INFORMAZIONI UTILI SU QUESTO BLOG

  Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

  This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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  Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

  Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

  Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

  Dall’anno associativo 2020/2021 il gruppo di AC di San Clemente Papa si riunisce abitualmente due martedì e due sabati al mese, alle 17, e anima la Messa domenicale delle 9. Durante la pandemia da Covid 19 ci siamo riuniti in videoconferenza Google Meet. Anche dopo che la situazione sanitaria sarà tornata alla normalità, organizzeremo riunioni dedicate a temi specifici e aperte ai non soci con questa modalità.

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Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

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mercoledì 16 settembre 2020

Appunti di lettura sull’esortazione apostolica Evangelii gaudium - La gioia del Vangelo, diffusa nel 2013 da papa Francesco

 Ripubblico

Appunti di lettura sull’esortazione apostolica Evangelii gaudium - La gioia del Vangelo,  diffusa nel 2013 da papa Francesco

[testo del documento sul WEB

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/apost_exhortations/documents/papa-francesco_esortazione-ap_20131124_evangelii-gaudium.html

 

1. La buona notizia: vale ancora la pena di vivere

 

 La fede è gioia e riempie il cuore, scrive il nostro vescovo. Questo corrisponde anche alla mia personale esperienza in religione. Spiegare agli altri in che cosa consista il fondamento di questa gioia, da dove essa scaturisca, non è però facile. Ci insegnano a fare innanzi tutto riferimento all'antico nostro Maestro, al Nazareno. Egli ci ha tanto amato da dare la vita per noi. Lo ha fatto nonostante la nostra innata tendenza al male, che si è manifestata da sempre in tutte le società umane che si sono succedute da quando si ha memoria di una storia e probabilmente anche in quelle che ci sono state prima, e nonostante il male che l'umanità ha fatto e di cui ciascuno, in spirito di verità, onestamente, deve riconoscersi responsabile. Egli fu  un essere umano, nella Palestina di circa due millenni addietro, ma noi lo riconosciamo anche come fondamento di tutto ciò che esiste,  ieri, oggi, sempre, quindi diciamo anche, in senso religioso, che egli è. "Per mezzo di lui tutte le cose sono state create", recitiamo nel Credo, nella Messa di ogni domenica. Quindi vediamo in lui anche una manifestazione del soprannaturale, di una realtà che, al di là di ciò che si vede, si sente, si tocca qui nel mondo che ci circonda, sorregge tutto ciò che esiste, l'universo e noi in esso. Ma non pensiamo che sia qualcuno come un angelo, come lo si concepisce nella nostra fede, o un fantasma. Siamo fermamente convinti, nella nostra fede, che tutto abbia un senso, che si vada verso una precisa direzione, noi e la natura intorno a noi, e che esso si quello di muoverci, nella nostra storia personale e in quella collettiva, verso colui che ha fatto tutto ciò che esiste, prima che i tempi iniziassero, e che ha un nome, non è un impersonale meccanismo della natura come tanti che osserviamo e studiamo, cercando ci capirli, intorno a noi. Quel nome è appunto quello del nostro antico Maestro, che  nell'ebraico antico significa azione di salvezza e riteniamo santo, nel senso che è manifestazione di benevolenza infinita e, quindi, di un fondamento  e di un compimento beato  della nostra vita, personale e collettiva. Avverto che qui ho trattato, non usando il teologhese, di principi fondamentali della fede: è esperienza comune quella di dover sempre migliorare nella loro comprensione e quindi di doversi sempre confrontare, quando se ne parla, con chi ne sa di più e in particolare con chi ha, come missione e responsabilità, il compito di spiegarli agli altri. Invito quindi chi legge a verificare personalmente, nell'ascolto del nostro magistero religioso, se ciò che ho scritto corrisponda effettivamente alla nostra fede comune. Ero presente in piazza San Pietro, tanti anni fa, quando Karol Wojtyla, affacciandosi dalla facciata della grande basilica dopo aver assunto la grande missione di essere nostro padre universale, si esortò con un "Correggetemi se sbaglio!" : ho cercato sempre di imitarlo in questo e qui faccio mia quell'esortazione.

  Se, allora, la nostra esistenza si basa su un fondamento santo, su una benevolenza infinita che, al di là dell'imperfezione che vediamo bene caratterizzare la nostra vita personale e collettiva, al di là dei nostri limiti palesi, scende verso e su di noi e rimane salda anche quando sbagliamo, perché trasformarci in "persone risentite, scontente e senza vita"?, scrive il nostro vescovo. E aggiunge: "Ci sono cristiani che sembrano avere uno stile di Quaresima senza Pasqua". Vale a dire che non vivono, rievocandola e rendendola presente nelle loro vita, l'esperienza della liberazione dai limiti che ci affliggono, da tutto ciò che in varie forme e manifestazioni ci lega alla morte, alla fine nostra e di tutti e di tutto, e alla consapevolezza del male che c'è in noi e attorno a noi. Il dolore non è l'ultima parola sull'esistenza umana, secondo la nostra fede. Il nostro vescovo ci esorta dunque a ritornare a rinnovare oggi stesso il suo incontro   con colui che è il fondamento beato  di tutto e la fonte della nostra gioia e che crediamo ci voglia salvare perché ci vuole bene,  o, almeno, a prendere la decisione di lasciarsi incontrare da lui, cercandolo ogni giorno senza sosta.

 Devo dire che nella mia personale vita religiosa c'è sempre stata veramente poca emotività. Sono sempre stato molto legato alla mia concreta esperienza della realtà intorno a me, così come effettivamente mi si presentava. Ho fede religiosa, ma non ho mai udito voci soprannaturali, non ho fatto esperienza del soprannaturale in questo senso, non ho visto angeli né mai mi sono figurato di averli visti. Del Nazareno ho sentito parlare e ho letto, ma non l'ho mai incontrato così come incontro le persone che mi circondano. Ho incontrato la memoria di lui, che mi è giunta, di generazione in generazione, attraverso altre persone di fede. Ho creduto non perché ho visto. L'esigenza di credere in lui è scaturita dalla mia interiorità, nel confronto con il mondo così come l'ho sperimentato nella mia vita. Penso di essere stato effettivamente predisposto, come essere umano, a credere in lui: la mia fede è stata quindi il compimento di un'esigenza interiore e di un'attesa. Ma capisco i problemi di chi, all'appello religioso a incontrarlo, rispondono di non riuscire a farlo perché non lo vedono e non lo sentono. E anche di non capire come un essere che non si vede, non si sente e non si tocca possa cambiare in meglio la vita di coloro che vivono nel mondo che c'è, si vede, si sente e si tocca. Dicono che  ci perdona: e allora? Uno alla fine a perdonarsi ci arriva anche da solo, perché che cosa sono le nostre colpe dinanzi alla pena che sicuramente ci toccherà di scontare, la morte personale? Si tratta di obiezioni serie, da non sottovalutare, tanto che le troviamo trattate anche nei nostri scritti sacri, in particolare in quelli che abbiamo ricevuto dal giudaismo antico.

L'uomo si affatica e tribola per tutta un vita.

Ma che cosa ci guadagna?

Passa una generazione  e ne viene un'altra;

ma il mondo resta sempre lo stesso.

 Ho riflettuto anche su tutte le ingiustizia che si compiono in questo mondo. Gli oppressi piangono e invocano aiuto, ma nessuno li consola, nessuno li libera dalla violenza dei loro oppressori. Invidio quelli che sono morti. Essi stanno meglio di noi che siamo ancora in vita. Anzi, più fortunati ancora quelli che non sono mai nati, quelli che non hanno mai visto tutte le ingiustizie di questo mondo.

[Qoelet 1, 3; 4,1]. Traduzione interconfessionale della Bibbia in lingua corrente, Elle Di Ci -A.B.U., 1985]

 Alcune persone, sentendosi rivolgere quell'appello all'incontro personale e non riuscendo a realizzarlo, possono pensare di essere come menomate o, addirittura, quando quell'appello viene rivolto in certi modi perentori, addirittura cattive, o, comunque, di essere considerate tali da parti di coloro da cui esso proviene. Poiché poi, pur considerandosi con sincerità, concludono di non essere né menomate né cattive, tendono a rifiutare in blocco la fede e chi gliela propone.

 Non nascondo che anch'io, pur ritenendomi una persona di fede, ho sempre avuto difficoltà analoghe, quando mi hanno detto cose come "All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e, con ciò, la direzione decisiva" (una frase di papa Ratzinger citata dal vescovo nel suo ultimo documento e tratta dall'enciclica Deus caritas est [=Dio è amore/agàpe/gioiosa benevolenza comunitaria come in un banchetto nuziale]). Per me infatti la fede è scaturita certamente dall'incontro con delle persone, con la generazione di coloro che me l'hanno trasmessa al modo di un contagio, prima con le loro vite che con  i loro discorsi, ma la scoperta della Persona, alla quale in quella frase ci si riferisce, è venuta dopo ed è stata coeva con esigenze etiche, che considero tuttora molto importanti, e con molte grandi idee.

 Per intendere bene il senso di quel modo di esprimersi, che centra il sorgere della fede su un'incontro con la Persona, la figura divinizzata del primo Maestro, del Nazareno, bisogna considerare che esso è manifestazione di una reazione a modi teologici di presentare la nostra fede comune che davano molta importanza alle ragioni del credere, quindi alle giustificazioni razionali  dell'atto di fede, e al conformarsi a prescrizioni etiche rituali, religiosamente condivise. Di fronte all'obiezione, risultata fondata, che tutte le prove dell'esistenza della realtà soprannaturale creduta per fede si sono dimostrate insufficienti e che l'inevitabile mutare dei costumi che porta a superare sempre ogni concezione etica, di fronte quindi alla generale insufficienza di ogni sistemazione puramente ideologica della fede, si cerca di basare le motivazioni di fede su un rapporto personale con il fondamento beato, che precede ogni ragionamento e anche l'etica rituale. E' una via, questa, che ha precisi agganci nelle scritture sacre e che è stata seguita anche, per quello che ho letto, nell'ebraismo dei saggi del Talmud. E' stata più volte riscoperta nella storia della nostra collettività religiosa e, nei tempi più recenti, proprio nel confronto con la saggezza dell'ebraismo contemporaneo della nostra confessione religiosa. Essa, ad esempio, fu espressa nell'Ottocento dallo scrittore russo Dostoevskij affermando che egli avrebbe comunque scelto Cristo anche se gli avessero dimostrato che  Cristo non era la verità. L'invito a centrare la fede sull'incontro con la Persona libera dalle molte costrizioni, conformismi, luoghi comuni, commistioni tra sacro e profano,  non veramente necessari alla vita di fede, anzi spesso ostacolo ad essa, che storicamente si sono costruiti intorno alla fede nell'edificare e disciplinare una religione, vale a dire un modello collettivo di vita di fede. Ma non bisogna pensare, per come la vedo io, che quell'incontro sia come quello che possiamo avere la mattina, al risveglio dal sonno, quando apriamo gli occhi e vediamo i nostri familiari. L'incontro con quella  Persona è pur sempre un andare verso  e, insieme, un rendersi disponibili ad accogliere una persona che non si vede, nella sua realtà soprannaturale. L'accostarsi al soprannaturale presenta sempre questa difficoltà, quando non si parli di cose diverse dalla nostra fede religiosa come ad esempio di magia o esperienze emotive paranormali, vale a dire che ci si cerca di aprirsi a ciò che non si vede, ma di cui avvertiamo interiormente la presenza. Ed è effettivamente esperienza comune che non è vero che ciò che non si vede non c'è. A parte realtà microscopiche e le frequenze inaccessibili ai nostri sensi, cerchiamo sempre di figurarci il passato  e il futuro e questa attività ,molto importante nello stabilire che fare oggi, riguarda oggetti che non si vedono e addirittura non sono più  o non sono ancora. Il soprannaturale, nella concezione religiosa c'è ed è anche accessibile ad un nostro senso interiore, a quello che possiamo definire  sguardo soprannaturale, alla luce del quale il mondo in cui viviamo ci appare trasfigurato. Nella nostra fede, e anche in altre fedi religiose, il soprannaturale è definito come luce.

 Il mondo ci appare per certi versi come un complicato meccanismo di cui noi siamo un piccolo ingranaggio. C'è sempre un grande darsi da fare, scambiarsi cose e lavorare gli uni per gli altri per un certo prezzo. Si nasce, ci si riproduce e si muore. Nei secoli dei secoli. Ma essere solo parte di un ingranaggio non da gioia, non ci appaga veramente del tutto. Lo scrittore Primo Levi dichiarò che l'etica degli affari uccide l'anima immortale (cito a memoria). Sotto un certo profilo quindi, giunti verso la fine, si potrebbe concludere tristemente con "tutto qui?"  o con un "Ne è valsa la pena?".  La buona notizia che ci giunge dalla nostra fede è che, sì, ne vale la pena o, a seconda delle prospettive in cui ci si pone, ne è valsa la pena.  E ciò perché nella vita c'è l'amore/agàpe che dà gioia. E' questo che si incontra/scopre nella Persona che, nella fede, riteniamo essere il fondamento e il destino beato di tutto.

 

2. Un evangelizzatore non dovrebbe avere costantemente una faccia da funerale.

[Dall'esortazione apostolica Evangelii Gaudium (=La gioia del Vangelo) del papa Francesco - 24 novembre 2013, n.10)

 

 

  Come ho ricordato in un mio precedente intervento, diversi anni fa venne a lavorare da noi in parrocchia un sacerdote che mi parve sulla trentina e che, al termine della Messa domenicale, aveva l'abitudine, come succede più di frequente in altre nazioni, di mettersi sul sagrato per salutare i fedeli che uscivano. In un'omelia notò che la gran parte di essi avevano la faccia scura. Mostravano anche qualche difficoltà, durante la liturgia, a scambiarsi reciprocamente il segno della pace. Era una cosa alla quale non avevo fatto caso, ma ponendovi attenzione notai che era vero e lo feci notare anche alle mie figlie che allora erano ancora bambine. Facemmo, come un gioco, a contare le persone con la faccia lieta che incontravamo per strada. Erano pochissime! Poi mi dissero che quel sacerdote aveva avuto un problema in famiglia, una persona gravemente ammalata. Anche lui, allora, fece la faccia scura e dopo un po' non lo vidi più in chiesa da noi. All'epoca frequentavo la parrocchia come semplice utente, non ero granché coinvolto nella sua vita, quindi non approfondii la questione. Mi dissero che, prima di venire tra noi, aveva seguito gli scout e nel tempo in cui fu da noi formò una numerosa squadra di chierichetti, tradizione che poi mi pare si sia persa (anch'io fui chierichetto nella nostra parrocchia, anche se piuttosto imbranato. Non avevo capito bene quello che dovevo fare e allora mi mettevano a fare l'aiuto-chierichetto. Anche a quei tempi, si era negli anni '60, c'era una numeroso gruppo di ragazzi che svolgeva quel servizio). La sua letizia contagiò molti e produsse dei cambiamenti positivi, ma quando si intristì tutto tese ad andare nella direzione di prima. Forse, quando fu lui ad avere bisogno di essere consolato, non trovò in noi, senz'altro non in me, un aiuto sufficiente. Ora me lo rimprovero.

 Ogni tanto i sacerdoti della parrocchia lo ricordano nelle loro omelie: non si avverte sempre  la gioia della fede nella partecipazione alle nostre liturgie eucaristiche, che pure dovrebbero essere al centro della vita comunitaria religiosa e dunque manifestarla. Chi ci vede da fuori  come può essere attratto da quello che c'è dentro, se sembra che partecipiamo solo a un triste dovere, per non fare peccato? Ma, mi sono detto tra me quando ho sentito questo, non è per dovere che oggi si va in chiesa la domenica, perché trasgredire quell'obbligo non suscita più la riprovazione sociale e quindi chi non vuole andarci non ci va, punto. Molti di quelli con le facce scure vanno in chiesa per essere consolati.  Ma, evidentemente, i motivi di dolore e di disperazione superano le capacità consolatorie  dell'insieme. E poi non siamo più così pronti ad farci entusiasmare dal linguaggio altamente simbolico della liturgia, di cui forse non intendiamo più tutte le implicazioni. Bisogna anche tener conto  che l'età media dei fedeli è piuttosto alta. L'allegria è dei giovani. "Gaudeamus igitur, iuvenes dum sumus!" faceva l'inno degli universitari di un tempo: gioiamo, orsù, finché siam giovani. E poi: post iucundam iuventutem, post molestam senectutem, nos habebit humus, dopo la gioiosa gioventù, dopo la molesta vecchiaia, ci avrà la terra. E ora, dobbiamo anche sentirci tirati per le orecchie, perché, con i problemi che abbiamo, a volte carichi di anni,  non siamo gioiosi?

  Eppure sarebbe bello recuperare la gioia di vivere che tutti abbiamo provato in una o più epoche della nostra vita. Perché vivere bisogna pure. In fin dei conti, si vive.

 L'appello alla gioia che ci viene dal vescovo  non è per farci più efficaci come piazzisti del sacro. Con le facce tristi si vende poco  e via dicendo. Non siamo in giro per vendere il prodotto fede. E neanche per fare nuovi adepti per riempire le nostre chiese (questo è il proselitismo in senso deteriore, da lui criticato). La gioia scaturisce dalla vita, è parte della nostra natura. La vita dà gioia. Sono le circostanze in cui la vita si svolge che a volte la privano della gioia. E, a parte gli accidenti che ci capitano e che derivano dal mondo in cui viviamo, dalle avversità sociali, da quelle della natura ambientale e, infine, dal nostro invecchiare corporeo, che è anch'esso un processo naturale, incombe su tutti noi, in modo sempre più angoscioso col passare degli anni, il pensiero della propria fine personale. E' così che si perde la gioia di vivere, quel sentimento di letizia interiore che caratterizza i nostri momenti veramente felici e che ci fa essere fiduciosi nel futuro e capaci di costruire grandi cose insieme agli altri. Esso ha sicuramente un dimensione sociale, così come la ha l'infelicità, e una spirituale, interiore.  La fede incide e richiede un impegno personale su entrambe. L'appello religioso alla gioia è un'esortazione ad un impegno di quel tipo. L'azione che ci è proposta è quella di radunare i dispersi costituendo un'unità  fondata sull'amore/agàpe. Essa si fonda su una voce che riteniamo esserci giunta e giungerci dall'alto, trasmessa fedelmente fino a noi di generazione in generazione e ricevuta e confermata nella nostra interiorità personale. Essa ci dice che la morte, la nostra fine personale, l'ultima nemica, non è l'ultima parola su ciascuno di noi. Quella voce non ci arriva solo da fuori  di noi, essa corrisponde a un sentimento interiore che ci rende capaci di ascoltarla e di darle credito: "…sento l'acqua viva che mi parla dentro e mi dice «Vieni al Padre»,  scrisse Ignazio di Antiochia (vescovo di Antiochia dal 70, ucciso a Roma per ordine delle autorità imperiali nel 107) in una  Lettera ai cristiani di Roma, andando verso la nostra città per esservi giustiziato. Tutti gli esseri umani sono chiamati a formare un popolo animato da quell'unità amorevole, gioiosa e festosa. "Nessuno è escluso dalla gioia portata dal Signore", insegnò Giovanni Battista Montini in un'esortazione apostolica del 1975, durante il suo ministero religioso di padre universale: lo ricorda il vescovo nel documento di qualche giorno fa. Non usciamo  di chiesa per ritornarvi  con un portafoglio di adesioni. Non siamo nel mondo per distribuire tessere religiose. Siamo nel mondo per suscitarvi la gioia di vivere, radunando, risanando, consolando. Può essere un impegno molto coinvolgente, fonte esso stesso di gioia perché è il principio del nuovo mondo, fonte soprannaturale e spirituale di cambiamenti significativi nella realtà visibile e sociale e del riscatto delle persone dalla propria coscienza isolata ed autoreferenziale (Evangelii Gaudium, n. 8).

 I momenti più belli e motivanti della mia vita, in famiglia, sul lavoro, nella società, sono stati caratterizzati dalla partecipazione a un impegno di quel tipo. Non ero solo, partecipavo a grandi movimenti ideali in cui anche la fede religiosa era implicata. Ai tempi nostri si accusa quelli della mia generazione di aver tentato di ribaltare il mondo di prima sulla base di sogni irrealizzabili. Le cose vanno come vanno ed è così che debbono andare, ci rimproverano: il forte prevale sul debole, il pesce grande mangia il pesce piccolo (metafora usata abitualmente dal filosofo Aldo Capitini - 1899/1968) e così seguitando. Ma io non rimpiango di non aver agito diversamente: Non, je ne regrette rien (= non rimpiango nulla. E' il verso di una famosa canzone di Edith Piaf -1915/1963 che venne citato nel testamento di uno dei sette frati trappisti uccisi a Tibhirine - Algeria  nel 1996 da terroristi). Sono sogni anche quelli della nostra fede? Ma essi hanno cambiato e stanno ancora cambiando il mondo. Venite e vedete.

 

3. Gioia, espansione e novità

 

Nelle direttive pratiche contenute nel recente documento diffuso dal nostro vescovo a noi Romani e al mondo, quale padre universale, si evidenzia il collegamento, per la vitalità delle nostre collettività religiose, tra gioia, espansione e novità.

"Il bene tende sempre a comunicarsi. Ogni esperienza autentica di verità e di bellezza cerca per se stessa la sua espansione, e ogni persona che viva una profonda liberazione acquisisce maggiore sensibilità davanti alle necessità degli altri. Comunicandolo, il bene attecchisce e si sviluppa.

Un annuncio rinnovato offre ai credenti, anche ai tiepidi o non praticanti, una nuova gioia nella fede e una fecondità evangelizzatrice.

Ogni volta che cerchiamo di tornare alla fonte e recuperare la freschezza originale del Vangelo spuntano nuove strade, metodi creativi, altre forme di espressione, segni più eloquenti, parole cariche di rinnovato significato per il mondo attuale. In realtà, ogni autentica azione evangelizzatrice è sempre “nuova”.

[Non] … dovremmo intendere la novità di questa missione come uno sradicamento, come un oblio della storia viva che ci accoglie e ci spinge in avanti. La memoria è una dimensione della nostra fede."

[Esortazione apostolica Evangelii Gaudium (=la gioia del Vangelo) del papa Francesco, 24-11-13, n.9,11,13].

 L'esperienza della straordinaria e veloce espansione, al modo di un contagio tra persona e persona, tra gruppi e gruppi, oltre ogni barriera etnica, culturale e sociale, della nostra confessione religiosa nell'Impero mediterraneo in cui essa originò, il quale tentò invano di contrastarla venendone invece dominato pur innestandovi numerosi elementi della propria ideologia, è rimasta fortemente radicata nella nostra memoria collettiva di fedeli, non tanto come insieme di ricordi espliciti e precisi (le storie  del cristianesimo e della nostra confessione di solito vi accennano di sfuggita, concentrandosi, per quanto riguarda i primi secoli, sulle persecuzioni subite dalla gente della nostra fede), ma sotto forma di una sensibilità e di un anelito di fondo, quasi al modo come certi comportamenti vengono trasmessi per via genetica alle nuove generazioni, le quali nell'età di neonate sanno fare cose che non sono mai state loro insegnate, ad esempio succhiare il latte materno. Quella storia di sviluppo delle origini non si è mai più ripetuta. Dal quarto secolo della nostra era la diffusione della nostra fede non è infatti mai stata veramente immune dalla violenza di stato, in forme anche molto crudeli ed estese, fino ad arrivare al limite del genocidio durante la colonizzazione delle Americhe, come rilevato con orrore dal domenicano padre Bartolomeo de Las Casas (1484-1566).

 La fase espansiva delle origini fu caratterizzata effettivamente, per quello che ho potuto capire, dalla gioia della novità, pur nell'ostilità crescente dei poteri pubblici della società in cui essa avveniva. Successivamente, parlando in linea generale, questi elementi, la gioia e la novità, vennero meno per vari motivi riassumibili tutti nel clima di violenza in cui quella che venne concepita come una conquista di nuovi popoli avvenne e che caratterizzò anche l'azione di polizia ideologica e teologica esercitata per preservare la collettività dei fedeli da deviazioni. Queste ultime, coinvolgendo quella che era diventata ormai una ideologia di stato, vennero sostanzialmente considerate e punite come sovversione politica. Il punto di svolta nella nostra confessione religiosa si ebbe durante la grande congregazione di nostri capi religiosi celebrata all'inizio degli anni '60 e nota come Concilio Vaticano 2° (1962-1965). In tale occasione venne ripudiata la violenza dei secoli passati, riconosciuta la libertà di coscienza delle persone umane e un ruolo nella società civile dei fedeli laici maggiormente corrispondente ai principi delle democrazie popolari contemporanee. Nel mondo che chiamiamo Occidente la violenza con finalità religiose era già stata dichiarata illecita alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Solo nell'anno 2000, durante il Grande Giubileo indetto e guidato dal papa Giovanni Paolo 2°, si arrivò a chiedere perdono (tra molte polemiche di chi dissentiva da questa scelta), come  collettività religiosa, della violenza compiuta in nome dell'espansione e della difesa della nostra fede.

 Quando si vuole promuovere una espansione della fede caratterizzata dagli elementi della gioia  e della novità ci si vuole staccare significativamente dai secoli bui (oltre 1.500 anni) della violenza religiosa, talvolta invece ricordati addirittura con nostalgia da chi vede nella nuova era della libertà di coscienza l'inizio di una fase recessiva di cui non si vede la fine. In effetti quelli che stiamo vivendo sono tempi che non hanno precedenti nella storia dell'umanità e questo sotto diversi aspetti, compresi quelli religiosi. Da un lato principi che derivano dalla nostra  teologia si sono affermati come ideologia delle democrazia contemporanee e sono affermati religiosamente, a prescindere da un reale riscontro nella natura delle cose, come accade per il principio di uguale dignità di tutti gli esseri umani, a prescindere da distinzioni di etnia, cultura, lingua, religione, sesso, opinioni politiche, condizioni personali e sociali, dall'altro l'adesione esplicita, convinta, consapevole e informata, alla nostra religione e, in particolare, la conoscenza della sua teologia e il seguire con costanza e fedeltà le sue liturgie e norme etiche, coinvolge strati della popolazione che statisticamente risultano minoritari, anche se la nostra confessione costituisce ancora, per la grande maggioranza degli italiani, il riferimento religioso di base. Ecco dunque spuntare nuove strade, metodi creativi, altre forme di espressione, segni più eloquenti, parole cariche di rinnovato significato per il mondo attuale. La nostra confessione religiosa, abbandonata la fase dell'opposizione dura, ideologica e pregiudiziale al nuovo corso contemporaneo, cerca ora di ideare e di attuare nuovi modi per riprendere la sua fase espansiva, conformemente alla missione che ritiene esserle data dalle origini. Essa, infatti, non si adatta ad un clima di stagnazione. Ritiene di essere stata lanciata verso il mondo per la salvezza del genere umano, per radunare, consolare, risanare, liberare le genti, questa volta però in spirito di fraternità universale, per ricondurle verso il Padre celeste, secondo la missione che crede esserle stata affidata dall'antico Maestro.

 

4. Il nuovo corso della mediazione culturale

 

"Evangelizziamo anche quando cerchiamo di affrontare le diverse sfide che possano presentarci. A volte queste si manifestano in autentici attacchi alla libertà religiosa … In molti altri luoghi si tratta piuttosto di una diffusa indifferenza relativista … una cultura, in cui ciascuno vuole essere portatore di una propria verità soggettiva, rende difficile che i cittadini desiderio partecipare a un progetto comune che vada oltre gli interessi e i desideri personali … la globalizzazione ha comportato un accelerato deterioramento delle radici culturali … La fede cattolica di molti popoli si trova oggi di fronte alla sfida della proliferazione di nuovi movimenti religiosi … [Essi] vengono a colmare, all'interno dell'individualismo imperante, un vuoto lasciato dal razionalismo secolarista … se parte della nosra gente battezata non sperimenta la propria appartenenza alla Chiesa, ciò si deve anche ad alcuni strutture e ad un clima poco accoglienti in alcune delle nostre parrocchie o comunità, o a un atteggiamento burocratico per rispondere ai problemi, semplici o complessi, della vita dei nostri popoli … Il processo di secolarizzazione tende a ridurre la fede e la Chiesa nell'ambito privato e intimo. Inoltre, con la negazione di ogni trascendenza, ha prodotto una crescente deformazione etica … [Nonostante tutto, però,] la Chiesa cattolica è un'istituzione credibile davanti all'opinione pubblica, affidabile per quanto concerne l'ambito della solidarietà e della preoccupazione per i più indigenti … il sostrato cristiano di alcuni popoli - soprattutto occidentali - è una realtà viva. Qui troviamo, specialmente tra i più bisognosi, una riserva morale che custodisce valori di autentico umanesimo cristiano. Uno sguardo di fede sulla realtà non può dimenticare di riconoscer ciò che semina lo Spirito Santo. Significherebbe non avere fiducia nella sua azione libera e generosa là dove una gran parte della popolazione ha ricevuto il Battesimo ed esprime la sua fede e la sua solidarietà fraterna in molteplici modi. Qui bisogna riconoscer molto più dei «semi del Verbo», poiché si tratta di un'autentica fede cattolica con modalità proprie di espressione e di appartenenza alla Chiesa. Non è bene ignorare la decisiva importanza che riveste una cultura segnata dalla fede, perché questa cultura evangelizzata, al di là di suoi limiti, ha molte più risorse di una semplice somma di credenti posti dinanzi agli attacchi del secolarismo attuale … E' imperioso il bisogno di evangelizzare le cultura per inculturare il Vangelo. Nei Paesi di tradizione cattolica si tratterà di accompagnare, curare e rafforzare la ricchezza che già esiste, e nei Paesi di altre tradizioni religiose o profondamente secolarizzati si tratterà di favorire nuovi processi di evangelizzazione della culture, benché presuppongano progetti a lunghissimo termine. Non possiamo, tuttavia, ignorare che sempre c'è un appello alla crescita e ogni gruppo sociale necessita di purificazione e  maturazione. Nel caso di culture popolari di popolazione cattoliche, possiamo riconoscere alcune debolezze che devono ancora essere sanate dal Vangelo …. ma è proprio la pietà popolare il miglior punto di partenza per sanarle e liberarle … Esiste un certo cristianesimo fatto di devozioni, proprio di un modo individuale e sentimentale di vivere la fede, che in realtà non corrisponde ad un'autentica «pietà popolare»Nemmeno possiamo ignorare che, negli ultimi decenni, si è prodotta una rottura nella trasmissione generazionale della fede cristiana nel popolo cattolico".

[Sintesi dall'esortazione apostolica Evangelii Gaudium (=la gioia del Vangelo), del papa Francesco, promulgata il 24-11-14, n.61-70]

 

 L'esortazione apostolica Evangelii Gaudium, documento programmatico del nuovo pontificato, costituisce un deciso cambiamento di rotta rispetto ai due precedenti pontificati. Come dimostra la sintesi dei passi del documento che ho sopra riportato, nel dilemma se preferire la strategia della presenza, promossa da alcuni grandi movimenti laicali post-conciliari, o la strategia della mediazione culturale, tipica della nostra Azione Cattolica in particolare dalla metà degli scorsi anni Sessanta, si indica ora chiaramente, esplicitamente, la strada di quest'ultima per la nuova missione evangelizzatrice che si vuole organizzare. Ma con quali forze attuarla? Non basteranno pochi tratti di pena per riattivarla. Se ne sono colpite duramente le basi sociali e intellettuali. Si è trattato di un disegno lucido, determinato, intenzionale. E le risorse che servono non verranno, credo, dalla "pietà popolare", che finora è stata docile strumento del vecchio corso. E' innanzi tutto dalle università, in primo luogo da quelle più legate alla nostra collettività religiosa, che esse potranno essere ricostituite, se un nuovo clima di libertà rimuoverà gli ostacoli che finora ne hanno impedito lo sviluppo.  La ricerca in questo campo è stata a lungo (il tempo di un'intera generazione!) umiliata e addirittura costretta nella gabbia di un catechismo normativo a livello globale, valido per i bimbi come per i professori e i vescovi. Uno strumento che da utile sussidio per l'iniziazione religiosa si è voluto imporre come metro di un efficiente sistema repressivo, di una specie di Inquisizione nel nuovo Millennio.

 Eppure un animo religioso non può non convenire che "uno sguardo di fede sulla realtà non può dimenticare di riconoscer ciò che semina lo Spirito Santo. Significherebbe non avere fiducia nella sua azione libera e generosa".  Le premesse sono buone. Sono state concesse improvvisamente autorizzazioni che erano state negate da un trentennio. Si è stati esortati alla creatività  e all'audacia, senza timore. Dunque: al lavoro! Dovremo riprendere a familiarizzarci con i concetti base in tema di mediazione culturale. Sarà necessario mettere insieme ciò che abbiamo salvato dalla dispersione e aiutarci gli uni gli altri. E' necessario riprendere a incontrarci in sedi come l'Azione Cattolica e organizzazioni di simile impostazione, in cui si è mantenuta memoria di ciò che serve e si sono conservati aperti spazi di dibattito.  Bisogna cominciare a farlo a partire dal territorio in cui si è radicati, che è  quello della parrocchia. In base a quel documento del nostro vescovo sulla gioia del Vangelo, giunga quindi a tutti gli amici che vivono a Monte Sacro - Valli l'appello a incontrarci nuovamente in Azione Cattolica per ragionare insieme sui temi proposti dal nostro vescovo e padre universale. E' necessario, nel nuovo clima che improvvisamente si è creato, riattivare tutte le linee di trasmissione interpersonale, e in particolare generazionale, del metodo della mediazione culturale. Esso, in genere e per quello che so, è praticamente ignorato in Italia nel sistema dell'iniziazione religiosa a tutti i livelli, anche di quella degli adulti, e nell'approfondimento religioso collettivo. Ma non si è trattato solo di questo, purtroppo. In Italia il lavoro di mediazione culturale è stato visto con sospetto e pregiudizio e con una certa disinvoltura sono partite ciclicamente accuse di disobbedienza e addirittura di eresia. Si tratterà quindi di prendere sul serio l'esortazione all'audacia che ci viene nel documento del nostro vescovo e padre universale.

 

Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli