota mia]. In un contesto in cui il sentimento è più forte della ragione, e i sentimenti possono essere orientati con una certa facilità da chi ha gli strumenti adatti, il contributo cattolico in questo momento è quello di ridare valore alla ragione, al lògos, del quale ci parla anche il Vangelo di Giovanni fin dall’inizio, e in questa ragione entrare poi in un dialogo, per un sistema democratico. Se viene meno questo, la democrazia viene meno.

  Non a caso da tempo stiamo parlando di crisi della democrazia liberale. E’ una crisi che è andata di pari passo con la crisi del religioso e del cristianesimo stesso. Nel nostro contesto, del cattolicesimo.

 La democrazia come la conosciamo noi nacque in un contesto di cultura cristiana, che presuppone le virtù cristiane. E’ esemplare il caso degli Stati Uniti d’America. La loro Costituzione dà per ovvia un certo tipo di società. Una società religiosa. Una società religiosa può sostenere meglio un discorso democratico sulle virtù.

 Certamente ci sono anche etiche non religiose, ma sono minoritarie. Il fattore religioso  è quello più diffuso al mondo.

 Nel nostro Occidente abbiamo sacche significative di non credenza, ma nel resto del  mondo non tanto, comunque molto di meno.

  Là dove viene meno il religioso è più difficile una tenuta alta di un sistema democratico che tenga conto anche dei deboli.

 Consideriamo tutta la questione dell’eutanasia, anche sui bambini, anche con la possibilità di chiedere la morte anche senza un vero motivo di non sopportazione del dolore, solo perché una persona non se la sente di andare avanti.

  Nel discorso pubblico non si parla più di virtù, non si parla più dei doveri. In questo campo il cattolicesimo potrebbe dare un contributo interessante.

 Si dà come ovvio che ci sia una vocazione politica del cristiano, il problema è come favorirla. Come generare questa vocazione come Chiesa e come comunità credente.

 Nel Novecento stiamo vivendo una crisi di tutte le vocazioni, crisi sacerdotale, dei religiosi, matrimoniali e anche la crisi della vocazione alla politica. Viviamo un momento di tante rotture o di mancata fecondità in tanti ambiti. Questo ci provoca.

  Tutto il discorso che precede vorrebbe mettere in luce che c’è una mancanza e su di essa ci deve essere un confronto di idee, di progetti, di persone, uomini e donne, che sono nutriti da una fede.

 Sarà forse difficile parlare di un pensiero cattolico mi può pensare che persone profondamente credenti diano un contributo alla società italiana.