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Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

Dall’anno associativo 2020/2021 il gruppo di AC di San Clemente Papa si riunisce abitualmente il secondo, il terzo e il quarto sabato del mese alle 17 e anima la Messa domenicale delle 9. Durante la pandemia da Covid 19 ci siamo riuniti in videoconferenza Google Meet. Anche dopo che la situazione sanitaria sarà tornata alla normalità, organizzeremo riunioni dedicate a temi specifici e aperte ai non soci con questa modalità.

Per partecipare alle riunioni del gruppo on line con Google Meet, inviare, dopo la convocazione della riunione di cui verrà data notizia sul blog, una email a mario.ardigo@acsanclemente.net comunicando come ci si chiama, la email con cui si vuole partecipare, il nome e la città della propria parrocchia e i temi di interesse. Via email vi saranno confermati la data e l’ora della riunione e vi verrà inviato il codice di accesso. Dopo ogni riunione, i dati delle persone non iscritte verranno cancellati e dovranno essere inviati nuovamente per partecipare alla riunione successiva.

La riunione Meet sarà attivata cinque minuti prima dell’orario fissato per il suo inizio.

Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

NOTA IMPORTANTE / IMPORTANT NOTE

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Il sito della parrocchia:

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martedì 26 ottobre 2021

Le origini recenti del movimento per la sinodalità popolare

 

Il logo del Sinodo

Le origini recenti del movimento per la sinodalità popolare

 

  Prima dell’inizio del regno  di Papa Francesco la sinodalitá era più che altro, tra i cattolici italiani, un argomento per addetti ai lavori: ne discutevano storici della Chiesa, canonisti, teologi interessati alla dogmatica sulla Chiesa. In particolare, non era una via seguita nella pastorale, vale a dire nell’organizzazione e cura della vita comunitaria dei fedeli. Questi ultimi venivano accusati di superficialità, incostanza, incoerenza e, talvolta,  addirittura di essersi resi partecipi di uno scisma sommerso, nel senso di essersi scissi dalla pratica liturgica -non li si vedeva più in chiesa- manifestandosi convinti che andava bene così. E quelli rimasti dentro sembravano non all’altezza delle aspettative. Figuriamoci se, così considerandoli, si sarebbe mai immaginato di ascoltarli.

  L’esperienza del Papa rimanda alle prassi delle Chiese latinoamericane. Lo si è visto fin dall’inizio nel suo frequente riferirsi a documenti di conferenze episcopali nazionali, ad esempio nell’enciclica del 2015 Laudato si’, pratica poco consueta nei suoi predecessori.

  Nei secoli il Sinodo era diventato essenzialmente strumento di governo, in particolare da quando, nel Secondo secolo, cominciò a rafforzarsi la posizione istituzionale del vescovo. Fino al Quattrocento, sinodi e concili erano riunioni di vescovi con la partecipazione di imperatori e re o loro delegati ma anche di teologi, per dirimere questioni di definizioni, o in materia di prassi liturgiche o di giudizi disciplinari. Nel Secondo Millennio, il rafforzarsi dell’autorità del Papa romano, vide una sempre maggiore importanza del suo ruolo in società e nella Chiesa cattolica, in particolare dal Cinquecento, e ciò a discapito del metodo sinodale.

  In America Latina, dagli anni Sessanta quel metodo era diventato specificamente uno strumento pastorale, ma in un modo particolare. L’azione pastorale, quella che lavora sulle comunità cristiane per indurre una vita secondo il vangelo e, quindi, la costante conversione, ha riguardato gli stessi vescovi che si sono convertiti  al  popolo oppresso  da strutture sociali e politiche che lo mantenevano in una misera condizione, distaccandosi dalla tradizionale alleanza con il potere dominante. Hanno anche preso consapevolezza che l’evangelizzazione del continente era stata attuata con forme di violenza estrema, addirittura stragista. E’ una situazione diversa dai problemi che abbiamo avuto storicamente in Europa. Gli europei, in America latina, furono colonizzatori e oppressori e la religione cristiana fu anche parte della loro ideologia politica. Il movimento dei vescovi verso il popolo corrispose ad un analogo movimento nel popolo, in particolare con l’esperienza della comunità di base.

  Di questa nuova modalità di fare ed essere Chiesa, scrisse nel 1975 il papa Paolo 6°, Giovanni Battista Montini, in un documento del Magistero molto importante, e ancora molto interessante, vale a dire l’Esortazione apostolica L’impegno di annunziare il vangelo - Evangelii nuntiandi:

LE COMUNITÀ ECCLESIALI DI BASE

58. Il recente Sinodo [la terza assemblea generale del Sinodo dei vescovi, sull’evangelizzazione, tenutasi nel 1974] si è molto occupato di queste piccole comunità o «comunità di base», perché nella Chiesa d'oggi sono spesso menzionate. Che cosa sono e per quale motivo queste sarebbero destinatarie speciali di evangelizzazione e, nello stesso tempo, evangelizzatrici?

 Fiorendo un po' dappertutto nella Chiesa, secondo le differenti testimonianze sentite al Sinodo, esse differiscono molto fra di loro, in seno alla stessa regione e, più ancora, da una regione all'altra.

 In alcune regioni sorgono e si sviluppano, salvo eccezioni, all'interno della Chiesa, solidali con la sua vita, nutrite del suo insegnamento, unite ai suoi pastori. In questo caso, nascono dal bisogno di vivere ancora più intensamente la vita della Chiesa; oppure dal desiderio e dalla ricerca di una dimensione più umana, che comunità ecclesiali più vaste possono difficilmente offrire, soprattutto nelle metropoli urbane contemporanee che favoriscono la vita di massa e insieme l'anonimato. Esse possono soltanto prolungare, a modo loro, a livello spirituale e religioso - culto, approfondimento della fede, carità fraterna, preghiera, comunione con i Pastori - la piccola comunità sociologica, villaggio o simili.

O ppure esse vogliono riunire per l'ascolto e la meditazione della Parola, per i Sacramenti e il vincolo dell'Agape, gruppi che l'età, la cultura, lo stato civile o la situazione sociale rendono omogenei, coppie, giovani, professionisti, eccetera; persone che la vita trova già riunite nella lotta per la giustizia, per l'aiuto fraterno ai poveri, per la promozione umana. Oppure, infine, esse radunano i cristiani là dove la penuria dei sacerdoti non favorisce la vita normale di una comunità parrocchiale. Tutto questo è supposto all'interno delle comunità costituite della Chiesa, soprattutto delle Chiese particolari e delle parrocchie.

 In altre regioni, al contrario, comunità di base si radunano in uno spirito di critica acerba nei confronti della Chiesa, che esse stimmatizzano volentieri come «istituzionale» e alla quale si oppongono come comunità carismatiche, libere da strutture, ispirate soltanto al Vangelo.

 Esse hanno dunque come caratteristica un evidente atteggiamento di biasimo e di rifiuto nei riguardi delle espressioni della Chiesa: la sua gerarchia, i suoi segni. Contestano radicalmente questa Chiesa. In tale linea, la loro ispirazione diviene molto presto ideologica, ed è raro che non diventino quindi preda di una opzione politica, di una corrente, quindi di un sistema, anzi di un partito, con tutto il rischio, che ciò comporta, di esserne strumentalizzate.

 La differenza è già notevole: le comunità che per il loro spirito di contestazione si tagliano fuori dalla Chiesa, di cui d'altronde danneggiano l'unità, possono sì intitolarsi «comunità di base», ma è questa una designazione strettamente sociologica. Esse non potrebbero chiamarsi, senza abuso di linguaggio, comunità ecclesiali di base, anche se, rimanendo ostili alla Gerarchia, hanno la pretesa di perseverare nell'unità della Chiesa. Questa qualifica appartiene alle altre, a quelle che si radunano nella Chiesa per far crescere la Chiesa.

 Queste ultime comunità saranno un luogo di evangelizzazione, a beneficio delle comunità più vaste, specialmente delle Chiese particolari, e saranno una speranza per la Chiesa universale, come abbiamo detto al termine del menzionato Sinodo, nella misura in cui:

- cercano il loro alimento nella Parola di Dio e non si lasciano imprigionare dalla polarizzazione politica o dalle ideologie di moda, pronte sempre a sfruttare il loro immenso potenziale umano;

- evitano la tentazione sempre minacciosa della contestazione sistematica e dello spirito ipercritico, col pretesto di autenticità e di spirito di collaborazione;

- restano fermamente attaccate alla Chiesa particolare, nella quale si inseriscono, e alla Chiesa universale, evitando così il pericolo - purtroppo reale! - di isolarsi in se stesse, di credersi poi l'unica autentica Chiesa di Cristo, e quindi di anatematizzare le altre comunità ecclesiali;
- conservano una sincera comunione con i Pastori che il Signore dà alla sua Chiesa e col Magistero, che lo Spirito del Cristo ha loro affidato;
- non si considerano giammai come l'unico destinatario o l'unico artefice di evangelizzazione - anche l'unico depositario del Vangelo! -; ma, consapevoli che la Chiesa è molto più vasta e diversificata, accettano che questa Chiesa si incarni anche in modi diversi da quelli, che avvengono in esse;

- crescono ogni giorno in consapevolezza, zelo, impegno, ed irradiazione missionari;
- si mostrano in tutto universalistiche e non mai settarie.

Alle suddette condizioni, certamente esigenti ma esaltanti, le comunità ecclesiali di base corrisponderanno alla loro fondamentale vocazione: ascoltatrici del Vangelo, che è ad esse annunziato, e destinatarie privilegiate dell'evangelizzazione, diverranno senza indugio annunciatrici del Vangelo.

 

 Nel brano che ho sopra trascritto sono evidenti le tensioni generate da questa nuova esperienza di Chiesa.

  In America latina, favorita dal contesto linguistico che vede sostanzialmente due lingue europee parlate in tutto il continente, lo spagnolo e il portoghese, dal 1955 la vita della Chiesa fu caratterizzata dalla storia di grandi assemblee di carattere sinodale, quelle del Consiglio episcopale latino-americano - CELAM. Quella che risalta maggiormente, perché produsse un documento che di quel movimento di cui dicevo può essere considerato il manifesto, si svolse a Medellìn, in Colombia, nel 1968. Fu fortemente influenzata da un grandioso documento del Magistero, vale a dire dall’enciclica Lo sviluppo dei popoli - Populorum progresso, pubblicato sotto l’autorità del papa Paolo 6° l’anno precedente. Per dare una prospettiva storica, osservo che l’enciclica La carità nella verità - Caritas in veritate, diffuso nel 2009 sotto l’autorità del papa Benedetto 16°,   contiene una esplicita polemica nei confronti delle interpretazioni pastorali  di quel documento, dietro le quali si intravvede una polemica direttamente verso quest’ultimo.

  Fin dal Secondo secolo, la vita delle Chiese cristiane è stata travagliata da controversie sulle definizioni di fede  e sull’esercizio del potere ecclesiastico, e la situazione si complicò dal Quarto secolo, quando la religione cristiana venne integrata nell’ideologia politica del rinnovato Impero romano (che presto ebbe il suo centro non più a Roma, ma in Tracia, a Bisanzio / Costantinopoli, che divenne il cuore dell’ellenismo cristianizzato). Sinodi e Concili servirono a risolvere quella questioni, in definitiva contrasti di potere, e, in genere, si svolsero in un clima piuttosto bellicoso, arrivando ad efferatezze che, con la sensibilità contemporanea, ci appaiono rivoltanti. Un esempio si ebbe nel Concilio di Costanza, svoltosi in Germania nel Quattrocento e promosso dall’imperatore germanico Sigismondo, capo del Sacro Romano Impero, per risolvere la questione di tre Papi regnanti e quella sorta per la predicazione religiosa  del boemo Jan Hus, un professore di teologia di Praga. La dottrina di Hus fu condannata dal Concilio il 6 luglio 1415 e, poiché egli non la ritrattò, fu immediatamente giustiziato nel modo atroce del rogo.

 Indubbiamente però, come osservato nel documento della Commissione Teologica Internazionale La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa (diffuso nel 2018, all’esito di lavori svolti tra il 2014 e il 2017), collegio di teologi di alto livello istituito presso la Congregazione per la dottrina della fede, l’organismo della Santa Sede che svolge attività di polizia dottrinale sulla Chiesa universale:

 

42. L’insegnamento della Scrittura e della Tradizione attesta che la sinodalità è dimensione costitutiva della Chiesa, che attraverso di essa si manifesta e configura come Popolo di Dio in cammino e assemblea convocata dal Signore risorto. Nel capitolo 1 si è evidenziato, in particolare, il carattere esemplare e normativo del Concilio di Gerusalemme (At 15,4-29). Esso mostra in atto, a fronte di una sfida decisiva per la Chiesa delle origini, il metodo del discernimento comunitario e apostolico che è espressione della natura stessa della Chiesa, mistero di comunione con Cristo nello Spirito Santo. La sinodalità non designa una semplice procedura operativa, ma la forma peculiare in cui la Chiesa vive e opera. In questa prospettiva, alla luce dell’ecclesiologia del Concilio Vaticano II, questo capitolo mette a tema i fondamenti e contenuti teologali della sinodalità.

[l’intero documento, molto interessante per capire la sinodalità ecclesiale può essere letto a:

https://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/cti_documents/rc_cti_20180302_sinodalita_it.html ]

 

  All’inizio del suo regno religioso, papa Francesco manifestò di voler suscitare un modo diverso di vivere comunitariamente la fede, nel senso dell’esperienza fatta nell’America latina, che si era rivelata produttiva. Rimaneva il problema di coinvolgervi la gerarchia, in particolare quella dell’Occidente europeo, che storicamente era stata tanto importante nella costruzione della religione ma era stata abituata ad un contesto più autoritario, e naturalmente di formarvi tutto il popolo dei fedeli cristiani. Da qui l’idea della sinodalità  come metodo per questa nuova via, ma non limitata ai vescovi, bensì proposta come forma organizzativa popolare, ad ogni livello.

  Bisogna dire che l’attuazione della sinodalità  episcopale per farla corrispondere ai principi del Concilio Vaticano 2° di corresponsabilità  nel governo della Chiesa, fatta nel 1965 dal papa Paolo 6°, era stata costruita come ausilio  all’esercizio del potere ecclesiastico del Papa, quindi come forma di governo. Del resto di sinodalità nei documenti del Concilio Vaticano 2° si era trattato espressamente  appunto riferendosi alle relazioni dell’episcopato con il papato. Quest’idea di sinodalità non corrispondeva esattamente a quella vissuta in America Latina nel CELAM, ma nemmeno era praticabile universalmente, coinvolgendo, ad esempio anche le persone laiche. Aveva come base teologica l’affermazione della pari dignità battesimale di tutti i fedeli.

 Papa Francesco pensa di fare della sinodalità il metodo per essere Chiesa che trasforma il mondo e solleva i miseri, nel senso indicato dall’enciclica Laudato si’, del 2015

https://www.vatican.va/content/francesco/it/encyclicals/documents/papa-francesco_20150524_enciclica-laudato-si.html

 Naturalmente questo richiede di avere la collaborazione di forze molto superiori a quelle di soli clero e religiosi. Ma le altre persone di fede sono state più che altro ridotte a platea  o gregge che va docilmente  dove gli si dice di andare. Senza attuare i principi di autonomia delle realtà sociali  e della natura e di responsabilità di tutti enunciati durante il Concilio Vaticano 2°, quindi senza coinvolgere in modo partecipativo tutto il popolo, si va poco avanti. Con il rischio, naturalmente, di non riuscire a trovare l’accordo su tutto, in particolare se non ci si conosce, non ci si parla e si diffida gli uni degli altri. Da qui la proposta della sinodalità diffusa.

Questo programma è stato esplicitato dal Papa in un suo discorso molto importante alla Chiesa italiana, il 17 ottobre 2015, tenuto in occasione del 50° anniversario dell'istituzione del Sinodo dei vescovi

 

Fin dall'inizio del mio ministero come Vescovo di Roma ho inteso valorizzare il Sinodo, che costituisce una delle eredità più preziose dell'ultima assise conciliare. Per il Beato Paolo VI, il Sinodo dei Vescovi doveva riproporre l'immagine del Concilio ecumenico e rifletterne lo spirito e il metodo. Lo stesso Pontefice prospettava che l'organismo sinodale «col passare del tempo potrà essere maggiormente perfezionato». A lui faceva eco, vent'anni più tardi, San Giovanni Paolo II, allorché affermava che «forse questo strumento potrà essere ancora migliorato. Forse la collegiale responsabilità pastorale può esprimersi nel Sinodo ancor più pienamente». Infine, nel 2006, Benedetto XVI approvava alcune variazioni all'Ordo Synodi Episcoporum, anche alla luce delle disposizioni del Codice di Diritto Canonico e del Codice dei Canoni delle Chiese orientali, promulgati nel frattempo.

Dobbiamo proseguire su questa strada. Il mondo in cui viviamo, e che siamo chiamati ad amare e servire anche nelle sue contraddizioni, esige dalla Chiesa il potenziamento delle sinergie in tutti gli ambiti della sua missione. Proprio il cammino della sinodalità è il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio.

https://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2015/october/documents/papa-francesco_20151017_50-anniversario-sinodo.html

 

 citato all’inizio del menzionato documento della Commissione Teologica Internazionale.

 Il Papa tornò in tema qualche giorno più tardi, il 10 novembre 2015, in un discorso tenuto nella Cattedrale di Santa Maria del Fiore a Firenze, ai rappresentanti del 5° convegno nazionale della chiesa italiana, esortando ad un Sinodo nazionale italiano, che non si era mai tenuto (si era operato mediante Settimane sociali, Congressi eucaristici, Convegni ecclesiali).

 

  Umiltà, disinteresse, beatitudinequesti i tre tratti che voglio oggi presentare alla vostra meditazione sull’umanesimo cristiano che nasce dall’umanità del Figlio di Dio. E questi tratti dicono qualcosa anche alla Chiesa italiana che oggi si riunisce per camminare insieme in un esempio di sinodalità. Questi tratti ci dicono che non dobbiamo essere ossessionati dal “potere”, anche quando questo prende il volto di un potere utile e funzionale all’immagine sociale della Chiesa. Se la Chiesa non assume i sentimenti di Gesù, si disorienta, perde il senso. Se li assume, invece, sa essere all’altezza della sua missione. I sentimenti di Gesù ci dicono che una Chiesa che pensa a sé stessa e ai propri interessi sarebbe triste. Le beatitudini, infine, sono lo specchio in cui guardarci, quello che ci permette di sapere se stiamo camminando sul sentiero giusto: è uno specchio che non mente.

  Una Chiesa che presenta questi tre tratti – umiltà, disinteresse, beatitudine – è una Chiesa che sa riconoscere l’azione del Signore nel mondo, nella cultura, nella vita quotidiana della gente. L’ho detto più di una volta e lo ripeto ancora oggi a voi: «preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze. Non voglio una Chiesa preoccupata di essere il centro e che finisce rinchiusa in un groviglio di ossessioni e procedimenti» (Evangelii gaudium, 49 [esortazione apostolica La gioia del Vangelo - 2013]).

[…]

  Mi piace una Chiesa italiana inquieta, sempre più vicina agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti. Desidero una Chiesa lieta col volto di mamma, che comprende, accompagna, accarezza. Sognate anche voi questa Chiesa, credete in essa, innovate con libertà. L’umanesimo cristiano che siete chiamati a vivere afferma radicalmente la dignità di ogni persona come figlio di Dio, stabilisce tra ogni essere umano una fondamentale fraternità, insegna a comprendere il lavoro, ad abitare il creato come casa comune, fornisce ragioni per l’allegria e l’umorismo, anche nel mezzo di una vita tante volte molto dura.

Sebbene non tocchi a me dire come realizzare oggi questo sogno, permettetemi solo di lasciarvi un’indicazione per i prossimi anni: in ogni comunità, in ogni parrocchia e istituzione, in ogni Diocesi e circoscrizione, in ogni regione, cercate di avviare, in modo sinodale, un approfondimento della Evangelii gaudium [, per trarre da essa criteri pratici e per attuare le sue disposizioni, specialmente sulle tre o quattro priorità che avrete individuato in questo convegno. Sono sicuro della vostra capacità di mettervi in movimento creativo per concretizzare questo studio. Ne sono sicuro perché siete una Chiesa adulta, antichissima nella fede, solida nelle radici e ampia nei frutti. Perciò siate creativi nell’esprimere quel genio che i vostri grandi, da Dante a Michelangelo, hanno espresso in maniera ineguagliabile. Credete al genio del cristianesimo italiano, che non è patrimonio né di singoli né di una élite, ma della comunità, del popolo di questo straordinario Paese.

 

   In conclusione: la sinodalità  invocata dal Papa si distacca da quella storicamente praticata nella nostra Chiesa in due importanti elementi:

-non è centrata su questioni di definizioni teologiche  o disciplinari;

-non riguarda principalmente, nel suo aspetto diffuso, il governo  della Chiesa;

-vuole stimolare una partecipazione  di tutti i fedeli cristiani alla missione della Chiesa;

-vede la missione della Chiesa anche nella trasformazione del mondo, innanzi tutto per mantenerlo accogliente per la vita, e nella sollevazione dei miseri, e in questo vede una modalità dell’evangelizzazione, la diffusione della pratica  del vangelo.

 Nella sinodalità così intesa si vorrebbe anche indurre un nuovo modo di esercizio dell’autorità, che oggi è prevalentemente accentrata nel Papa e nei vescovi, e, per estensione nei preti che vengono considerati più che altro collaboratori  dei vescovi e quindi come loro rappresentanti  nelle realtà di prossimità, tra il popolo, con una certa diminuzione del loro ruolo, schiacciato tra vescovi e persone laiche. L’obiettivo è quello di  fare spazio  al popolo. Un bel problema, in particolare in Italia e nelle parrocchie, dove la dimensione partecipativa  è raramente avvertibile e in cui la missione  a cui ci si dedica è prevalentemente quella del catechismo per i sacramenti e della liturgia. Del resto, se devono fare tutto i preti, non ci sono forze per altro, e talvolta non bastano nemmeno per quel minimo.

  L’inaridimento dei Consiglio pastorali parrocchiali, che non sono assolutamente l’equivalente della equipe  di referenti pastorali ma sono stati istituiti come organismi realmente partecipativi, segnala i problemi che ci sono sulla via indicata dal Papa. Le persone laiche, in particolare, vengono ora impiegate  a discrezione del clero, come consulenti o esecutori materiali,  e, se non le si ritiene più utili, vengono esonerate senza tanti complimenti. Il primo tema da affrontare, nello sperimentare forme di sinodalità diffusa, è quindi quello di consentire, in qualche modo, una qualche partecipazione nel decidere qualcosa, fosse anche, all’inizio, solo la posizione delle statue dei santi in chiesa o il programma di acquisto dei libri per la biblioteca parrocchiale. Tuttavia spesso il clero si manifesta sospettoso che, dietro a queste pur limitate concessioni, si nasconda poi la pretesa di pasticciare sulle definizioni, come se a noi laici interessasse qualcosa, ad esempio, di ridefinire le questioni trinitarie, sul poco edificante esempio dei secoli passati e della loro efferata teologia.

Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli