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Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

Dall’anno associativo 2020/2021 il gruppo di AC di San Clemente Papa si riunisce abitualmente il secondo, il terzo e il quarto sabato del mese alle 17 e anima la Messa domenicale delle 9. Durante la pandemia da Covid 19 ci siamo riuniti in videoconferenza Google Meet. Anche dopo che la situazione sanitaria sarà tornata alla normalità, organizzeremo riunioni dedicate a temi specifici e aperte ai non soci con questa modalità.

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La riunione Meet sarà attivata cinque minuti prima dell’orario fissato per il suo inizio.

Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

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Il sito della parrocchia:

https://www.parrocchiasanclementepaparoma.com/

martedì 3 novembre 2015

Riflessioni di un genitore sull’organizzazione parrocchiale del catechismo

Riflessioni di un genitore sull’organizzazione parrocchiale del catechismo

Sul sito dell’Ufficio catechistico diocesano:

http://www.ucroma.it/approfondimenti/quali-orientamenti-per-il-rinnovamento-dell%E2%80%99iniziazione-cristiana-un-primo-tentativo-di-sintesi-per-la-discussione-di-andrea-lonardo

ho letto la relazione di Andrea Lonardo del febbraio 2010 sul tema del rinnovamento dell’iniziazione cristiana.
  Prendendo spunto da quel documento faccio di seguito alcune osservazioni, sulla base della mia esperienza di antico catechizzato e di quella un po’ più recente di genitore di catechizzate.
 Si è presa coscienza che la catechesi è un lavoro collettivo, scrive Lonardo. Questo è senz’altro molto importante. Che significa?
  Come le nostre consuetudini e opportunità di vita sono modellate dall’ambiente sociale, così è anche per la fede. Una collettività parrocchiale tende a volersi riprodurre nei propri giovani, ma non sempre ci riesce, da noi a San Clemente  sempre meno.  Se ne dà la colpa alla società intorno, che sarebbe diventata irreligiosa. In realtà le indagini demoscopiche e le cronache ci dicono che non è proprio così. I valori di fondo della società in cui viviamo rimangono ancora fortemente improntati alla nostra fede, anche se talvolta sotto aspetti meno espliciti, per cui si richiede più attenzione per individuarli.
 E’ venuto a mancare piuttosto un elemento di raccordo tra il mondo religioso e quello civile, appunto ciò che i saggi del Concilio intesero ripristinare promuovendo l’azione del laicato di fede. Un ambiente sociale in cui l’azione dai laici di fede, operando armonicamente  dall’interno come sua parte viva insieme a componenti di diversa estrazione, prepari un terreno fertile per l’evangelizzazione delle masse, rendendo visibili i fondamenti religiosi di quei valori sociali.  
 E poi manca un’alfabetizzazione liturgica, ciò che tende a limitare l’effettiva partecipazione del popolo, il quale allora è spinto a vivere le liturgie solo come spettacoli, e a quel punto alla messa domenicale preferisce i grandi raduni di massa organizzati dalla nostra gerarchia o intorno ai santuari, in cui la folla è al più ridotta al ruolo di figurante ma prevalentemente rimane passiva spettatrice, e richiede un apparato spettacolare, ad esempio con molta gente in costume e una bella colonna sonora.
 Quello che a Roma invece non manca è una certa familiarità con la nostra, onnipresente nella città, gerarchia del clero. Questo però ostacola ancora di più l’individuazione dei fondamenti religiosi dei valori proclamati in democrazia, e dunque l’integrazione civile della nostra esperienza di fede, perché la nostra gerarchia religiosa si proclama estranea alla democrazia, contribuendo a mantenere la separazione dei due ambiti, quello religioso e quello civile, la conciliazione dei quali dovrebbe essere il compito proprio dei laici.
 C’è un altro aspetto da tener presente: il risultato dell’iniziazione religiosa è influenzato da come è diventata e si presenta all’esterno la collettività nel quale quel lavoro  è svolto. A volte le collettività religiose lo favoriscono, altre volte lo ostacolano, sono controproducenti. Migliorare l’iniziazione religiosa può richiedere anche un cambiamento collettivo di come si vive insieme la fede. E’ questo il caso di San Clemente papa, per come la vedo io.
 Ma in un altro senso la catechesi  è un lavoro collettivo: in quanto richiede una effettiva collaborazione tra tutti  coloro che vi sono impegnati, non potendosi più pensare che sia valido il modello della scuola elementare di una volta, tuttora ampiamente praticato nella catechesi, di un maestro per classe. E’ necessario quello che in religione viene definito spirito sinodale. E questo perché ogni gruppo che ci viene portato per l’iniziazione religiosa richiede un impegno molto più ampio del lavoro sui singoli individui che lo compongono, ma comprende anche il cercare di comunicare con l’ambiente familiare, e in genere sociale, a cui i catechizzandi appartengono, e innanzi tutto di conoscerlo e di capirlo veramente, provandosi ad interagire con esso. Perché, appunto, all’inizio si viene portati  a catechismo. E se si è portati  significa che non si parte da zero. Ci saranno degli adulti coinvolti in questo portare. Ci si confronta sempre con un ambiente sociale, con il gruppo di provenienza, e questo anche se quest’ultimo si palesa meno, o mostra addirittura di volersene restare in disparte, o comunque rimane di difficile accesso per le difficili condizioni di vita dei suoi membri o per problemi di integrazione culturale. Questo richiede un’azione di squadra, una equipe, per mettere insieme le varie competenze che servono, per costituire una continuità del servizio, per verificare e mettere a punto ciò che si sta facendo, imparando dall'esperienza, e comunque per unire le forze nel confrontarsi con realtà collettive che richiedono di essere studiate da diversi punti di vista.  Lonardo lo descrive come  «un vero  “laboratorio” esperienziale della fede, dove non vengono artificialmente create delle specifiche dinamiche di gruppo»  ma in cui cerca di instaurare relazioni fraterne con la gente che ci si avvicina a partire dalla realtà di provenienza, lì dove effettivamente vive, da dove parte per venire tra noi, perché la vita di fede insieme non diventi un parco a tema, o una specie di serra per il miglioramento delle specie, ma incida sulla vita vera delle persone, innanzi tutto attraverso loro stesse, facendole uscire dalla rassegnazione per cui si vive male, ma si dispera di cambiare e allora ci si prende di quando in quando delle libertà nel sogno, anche religioso. Questo è quel lavoro di promozione umana che i saggi dell’ultimo  Concilio fecero rientrare nel campo proprio dell’azione laicale. Nel ’76, quando ancora la spinta dell’aggiornamento  conciliare non era contrastata, in un tempo molto difficile per la nazione, molto più difficile di quello che oggi stiamo vivendo, ci si fece sopra un grande convegno ecclesiale, appunto intitolato Evangelizzazione e promozione umana.
 Scrive Lonardo, nel 2010, che bisogna far scoprire alle persone «di essere pienamente inseriti nell’unico popolo di Dio, composto da tutti i battezzati, anche quelli più restii a coinvolgersi. Recentemente è stato il Convegno di Verona, su questa linea, ad insistere sull’importanza per la chiesa italiana di continuare ad essere “chiesa di popolo”, rifuggendo dal rischio di identificarsi con alcune élites di persone più mature e convinte.»
 Questo di scoprire di essere l’unico popolo di Dio  è un bel problema.  E’ un tema che è stato centrale in uno dei maggiori documenti del Concilio Vaticano 2°, la Costituzione Luce per le genti, sulla Chiesa.  Di fatto questo scoperta che la Chiesa è popolo è stata  guastata piuttosto precocemente, nella fase attuativa dell’ultimo Concilio,  dalla profonda e millenaria diffidenza del nostro clero per il laicato di fede, la parte largamente maggioritaria di quel popolo. Tanto che, all’inizio degli anni ’70, volendo progettare i modi per riorganizzare  la formazione culturale e religiosa della gente di fede si volle prendere a modello il catecumenato per gli adulti, ripristinato dall’ultimo Concilio. Il catecumeno  in senso proprio è uno che della Chiesa deve ancora entrare a far parte, mediante il  battesimo. Adattare la strategia per l’iniziazione religiosa dei già battezzati a quella per i catecumeni ha portato, a volte inconsapevolmente a volte invece consapevolmente, ad accompagnare indietro il battezzato sulla soglia degli spazi religiosi, sostanzialmente a respingerlo, come se fosse effettivamente possibile ad un certo punto anche spingerlo fuori, perché non è come dovrebbe essere e non si lascia plasmare.  Questa scelta, come ho scritto in un precedente post, si è rivelata particolarmente infelice, anche se continua ad essere riproposta. Se significa continuare a tenere viva nei fedeli la memoria dei fondamenti della fede, può essere ancora utile l’ispirazione al catecumenato battesimale. Ma poiché poi, in particolare nella formazione del laicato, bisogna andare molto oltre, in particolare suscitare delle persone che sappiano operare in società per trasformarla in una certa direzione, secondo le idealità religiose, ma lavorando armonicamente  con le altre componenti di una nazione, ciò che richiede di avere ben chiaro il senso della propria dignità civile e religiosa, sarebbe meglio chiamare questo processo di formazione in un altro modo, in particolare  per non correre il rischio di  privare in qualche modo i battezzati della dignità che viene loro dal battesimo. Senza quella dignità non si hanno poi i laici che servono, capaci di un’ampia autonomia nel lavoro che è loro proprio in società, non semplici esecutori dei voleri della gerarchia del clero. E questo tenendo anche  conto che viviamo, come scrivono Marzano e Urbinati nel libro che ho citato qualche giorno fa, nella nazione del papa e dei campanili, ma non solo, in un contesto sociale ancora fortemente segnato dalla nostra religione. Una nazione in cui perfino i rituali mafiosi e camorristici sono improntati alla nostra liturgia e i boss di paese si impuntano a farsi omaggiare dalle statue religiose nelle feste locali. A volte abbiamo sognato di lavorare, nella nostra Italia super clericale anche in fondo nelle sue maggiori componenti criminali e dove anche gli atei talvolta si mostrano devoti!, in mezzo a un popolo mai toccato dall’evangelizzazione, e allora ci siamo raffigurati un po’ come i missionari che giungevano tra genti di altre tradizioni religiose, in Africa e in Asia, e, in realtà, il nostro era un rifiuto della gente di fede che c’era qui da noi, fatta di battezzati ai quali non riconoscevamo più la dignità battesimale perché vivevano male. E allora li sbattezzavamo. Salvo poi negare ostinatamente il diritto allo sbattezzo a coloro che chiedevano consapevolmente  di esercitarlo, proponendo loro argomenti che poi nella pratica tralasciavamo di osservare. Infatti sbattezzare  non è possibile, non è lecito. Dunque non è lecito trasformare un battezzato in un catecumeno in senso proprio, o comunque trattarlo come tale. E’ come se avessimo ritirato la cittadinanza a larghe fette del popolo universale di fede, secondo quello che, ad un certo punto, fu il costume dell’Unione Sovietica verso i dissidenti, quando si finì di toglierli di mezzo facendoli fuori puramente e semplicemente, via questa a lungo praticata anche in religione.
 Insomma il battezzato ha una sua dignità che gli deve comunque, sempre, essere riconosciuta, come è stato scritto molto bene nel Direttorio Catechistico  del ’97 che ho ricordato in un precedente post.
A volte invece  i gruppi dei più assidui intorno ai preti tendono localmente ad assumere una  configurazione levitica, organizzandosi a difesa degli spazi liturgici e realizzando agli accessi quelle dogane  che piacciono poco al nostro nuovo vescovo. Di modo che ad uno non basta il battesimo per essere riconosciuto come persona di fede, ma deve subire esami su esami e la sua posizione rimane sempre un po’ precaria, a seconda delle commissioni di esame. Oggi entri, domani chissà. E ciò che apparve evidente ai rivoluzionari nordamericani a fine Settecento, nella loro Dichiarazione di Indipendenza  da un gerarca europeo zeppa di riferimenti religiosi, vale a dire che le persone hanno diritti inalienabili perché sono state create  uguali, non lo è più tanto tra noi, talvolta. Nessuno, dico proprio nessuno, deve osare di contestare la dignità battesimale a un battezzato, il suo diritto di cittadinanza  tra noi. Giustamente il Ratzinger, fine teologo ma anche straordinario divulgatore, capace di rendere certi difficili concetti accessibili alla gente comune, insistette molto su questo quando si trattò di esaminare certe prassi. Questo comporta poi porre dei limiti insuperabili ad ogni attività di manipolazione personale e sociale, ad ogni ingegneria culturale, sociale, psicologica. E’ appunto ciò che è stabilito nelle democrazie di popolo contemporanee sulla base di una chiarissima ispirazione religiosa.
  Il popolo di fede che c’è è anche quello che si è prodotto a causa di quella profonda diffidenza dei nostri capi religiosi a cui ho accennato, per cui, ad esempio, si è preferito lasciare campo libero alla religiosità cosiddetta popolare, quella dei santuari, delle sagre e anche dei grandi raduni qui e là per il mondo con folle osannanti ai nostri capi religiosi del clero, e non affrontare un impegno molto più serio, vale  a dire quello di indurre nei laici una consapevolezza piena di ciò che, in un contesto di democrazia avanzata, è possibile produrre in società, agendo con autonomia e competenza raggiunte con un adeguato processo di formazione e autoformazione, per trattare il temporale ordinandolo secondo Dio, secondo l’auspicio dei saggi del Concilio. Non lo si è fatto perché da questo processo poi possono sorgere, ed in effetti sono sorti, alcuni dispiaceri, proposte di cambiamento molto incisivo sgradite innanzi tutto ai nostri teologi, i quali  hanno bisogno di secoli per introdurre nuove sistematizzazioni, ma poi anche a chi comanda tra noi e teme di perdere il controllo del gregge, in particolare che si perda dietro pastori di complemento, cattivi maestri, falsi Messia,  come li si voglia chiamare. Tuttavia la più efficace medicina contro le deviazioni ideologiche  è quella di formare il gregge ad essere un po’ meno simile a un gregge vero e proprio, a indurre nei fedeli un atteggiamento meno vicino a quello delle pecore della pastorizia. Farli crescere, farli diventare adulti, in modo che abbiano una fede adatta all’età anagrafica e da adulti non pensino, in religione, come quando erano bambini. Lo ha scritto anche Paolo di Tarso: “quando ero bambino ragionavo da bambino. Da quando sono diventato uomo ho smesso le cose da bambino”. Perché conquistino la facoltà del discernimento, innanzi tutto imparandola e poi facendone tirocinio.  Fatto sta che l’espressione  credenti adulti da noi in religione suona invece quasi come un insulto, come dire credente presuntuoso e indisciplinato. Ma in realtà l’iniziazione religiosa dei laici proprio dei credenti adulti dovrebbe proporsi di ottenere. Non di rado invece se ne vede l’obiettivo nell’indurre uno stato di permanente minorità, per cui liberamente  si rinuncia alla propria libertà, e dunque all’emancipazione, e infine ci si risolve a obbedire puramente e semplicemente. Ma oggi l’obbedienza non è più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni, come scrisse Lorenzo Milani, artefice di un nuovo modello di iniziazione religiosa dei laici che comprendeva innanzi tutto la loro  promozione umana per elevare la gente alla cittadinanza civile. In particolare non è una virtù per il laico di fede che deve agire in società.
  E quindi, ad un certo punto, come osserva Lonardo, nella catechesi deve prodursi una discontinuità, rispetto all’iniziazione dell’infanzia. Questo è assolutamente condivisibile. Fondamentalmente perché a un ragazzo serve  diventare adulto, è il suo lavoro biologico. Se noi però gli proponiamo di passare dal dominio dei genitori a quello, eterno, di una schiera sterminata di altri padri, quindi di rinunciare all’emancipazione perché non arriviamo mai ad avere sufficiente fiducia in lui, allora probabilmente lo disamoriamo alla fede e lo perderemo.   
 Fatta  la Cresima, come una volta si faceva il militare, vissuto come un triste e insensato obbligo sociale, una assurda perdita di tempo, ci lascerà con un sospiro di sollievo, come quando si prende la licenza scolastica e allora spesso si buttano tutti i libri. Saprà il Padre Nostro e l’Ave Maria, che presto scorderà, e saprà farsi il segno della Croce. Sa del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, della Madonna e della Croce. Avrà timore reverenziale per tutti i Santi, che sono  finiti tutti male, ma poi ti possono fare la grazia e scamparti dal pericolo. Dei Comandamenti ricorderà bene solo il Sesto, che continuerà a violare sistematicamente per tutta la vita, ma “lo fanno tutti”, e questa sarà l’unica cosa che saprà raccontare al confessore nelle rare occasioni in cui lo incontrerà, senza saper veramente di che parlare con lui. E al momento del matrimonio non dovrà sottoporsi alla noia del catechismo per la Cresima: questo il vantaggio di averlo  fatto  da ragazzo. Ci sarà solo da subire il corso prematrimoniale, il solito bla bla bla del prete e dei suoi accoliti, condito di eterno, indissolubile, responsabilità, cose che entreranno da un orecchio e usciranno subito dall’altro, perché ormai si sarà da tempo persa l’abitudine ad agganciare fede e vita sociale, e ciò che si chiede è solo questa benedetta benedizione, per la festa coi parenti, e che la facciano poi finita, ci si rivedrà, forse, per il primo battesimo della prole.
 E tutto il resto che i saggi del Concilio si aspettavano da un laico di fede, la trasformazione del mondo, la giustizia sociale, l’agàpe universale, l’inculturazione della fede, la condivisione di gioie e dolori? Probabilmente il nostro catechizzato non ne avrà mai sentito parlare.
 Non gli avremo insegnato ad essere credente adulto e allora egli sarà divenuto adulto al di fuori della vita religiosa, perché divenire adulti bisogna!, un adulto però con una fede infantile, non emancipata, dunque poi una persona incapace di interagire validamente in società per quel lavoro che i saggi del Concilio si attendevano da un laico di fede.
  Gli sarà stata inculcata una  sorta di  Bibbia supercondensata e super insufficiente come quella, progettata anni fa dal Readers Digest, la Bibbia condensata appunto, sulla quale Guido Ceronetti scrisse (La Stampa,  29-4-76) un pezzo giornalistico formidabile che finiva così:

 “E’ lì che un Giustiziere nell’ombra che con un diluvio da lui stesso scatenato ti annienta tutto il genere umano e perfino le formiche, eccetto una famiglia di raccomandati, certi Noachidi. Ed è Lui, sempre, che fatta una figurina di fango gli soffia dentro il prurito terribile di vivere, e glielo fa sfogare sopra una costola che gli estrae dal sonno come un ladro, e da quel balordo incrocio nascono infiniti sciagurati (impossibile condensarli in poco spazio: dilagano) che corrompono e divorano tutto, e si sterminano tra loro, s’imbavagliano, strappano le mammelle alle vergini, segano in due i migliori moralisti, spiano compiaciuti da un tondino di vetro dei disgraziati che si torcono in preda al gas, si fingono filatelici ma sono maschilisti implacabili, innalzano al proprio cadavere monumenti imperituri di bronzo e di granito, passano le sere al bar e alla fine della ronda non hanno più memoria di quanto male abbiano fatto al mondo e vanno mendicando, con smorfie impure, non so quale facile misericordia divina e insieme ammirazione e lode agli storici per le loro opere di sciagura.
  La conclusione deluderà. Meglio era arrivarci lentamente, o mai. Trattandosi di Bibbia cristiana l’ultimo suo testo canonico è l’Apocalisse detta di Giovanni, rotolo di scrittura su cui ne abbiamo veramente sentite troppe e procreatore dell’aggettivo apocalittico che oggi i tasti delle portatili spruzzano sui fogli senza neppure che li tocchiamo. Il titolo significa Rivelazione, ma l’Autore di tanta spaventosa eppure quanto utile rovina non ci è rivelato. Giovanni, uomo candido, insiste nel dire che si tratta di un Agnello. Sarà.”  

“L’iniziazione cristiana, per rinnovarsi pienamente, ha bisogno di recuperare le prospettive del Concilio” scrive Lonardo. Questo  è un punto dolente nella nostra parrocchia, dove, come ho sentito dire dai nostri sacerdoti, i documenti del Concilio non sono conosciuti. Io, effettivamente,  non ne ho mai sentito parlare. Tutto ciò che ho imparato in materia mi è stato insegnato in altri ambienti, a partire dalla FUCI. Perché?
  Sì certo, possiamo saperne qualcosa anche studiando il Catechismo della Chiesa Cattolica, come scrive Lonardo. Ma perché non andare alla fonte? Perché non leggere e cercare di capire, con buoni maestri e sussidi, in un lavoro pluriennale certo,  ciò che direttamente scrissero e approvarono i saggi di quel Concilio? Quei documenti che il Montini definì il catechismo del mondo moderno. E perché non provare anche a fare un bilancio dell’attuazione in Italia, e in particolare nella nostra parrocchia,  delle intuizioni di quei saggi, processo in cui secondo alcuni siamo piuttosto indietro? Ecco che qui si renderebbe necessario promuovere un impegno di formazione permanente dei catechisti, che dovrebbero  conoscere almeno a) i documenti del Concilio, b) le linee guida della diocesi in materia di iniziazione religiosa, c) lo stato dell’arte catechetica nella nostra parrocchia. Non si può pensare di affidare la classe a un/una volenteroso/a al/alla quale si è dato come unica preparazione e fonte informativa il manualetto di istruzioni, a volte nemmeno di fonte diocesana. Si deve lavorare in equipe per apprendere gli uni dagli altri e tutti dall’esperienza e da buoni maestri, e poi per verificare i risultati e se necessario per  fare delle correzioni nei metodi seguiti. E poi, si lavora per la diocesi, non per questo o quel gruppo di tendenza: si vuole costruire, anzi meglio “indurre” il popolo di fede, rendendo la gente consapevole di ciò che già è, una  realtà universale, veramente globale, non riprodurre il microcosmo di appartenenza. Si lavora sul popolo di Dio, di cui scrissero i saggi del Concilio. L’ho scritto: l’amore per le serre di pregiata umanità religiosa ci sta portando alla rovina. Pensiamo in grande, così come seppero farlo i saggi del Concilio! E cerchiamo di diffondere gli ideali del Concilio, innanzi tutti conoscendoli e poi, ancora,  conoscendoli meglio. Quando si inizia a parlare dell’ultimo Concilio spesso fioccano le avversative:  ma, però, tuttavia…  Si comincia da questo, un po’ come quando in religione si parla della libertà. Per sviluppare e diffondere bisognerebbe avversare un po’ meno.
 Proposte operative: ogni gruppo di catechismo non sia affidato a un catechista, ma a una equipe  catechistica, composta di giovani e meno giovani, sempre però con una persona più esperta in mezzo da cui prendere esempio,  e il suo lavoro sia supervisionato da una persona di fiducia designata dal parroco, per garantire la linearità e continuità di indirizzo. Nella classe di catechismo devono essere ammessi tirocinanti, ma con spazi di manovra corrispondenti ai loro livelli di formazione. Una certa familiarità con i documenti del Concilio e con la storia contemporanea degli ultimi due secoli dovrebbe essere  condizione indispensabile per essere qualificati come catechisti a pieno titolo.  Perché anche questi temi rientrano tra gli obiettivi della formazione religiosa dei laici di fede. L’appartenere a un gruppo organizzato intorno a gerarchie di capi-catechisti non deve abilitare automaticamente a interagire con un gruppo di catechismo parrocchiale, senza una adeguata istruzione in base alle linee guida diocesane. L’iniziazione religiosa parrocchiale è quella secondo quelle  linee guida, non secondo quelle neocatecumenali o di altre articolazioni settoriali. Si vogliono formare laici del popolo di fede universale, non membri di un qualche suo gruppo particolare. Chi non se la sente di rispettare questo principio deve essere pregato di farsi da parte. Lavori con chi, consapevolmente, ha accettato di farsi neocatecumeno o adepto di altra articolazione di spiritualità.  E, infine: qualunque sia il suo livello di conoscenza delle cose della fede e il suo stile di vita, si abbia sempre ben chiaro che un battezzato rimane sempre  un  battezzato; nessuno deve mai farsi lecito di considerarlo qualcosa di meno.

Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli