Popolo o tribù
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RIUNIONE IN
GOOGLE MEET DEL GRUPPO DI AC SAN CLEMENTE!
17 OTTOBRE ALLE
17
IL 17 ALLE 17!
Le riunioni del gruppo AC San Clemente
in presenza, in parrocchia, riprenderanno IL 10 OTTOBRE, ALLE ORE 17, IN SALA ROSSA.
I soci riceveranno questa notizia anche nella Lettera ai soci - Ottobre
2020, per posta ordinaria.
La prima riunione on line,
con l’applicativo Google Meet, si terrà sabato 17 ottobre, alle ore 17 sul tema
“Come siamo popolo?”.
Per partecipare:
a)acquisire un account Google;
b)inviare a
mario.ardigo@acsanclemente.net una email comunicando il proprio nome, la email
usata per registrarsi su Google e con la quale si vuole partecipare, la
propria parrocchia e i temi di interesse.
Potranno partecipare solo
persone residenti in Italia anche se non iscritte al nostro gruppo
parrocchiale di Azione Cattolica, fino raggiungere un numero
complessivo di 40 partecipanti. L’esperienza ha dimostrato che un numero
superiore crea problemi di coordinamento e di connessione.
A chi ha richiesto di
partecipare verrà inviato via email il codice di accesso.
I dati delle persone non
iscritte al gruppo di AC San Clemente verranno cancellati dopo ogni riunione e
dovranno essere nuovamente inviati per partecipare alla riunione successiva.
Nel post del 22 settembre
scorso, "AC SAN CLEMENTE - 1° RIUNIONE CON GOOGLE
MEET", il programma dettagliato e tutte le istruzioni per
partecipare
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Le idee di popolo e
di nazione sono di nuovo al centro del dibattito
pubblico. Ne ha scritto anche il Papa. Vi propongo di iniziare a discuterne
anche tra noi nella prossima riunione in Google Meet. I testi di riferimento
per il confronto sono la sintesi dei temi politici dell’enciclica Laudato
si’ che ho pubblicato sul blog, nel post che precede, e,
comunque, l’intera enciclica per chi la conosce meglio, leggibile su
http://w2.vatican.va/content/francesco/it/encyclicals/documents/papa-francesco_20150524_enciclica-laudato-si.html
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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa
cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella
comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale
e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)
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La
concezione di popolo ha natura
propriamente politica e quindi
influenza le attività formative. Gli esseri umani sono infatti, per natura, viventi che formano società, ma non sono per natura popolo. Essere popolo è un modo di
vivere una società umana secondo particolari connotati culturali. L’essere popolo deve quindi essere appreso e
insegnato. E ci sono diversi modi di esserlo.
Nelle nostre attività formative religiose non
si ha di solito ben chiaro come essere popolo secondo la fede e che cosa comporti. La teologia e, quindi, la catechesi
si mantengono molto sulle generali, apparentemente pronte a correggere ma non
capaci veramente di definire.
Uno degli errori più comuni, e fatali, nella
formazione religiosa è proporre il popolo secondo la fede come una tribù, quindi con legami
di solidarietà, dipendenza e preminenza/sottomissione modellati sullo schema
della famiglia allargata e quindi con struttura piuttosto rigida centrata su
autorità paterne. Del resto la cultura biblica è fortemente impregnata
di una tale mentalità. Ma la vita tribale è caratterizzata da un complesso di
miti/tradizione/costumi che non
sono fondati sugli insegnamenti evangelici. Il Maestro, in particolare, non
costituì una propria tribù e visse piuttosto liberamente le costumanze tribali
del proprio ambiente, tanto da venire rimproverato per questo. E così fecero i suoi primi seguaci fino,
addirittura, a staccarsene (come ad esempio sulle questioni delle prescrizioni
rituali che riguardavano gli alimenti e della circoncisione).
Inserito in una tribù, la persona ne dipende.
Come in famiglia, viene ancora accettata anche se commette una qualche
infrazione, ma non le viene perdonata il rifiuto della dipendenza, della
sottomissione. La decisione di staccarsi dalla comunità comporta anche
l’interruzione delle sue relazioni con le persone che sono rimaste dentro,
quindi la sua emarginazione. La minaccia dell’esclusione e
dell’emarginazione è un potente
strumento di controllo nelle mani delle autorità paterne che dominano il
contesto tribale. In questo modo la comunità esercita una pressione sulle singole persone perché si sottomettano.
A differenza di ciò che accade nelle famiglie parentali, l’esclusione e
l’emarginazione sono possibili in un contesto tribale e sono molto temute e
dolorose per chi le subisce. Ciascuna
persona sta nella tribù come incastrata. La tribù poi si difende dal
contesto sociale intorno separandosi da esso o entrando in conflitto attivo.
Innestare la formazione religiosa in un
contesto comunitario di tipo tribale può apparire utile per consolidarla con
quella pressione di cui si diceva. In realtà è altamente controproducente,
perché è propria degli esseri umani, biologicamente, l’apertura sociale e questo
a differenza delle specie che biologicamente ci sono più vicine. Inoltre la buona novella
evangelica veicola un messaggio di liberazione e di libertà. Vi è poi il
rischio di confondere il messaggio religioso con altre tradizioni culturali che
portano a travisarlo. Infine, tale modo di procedere è disastroso nella
formazione dei giovani, i quali, per natura, devono affrancarsi da simili contesti costrittivi,
come dalle famiglie di origine. Di fatto, il risultato è, prima o poi, il
rifiuto della comunità tribale e, insieme, della religione. E’ fatale che
accada, soprattutto in una società aperta come quella in cui siamo immersi.
Di
solito, il metodo basato su comunità di tipo tribale comporta il distacco dalla
famiglie di origine, qualora non siano inglobate nella tribù. L’argomento di
solito è quello che non sono state capaci di mettere in riga i propri giovani. In genere è un argomento
ingiusto e infondato, addirittura diffamatorio, non rispettoso della personalità
altrui. In realtà quelle famiglie hanno avviato i propri giovani alla
formazione religiosa, secondo il loro dovere religioso, mentre i formatori tribali,
contravvenendo al proprio, li
disamorano alla fede con il loro metodo. Del resto, il metodo tribale è
necessariamente fondamentalista e totalitario: non tollera partecipazione e
collaborazione, ma solo sottomissione.
Vengono magnificati i risultati ottenuti nel corso di eventi carichi di emotività, al modo degli esercizi spirituali, e si rimprovera alla famiglie che, una volta che i propri giovani, rimessi in riga, sono rientrati nel loro ambito, non hanno saputo mantenerli come erano diventati. Ma l’evento emotivo è per sua natura temporaneo, crea quella quella che i sociologi chiamano condizione di stato nascente, analoga a quella dell’innamoramento. E’ piena di emotività, che suscita una sensazione di riconoscimento e di comprensione sul piano intuitivo e profondo. Essa, però, non dura se non approfondita e trasformata in una relazione di altro tipo, che può essere amicale, quindi di tipo paritario, o di sottomissione, quindi gerarchica. Solo la prima è veramente evangelica perché è scritto:
«Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l'ho fatto conoscere a voi»
(dal Vangelo secondo Giovanni 15, 14-15 vers. CEI 2008)
Scrisse
il sociologo Francesco Alberoni in un libro divulgativo che continua ad avere
successo, Innamoramento e Amore, RCS Libri, 1979:
«Un famoso mistico medievale, Raimondo Lullo,
scrive: - L’amante e l’amato sono
realtà diverse [eppure] concordanti insieme senza opposizione alcuna né alcuna
diversità di essenza -. Ne deriva perciò una esperienza particolarissima,
di essere completamente diversi eppure di avere una misteriosa e fortissima
affinità spirituale. Questa affinità spirituale però prima non c’era, si va
costituendo nell’incontro stesso.
[…]
E’ questo il motivo per cui, nei grandi movimenti
collettivi, migliaia di persone diverse per età, per classe sociale, si
“riconoscono” e formano una unità collettiva, un noi. Il processo è ancora più
intenso e violento dell’innamoramento.
[…]
Tutti i
movimenti collettivi nella loro fase
iniziale, in quello che chiameremo stato nascente, hanno queste
caratteristiche.
[…]
L’innamoramento ha […] la funzione di separare ciò che era unito e unire
quanto era diviso; ma unire in modo particolare perché questa unione si presenta come alternativa strutturale alla solida relazione precedente.
La nuova struttura sfida quella antica alle radici, la degrada a qualche cosa
che no ha valore. In parallelo fonda la nuova comunità sulla base di un valore
assoluto, un diritto assoluto, e riorganizza attorno a questo diritto ogni
altra cosa.»
Quando una
persona in formazione viene condotta a un evento emotivo organizzato da una
comunità che si propone di esercitare una pressione al modo tribale, viene spinta a staccarsi dall’ambiente sociale di origine, e, se è una
persona giovane, dalla sua famiglia di origine, e orientata verso la comunità
tribale. Se, finito l’evento e rientrando in famiglia o comunque nelle
relazioni sociali consuete, non si stacca dai costumi familiari o da quelle
delle relazioni abituali, significa che l’integrazione tribale non è riuscita,
non che ha rifiutato la fede. Ma, per quella comunità neo-tribale, e per le autorità paterne
che la dominano, il rifiuto della
comunità equivale al rifiuto della fede e quindi prenderà ad
escludere ed emarginare la persona riottosa. Ecco, questa conclusione è
assolutamente arbitraria e fa molto danno se vi si dà spazio nella formazione
religiosa. Esprime una violenza psicologica inammissibile e, in quanto
violenza, controproducente e antievangelica. Bisogna sempre saper distinguere
il processo di conversione personale da quello di assimilazione personale in una
certa comunità. Nessuna comunità particolare può pretendere di esaurire i
modi di vita secondo la fede, quasi che non ne fossero possibili al suo
esterno.
La
condizione di stato nascente è,
per sua natura, in quanto suscitata da forti
elementi emotivi, transitoria. Se non produce, nel tempo, un’amicizia,
si esaurisce: il formatore religioso
dovrebbe adoperarsi per favorire una solida
e costante amicizia con Dio che poi si riverbera nelle relazioni
sociali. Una formazione alla fede legata prevalentemente ad esperienze
altamente emotive produrrà invece adesione altalenante, legata a condizioni
straordinarie fatalmente episodiche, una sorta di realtà aumentata nella
quale la fede agisce un po’ come un fattore allucinante.
La fede,
poi, serve veramente per mettere in riga le persone? E’ una sorta di ausilio alla
polizia sociale? Il servizio che le comunità formative organizzate al modo
tribale offrono è appunto questo. Non stupisce, naturalmente, che i giovani se
ne tengano alla larga.
Per la
verità, questa idea del controllo sociale organizzato con una formazione
comunitaria permea anche il
rinnovamento della catechesi progettato dagli anni ’70. Comunità emotivamente
coinvolgenti avrebbero dovuto sostituire quella pressione che sulle persone
veniva esercitata dall’ambiente di cristianità in cui viveva, quello in
cui si era persona per bene se si
andava a messa. Naturalmente questa era più che altro una tentazione che
rimaneva un po’ sullo sfondo, perché si faceva e si fa invece molto conto
sull’adesione profonda, personale, consapevole, ma c’era. Ma fare formazione
vera, quella che rende liberi della libertà dei figli di Dio costa
tempo e fatica e bisogna esservi preparati. Non tutti quelli che si occupano di
formazione appaiono tali.
«Cristo ci ha liberati per la libertà! Sta
dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù»
(Lettera ai Galati 5,1; detto a proposito dell’obbligo rituale di praticare la
circoncisione)
E’
discutibile l’idea di essere popolo di fede secondo costumi tribali, perché non ci è stato
ordinato di chiuderci dentro
delle tribù, ma di andare per il mondo a coinvolgere tutte le genti. Quest’idea
si ritrova anche nel magistero di papa Francesco sulla Chiesa in uscita.
Dunque, come
essere popolo? E’ proprio il tema dell’incontro programmato per il prossimo
17 ottobre. E, innanzi tutto, essere
popolo o essere nel popolo?
Essere popolo implica un’idea di conformità collettiva a un ideale modello
sociale, da adottare tutti insieme (perché il popolo è moltitudine). Essere nel
popolo denota invece un modo di interrelazione sociale che, anche in
un certo popolo, lascia sussistere e ammette la diversità e un contesto
pluralistico. La concezione democratica
di popolo è appunto questa.
Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente
papa – Roma, Monte Sacro, Valli.