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Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

Dall’anno associativo 2020/2021 il gruppo di AC di San Clemente Papa si riunisce abitualmente il secondo, il terzo e il quarto sabato del mese alle 17 e anima la Messa domenicale delle 9. Durante la pandemia da Covid 19 ci siamo riuniti in videoconferenza Google Meet. Anche dopo che la situazione sanitaria sarà tornata alla normalità, organizzeremo riunioni dedicate a temi specifici e aperte ai non soci con questa modalità.

Per partecipare alle riunioni del gruppo on line con Google Meet, inviare, dopo la convocazione della riunione di cui verrà data notizia sul blog, una email a mario.ardigo@acsanclemente.net comunicando come ci si chiama, la email con cui si vuole partecipare, il nome e la città della propria parrocchia e i temi di interesse. Via email vi saranno confermati la data e l’ora della riunione e vi verrà inviato il codice di accesso. Dopo ogni riunione, i dati delle persone non iscritte verranno cancellati e dovranno essere inviati nuovamente per partecipare alla riunione successiva.

La riunione Meet sarà attivata cinque minuti prima dell’orario fissato per il suo inizio.

Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

NOTA IMPORTANTE / IMPORTANT NOTE

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Il sito della parrocchia:

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sabato 26 gennaio 2019

Elite, oligarchia, aristocrazia, democrazia - Èlite, oligarchy, aristocracy, democracy -Élite, oligarquía, aristocracia, democracia.


Elite,  oligarchia, aristocrazia, democrazia

  La democrazia è una conquista culturale che va rinnovata di generazione in generazione. Ai tempi nostri si dà molta importanza all’impresa economica, che è una organizzazione non democratica che però in democrazia trova dei limiti. Se però le imprese arrivano a controllare le democrazie questi limiti possono saltare e, allora, le stesse democrazie possono degenerare, perché la democrazia è fondamentalmente un sistema di limiti.
  Le imprese economiche sono organizzazioni che producono e commerciano. Se le consideriamo nelle relazioni umane al loro interno, possiamo individuare una loro politica, che consiste nell’organizzare e indirizzare l’attività d’impresa. Questa politica è simile a quella interna degli stati. Se le consideriamo nelle relazioni esterne, con i consumatori finali, con le altre imprese (fornitrici, clienti e concorrenti) e con i poteri pubblici, vediamo che le imprese hanno anche in questo campo una politica, che è l’orientamento secondo il quale interagiscono in quei rapporti e che  è simile alla politica internazionale degli stati. L’impresa può essere capitalistica  o non: nel primo caso gli orientamenti sono determinati da chi nell’impressa ha investito  la maggior quota di risorse. Investire significa spendere per l’organizzazione dell’impresa, aspettandosi un ritorno economico, un profitto: le risorse investite in questo modo sono il capitale. Il capitalista  è colui che possiede il capitale  e, nella misura del suo investimento, ha potere nel determinare gli orientamenti dell’impresa. L’impresa non capitalistica è invece un’istituzione pubblica. Le sue risorse sono tratta dalle entrate tributarie. La sua organizzazione e il suo orientamento sono determinati dall’ente pubblico che l’ha istituita, che ne nomina i vertici. Le dotazione di risorse che le viene assegnata per funzionare non è un capitale, perché non misura il potere nell’impresa, che è definito dal suo statuto dato dall’ente pubblico che l’impresa ha fondato, né dall’investimento ci si aspetta un profitto: l’unica utilità a cui si mira è ciò che l’impresa produce o trasferisce. Quando in un’economia mista, come fu quella italiana fino agli anni ’90, imprese non capitalistiche offrono sul mercato beni o servizi a pagamento, competono con le imprese capitalistiche ma in una condizione di privilegio, perché hanno una dotazione di risorse assicurate e teoricamente illimitata. Dal 1962 al 1992 l’energia elettrica fu prodotta e distribuita in Italia da un’impresa non capitalistica, istituita come ente pubblico economico, in condizione di sostanziale monopolio, fatta eccezione per le azienda elettriche dei comuni e altre attività marginali di autoproduzione privata per consumo interno aziendale, a sostegno di processi produttivi. In ogni impresa è possibile un’analisi economica dei risultati e questa di solito è importante nella decisione degli orientamenti e nella scelta dei dirigenti. Lo  è meno nell’impresa non capitalistica, che ha risorse assicurate e quindi può durare anche con gestioni economicamente in passivo. Nell’impresa capitalistica i risultati della gestione definiscono anche le possibilità della sua stessa sopravvivenza. L’impresa costantemente in passivo dilapida il capitale investito e, in mancanza di nuovi investimenti (che non vengono perché i risultati della gestione non garantiscono profitti o profitti in linea con quelli ottenibili in un certo mercato), non ha più risorse per funzionare, deve chiudere, vale a dire essere posta in liquidazione, o altrimenti diviene insolvente e fallisce. In generale, nell’impresa capitalistica i capitalistici scelgono dirigenti che aumentino i profitti, ciò che in genere si ottiene prevalendo sulla concorrenza, allargando il numero dei consumatori e degli altri clienti, contrattando prezzi più alti, acquistando a prezzi più bassi materie prime e altri prodotti e servizi impiegati nella produzione, organizzando processi di produzione meno costosi, ad esempio con nuove tecnologie, riducendo il costo del lavoro aumentandone la produttività, ad esempio con l’impiego di macchine e di processi produttivi automatici,  o riducendone la retribuzione.  E’ chiaro che nell’impresa capitalistica conta stare tra i capitalisti maggiori: questi ricavano i maggiori benefici e dettano la linea secondo i propri interessi. Nell’impresa non capitalistica contano le relazioni con l’ente pubblico di fondazione, che fornisce anche le risorse. Ad ogni livello si cerca di trarre per sé il maggior beneficio, in particolare intrattenendo buone relazioni con i livelli superiori. Si ha meno attenzione ai risultati della gestione. I consumatori finali hanno meno voce e prevalentemente per l’influenza politica che possono avere sull’ente pubblico che l’impresa ha fondato. Questo si osserva anche, ad esempio, in alcuni servizi comunali organizzati come imprese capitalistiche, in cui però il capitalista prevalente o unico sia un ente pubblico. In generale le politiche d’impresa sono centrate sul particolare, sul settore in cui l’impresa opera. Questo sfugge a chi vorrebbe prendere ad esempio le imprese per l’organizzazione degli enti pubblici, che dovrebbero avere scopi più vasti, e tanto più se sono stati. Poiché nella selezione dei dirigenti d’impresa contano in qualche modo risultati della gestione economicamente valutabili, si  pensa che questo metodo possa andar bene anche in altri settori, in particolare nella politica generale. In realtà i processi di selezione dei dirigenti d’impresa spesso deludono, dipendendo più che altro dai rapporti di forza tra i capitalisti, nell’impresa capitalistica, o dalle relazione con l’ente pubblico fondativo, nell’impresa non capitalistico. Inoltre il dirigente d’impresa, per formazione e missione, non tiene conto dell’interesse generale di collettività più grandi dell’impresa di riferimento.
  Si vorrebbe organizzare per il meglio l’organizzazione degli stati, che comprende strutture  di governo centrale, le quali  in democrazia comprendono assemblee parlamentari e uffici esecutivi ministeriali, e una rete di altre organizzazioni territoriali e di settore, con proprie strutture di direzione, a volte su base assembleare a volte su base puramente burocratica, di uffici sovraordinati l’uno all’altro, da un centro a una periferia. Si osserva che finiscono per comandare in pochi. Un’organizzazione in cui comandano in pochi è definita oligarchia. La parola deriva dal greco, perché furono gli antichi greci che, nelle culture europee, iniziarono a ragionare sopra i fatti sociali, scrivendoci su. Comandano in pochi anche in democrazia: per quanto numerose siano le assemblee parlamentari, esse sono sempre una quota molto piccola della popolazione. Certo, in democrazia, le assemblee di vertice, come i parlamenti e le assemblee degli stati federati  negli federali o delle altre articolazioni di autonomia, sono scelte con procedure di voto popolare, con le elezioni. Ma una volta elette non sono obbligate a tener conto della volontà degli elettori  e non ci sono neppure mezzi per capirla in modo affidabile sulle singole questioni. Li  rappresentano, nel senso di renderli presenti, poiché derivano da una loro scelta, ma non nel senso di esserne solo i portavoce. Del resto sulle singole questioni occorrono competenza e approfondimenti, che non sono alla portata di tutti. Altrimenti la gente non farebbe altro che quello. E’ per questo che nelle antiche democrazie greche si occupava di politica chi era libero dal lavoro (e questo è sorprendente per la mentalità di oggi. Perché dunque non scegliere i  migliori, vale a dire i più adatti per il lavoro che c’è da fare. Un governo di pochi che siano anche i migliori è una aristocrazia, altro termine derivato greco che significa appunto governo dei migliori. Di solito si segue questo metodo per la scelta dei funzionari pubblici, attraverso procedure di selezione che sono chiamate concorsi, in cui si fanno degli esami o si valutano dei titoli di merito e in base a questo risultato si sceglie tra chi si propone per un certo lavoro.  Ma le procedure elettorali non sono basate su questo criterio e portano ad emergere gli interessi correnti nella popolazione di riferimento a cui viene riconosciuto il diritto di voto. Quindi non è detto che portino a scegliere i migliori  nel senso che ho detto, anche se a volte è successo. Nell’ultimo decennio in politica, nelle assemblee elettive,  sono stati preferiti coloro che sapevano interpretare le emozioni correnti tra gli elettori, che in genere erano di paura per il futuro a causa della lunga recessione economica e dei flussi migratori verso l’Europa, in particolar dalla vicine coste africane. Questo ha portato ad una oggettiva diminuzione dei competenti, ma non solo, anche ad una svalutazione della competenza in sé. Si vede con sospetto chi nel proprio curriculo, proposto agli elettori per spiegare chi è, inserisce elementi indicativi di competenza, ad esempio  per gli studi superiori e per passate esperienze professionali. Bisogna capire che questo ha una ragione, che è collegata con l’affermazione del modello dell’impresa capitalistica come organizzazione valida in un ambito più vasto di quello della produzione e del commercio.
 I critici della democrazia, che in genere pensano a sé stessi come ad una aristocrazia, o altrimenti detto con una parola francese ad una élite,  pensano alla società che deve essere governata dalla politica come composta da una maggioranza di incompetenti e da una minoranza di competenti, l’élite  della società appunto. Poiché nelle procedure elettive democratiche prevalgono le maggioranze, si pensa che queste ultime finiscano per esprimere una classe politica di vertice incompetente. Il problema era stato affrontato anche degli antichi greci: il filosofo greco Platone, ad esempio, vissuto nel 4° secolo dell’era antica, riteneva migliore per la società il governo dei  filosofi, che non erano gli studiosi che oggi riteniamo tali, ma quelli che oggi chiamiamo  competenti. Bisogna dire che alle democrazie come le concepivano gli antichi greci partecipavano veramente solo in pochi, la parte della popolazione che era libera dai lavori considerati servili, svolti dagli schiavi, che nelle antiche città greche erano in genere più dei cittadini, dagli artigiani e dalle donne. Quindi quelle democrazie avevano carattere di oligarchie. Rimanevano tuttavia democrazie perché fondate su un sistema di limiti del potere delle oligarchie di volta in volta dominanti. Questi limiti erano anzitutto temporali, quando le cariche erano a tempo, e valoriali. Nessun potere, in una democrazia, è assoluto, in senso temporale e in senso valoriale. Questa concezione ancora oggi distingue le democrazie da altri regimi politici. Le procedure elettive manifestano uno di questi limiti: periodicamente i poteri supremi devono sottoporvisi. Uno dei valori principali in democrazia è che nessun potere debba essere assoluto. Anche le aristocrazie  debbono sottoporsi ai limiti democratici, e rimangono aristocrazie se accettano quel valore, del potere limitato. Altrimenti rapidamente degenerano: questa è l’esperienza storica comune, finendo per farsi lecito ogni abuso nel proprio particolare interesse, pur giustificandolo in qualche modo presentandolo come fatto nell’interesse generale. Diventano puramente e semplicemente oligarchie, dedite a perpetuare il proprio potere. Di solito hanno difficoltà a programmare il proprio ricambio, perché anche da anziani, fino a che si ha un filo di forza, si è restii ad abbandonare il potere. Così fatalmente le oligarchie finiscono per degenerare in gerontocrazie. Questa la dinamica che, finora, ha portato alla dissoluzione di ogni regime comunista storicamente tentato. Le élite  del partito concepivano sé stesse come  aristocrazie, ma col tempo degenerarono in oligarchie,  che cercavano di produrre il ricambio per cooptazione, coinvolgendo nel potere gente scelta dall’alto, non con procedure elettive dal basso, e poi in  gerontocrazie, con capi assoluti che intendevano rimanere al potere a vita e giustificavano questa pretesa con la diffidenza verso il popolo, ritenendo che, consentendogli di esprimersi liberamente, avrebbe abbandonato il comunismo, contro il suo stesso interesse.
  A cavallo tra gli anni ’80 e ’90 la rapida disgregazione dei regimi comunisti dell’Europa orientale, in particolare di quello dell’Unione sovietica, non fu vista come un confronto tra democrazia  popolare, che caratterizzava i regimi politici dell’Europa occidentale, e democrazia comunista, degenerata in gerontocrazia assolutistica, quindi, in definitiva, nel suo contrario, ma tra capitalismo e democrazia. Si constatò infatti che i sistemi politici democratici finivano per esprimere elementi di socialismo e questo per il loro vitale collegamento con la  maggioranza delle popolazioni governate, nella quale non predominavano di detentori del potere economico, quelli che dal sistema economico traevano i maggiori profitti. Le democrazie, quindi, finivano, per imporre al capitalismo dei limiti fondati su valori. Di questo i capitalisti erano insofferenti. Presentarono sé stessi come una  aristocrazia  e pretesero più potere, nell’interesse di tutti. Seguendo la loro impostazione tutti se ne sarebbero avvantaggiati. Ebbero quindi dalle democrazie questi maggiori poteri. Le stesse democrazie presero ad organizzarsi prendendo a modello l’impresa capitalistica, modificando il proprio sistema di valori, in particolare con riferimento a quello dell’uguaglianza in dignità. Questo portò a maggiori poteri dei governi ministeriali, al vertice delle burocrazia, a scapito dell’attività di governo svolta nelle assemblee elettive. I partiti politici stessi iniziarono ad essere organizzati e ad agire in società come imprese. Le élite  di governo, vale a dire le oligarchie che in questo nuovo ambiente si erano venute affermando e che giustificavano il proprio potere con la propria competenza, affermando di essere aristocrazie, divennero a loro volta insofferenti dei limiti democratici. Iniziarono a simpatizzare  con le élite  delle imprese e ad assumerne il gergo, i costumi e lo stesso atteggiamento nei confronti di consumatori  e clienti,  così ridefiniti i cittadini. Questo fatalmente portò le nuove  èlite politiche ad avere altri interessi di riferimento, invece che quello generale, il proprio, analogamente a quello che accadeva nelle imprese, dove è l’interesse del capitalista a prevalere. L’ambiente politico venne poi concepito progressivamente come una sorta di mercato,  in cui i partito competevano per il maggior  loro profitto e l’interesse generale sarebbe stato il risultato di una sorta di  mano invisibile, come si ipotizzava accadesse nelle dinamiche di mercato economico. Tutto questo portò poi, come del resto era prevedibile, a crescenti diseguaglianze sociali e poi anche a crescenti sofferenze sociali. Infatti le nuove élite  politiche erano restie ad impiegare risorse pubbliche per finalità puramente assistenziali, senza ritorno economico, come quelle a favore dei non ancora o non più abili al lavoro, quelli che nella terminologia dell’attuale dottrina sociale vengono definiti scarti sociali. Da qui poi un crescente malessere sociale, intercettato negli ultimi anni da partiti-impresa  che vi hanno costruito sopra, con successo,  una propria ideologia e un’azione di mercato elettorale, senza però attivare veramente dinamiche democratiche, elevando il malcontento alla partecipazione politica, quest’ultima essendo richiesta solo come espressione di un consenso istantaneo, una X su una scheda elettorale al momento giusto  o cliccare su un link. Le dinamiche politiche democratiche vengono sostituite da tecnologie di marketing  elettorali, mediante le quali, sfruttando la diffusa e persistente connessione  tramite terminali evoluti quali gli smartphone, si riesce a influire sulle psicologie individuali in modo che condividano  una certa immagine, costruita, della situazione e ne siano influenzati secondo un certo orientamento. Questo, pur intercettando il malcontento per il degradare dei valori democratici, ha finito per aggravare la crisi delle democrazie popolari, allontanando  le masse dalle sedi delle decisioni che contano, inducendole ad essere solo dei recettori emotivi di stimoli dall’alto. Il correttivo che sarebbe necessario è riprendere il lavoro di acculturazione delle masse ai valori democratici che, ad esempio, è stato caratteristico dell’Azione Cattolica dalla sua fondazione. Esso portò, nel giro una decina d’anni al primo partito politico democratico  di massa fondato sui valori  diffusi dalla dottrina sociale, il Partito Popolare Italiano di Luigi Sturzo, fondato nel 1919 (la fondazione dell’Azione Cattolica risale al 1906). Nella prima organizzazione dell’Azione Cattolica ebbe un ruolo determinante il beato Giuseppe Toniolo, con Romolo Murri, uno dei primi teorici di una  democrazia cristiana (1), vale a dire di una democrazia fondata sui valori della dottrina sociale.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli

(1) di Giuseppe Toniolo:
Programma dei cattolici  di fronte al socialismo (1894);
Indirizzi e concetti sociali  all'esordire del secolo XX (1900);
La democrazia cristiana (1900);
Provvedimenti sociali popolare (1902), pubblicato anche in Democrazia cristiana. Istituti e forme, Editrice Vaticana 1951.

Traducciones en español e inglés realizadas con la ayuda de Google Translator - Translations in Spanish and English made with the help of Google Translator

Èlite, oligarchy, aristocracy, democracy

  Democracy is a cultural achievement that must be renewed from generation to generation. In our time, we place great importance on the economic enterprise, which is a non-democratic organization which, in democracy, finds limits. But if companies come to control democracies, these limits can skip and, then, the same democracies can degenerate, because democracy is basically a system of limits.
  Economic enterprises are organizations that produce and trade. If we consider them in human relations within them, we can identify their own policy, which consists in organizing and directing business activity. This policy is similar to the internal one of the states. If we consider them in external relations, with final consumers, with other companies (suppliers, customers and competitors) and with the public authorities, we see that companies also have a policy in this field, which is the orientation according to which they interact in those relationships and that is similar to the international politics of the states. The enterprise can be capitalist or not: in the first case, the guidelines are determined by those who have invested the largest share of resources in the company. Investing means spending for the organization of the company, expecting an economic return, a profit: the resources invested in this way are capital. The capitalist is the one who owns the capital and, to the extent of his investment, has power in determining the firm's guidelines. The non-capitalist firm is instead a public institution. Its resources are taken from tax revenues. Its organization and orientation are determined by the public body that established it, which appoints its leaders. The allocation of resources that is assigned to it is not capital, because it does not measure the power in the company, which is defined by its statute given by the public body that the company has founded, nor is the investment expected profit: the only utility aimed at is what the company produces or transfers. When in a mixed economy, as was the Italian one until the 1990s, non-capitalist firms offer paid goods or services on the market, they compete with capitalist enterprises but in a privileged condition, because they have an endowment of assured resources and theoretically unlimited. From 1962 to 1992, electricity was produced and distributed in Italy by a non-capitalist company, established as an economic public body, in a condition of substantial monopoly, with the exception of the municipal electricity companies and other marginal private self-production activities for consumption company internal, in support of production processes. In every enterprise an economic analysis of the results is possible and this is usually important in the decision of the guidelines and in the choice of the managers. It is less so in the non-capitalist company, which has insured resources and therefore can also last economically in liabilities. In the capitalist enterprise the management results also define the possibilities of its own survival. The company constantly in deficit pass the capital invested and, in the absence of new investments (which do not come because the management results do not guarantee profits or profits in line with those obtainable in a certain market), it has no more resources to function, it must to close, that is to say put in liquidation, or otherwise it becomes insolvent and fails. In general, capitalists choose capitalists in the capitalist enterprise to increase profits, which is generally achieved by prevailing over competition, by enlarging the number of consumers and other customers, negotiating higher prices, buying raw materials and other commodities at lower prices. products and services used in production, organizing less expensive production processes, for example with new technologies, reducing labor costs by increasing their productivity, for example by using machines and automatic production processes, or by reducing pay. It is clear that in the capitalist enterprise it counts to be among the major capitalists: they derive the greatest benefits and dictate the line according to their own interests. In the non-capitalist firm, relations with the public foundation body, which also provides resources, count. At each level we try to draw the greatest benefit for ourselves, in particular by maintaining good relations with the higher levels. There is less attention to the results of the management. Final consumers have less voice and predominantly due to the political influence they may have on the public body that the company has founded. This is also observed, for example, in some municipal services organized as capitalist enterprises, in which however the prevailing or sole capitalist is a public body. In general, business policies are centered on the particular, on the sector in which the company operates. This escapes those who would like to take companies for example for the organization of public bodies, which should have wider goals, and even more so if they have been. Since in the selection of business leaders somehow they have economically evaluable results of management, it is thought that this method will also work well in other sectors, particularly in general policy. In reality, the processes of selection of business leaders often disappoint, depending more than anything else on the balance of power among the capitalists, in the capitalist enterprise, or in the relationship with the founding public body, in the non-capitalist enterprise. Moreover, the manager of a company, by training and mission, does not take into account the general interest of larger communities of the reference company.
The organization of states, which includes central government structures, which in democracy include parliamentary assemblies and ministerial executive offices, and a network of other territorial and sectoral organizations, with its own management structures, sometimes would be best organized. on an assembly basis, sometimes on a purely bureaucratic basis, of superordinate offices to one another, from a center to a periphery. It is observed that they end up in order to command a few. An organization in which few command is called oligarchy. The word derives from the Greek, because it was the ancient Greeks who, in European cultures, began to reason about social facts, writing about them. In a few, they also command democracy: although there are many parliamentary assemblies, they are always a very small part of the population. Of course, in democracy, summit meetings, such as parliaments and assemblies of federated states in the federals or other autonomous articulations, are chosen with popular voting procedures, with elections. But once they are elected they are not obliged to take into account the wishes of the voters and there are not even any means to understand it reliably on individual issues. They represent them, in the sense of making them present, because they derive from their choice, but not in the sense of being only the spokesmen. Moreover, on the single issues we need expertise and insights, which are not available to everyone. Otherwise people would do nothing but that. This is why in the ancient Greek democracies politics was occupied by those who were free from work (and this is surprising for the mentality of today, so why not choose the best ones, that is to say the most suitable for the work that A government of a few who are also the best is an aristocracy, another Greek derivative term which means precisely the government of the best.This usually follows this method for the selection of public officials, through selection procedures that are called competitions, in which tests are carried out or qualifications are evaluated, and based on this result, one chooses between those proposing for a certain job, but the electoral procedures are not based on this criterion and lead to the emergence of the current interests in the reference population at which the right to vote is recognized, so it is not said that they lead to choose the best in the sense that I have said, even if sometimes it happened. In the elective assemblies, those who knew how to interpret the current emotions among voters were preferred, who were generally afraid of the future because of the long economic recession and migratory flows to Europe, especially from the nearby African coasts. . This led to an objective reduction of the competent, but not only, also to a devaluation of the competence itself. One sees with suspicion those who in their curricula, proposed to voters to explain who he is, insert indicative elements of competence, for example for higher studies and for past professional experiences. It must be understood that this has a reason, which is connected with the affirmation of the model of capitalist enterprise as a valid organization in a broader context than that of production and commerce.
Critics of democracy, who generally think of themselves as an aristocracy, or otherwise spoken with a French word to an elite, think of the society that must be governed by politics as composed of a majority of incompetents and a minority of competent , the elite of society. Since the majorities prevail in the democratic elective procedures, it is thought that these last ones end up expressing a political class of incompetent summit. The problem had also been dealt with by the ancient Greeks: the Greek philosopher Plato, for example, who lived in the 4th century of the ancient era, believed that the government of the philosophers, who were not the scholars we think of today, was better for society that today we call competent. It must be said that the democracies as the ancient Greeks conceived them took part only in a few, the part of the population that was free from the jobs considered servile, carried out by slaves, which in the ancient Greek cities were generally more than citizens, by artisans and women . So those democracies were oligarchies. However, democracies remained because they were founded on a system of limits to the power of the ruling oligarchies from time to time. These limits were above all temporal, when the charges were timed, and values. No power, in a democracy, is absolute, in a temporal sense and in a sense of value. This concept still distinguishes democracies from other political regimes today. Elective procedures manifest one of these limits: periodically the supreme powers must submit to it. One of the main values ​​in democracy is that no power should be absolute. Even the aristocracies must undergo democratic limits, and remain aristocracies if they accept that value, limited power. Otherwise they quickly degenerate: this is the common historical experience, ending up permitting any abuse in one's particular interest, while justifying it in some way by presenting it as a fact in the general interest. They become purely and simply oligarchies, dedicated to perpetuating their power. They usually find it difficult to plan their own turnover, because even when they are elderly, as long as there is a thread of strength, one is reluctant to abandon power. So fatally, the oligarchies end up degenerating into gerontocracies. This is the dynamic that has so far led to the dissolution of every historically attempted communist regime. The party elites conceived themselves as aristocracies, but in time they degenerated into oligarchies, which sought to produce the cooptation replacement, involving people chosen from above in power, not with elective procedures from below, and then in gerontocracies, with absolute leaders. who wished to remain in power for life and justified this claim with distrust of the people, believing that, by allowing him to express himself freely, he would abandon communism, against his own interest.
  Between the 1980s and 1990s, the rapid disintegration of the communist regimes in Eastern Europe, in particular that of the Soviet Union, was not seen as a confrontation between popular democracy, which characterized the political regimes of Western Europe, and communist democracy, degenerated into absolutist gerontocracy, then, ultimately, in its opposite, but between capitalism and democracy. In fact, it was found that democratic political systems ended up expressing elements of socialism and this for their vital connection with the majority of the governed populations, in which they did not predominate by holders of economic power, those who derived the greatest profits from the economic system. The democracies, therefore, ended up imposing limits based on values ​​on capitalism. Of this the capitalists were intolerant. They presented themselves as an aristocracy and demanded more power in the interests of all. Following their setting, everyone would benefit from it. They had therefore these greater powers from the democracies. The same democracies began to organize themselves taking as a model the capitalist enterprise, modifying its own system of values, in particular with reference to that of equality in dignity. This led to greater powers of the ministerial governments, at the top of the bureaucracy, to the detriment of the government activity carried out in the elective assemblies. The political parties themselves began to be organized and to act in companies as companies. The ruling elites, that is to say, the oligarchies that in this new environment had come to affirm and who justified their power with their own competence, claiming to be aristocracies, became in turn intolerant of democratic limits. They began to sympathize with the elites of companies and to assume the jargon, the customs and the same attitude towards consumers and customers, thus redefining citizens. This fatally led the new political elites to have other interests of reference, rather than the general one, their own, analogously to what happened in business, where the capitalist's interest prevailed. The political environment was then progressively conceived as a sort of market, in which the parties competed for their greater profits and the general interest would have been the result of a sort of invisible hand, as it was supposed to happen in the dynamics of the economic market. All this then led, as was expected, to growing social inequalities and then also to growing social suffering. In fact, the new political elites were reluctant to use public resources for purely welfare purposes, without economic return, such as those in favor of those not yet able to work, those that are defined social discards in the terminology of the current social doctrine. Hence a growing social malaise, intercepted in recent years by parties-companies that have successfully built up their own ideology and electoral market action, without actually activating democratic dynamics, raising the discontent to political participation, the latter being required only as an expression of instant consent, an X on a ballot at the right time or click on a link. The democratic political dynamics are replaced by electoral marketing technologies, through which, exploiting the widespread and persistent connection through advanced terminals such as smartphones, it is possible to influence the individual psychologies so that they share a certain image, constructed, of the situation and are influenced according to a certain orientation. This, while intercepting the discontent for the degradation of democratic values, has ended up aggravating the crisis of popular democracies, pushing the masses away from the seats of the decisions that count, causing them to be only the emotional receptors of stimuli from above. The corrective that would be necessary is to resume the work of acculturating the masses to democratic values ​​which, for example, has been characteristic of Catholic Action since its foundation. In the space of about ten years, it led to the first mass democratic political party founded on the values ​​diffused by the social doctrine, the Italian Popular Party of Luigi Sturzo, founded in 1919 (the foundation of Catholic Action dates back to 1906). Blessed Giuseppe Toniolo played a decisive role in the first organization of Catholic Action, with Romolo Murri, one of the first theoreticians of a Christian democracy (1), that is to say of a democracy founded on the values ​​of social doctrine.
Mario Ardigò - Catholic Action in San Clemente Pope - Rome, Monte Sacro, Valli.

(1) by Giuseppe Toniolo:
Program of Catholics in the face of socialism (1894);
Addresses and social concepts at the beginning of the Twentieth century (1900);
Christian Democracy (1900);

Popular social measures (1902), also published in Christian Democracy. Institutes and forms, Vatican Publishing 1951

Élite, oligarquía, aristocracia, democracia.
 
La democracia es un logro cultural que debe renovarse de generación en generación. En nuestro tiempo, damos mucha importancia a la empresa económica, que es una organización no democrática que, en democracia, encuentra límites. Pero si las empresas controlan las democracias, estos límites pueden saltar y, entonces, las mismas democracias pueden degenerar, porque la democracia es básicamente un sistema de límites.
  Las empresas económicas son organizaciones que producen y comercializan. Si los consideramos en las relaciones humanas dentro de ellos, podemos identificar su propia política, que consiste en organizar y dirigir la actividad empresarial. Esta política es similar a la interna de los estados. Si los consideramos en las relaciones externas, con los consumidores finales, con otras empresas (proveedores, clientes y competidores) y con las autoridades públicas, vemos que las empresas también tienen una política en este campo, que es la orientación según la cual interactúan. En esas relaciones y eso es similar a la política internacional de los estados. La empresa puede ser capitalista o no: en el primer caso, las directrices están determinadas por quienes han invertido la mayor parte de los recursos en la empresa. Invertir significa gastar para la organización de la empresa, esperando un rendimiento económico, un beneficio: los recursos invertidos de esta manera son el capital. El capitalista es el que posee el capital y, en la medida de su inversión, tiene poder para determinar las pautas de la empresa. La firma no capitalista es, en cambio, una institución pública. Sus recursos son tomados de los ingresos fiscales. Su organización y orientación están determinadas por el organismo público que lo estableció, que designa a sus líderes. La asignación de recursos que se le asigna no es capital, ya que no mide el poder en la empresa, que está definido por el estatuto otorgado por el organismo público que la empresa ha fundado, ni la inversión esperada beneficio: la única utilidad destinada a lo que la empresa produce o transfiere. Cuando en una economía mixta, como lo era la italiana hasta la década de 1990, las empresas no capitalistas ofrecen bienes o servicios pagados en el mercado, compiten con las empresas capitalistas pero en una condición privilegiada, porque cuentan con una dotación de recursos asegurados y, en teoría, ilimitado. Desde 1962 hasta 1992, la electricidad fue producida y distribuida en Italia por una empresa no capitalista, establecida como un organismo público económico, en una condición de monopolio sustancial, con la excepción de las compañías municipales de electricidad y otras actividades marginales privadas de autoproducción para el consumo. Empresa interna, en apoyo a los procesos de producción. En cada empresa es posible un análisis económico de los resultados y esto suele ser importante en la decisión de las directrices y en la elección de los gerentes. Lo es menos en la empresa no capitalista, que tiene recursos asegurados y, por lo tanto, también puede durar económicamente en pasivos. En la empresa capitalista, los resultados de la gestión también definen las posibilidades de su propia supervivencia. La empresa constantemente en déficit pasa el capital invertido y, en ausencia de nuevas inversiones (que no se producen porque los resultados de la administración no garantizan las ganancias o las ganancias en línea con las que se pueden obtener en un determinado mercado), no tiene más recursos para funcionar, debe para cerrar, es decir, poner en liquidación, o de lo contrario se convierte en insolvente y falla. En general, los capitalistas eligen a los capitalistas en la empresa capitalista para aumentar las ganancias, que generalmente se logra prevaleciendo sobre la competencia, al aumentar el número de consumidores y otros clientes, negociar precios más altos, comprar materias primas y otros productos a precios más bajos. productos y servicios utilizados en la producción, organizando procesos de producción menos costosos, por ejemplo con nuevas tecnologías, reduciendo los costos de mano de obra al aumentar su productividad, por ejemplo, utilizando máquinas y procesos de producción automáticos, o reduciendo los salarios. Está claro que en la empresa capitalista se cuenta entre los principales capitalistas: obtienen los mayores beneficios y dictan la línea de acuerdo con sus propios intereses. En la firma no capitalista, las relaciones con el organismo de la fundación pública, que también proporciona recursos, cuentan. En cada nivel intentamos obtener el mayor beneficio para nosotros mismos, en particular manteniendo buenas relaciones con los niveles más altos. Hay menos atención a los resultados de la gestión. Los consumidores finales tienen menos voz y predominantemente debido a la influencia política que pueden tener en el organismo público que la compañía ha fundado. Esto también se observa, por ejemplo, en algunos servicios municipales organizados como empresas capitalistas, en las que, sin embargo, el capitalista predominante o único es un organismo público. En general, las políticas comerciales se centran en lo particular, en el sector en el que opera la empresa. Esto escapa a aquellos que quisieran tomar empresas, por ejemplo, para la organización de organismos públicos, que deberían tener objetivos más amplios, y más aún si lo han sido. Dado que, en la selección de líderes empresariales, de alguna manera tienen resultados de gestión económicamente evaluables, se cree que este método también funcionará bien en otros sectores, particularmente en la política general. En realidad, los procesos de selección de líderes empresariales a menudo decepcionan, dependiendo más que nada del equilibrio de poder entre los capitalistas, en la empresa capitalista o en la relación con el organismo público fundador, en la empresa no capitalista. Además, el gerente de una compañía, por capacitación y misión, no toma en cuenta el interés general de las comunidades más grandes de la compañía de referencia.
 La organización de estados, que incluye estructuras del gobierno central, que en democracia incluyen asambleas parlamentarias y oficinas ejecutivas ministeriales, y una red de otras organizaciones territoriales y sectoriales, con sus propias estructuras de gestión, a veces se organizaría mejor. sobre una base de montaje, a veces sobre una base puramente burocrática, de cargos superiores entre sí, desde un centro a una periferia. Se observa que terminan para mandar a unos pocos. Una organización en la que pocos comandos se llama oligarquía. La palabra deriva del griego, porque fueron los antiguos griegos quienes, en las culturas europeas, comenzaron a razonar sobre los hechos sociales, escribiendo sobre ellos. En algunos, también dominan la democracia: aunque hay muchas asambleas parlamentarias, siempre son una parte muy pequeña de la población. Por supuesto, en la democracia, las reuniones en la cumbre, como parlamentos y asambleas de estados federados en los federales u otras articulaciones autónomas, se eligen con procedimientos de votación populares, con elecciones. Pero una vez que son elegidos, no están obligados a tomar en cuenta los deseos de los votantes y ni siquiera hay medios para entenderlo de manera confiable en asuntos individuales. Los representan, en el sentido de hacerlos presentes, porque se derivan de su elección, pero no en el sentido de ser solo los portavoces. Además, en los temas individuales necesitamos conocimientos e ideas, que no están disponibles para todos. De lo contrario, la gente no haría nada más que eso. Esta es la razón por la que en las antiguas democracias griegas la política estaba ocupada por quienes estaban libres del trabajo (y esto es sorprendente para la mentalidad de hoy, por qué no elegir a los mejores, es decir, el más adecuado para el trabajo que Un gobierno de unos pocos que también son los mejores es una aristocracia, otro término griego derivado que significa precisamente el gobierno de los mejores. Esto generalmente sigue este método para la selección de funcionarios públicos, a través de procedimientos de selección que se llaman competencias, en los cuales se realizan pruebas o se evalúan las calificaciones, y en función de este resultado, se elige entre las personas que proponen un determinado trabajo, pero los procedimientos electorales no se basan en este criterio y conducen a la aparición de los intereses actuales en la población de referencia en que se reconoce el derecho al voto, por lo que no se dice que conduzcan a elegir lo mejor en el sentido que he dicho, aunque a veces sucedió. En las asambleas electivas, se prefería a los que sabían cómo interpretar las emociones actuales entre los votantes, quienes generalmente temían el futuro debido a la larga recesión económica y los flujos migratorios a Europa, especialmente de las costas africanas cercanas. . Esto llevó a una reducción objetiva de la competencia, pero no solo, también a una devaluación de la competencia misma. Uno ve con sospecha a quienes en sus planes de estudio, propusieron a los votantes explicar quién es él, insertan elementos indicativos de competencia, por ejemplo, para estudios superiores y para experiencias profesionales pasadas. Debe entenderse que esto tiene una razón, que está conectada con la afirmación del modelo de empresa capitalista como una organización válida en un contexto más amplio que el de la producción y el comercio.
Los críticos de la democracia, que generalmente se consideran a sí mismos como una aristocracia, o que de otra manera hablan con una palabra francesa a una élite, piensan que la sociedad que debe ser gobernada por la política está compuesta por una mayoría de incompetentes y una minoría de competentes. , la elite de la sociedad. Dado que las mayorías prevalecen en los procedimientos electivos democráticos, se piensa que estos últimos terminan expresando una clase política de cumbre incompetente. El problema también había sido tratado por los antiguos griegos: el filósofo griego Platón, por ejemplo, que vivió en el siglo IV de la era antigua, creía que el gobierno de los filósofos, que no eran los eruditos que pensamos hoy, era mejor para la sociedad. que hoy llamamos competentes. Hay que decir que las democracias tal como las concibieron los antiguos griegos participaron solo en unas pocas, la parte de la población que estaba libre de los trabajos considerados serviles, llevados a cabo por esclavos, que en las antiguas ciudades griegas eran generalmente más que ciudadanos, artesanos y mujeres. . Así que esas democracias eran oligarquías. Sin embargo, las democracias se mantuvieron porque se fundaron en un sistema de límites al poder de las oligarquías gobernantes de vez en cuando. Estos límites eran sobre todo temporales, cuando se cronometraban las cargas, y los valores. Ningún poder, en una democracia, es absoluto, en un sentido temporal y en un sentido de valor. Este concepto aún distingue a las democracias de otros regímenes políticos de hoy. Los procedimientos electivos manifiestan uno de estos límites: periódicamente los poderes supremos deben someterse a ello. Uno de los principales valores en la democracia es que ningún poder debe ser absoluto. Incluso las aristocracias deben someterse a límites democráticos, y seguir siendo aristocracias si aceptan ese valor, el poder limitado. De lo contrario, rápidamente se degeneran: esta es la experiencia histórica común, y termina permitiendo cualquier abuso en el interés particular de uno, al tiempo que lo justifica de alguna manera presentándolo como un hecho de interés general. Se convierten en puras y simplemente oligarquías, dedicadas a perpetuar su poder. Por lo general, les resulta difícil planificar su propio volumen de negocios, porque incluso cuando son mayores, siempre que haya un hilo de fuerza, uno se muestra reacio a abandonar el poder. Tan fatalmente, las oligarquías terminan degenerando en gerontocracias. Esta es la dinámica que hasta ahora ha conducido a la disolución de todos los regímenes comunistas históricamente intentados. Las elites del partido se concibieron a sí mismas como aristocracias, pero con el tiempo degeneraron en oligarquías, que buscaban producir el reemplazo de la cooptación, involucrando a personas elegidas desde arriba en el poder, no con procedimientos electivos de abajo, y luego en gerontocracias con líderes absolutos. Quiso permanecer en el poder por la vida y justificó esta afirmación con desconfianza de la gente, creyendo que, al permitirle expresarse libremente, abandonaría el comunismo, en contra de su propio interés.
Entre los años 80 y 90, la rápida desintegración de los regímenes comunistas en Europa del Este, en particular el de la Unión Soviética, no fue vista como una confrontación entre la democracia popular, que caracterizó a los regímenes políticos de Europa Occidental. y la democracia comunista, degenerada en gerontocracia absolutista, luego, en última instancia, en su opuesto, pero entre el capitalismo y la democracia. De hecho, se descubrió que los sistemas políticos democráticos terminaban expresando elementos del socialismo y esto por su conexión vital con la mayoría de las poblaciones gobernadas, en las que no predominaban los tenedores del poder económico, quienes obtenían las mayores ganancias del sistema económico. Las democracias, por lo tanto, terminaron imponiendo límites basados ​​en valores sobre el capitalismo. De esto los capitalistas fueron intolerantes. Se presentaron como una aristocracia y exigieron más poder en interés de todos. Siguiendo su configuración, todos se beneficiarían de ello. Tenían por tanto estos mayores poderes de las democracias. Las mismas democracias comenzaron a organizarse tomando como modelo la empresa capitalista, modificando su propio sistema de valores, en particular con referencia a la igualdad en dignidad. Esto condujo a mayores poderes de los gobiernos ministeriales, en la cima de la burocracia, en detrimento de la actividad gubernamental llevada a cabo en las asambleas electivas. Los propios partidos políticos comenzaron a organizarse ya actuar en las empresas como empresas. Las elites gobernantes, es decir, las oligarquías que en este nuevo entorno habían llegado a afirmar y que justificaban su poder con su propia competencia, afirmando ser aristocracias, se volvieron a su vez intolerantes a los límites democráticos. Comenzaron a simpatizar con las élites de las empresas y a asumir la jerga, las costumbres y la misma actitud hacia los consumidores y los clientes, redefiniendo así a los ciudadanos. Esto llevó fatalmente a las nuevas élites políticas a tener otros intereses de referencia, en lugar del general, los suyos, análogamente a lo que sucedía en los negocios, donde prevalecía el interés del capitalista. El ambiente político se concibió progresivamente como una especie de mercado, en el que los partidos compitieron por sus mayores ganancias y el interés general habría sido el resultado de una especie de mano invisible, como se suponía que sucedería en la dinámica del mercado económico. Todo esto condujo, como se esperaba, a crecientes desigualdades sociales y luego también a un creciente sufrimiento social. De hecho, las nuevas élites políticas se mostraron reacias a usar los recursos públicos con fines puramente de bienestar, sin retorno económico, como aquellos a favor de aquellos que aún no pueden trabajar, aquellos que están definidos como descartes sociales en la terminología de la doctrina social actual. De ahí un creciente malestar social, interceptado en los últimos años por los partidos-compañías que han construido exitosamente su propia ideología y acción de mercado electoral, sin activar realmente las dinámicas democráticas, elevando el descontento a la participación política, este último se requiere solo como una expresión de consentimiento instantáneo, una X en una boleta en el momento adecuado o haga clic en un enlace. Las dinámicas políticas democráticas son reemplazadas por tecnologías de marketing electoral, a través de las cuales, al explotar la conexión generalizada y persistente a través de terminales avanzados como los teléfonos inteligentes, es posible influir en las psicologías individuales para que compartan una imagen determinada, construida, de la situación y Se influyen de acuerdo a una cierta orientación. Esto, al tiempo que interceptaba el descontento por la degradación de los valores democráticos, terminó agravando la crisis de las democracias populares, alejando a las masas de los asientos de las decisiones que cuentan, lo que hace que sean solo los receptores emocionales de los estímulos desde arriba. Lo correctivo que sería necesario es reanudar el trabajo de aculturar a las masas a los valores democráticos que, por ejemplo, ha sido característico de la Acción Católica desde su fundación. En el espacio de unos diez años, condujo al primer partido político democrático de masas fundado en los valores difundidos por la doctrina social, el Partido Popular Italiano de Luigi Sturzo, fundado en 1919 (la fundación de la Acción Católica se remonta a 1906). El beato Giuseppe Toniolo desempeñó un papel decisivo en la primera organización de Acción Católica, con Romolo Murri, uno de los primeros teóricos de una democracia cristiana (1), es decir, de una democracia fundada en los valores de la doctrina social.
Mario Ardigò - Acción católica de la parroquia Papa San Clemente - Roma, Monte Sacro, Valli


1) por Giuseppe Toniolo:
Programa de católicos frente al socialismo (1894);
Direcciones y conceptos sociales a principios del siglo XX (1900);
Democracia Cristiana (1900);
Medidas sociales populares (1902), también publicadas en Democracia cristiana. Institutos y formas, Editorial Vaticana 1951.