Pensare in piccoli gruppi in tempo di
pandemia
Nella Settimana
teologica del Movimento ecclesiale di impegno culturale che si è conclusa on line qualche giorno fa, il monaco Emanuele Bordello ha
osservato:
Non è facile trovare parole che siano
all’altezza. Non tanto perché ci sia richiesto di dire cose complicate,
raffinate, ma perché mi pare sempre che le nostre parole si logorino, diventino
banali, diventino convenzionali.
Forse come Chiesa siamo stati anche un po’
ossessionati dalla questione sacramentale, in particolare su come celebrare la
Messa o come rendere accessibile qualche rapporto con l’Eucaristia, però forse
è mancata come Chiesa una parola all’altezza della situazione, una parola
pertinente.
Lo si è detto ormai tante volte: la pandemia
ci ha trovati impreparati. Ha manifestato anche l’impotenza, l’inadeguatezza,
di tante nostre parole. Mi veniva in mente, mentre pensavo a questo, un
versetto del profeta Geremia, dal capitolo 14. Siamo nel contesto di una grave
siccità che colpisce il popolo, quindi di uno scenario desolato a causa della
siccità. Dice Geremia:
"I miei occhi grondano
lacrime, perché da grande calamità è stata colpita la figlia del mio popolo. Anche il profeta e il sacerdote
si aggirano per il paese e non sanno che fare". Questo senso di non saper bene
che cosa fare e che cosa dire, che ci caratterizza di fronte a certi eventi,
che ci trovano impreparati.
Del resto mi pare che l’imbarazzo non sia
stato condiviso solo dalla Chiesa, ma anche da buona parte del mondo
intellettuale.»
Abbiamo semplicemente sospeso tutto in attesa di ripartire.
Nelle
linee guida diffuse ieri dall’Ufficio catechistico nazionale leggiamo però:
[…]
Peggio di questa crisi, c’è solo il dramma di
sprecarla» (Francesco, Omelia di Pentecoste, 31 maggio 2020). Anche in questo
tempo il Signore accompagna il suo popolo perché senta vicino il suo Pastore.
Si tratta adesso di avere il coraggio di prendere l’iniziativa, di primerear [verbo dallo spagnolo usato da
Papa Francesco, da intendere come prendere
l’iniziativa], di fare il primo passo,
senza subire le situazioni come una fatica. Siamo chiamati piuttosto ad essere
una Chiesa dalle porte aperte, capace di prendere l’iniziativa, di coinvolgersi
e di accompagnare (cfr. Francesco, Evangelii
gaudium, n. 24).»
Insomma, occorre ricominciare nel senso di cominciare
qualcosa di nuovo.
La prassi consueta dei nostri incontri del
martedì era quella di una conferenza,
accompagnata da immagini o video, e di un riflessione
spirituale dell’assistente ecclesiastico. Il tempo degli interventi dei
partecipanti era molto ridotto e, soprattutto, tendeva al dialogo con il
conferenziere di turno e con il sacerdote.
Ma, nella situazione in cui siamo caduti, e
dalla quale per tutto il prossimo anno liturgico verosimilmente rimarremo,
perché nella migliore delle ipotesi una campagna vaccinale non potrà essere
iniziata su larga scale prima della primavera inoltrata del prossimo anno, non
dobbiamo attenderci che conferenzieri e lo stesso prete che ci assiste possano
darci le parole che attendiamo. Si impara, tutti, dall’esperienza, ma essa è troppo recente per
aver prodotto parole all’altezza della situazione. Anche perché la situazione
cambia di ora in ora.
Il rischio è, incontrandoci nei modi e con
la frequenza che saranno consentiti dall’evoluzione della pandemia, di perderci
in un vano chiacchiericcio, ripetendo ciò che sentiamo qua e là, a volta
colpiti più dalla veemenza che dalla bontà degli argomenti.
Su Avvenire di domenica 6 ottobre, Giorgio
Campanini, sociologo e storico, ci invia invece al pensiero in piccoli gruppi, ad organizzare un vero e costante colloquio in forma comunitaria, ad
esempio prendendo spunto da un articolo, un saggio, un discorso pontificio, per
pensare insieme. Questo richiede una
reale condivisione di quegli spunti e la capacità, nel prendere la parola, di agganciare il proprio discorso a quello degli altri, non
limitandosi a dire la propria. Perché,
se ognuno si limita a dire la propria,
non si pensa insieme. Un lavoro un
po’ più impegnativo del semplice ascolto e che comporta anche un prendersi cura degli altri, mostrare di accorgersi che ci sono e
interagire con loro. Un pensiero comunitario così fatto può poi svilupparsi anche in preghiera comunitaria. E, in questo, Bordello
ci ha invitati a usare la meditazione sui salmi. Riporto una sintesi delle sue
parole:
«Anche noi monaci non siamo stati esenti
dal rischio di un parola degradata, banale.
Mi
sono chiesto come si possa cercare di ridurre almeno un po’ questo logorio,
questa banalità delle parole.
Quali parole in fondo resistono a
questa usura, a questa deformazione, al rischio della banalità, della
chiacchiera, fosse anche una chiacchiera devota?
L’unica risposta che sono riuscito a darmi è
legata all’esperienza che facciamo come monaci di scandire le nostre giornate
con le parole dei salmi.
Mi pare che le parole che ci consegna il
salterio siano le meno inadeguate a farsi voce di ciò che abbiamo vissuto in
questo tempo. Parole che naturalmente non sono al cuore dei monaci, ma che sono
al cuore della preghiera di Israele e
della Chiesa da sempre, ma che certo nella vita di una comunità monastica
assumono un peso particolare. Lo dice anche un gesto simbolico_ nel rito della
professione monastica solenne al monaco viene consegnato il Salterio, quasi
fosse la sua arma per affrontare la sua lotta spirituale. E anche il nostro
padre Romualdo, nella cosiddetta Piccola
regola, ha questa frase che mi ha sempre colpito: “l’unica via per te si trova nei salmi”.
Sempre Avvenire di domenica 26 ottobre, Luigino Bruni, nel
presentare il salmo 109, che contiene la più potente imprecazione del Salterio e di tutta la Bibbia, scrive:
«La Bibbia non è una raccolta di buoni
sentimenti, non è un repertorio di storie edificanti per persone per bene.
Contiene gesti efferati e parole tremende, eco del gesto e delle parole di
Caino.
[…]
Perché il Logos potesse diventare vero uomo, per lui non c’era
altra strada di quella polverosa che calchiamo da millenni.
[…]
[Il salmo 109] contiene la più potente imprecazione del Salterio e di
tutta la Bibbia. In molti hanno pensato di cancellare quei tremendi versi 6-19,
perché convinti che la Bibbia non dovesse ospitare tali parole cattive.
3. Mi investono con parole piene di odio, mi
aggrediscono senza ragione.
4. Mi accusano mentre io offro amicizia, ma io continuo a
pregare.
5. Mi rendono male per bene e odio in cambio di
amicizia.
6. Mi lanciano queste maledizioni «Sia nominato
contro di lui un accusatore, un malvagio stia sempre al suo fianco.
7. Esca dal processo condannato, anche la sua
preghiera risulti una colpa.
8. Abbia i giorni contati, il suo incarico lo
prenda un altro.
9. I suoi figli rimangano orfani e sua moglie
diventi vedova.
10. I suoi
figli siano vagabondi, vadano a chiedere l’elemosina lontano dalle loro case in
rovina.
11. L’usuraio divori tutti i suoi beni, un
estraneo s’impadronisca dei suoi guadagni.
12. Nessuno
gli usi misericordia, nessuno abbia pietà dei suoi orfani.
13. La sua famiglia si estingua, in una
generazione scompaia il suo nome.
14. Siano ricordate le colpe dei suoi padri, nulla cancelli i
peccati di sua madre:
15. il Signore se ne ricordi sempre, la terra
dimentichi questa gente!
16. Quest’uomo non ha avuto amore per nessuno, ha
perseguitato a morte il povero, il misero e chi era sfiduciato.
17. Gli piaceva maledire: sia lui maledetto! Non
voleva benedire: nessuno lo benedica!
18. La maledizione era la sua divisa: essa gli è
penetrata come acqua nel corpo, come olio dentro le ossa!
19. Lo copra come un mantello, lo stringa come
una cintura!».
20. Questo vogliono dal Signore i miei accusatori
e coloro che mi calunniano.
[Versione della Bibbia TILC
interconfessionale in lingua corrente]
Altri esegeti hanno smorzato lo sconcerto proponendo di leggere quella
serie di imprecazioni come una lunga citazione che l’accusato (il salmista) fa
delle parole dei suoi accusatori: una strategia che si rivela inefficace.
[…]
Propongo una via diversa. Dobbiamo accogliere, semplicemente, lo
sconcerto e il disagio che ci nascono nell’anima di fronte a questa preghiera
diversa. […] Finché non arriva il tempo della disperazione […] In quel giorno e
in quel tempo […] ti ricordi che dentro la Bibbia, custodito nello scrigno del
Salterio, c’è un salmo diverso. Ti nasce un desiderio inedito di ritrovarlo. E
allora riprendi quella Bibbia lasciata da mesi, da anni, nello scaffale,
scrolli la polvere, cerchi di ricordare dove si trovano in salmi. Li trovi dopo
Giobbe, e finalmente capisci il perché.
[…]
E finalmente giungi al salmo 109. e nel
leggerlo senti che era stato scritto solo per te, solo per quel giorno
tremendo. Ti aspettava e non lo sapevi. Inizi a leggere quella serie tremenda
di maledizioni. Le senti come parole tue. Parola dopo parola, le lacrime
scorrono. Senti che dentro qualcosa comincia a muoversi, quel cuore indurito
dalla rabbia e dal dolore si scalda, quel nodo che ti aveva fin lì ridotto il
fiato nei polmoni e il respiro nell’anima comincia a sciogliersi.
[…]
La Bibbia è capace di fare anche questo. Il suo Dio ci capisce.
Se avessero vinto quegli antichi scribi che volevano cancellare il salmo
109, tu non avresti avuto le sole parole
per ricominciare a vivere, per reimparare a pregare. A pregare, sì, perché se
quella lettura è sincera, mentre leggi quelle maledizioni capisci che quelle
parole che pur senti tue e vere non possono essere le ultime parole: sono solo
le penultime. Ma per capire che erano le penultime dovevi fare
l’esperienza di sentirle come ultime e
vere. E così la preghiera può terminare
con le parole con cui termina il salmo: «Essi
maledicono, ma tu benedici» (Sal 109, 28).
[…]
C’è una fraternità tra le parole della Bibbia.
Alcune sue parole le capisci solo quando scopri che erano lì per consentirti di
dirle altre. Per poter arrivare a chiedere a Dio che le maledizioni che tu
stesso hai pronunciato diventino benedizioni, prima dovevi attraversare l’inferno
della disperazione in compagnia della Bibbia e di Dio. Senza il salmo 109 la
Bibbia avrebbe perso parole per raggiungere le zone più periferiche e più
preziose dell’area dell’umanità.
[…]
Il primo Padre misericordioso
della Bibbia è la Bibbia stessa, Nuovo e Antico Testamento.
[…]
L’abbraccio misericordioso della
Bibbia sono le sue parole, che ci vedono, ci guardano, ci accompagnano mentre
ci muoviamo tra il paradiso e gli inferi, e ci risorge accompagnandoci nelle
nostre sventure.
[…] Noi […] non capiamo la
Bibbia, come non capiamo la grande letteratura. Pensiamo che le parole di
resurrezione siano quelle che iniziano dopo i peccati, dopo i tradimenti, dopo
le cattiverie, dopo le maledizioni. […] la Bibbia salva e riscatta le vittime mentre le vede, mentre si china su di esse,
nell’accompagnare i loro drammi.
[…]
Noi invece siamo in cerca degli happy
end [dei finali felici], non amiamo i sabati santi, saltiamo dal venerdì
alla domenica. Scartiamo le parole bibliche di maledizione e di disperazione, e
perdiamo contatto con tutti gli uomini e le donne che ora stanno vivendo quelle
parole nella loro carne.
[…]
Il salmo 109 (il versetto 8) è entrato anche nel Nuovo Testamento. Gli
Atti degli apostoli lo hanno usato per parlare della morte di Giuda. […] Anche
Pietro trovò in quel salmo 109 parole per dire un dolore scandaloso e muto -
non dobbiamo dimenticare che Giuda era stato un amico degli apostoli e di Gesù:
“Egli infatti era stato del nostro numero”.»
Mario Ardigò - Azione Cattolica
in San Clemente papa - Roma, Monte
Sacro, Valli