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Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

Dall’anno associativo 2020/2021 il gruppo di AC di San Clemente Papa si riunisce abitualmente il secondo, il terzo e il quarto sabato del mese alle 17 e anima la Messa domenicale delle 9. Durante la pandemia da Covid 19 ci siamo riuniti in videoconferenza Google Meet. Anche dopo che la situazione sanitaria sarà tornata alla normalità, organizzeremo riunioni dedicate a temi specifici e aperte ai non soci con questa modalità.

Per partecipare alle riunioni del gruppo on line con Google Meet, inviare, dopo la convocazione della riunione di cui verrà data notizia sul blog, una email a mario.ardigo@acsanclemente.net comunicando come ci si chiama, la email con cui si vuole partecipare, il nome e la città della propria parrocchia e i temi di interesse. Via email vi saranno confermati la data e l’ora della riunione e vi verrà inviato il codice di accesso. Dopo ogni riunione, i dati delle persone non iscritte verranno cancellati e dovranno essere inviati nuovamente per partecipare alla riunione successiva.

La riunione Meet sarà attivata cinque minuti prima dell’orario fissato per il suo inizio.

Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

NOTA IMPORTANTE / IMPORTANT NOTE

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Il sito della parrocchia:

https://www.parrocchiasanclementepaparoma.com/

lunedì 1 maggio 2023

Primo Maggio 2023

 

Primo Maggio 2023

 

  Il Primo Maggio è la Festa dei lavoratori, non del lavoro. E’ una festa socialista.

   Così ne ricorda l’istituzione l’Enciclopedia Treccani on line:

 

L'origine di questa ricorrenza proviene dagli Stati Uniti ed è legata alle lotte sindacali per il diritto alla giornata lavorativa di 8 ore. Il 1° maggio del 1886, in occasione del 19° anniversario dell'ottenimento di una legge sulle 8 ore istituita nello Stato dell'Illinois, fu indetto, da parte dei sindacati americani dei lavoratori, uno sciopero generale. A Chicago si tenne una grande manifestazione per celebrare questo importante risultato conseguito in materia di diritti dei lavoratori. Durante questa manifestazione avvennero dei violenti scontri di piazza con morti e feriti sia tra i manifestanti sia tra le forze dell'ordine. La notizia di quei sanguinosi eventi scosse il mondo intero e in molti paesi, negli anni successivi, si tennero manifestazioni per ricordare le vittime e per rivendicare i diritti dei lavoratori.

Al Congresso internazionale di Parigi del 1889, dove fu istituita  la Seconda internazionale socialista, venne scelta quella data come Festa internazionale dei lavoratori e, da allora, questa ricorrenza fu celebrata in molti paesi.

In Italia le manifestazioni dedicate a tale festa cominciarono l'anno successivo e continuarono fino al 1923, anno in cui le 8 ore lavorative diventarono legge con un regio decreto. Durante il ventennio fascista la festività venne anticipata al 21 aprile con la denominazione Natale di Roma - Festa del lavoro, per essere poi ripristinata alla fine della guerra come giornata festiva.

Da allora, ogni anno, si svolgono grandi manifestazioni pubbliche, in particolare a Roma, a piazza S. Giovanni in Laterano, con un concerto, organizzato dai sindacati e trasmesso in diretta televisiva.

 

    Data l’origine socialista della ricorrenza, per lavoratori  dobbiamo intendere ciò che i socialisti chiamavano proletari, che sono coloro che dipendono da altri per lavorare, vale a dire i lavoratori dipendenti.

  Verso la fine del Settecento, in Europa si cominciarono ad organizzare intorno alle città i primi complessi industriali in cui la produzione avveniva mediante lavoratori addetti a macchine. La gente iniziò quindi a concentrarsi nei centri industriali dove viveva miseramente e in ambienti malsani. Proprietari delle fabbriche erano i capitalisti, vale a dire coloro che vi avevano investito risorse proprie comprando le macchine, le materie prime, assumendo i lavoratori, organizzando la produzione e il commercio dei prodotti, e lucrando gran parte dei ricavi che, al  netto delle spese, costituivano i loro profitti. Tra le spese vi erano anche i salari dei lavoratori. Questi ultimi vennero trattati al pari degli altri fattori del processo produttivo, quindi si cercò di comprimerne il costo e di estenderne l’attività in fabbrica. Ciò significò ridurre i salari e prolungare l’orario di lavoro. Dall’Ottocento in Inghilterra e poi nel corso del secolo e successivamente anche nell’Europa continentale vennero promosse legislazioni che limitavano lo sfruttamento del lavoratori. Elemento essenziale di questo processo fu la pressione politica degli stessi lavoratori, che presto seguì  quella economica organizzata dai sindacati dei lavoratori. Principale strumento di pressione dei sindacati fu lo sciopero, l’astensione volontaria  e collettiva dal lavoro. I capitalisti reagivano alle pretese di miglioramento delle condizioni di lavoro con i licenziamenti. La solidarietà tra i lavoratori consentiva di resistervi, convincendo i capitalisti a cedere pur di ritornare a produrre. Il Primo Maggio si festeggia appunto quella solidarietà. La corrispondente pressione politica è il socialismo. Il socialismo si sviluppò da quel sindacalismo.

   La prima enciclica della dottrina sociale contemporanea cattolica, la Le novità – Rerum novarum deliberata nel 1891 dal papa Gioacchino Pecci, regnante in religione come Leone 13°, di tutto ciò ebbe piena consapevolezza. Vi leggiamo, proprio all’inizio:

 

  Comunque sia, è chiaro, ed in ciò si accordano tutti, come sia di estrema necessità venir in aiuto senza indugio e con opportuni provvedimenti ai proletari, che per la maggior parte si trovano in assai misere condizioni, indegne dell'uomo. Poiché, soppresse nel secolo passato le corporazioni di arti e mestieri, senza nulla sostituire in loro vece, nel tempo stesso che le istituzioni e le leggi venivano allontanandosi dallo spirito cristiano, avvenne che poco a poco gli operai rimanessero soli e indifesi in balda della cupidigia dei padroni e di una sfrenata concorrenza. Accrebbe il male un'usura divoratrice che, sebbene condannata tante volte dalla Chiesa, continua lo stesso, sotto altro colore, a causa di ingordi speculatori. Si aggiunga il monopolio della produzione e del commercio, tanto che un piccolissimo numero di straricchi hanno imposto all'infinita moltitudine dei proletari un gioco poco meno che servile.

 

   Quell’enciclica, tuttavia, condannò duramente il socialismo. Fondamentalmente perché rifiutava la dimensione della lotta per il progresso sociale delle masse che gli è connaturata. Pur constatando realisticamente il conflitto di classe, vale a dire la situazione per cui i capitalisti cercavano di comprimere i diritti dei lavoratori per ridurre il costo del lavoro e i  lavoratori cercavano invece di organizzarsi  per migliori condizioni di lavoro, dipendendo ciò da come l’economia della produzione e del commercio era organizzata, in particolare per essere nelle mani dei capitalisti, vale a dire dei proprietari privati, riteneva possibile una composizione delle controversie facendo appello ai sentimenti umanitari e religiosi dei capitalisti, senza che fosse toccata la proprietà privata, vista come un diritto naturale voluto dal Cielo. Sotto questo aspetto prendeva a modello il lavoro dell’artigiano e il tipo di organizzazione dell’economia che si era praticato nel Medioevo europea, con le corporazioni, così definite dal vocabolario  Treccani on line:

 

Nell’ordinamento medievale, e fino al secolo 18°, complesso di persone che, svolgendo una comune attività economica, si univano per la tutela degli interessi e per il conseguimento di fini comuni: corporazioni di arti e mestierila corporazione dei mercantidei professionisti.

 

  All’epoca tra i cristiani europei si erano sviluppate organizzazioni di solidarietà tra i lavoratori che recepivano alcune pratiche del sindacalismo socialista, per assistere i lavoratori e le loro famiglie nella malattia e nella disoccupazione, e, innanzi tutto, il proposito di migliorare le condizioni di lavoro dei proletari. Un movimento che si fece assai vasto, da cui poi si sviluppò ciò che chiamiamo cristianesimo sociale  e poi il cristianesimo democratico, quest’ultimo scomunicato dallo stesso papa Pecci con un’enciclica del 1901, la Delle gravi discussioni - Sulle questioni economiche – Graves de communi re. Il testo è pubblicato sul portale vatican.va solo in inglese e francese

 

https://www.vatican.va/content/leo-xiii/en/encyclicals/documents/hf_l-xiii_enc_18011901_graves-de-communi-re.html

 

ma con il traduttore automatico di Google potrete facilmente ottenere il testo in italiano, così come ora faccio per rendervi il periodo iniziale di quel documento:

 

  Le gravi discussioni su questioni economiche che da tempo hanno turbato la pace di diversi paesi del mondo stanno crescendo in frequenza e intensità a tal punto che le menti degli uomini riflessivi sono piene, giustamente, di preoccupazione e allarme. Queste discussioni traggono origine dal cattivo insegnamento filosofico ed etico che è ormai diffuso tra la gente. I cambiamenti, inoltre, che le invenzioni meccaniche dell'epoca hanno introdotto, la rapidità della comunicazione tra i luoghi e gli espedienti di ogni genere per diminuire il lavoro e aumentare il guadagno, tutto aggiunge asprezza al conflitto; e, infine, le cose sono state portate a tal punto dalla lotta tra capitale e lavoro, fomentata com'è da agitatori professionisti.

 

  Nella considerazione degli autori di quell’enciclica (che, come tutte le encicliche sociali contemporanee, fu un lavoro collettivo, diffuso sotto l’autorità papale) i socialisti erano agitatori professionisti, portatori di un cattivo insegnamento filosofico ed etico. Certamente il socialismo marxista (dal pensiero del filosofo e rivoluzionario tedesco Karl Marx -1818-1883), che nella seconda metà dell’Ottocento prevalse su tutti gli altri orientamenti socialisti, aveva anche idee antireligiose ed era fortemente anticlericale, considerando la religione un imbroglio per tenere le masse lavoratrici sotto dominio capitalista e le Chiese come organizzazioni schierate con quest’ultimo. Ma bisogna dire che a quell’epoca il Papato era pervicacemente antidemocratico e assolutista, come in gran parte è tuttora, e intendeva essere obbedito nel dettaglio anche negli affari della questione sociale, vale a dire del conflitto tra le classi, tuttavia non disponendo delle risorse culturali necessarie, in particolare di una comprensione realistica dei fatti economici.

  Può sembrare strano per noi italiani, la cui politica per circa cinquant’anni  è stata dominata da un partito democratico cristiano, ma uno dei primi e maggiori ideatori del movimento della democrazia cristiana, il prete marchigiano Romolo Murri, venne scomunicato nel 1909, regnante il papa Giuseppe Sarto, Pio 10°.

   Questo orientamento condusse nel 1929 il Papato, regnante il papa Achille Ratti, Pio 11°, al disonorevole compromesso con il Mussolini, Duce del fascismo italiano, concluso con i Patti Lateranensi, da cui avemmo la Città del Vaticano, che tanti grattacapi ci sta dando e nella quale i cattolici entrano da stranieri.

   Va anche ricordato che, nonostante le espropriazioni conseguite alla costituzione del Regno d’Italia, ad orientamento liberale, nel 1861 e poi, nel 1870, alla soppressione del regno dei Papi nell’Italia centrale, lo Stato Pontificio, la Chiesa era rimasta una grande proprietaria immobiliare e terriera, e le riparazioni economiche riconosciute con quel Patti incrementarono ulteriormente le sue ricchezze. Era quindi fatale una certa consonanza con i capitalisti.

  L’antisocialismo e anche l’anticristianesimo democratico caratterizzò marcatamente la politica del papa  Karol Wojtyla, regnante dal 1978 al 2005 come Giovanni Paolo 2°. Il cristianesimo democratico fu invece costantemente praticato e promosso dall’Azione Cattolica italiana fino ai giorni nostri: esso tuttavia è divenuto praticamente ininfluente nella politica italiana, seguendo in questo le sorti dei socialismi italiani. E tuttavia personalità provenienti dal cristianesimo democratico rimangono ancora molto considerate in Italia e occupano posti di responsabilità. La più nota e autorevole è il Presidente dalla Repubblica Sergio Mattarella, che l’altro ieri sul Primo Maggio ha tenuto un eccezionale discorso sul Primo Maggio, spiegandone il vero senso.

  Nel 1955 papa Eugenio Pacelli, regnante come Pio 12°, volle istituire nel giorno del Primo Maggio la festa di San Giuseppe artigiano, nel decennale dalla prima udienza  accordata ai vertici delle ACLI – Associazioni cristiane del lavoratori italiani, costituite l’anno precedente (nel 1970 aderirono al movimento socialista). In un discorso tenuto il Primo Maggio 1955, spiegò il senso della decisione.

 

https://www.vatican.va/content/pius-xii/it/speeches/1955/documents/hf_p-xii_spe_19550501_san-giuseppe.html

 

 Quante volte Noi abbiamo affermato e spiegato l'amore della Chiesa verso gli operai! Eppure si propaga largamente l'atroce calunnia che « la Chiesa è alleata del capitalismo contro i lavoratori »! Essa, madre e maestra di tutti, è sempre particolarmente sollecita verso i figli che si trovano in più difficili condizioni, e anche di fatto ha validamente contribuito al conseguimento degli onesti progressi già ottenuti da varie categorie di lavoratori. Noi stessi nel Radiomessaggio natalizio del 1942 dicevamo: « Mossa sempre da motivi religiosi, la Chiesa condannò i vari sistemi del socialismo marxista, e li condanna anche oggi, com'è suo dovere e diritto permanente di preservare gli uomini da correnti e influssi, che ne mettono a repentaglio la salvezza eterna. Ma la Chiesa non può ignorare o non vedere che l'operaio, nello sforzo di migliorare la sua condizione, si urta contro qualche congegno, che, lungi dall'essere conforme alla natura, contrasta con l'ordine di Dio e con lo scopo che Egli ha assegnato per i beni terreni. Per quanto fossero e siano false, condannabili e pericolose le vie, che si seguirono; chi, e soprattutto qual sacerdote o cristiano, potrebbe restar sordo al grido, che si solleva dal profondo, e il quale in un inondo di un Dio giusto invoca giustizia e spirito di fratellanza? » (Discorsi e Radiomessaggi, vol. IV pag. 336- 337).

[…]

Sì, diletti lavoratori; il Papa e la Chiesa non possono sottrarsi alla divina missione di guidare, proteggere, amare soprattutto i sofferenti, tanto più cari, quanto più bisognosi di difesa e di aiuto, siano essi operai o altri figli del popolo.

Questo dovere ed Impegno Noi, Vicario di Cristo, desideriamo di altamente riaffermare, qui, in questo giorno del 1° maggio, che il mondo del lavoro ha aggiudicato a sé, come propria festa, con l'intento che da tutti si riconosca la dignità del lavoro, e che questa ispiri la vita sociale e le leggi, fondate sull'equa ripartizione di diritti e di doveri.

In tal modo accolto dai lavoratori cristiani, e quasi ricevendo il crisma cristiano, il 1° maggio, ben lungi dall'essere risveglio di discordie, di odio e di violenza, è e sarà un ricorrente invito alla moderna società per compiere ciò che ancora manca alla pace sociale. Festa cristiana, dunque; cioè, giorno di giubilo per il concreto e progressivo trionfo degli ideali cristiani della grande famiglie del lavoro.

  Affinché vi sia presente questo significato, e in certo modo quale immediato contraccambio per i numerosi e preziosi doni, arrecatici da ogni regione d'Italia, amiamo di annunziarvi la Nostra determinazione d'istituire — come di fatto istituiamo — la festa liturgica di S. Giuseppe artigiano, assegnando ad essa precisamente il giorno 1° maggio. Gradite, diletti lavoratori e lavoratrici, questo Nostro dono? Siamo certi che sì, perché l'umile artigiano di Nazareth non solo impersona presso Dio e la S. Chiesa la dignità del lavoratore del braccio, ma è anche sempre il provvido custode vostro e delle vostre famiglie.

 

  Si volle, sostanzialmente, cristianizzare  una festa che, per altro, essendo festa della solidarietà tra i miseri per l’agàpe, era già  sostanzialmente cristiana all’origine. La si pose sotto l’insegna di una figura tutto sommato  marginale per il vangelo, vale a dire quella di san Giuseppe, che nelle narrazioni evangeliche viene indicato come carpentiere, vale a dire un artigiano, uno che si procurava da vivere con l’arte delle sue mani, non sfruttando il lavoro altrui, né proprie rendite. Però nel Primo secolo il fenomeno del proletariato, al quale la Festa dei Lavoratori è legata, era molto di là da venire.  E non consta che il santo abbia manifestato una qualche solidarietà, salvo che verso la propria famiglia. E’ invece proprio nel vangelo che possono essere rintracciate le origini etiche della solidarietà tra i lavoratori.

  Ne fu consapevole quello che viene spesso considerato come il più grande teologo del Novecento, il pastore e professore protestante riformato Karl Barth (1886-1968) che esercitò una notevole influenza anche tra i cattolici.

  Di Barth vi segnalo un libretto che potrebbe esservi d’ispirazione nella giornata del Primo Maggio: è pubblicato con il titolo Poveri diavoli da Marietti 1820 nel 2019 , anche in e-book e Kindle. E’ il testo di una conferenza che Barth tenne il 17 dicembre 1911 a Safenwilnell’Argovia svizzera, dove era giovane pastore, al locale circolo operaio.

  Barth nel 1915 si iscrisse al Partito socialdemocratico svizzero e nel 1931 al Partito socialista svizzero.

  Leggiamo in quel testo:

 

«Il socialismo è un movimento dal basso verso l’alto. Durante la discussione che è seguita alla mia ultima conferenza, qualcuno ha detto “Noi siamo il partito dei poveri diavoli”. Se guardo a voi qui davanti a me, questa affermazione mi sembra un tantino esagerata; voi stessi non la prenderete troppo alla lettera. Ma sia io che voi ne comprendiamo il senso. Il socialismo è il movimento di coloro che non sono indipendenti sul piano economico, di colore che in cambio di un salario lavorano per un altro, un estraneo; è il movimento del proletariato, come lo si chiama nei libri. Il proletario non è necessariamente povero, ma nella sua esistenza è necessariamente dipendente dalle possibilità economiche e dalla buona volontà di colui che gli dà il pane, il padrone della fabbrica. E’ qui che interviene il socialismo: esso è e vuole essere un movimento proletario. Esso vuol rendere indipendenti coloro che non lo sono, con tutte le conseguenze che ciò può comportare per la loro esistenza materiale, morale e spirituale. Non possiamo sostenere che anche Gesù si sia impegnato precisamente su questo punto, già semplicemente per il fatto che duemila anni fa non esisteva ancora un proletariato nel senso moderno del termine, non essendovi ancora le fabbriche. Tuttavia chiunque legga senza pregiudizi il Nuovo Testamento, dovrebbe restare colpito che ciò che Gesù è stato, ha voluto, e ha ottenuto, considerato da un punto di vista umano, era esattamente un movimento dal basso. Egli stesso proveniva da uno dei ceti più umili del popolo ebraico di quel tempo. Vi ricorderete certamente del racconto di Natale e della mangiatoia di Betlemme. Suo padre faceva il carpentiere in un angolo sperduto della Galilea, e lo stesso mestiere ha fatto anche Gesù stesso, tranne che nei suoi ultimi anni di vita. Gesù non era un pastore, non era un parroco, era un operaio. Giunto al trentesimo anno di età, ha appeso al chiodo i suoi arnesi e ha cominciato a girovagare da una località all’altra perché aveva qualcosa da dire agli uomini. Ma anche allora la sua posizione è stata completamente diversa da quella di un pastore dei nostri giorni. Noi pastori dobbiamo essere a disposizione di tutti, di chi sta in alto e di chi sta in basso, dei ricchi e dei poveri, e la nostra personalità spesso soffre di questa duplice faccia della nostra professione. Gesù si sentiva inviato ai poveri, agli umili, questo è uno dei dati più indiscutibili che ricaviamo dalla storia del vangelo. Il senso della sua attività si riassume in una frase, nella quale sentiamo ancora oggi ardere il fuoco di un’autentica sensibilità sociale: “Vedendo il popolo si commosse, perché erano come pecore senza pastore” (Mc 6,34) Talvolta leggiamo anche che gli si sono accompagnati dei ricchi, ma se pure non si sono tirati indietro, dopo un breve momento di entusiasmo, come il giovane ricco (Mt 19,16-22) – e aveva le sue buone ragioni per farlo -  costoro facevano parte della sua cerchia come ospiti, piuttosto che essere veramente legati a lui. […] Quello di cui era portatore era un lieto annuncio ai poveri, al popolo dei dipendenti e degli incolti: “Beati voi poveri, perché vostro è il regno dei cieli” (Lc 6,20). “Il più piccolo fra voi tutti diventerà il più grande”  (Lc 9,48). “Guardatevi dal disprezzare uno solo di questi piccoli, perché vi dico che i loro angeli nel cielo vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli” (Mt 18,10). Queste parole non possono essere interpretate come parole consolatorie pronunciate da un filantropo con tono di condiscendenza. […] Gesù stesso si è comportato in questo modo: egli ha scelto i suoi amici tra i pescatori del lato di Galilea, tra i pubblicani al servizio dei romani, sospettati da tutti, addirittura tra le prostitute delle città di mare. Nella scelta dei propri compagni non si può scendere verso il fondo della scala sociale più di quanto abbia fatto Gesù. Per lui, nessuno si trovava troppo in basso o contava troppo poco. Lo ripeto: non si trattava di una sussiegosa compassione dall’alto verso il basso, ma dall’esplosione di un vulcano dal basso verso l’alto. Non sono i poveri ad avere bisogno di compassione, ma i ricchi, non i cosiddetti “senza Dio”, ma gli uomini pii.

[…]

 Il cristianesimo forse in nessun suo aspetto si allontanato tanto dallo spirito del suo signore  e maestro come appunto in questa valutazione del rapporto tra spirito e materia, tra esteriorità e interiorità, tra cielo e terra. Si può dire a buon diritto: per 1.800 anni, di fronte alla miseria sociale, la Chiesa ha costantemente rinviato allo spirito, alla vita interiore, al cielo. Essa ha predicato, convertito, consolato, ma non è stata d’aiuto.  In ogni tempo di fronte alla miseria sociale essa ha raccomandato l’aiuto, quale opera buona dell’amore cristiano, ma non ha osato dire che questo aiuto è la  buona opera, non ha detto che la miseria sociale non deve esistere; né ha conseguentemente impegnato tutta  la sua forza su questo  non deve esistere; essa si è trincerata dietro a una parola di Gesù male interpretata ed estrapolata dal suo contesto: “I poveri li avrete sempre con voi” (Gv 12,8), ha accettato la miseria sociale come un semplice dato di fatto, parlando in compenso dello spirito, coltivando la vita interiore e preparando candidati per il Regno dei cieli. Questa è la grande, grave defezione della Chiesa cristiana, la defezione dal Cristo. Quando poi è arrivata la socialdemocrazia col suo vangelo del paradiso in terra, questa Chiesa ha osato ergersene a giudice, accusando di disprezzare lo spirito.»

 

 In America Latina, a partire dall’assemblea di Medellin (Colombia), nell’agosto – settembre 1968, del Consiglio Episcopale Latinoamericano si manifestò un’altra linea per affrontare con spirito religioso la questione sociale, senza negare il conflitto di classe, che è nelle cose, dipende dall’organizzazione della produzione e del commercio nell’economia capitalista,  e cercando di dare una giustificazione evangelica all’impegno sociale e politico nelle organizzazioni dei lavoratori per il miglioramento delle condizioni di lavoro e, più in generale, per un riequilibrio delle disparità sociali in modo da consentire una più larga condivisione del benessere. Venne descritta come opzione preferenziale [della Chiesa] per i poveri, espressione che, a prescindere da come venne interpretata e vissuta, è criticabile sotto più punti di vista e, in particolare, perché presuppone che possa esistere una Chiesa cristiana che debba scegliere  di schierarsi per i poveri, nel senso di prendere parte per chi ha la peggio nel conflitto sociale, e che, quindi, possa essere realmente Chiesa fondata sul vangelo anche quella che una scelta simile non faccia. Inoltre vi era un qualche paternalismo nell'idea di una Chiesa che patrocina la causa dei poveri; del resto la cosa venne teorizzata in ambito episcopale. Di fatto questo orientamento, praticato nelle comunità di base come esperienza di lavoratori che si liberano dall'oppressione economica e politica attivandosi come collettività protagonista della storia,  portò verso posizioni socialiste e, per questo, venne duramente combattuto durante il lungo regno del papa Karol Wojtyla, Giovanni Paolo 2°. Da quell’esperienza ecclesiale viene l’attuale papa, il papa Francesco. Si tratta di una visione che è molto lontana da quella del cristianesimo democratico europeo, in particolare proprio nell’affrontare il tema della democrazia, vissuta con sospetto nella Chiesa dell’opzione preferenziale per i poveri. D’altronde, in America latina i regimi democratici insediati ad imitazione di quello statunitense ebbero spesso carattere antipopolare.

  Dunque: la Festa dei lavoratori come celebrazione della solidarietà sindacale e politica dei lavoratori, intesi come quelli che dipendono economicamente da altri nel loro lavoro.

   A che punto è la forza solidale dei movimenti dei lavoratori? Ecco qui abbiamo molti problemi.

  Molte delle funzioni previdenziali che furono esercitate da metà Ottocento dal sindacalismo socialista e cristiano ora sono svolte da istituzioni pubbliche, ad esempio le assicurazioni per le malattie e gli infortuni sul lavoro e le pensioni. Ancora vigono in tutta Europa leggi che limitano lo sfruttamento dei lavoratori, con particolare riguardo alle lavoratrici e ai più giovani e impongo cautele per limitare gli infortuni sul lavoro. Ma negli ultimi decenni lo sfruttamento illegale di ampi settori dei lavoratori è ripreso imponente e la disciplina antinfortunistica è ampiamente disattesa in alcuni comparti di produzione, come nell’edilizia. Così come si è registrata una costante diminuzione del potere d’acquisto delle retribuzioni dei lavoratori dipendenti a fronte di un parimenti costante incremento dei profitti d’impresa, anche nei periodi di crisi economica. In questi ultimi la legislazione vigente consente ai capitalisti di sganciarsi rapidamente dalle fabbriche, lasciandone solo lo spoglie sul terreno. Il sistema della finanza globale consente ai capitalisti di trasferire rapidamente le proprie risorse, anche in sistemi politici che negano assistenza alle autorità nazionali che vogliano inseguirli per ottenere il pagamento dei tributi e di ciò che spetta a chi è rimasto senza lavoro.

  E’ un fenomeno che è con tutta evidenza legato alla crisi del socialismo europeo prodottasi a cavallo tra gli anni ’80  e ’90. Ne ha scritto in modo molto convincente il sociologo polacco Zygmunt Bauman, che a lungo insegnò in un’università inglese [consiglio il suo Modernità liquida, edito in italiano da Laterza, anche in e-book e Kindle]: si è accreditata in tutto l’Occidente la mentalità secondo la quale ogni persona deve salvarsi da sé e, se non ci riesce, non merita e quindi se si trova in miseria ha ciò che gli spetta. In questo contesto la solidarietà è vista con sospetto, come un voler barare facendosi forza con il numero. E’ progressivamente venuta meno la solidarietà nel mondo dei lavoratori. Anche perché le lavorazioni più usuranti sono state in gran parte trasferite in Asia, per risparmiare sul costo del lavoro. Gran parte dei beni di uso comune anche tra i nostri lavoratori vengono da laggiù e costano meno. Così i lavoratori europei lucrano anche loro sui bassi salari in Oriente e i loro salari mantengono un certo potere d’acquisto a spese dei lavoratori di laggiù. Alla lunga, però, l’ingiustizia della cosa rifluirà anche su di loro. In particolare per l’affermarsi di macchine operatrici intelligenti, vale a dire controllate da sistemi computazionali basati sulle reti neurali, nell’industri. Così nella fabbriche ci saranno sempre più macchine e sempre  meno lavoratori, sostituiti dalle prime, le quali, a differenza delle persone, sono di proprietà dei capitalisti. Così, sembra che ci siano meno motivi di far festa, per i lavoratori, ai tempi nostri.  Averli disuniti conviene sempre al capitalista. Il forte prevale sempre sul debole: è la crudele legge di natura, che il socialismo volle bilanciare contrapponendo alla forza del capitale la forza del numero.

 Che faranno allora per vivere tutti i proletari? E come si sostenterà il sistema capitalista quando ci sarà molto meno gente che potrà comprare? Un problema politico. E influenzare la politica richiede pur sempre quel movimento dal basso  del quale scrisse Barth.

  Nelle economie capitaliste avanzate contemporanee i lavoratori sono anche i consumatori e senza questi ultimi il capitalismo non può esistere. Oggi l’economia è controllata dal ceto dell’1% della popolazione mondiale che controlla i fattori della produzione, ma i suoi profitti dipendono dal mantenimento di una larga platea di consumatori. Il consumatore è tale perché ha mezzi economici per comprare sul mercato dei beni di consumo e li ricava in gran parte dal lavoro dipendente. La sostituzione delle persone nei processi produttivi ridurrà il numero dei lavoratori e anche la loro capacità di consumo. Quindi è da prevedersi, in mancanza di misure di riorganizzazione politica dell’economia, una grave crisi dell’economia capitalista.

  Fino ad oggi e nell’economia capitalista globalizzata i risparmi sul costo del lavoro sono stati realizzati trasferendo le produzioni dove i salari erano più bassi. Questo processo tende fatalmente a uniformare i salari a livello mondiale. E’ appunto ciò che è avvenuto anche in Italia dagli scorsi anni ’90: il potere d’acquisto dei salari dei lavoratori si è costantemente ridotto. Oggi in Italia il costo del lavoro è basso e, ciononostante, in Asia è ancora più basso, e questo in un’epoca in cui i profitti d’impresa sono costantemente cresciuti. Questo ha portato, lo segnalano da tempo economisti e sociologi, a una eccezionale concentrazione della ricchezza in poche mani. E sembra che le misure di benessere pubblico conquistate dagli scorsi anni Sessanta dagli Europei occidentali, il cosiddetto Stato del benessere – Welfare state, siano diventate un costo economicamente insostenibile, tanto che vengono ciclicamente attenuate. Qualcosa di simile verrà deliberato proprio oggi dal Governo italiano, nel giorno della Festa dei lavoratori.

  Per correggere questa situazione non basta più la solidarietà tra lavoratori a livello nazionale, o anche europeo. Data la globalizzazione dell’economia capitalista, servirebbe organizzare una solidarietà a livello mondiale: una dimensione della solidarietà che non è mai stata attuata prima d’ora, anche se fu teorizzata dai socialismi, con il motto “Lavoratori di tutto il mondo unitevi!”.

   Per realizzarla occorre anche una nuova coscienza come consumatori, per contrastare la diffusione di prodotti basati sullo sfruttamento intenso dei lavoratori in regimi politici che ne bloccano l’azione politica.

  Dunque, quando ci si raduna nel giorno del Primo Maggio si fa festa innanzi tutto per celebrare questo essere insieme con propositi solidali di iniziativa sindacale e politica per il miglioramento delle condizioni di chi, isolato, avrebbe la peggio nel conflitto sociale. E’ la festa dell’essere compagni, termine che ci viene dal latino e che etimologicamente evoca l’idea di condividere il pane. Un gesto che ha un significato molto forte anche per i cristiani, perché è al centro del rito dell’Eucaristia. I primi cristiani si chiamavano tra loro proprio così, compagni, in greco κοινωνόι, che si legge koinonòi, quelli che mettono in comune qualcosa, come nella Seconda lettera ai Corinti, capitolo 8, versetto 23: “Quanto a Tito, egli è mio compagno e collaboratore presso di voi; quanto ai nostri fratelli, essi sono delegati delle Chiese e gloria di Cristo.”

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli