Ripubblico, con integrazioni
La teologia di papa
Francesco
-
Il sogno di una Chiesa
evangelica
-
sintesi del libro di Roberto Repole
Tempo
fa si accesero aspre polemiche intorno
alla presentazione di una collana di libri divulgativi pubblicati dalla
Libreria Editrice Vaticana sulla teologia di papa Francesco, con il titolo La
teologia di papa Francesco. Era stata resa pubblica una lettera del Papa
emerito Joseph Ratzinger, eminente teologo, nella quale la si apprezzava,
sostenendo che era da stolti dire che Papa Francesco fosse privo di formazione
teologica o filosofica. Proseguendo, parlava dei volumi della collana come di libretti e conteneva riserve verso uno degli autori,
con il quale il Ratzinger era stato in passato in disaccordo su questioni
teologiche. Il Papa emerito dichiarava di non aver potuto ancora leggere i
testi, per le sue condizioni di salute e per precedenti impegni. In ciò si è
voluta vedere una presa di distanza dalle posizioni teologiche di Papa
Francesco.
In effetti
si tratta proprio di libretti, nel
senso di volumi di piccolo formato, tascabili.
Una persona se li può portare con sé durante il giorno e leggerli nei
ritagli di tempo, ad esempio in metropolitana.
Parlano
della teologia di papa Francesco, ma non sono libri di teologia. Non sono
rivolti agli studiosi di teologia, ma ad un pubblico colto di non specialisti.
Possono essere compresi da chi ha fatto le superiori o, comunque, si sente in
grado di leggere tutte le parti di un quotidiano.
Che cos’è la
teologia?
Può essere
intesa come disciplina scientifica: la riflessione con metodo rigoroso, quindi
sistematico e conseguente alla premesse, sulla fede della Chiesa. Si è
riconosciuti come teologi dopo aver seguito un percorso di formazione specifico
ed aver dimostrato di saper ragionare con quel metodo. Un teologo deve innanzi
tutto essere istruito sulle Scritture, conoscere tutto il pensiero di fede
espresso sul settore specialistico a cui si è dedicato ed essere
sufficientemente informato su pensiero espresso negli altri settori. Questo
modo di procedere non è diverso da quello di altri campi della scienza.
Può essere
però essere intesa anche come il
complesso delle convinzioni di fede di una persona o di un determinato gruppo
di fedeli. Allora esprime il modo in cui quella persona o quel gruppo dicono e
vivono la loro fede religiosa. Ogni credente ha quindi una propria teologia.
Quando si parla di teologia di un Papa è questo il senso che si utilizza.
Nel
presentare la collana, il teologo Roberto Repole ha ricordato che i Papi in
maggioranza non sono stati teologi di professione, vale a dire scienziati della
teologia. Il caso del Ratzinger è un’eccezione. Tuttavia essi, come tutti i
preti, hanno avuto una formazione teologica approfondita. Hanno saputo
esprimere la loro fede in termini teologici, che troviamo utilizzati nei loro
documenti ufficiali, ad esempio nelle encicliche, che contengono leggi per la
Chiesa. I Papi si avvalgono della collaborazione di teologi di professione,
come di altri scienziati di varie discipline, ma hanno una loro teologia, nel
senso di concezioni e progetti di fede.
Anche il
Ratzinger, durante il suo ministero pontificio, ha scritto libri divulgativi in
cui ha parlato anche di teologia ai non teologi di professione. Si tratta dei
testi su Gesù di Nazareth, che io ho
letto e che consiglio a tutti di leggere. Contengono, tra l’altro, molta della
teologia di Ratzinger come papa Benedetto 16°, intesa come convinzioni e
programmi riguardanti la fede e la Chiesa, non come studio scientifico su certi
temi.
C’è una
continuità tra la teologia di papa Francesco e quella di papa Benedetto 16°,
come è stato sostenuto e alcuni dubitano? Come potrebbe non esservi? Per tanto
tempo hanno collaborato negli stessi
ambienti di capi religiosi: il collegio cardinalizio e il sinodo dei vescovi.
Sono quasi coetanei. Papa Francesco ha studiato anche in Germania: è probabile
che abbia accostato anche testi di Ratzinger come teologo. Poi ha sicuramente
studiato quelli firmati dal Ratzinger come Papa, come tutti noi. Lo scienziato
di teologia Ratzinger e il Ratzinger
come Papa hanno sicuramente influito sulla teologia di Papa Francesco. Ci sono,
però, in quest’ultima elementi di novità.
Alcuni sono
portati ad apprezzare le novità, altri le temono. Conoscendo meglio la teologia
di papa Francesco si può arrivare a capire che i timori sono ingiustificati. La
novità, infatti, è l’accentuazione e lo
sviluppo del tema del Vangelo della misericordia, come fonte e criterio di
riforma ecclesiale.
Propongo una sintesi del primo volume della collana quello sull’ecclesiologia, vale a dire su come il Papa pensa la Chiesa, le sue prospettive, le riforme necessarie, scritto dal teologo Roberto Repole: Il sogno di una Chiesa evangelica. L'ecclesiologia di papa Francesco, pubblicato nel 2017. Questo per invogliare ad approfondire mediante la lettura integrale del testo e come base del dibattito sul tema "Come siamo popolo?" che ho proposto per la prima riunione on line del grupppo.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente
papa - Roma, Monte Sacro, Valli
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Roberto Repole, Il sogno di una Chiesa evangelica.
L’ecclesiologia di papa Francesco, Libreria editrice Vaticana, 2017, €12.00
Sintesi
nota:
il testo è tratto dal volume. Gli elementi di raccordo tra parentesi quadre
sono inseriti da chi ha estratto la sintesi.
Sintesi
di Mario Ardigò
Prefazione alla collana
Il
pontificato di Francesco [si presenta] all’insegno di una novità di stile. In
questi anni, l’immagine del papato ne [è] uscita decisamente trasformata.
Ciò - com’era prevedibile- ha ingenerato
pareri anche molto discordanti tra loro. Alcuni [sono] giunti a mettere in
forse l’esistenza stessa di una teologia nell’insegnamento di Francesco.
Bergoglio
ha alle spalle, soprattutto e primariamente, la lunga e radicale esperienza del
religioso e del pastore. Ciò non significa, però, che il suo magistero sia
privo di teologia.
Avvalendosi
della competenza e dello studio rigoroso di teologi provenienti da diversi
contesti e dalla serietà ormai assodata, si
è inteso ricercare quale sia il pensiero teologico che supporta
l’insegnamento del Papa. Il risultato è racchiuso negli 11 volumi che vengono a
formare la collana dal titolo semplice e immediato: “La teologia di papa
Francesco”.
L’intento
non è di tipo apologetico [=di difesa degli orientamenti del Papa], [ma] di
cercare di vedere e di aiutare a vedere quale sia il pensiero teologico su cui
si basa Francesco.
Nell’insegnamento di Francesco appare ormai come un punto di non ritorno ciò
che tanto la teologia recente quanto il magistero conciliare [=del
Concilio Vaticano 2° (1962-1965)] hanno insegnato: che la dottrina, cioè, non è né può essere
qualcosa di estraneo rispetto alla cosiddetta pastorale. La teologia non potrà
mai ridursi ad un asettico esercizio da tavolino, sganciato dalla vita del
popolo di Dio.
Prologo. Per custodire e
far crescere un sogno
Ai suoi
primordi la Chiesa ha potuto “prendere il largo” grazie a un sogno. In una
visione, confina con un sogno, Pietro comprende come la Chiesa non possa essere
circoscritta al gruppo dei giudeo-cristiani, ma sia invece destinata a tutti
(leggi At 10). Alla comunità cristiana primitiva diverrà sempre più evidente
che anche i pagani dovranno essere accolti nell’unità della Chiesa. La Chiesa
non [è] una conventicola o una setta destinata ad alcuni, ma [rappresenta], al
contrario, luogo di riconciliazione dell’umanità intera. [Fu] una conversione
dello stesso Pietro e della comunità cristiana delle origini. [Nella] sua
bimillenaria storia, la Chiesa ha sempre avuto bisogno di cristiane e di
cristiani capaci di riattivare quello stesso sogno.
[Nell’esortazione apostolica La
gioia del Vangelo - Evangelii Gaudium, il Papa ha scritto:] “Sogno una Chiesa missionaria capace di trasformare ogni cosa”. [E nel 2015, all’incontro con i rappresentanti
del 5° Convegno della Chiesa italiana, ha detto:] “Mi piace una Chiesa inquieta, sempre più vicina agli abbandonati, ai
dimenticati, agli imperfetti. Sognate anche voi questa Chiesa, credete in essa,
innovate con libertà”.
Il sogno di papa Francesco è in fondo molto
semplice e proprio per questo piuttosto spiazzante: si potrebbe in modo
immediato affermare che si tratti del sogno
di una Chiesa evangelica. Di una
Chiesa capace di confrontare costantemente se stessa, la sua vita, le sue
scelte e le sue strutture con la freschezza del Vangelo. L’aggettivo “inquieta” è tutt’altro che peregrino
al fine di esprimerne la costituzione. Si tratta dell’inquietudine di chi ha
un’ “identità aperta” e “relazionale” in diverse direzioni; è l’inquietudine
che, in definitiva, deriva alla Chiesa dal suo essere al servizio [del] Signore
del cosmo e di tutti gli uomini.
[Nel
magistero di papa Francesco], ci si trova alle prese con una nuova recezione
dell’insegnamento ecclesiologico [=sulla Chiesa] espresso dal Vaticano 2° [=il
Concilio Vaticano 2° (1962-1965].
Francesco è
il primo papa [dopo il Concilio Vaticano 2°] che non ha preso parte ai lavori
conciliari. Egli è, però, pienamente figlio del Concilio e del rinnovamento
ecclesiale che da esso ha preso l’avvio.
Ciò non significa che le prospettive offerte da Francesco siano prive di
una certa originalità. Esse portano l’eredità di quella particolare versione
della teologia latino-americana che va sotto il nome di “teologia del popolo
(di cui uno dei primi e più importanti esponenti fu il pensatore
italo-argentino Luciano Gera, 1924-2012).
Con Francesco
la recezione del Concilio entra in una fase nuova. Il fatto che ci sia un papa
proveniente dall’America Latina, che possa far tesoro dell’esperienza d quella Chiesa oltre che
dell’elaborazione teologica lì sviluppatasi, è giù un primo frutto del Concilio
se è vero che uno degli aspetti di maggiore novità del Vaticano 2° consiste in
una chiesa divenuta mondiale. Una chiara prospettiva ecclesiologica è rinvenibile nel suo insegnamento.
Capitolo 1°
Il primato del Vangelo
Il modo
con cui Francesco afferma che il centro della Chiesa non è la Chiesa è di
richiamare che essa deve se stessa al
Vangelo che è, etimologicamente [=la parola viene dal greco antico e significa buona notizia], fonte di gioia per gli
uomini.
Non esiste
la Chiesa se non come frutto del Vangelo. La gioia del Vangelo riempie il cuore
e la vita di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare
da lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore,
dall’isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia. L’affermazione della resurrezione di Cristo
non è l’asserzione di un evento passato, ma del fatto che Egli continua ad
essere vivo nello Spirito. Incontrare il Risorto significa, per i cristiani,
una relazione viva che perdura.
Una novità
di accento con cui Francesco esprime [il] primato di Dio sulla Chiesa è data
dalla centralità che nel suo insegnamento esprime il “Vangelo della
misericordia”. Per Francesco, la
misericordia non è un aspetto accessorio: essa esprime qualcosa di fondamentale
del volto di Dio che si è rivelato compiutamente in Cristo. Bergoglio,
rifacendosi a Beda il Venerabile [monaco inglese dell’8° secolo], scelse come
motto episcopale Miserando atque eligendo
(«Mentre ha guardato me con gli occhi della misericordia, egli mi ha scelto»).
Con la misericordia si esprime qualcosa di centrale del Vangelo riassumibile in
Cristo. Francesco asserisce infatti che, a partire dall’atteggiamento e dalla
prassi di Gesù in quanto rivelativa di Dio, si può affermare che la misericordia
è la carte d’identità del nostro Dio. Entrare in contatto con la Persona di
Cristo, in cui è sintetizzabile il Vangelo, significa essere messi in relazione
con il Dio che ha cuore per i miseri, specialmente con quanto sono afflitti da
quella singolare miseria che è il peccato.
La
misericordia è per il Papa il nucleo del Vangelo e della nostra fede, la forza
che tutto vince, che riempie il cuore di amore e che consola con il perdono.
L’ultimo
Concilio, riconsiderando lo “statuto” della verità cristiana, ha permesso di
evidenziare come si tratti di una verità che coinvolge l’uomo: non agisce dal
di fuori. [Questa convinzione] nel magistero di Francesco trova un nuovo
sviluppo. Il Vangelo non [è] riducibile a “dottrina”. Dio [incontra] gli uomini
nella diversità delle loro culture e li afferra nella singolarità della loro
vita e della loro situazione esistenziale; l’incontro [implica] il libero
assenso dell’uomo. Il Vangelo consiste nell’amore misericordioso di Dio, non è
pensabile ridurlo ad “idea astratta” o a “dottrina”. Le formule [della
dottrina] non possono rappresentare un pretesto per oscurare la verità del
Vangelo della misericordia. [Esse] sono
vere nella loro finitudine e nel loro essere sempre necessariamente “figlie” di
un determinato contesto. Sono perciò sempre definitive
e provvisorie al tempo stesso.
Non possono costituire un divieto allo sforzo di esprimere in altri modi quella
medesima verità. [Altrimenti] si potrebbe arrivare alla situazione paradossale
di sentire un linguaggio formalmente ortodosso che non indirizza al vero
Vangelo di Cristo.
«La predica
cristiana - [sostiene il Papa] - trova nel cuore della cultura del popolo una
fonte d’acqua viva, sia per sapere che cosa dire, sia per trovare il modo
appropriato per dirlo».
[Ad
esempio], esiste un inequivocabile Vangelo della famiglia. Esso è, però, tale, quando raggiunge le famiglie
nelle loro concrete situazioni esistenziali. [È], per questo, indispensabile un
costante discernimento e accompagnamento, affinché ciascuno sia aiutato a
trovare il proprio modo di partecipare alla comunità ecclesiale. Nessuno può
essere condannato per sempre - sostiene il Papa - perché questo non è la logica
del Vangelo, riferendosi a tutti, in qualunque situazione si trovino.
La misericordia
è una meta da raggiungere e che richiede impegno e sacrificio, [Il Papa fa] una
netta distinzione tra peccatori e corrotti. Mentre i primi si sentono
costantemente bisognosi della
Misericordia Divina e sanno di doversi percepire in cammino, in stato di
costante conversione, i secondi si auto-giustificano ed arrivano a non
avvertire nemmeno più il senso del peccato. La misericordia, pur essendo
gratuita, va a buon fine laddove incontra degli uomini che, nella loro libertà,
si lasciano toccare da Cristo e si convertono.
Soltanto una
Chies realmente evangelica può consentire al Vangelo di continuare la sua
strada nel mondo. [E] il Vangelo della misericordia può continuare a toccare le
donne e gli uomini solo attraverso il servizio della Chiesa. In quest’orizzonte
si deve inquadrare la preoccupazione di Francesco per una riforma della Chiesa,
per una Chiesa povera per i poveri, per una Chiesa misericordiosa. [La riforma]
non si esaurisce nell’ennesimo paino per cambiare le strutture. Solo una Chiesa povera e indirizzata anzitutto ai poveri, agli emarginati, agli
esclusi, agli scartati dalla società può farsi, infatti, trasparenza di quel
Cristo nel quale si condensa tutto il
Vangelo di Dio. [Ciò era stato] già messo in evidenza nel fondamentale paragrafo
3 [ del n.8 della Costituzione dogmatica Luce
per le genti - Lumen gentium]:
Come Cristo ha compiuto la redenzione attraverso la povertà e
le persecuzioni, così pure la Chiesa e chiamata a prendere la stessa via per
comunicare agli uomini i frutti della salvezza. Gesù Cristo « che era di
condizione divina... spogliò se stesso, prendendo la condizione di schiavo »
(Fil 2,6-7) e per noi « da ricco che era si fece povero » (2 Cor 8,9): così
anche la Chiesa, quantunque per compiere la sua missione abbia bisogno di mezzi
umani, non è costituita per cercare la gloria terrena, bensì per diffondere,
anche col suo esempio, l'umiltà e l'abnegazione. Come Cristo infatti è stato
inviato dal Padre « ad annunciare la buona novella ai poveri, a guarire quei
che hanno il cuore contrito » (Lc 4,18), « a cercare e salvare ciò che era
perduto» (Lc 19,10), così pure la Chiesa circonda d'affettuosa cura quanti sono
afflitti dalla umana debolezza, anzi riconosce nei poveri e nei sofferenti
l'immagine del suo fondatore, povero e sofferente, si fa premura di sollevarne
la indigenza e in loro cerca di servire il Cristo. Ma mentre Cristo, « santo,
innocente, immacolato » (Eb 7,26), non conobbe il peccato (cfr. 2 Cor 5,21) e
venne solo allo scopo di espiare i peccati del popolo (cfr. Eb 2,17), la
Chiesa, che comprende nel suo seno peccatori ed è perciò santa e insieme sempre
bisognosa di purificazione, avanza continuamente per il cammino della penitenza
e del rinnovamento. La Chiesa « prosegue il suo pellegrinaggio fra le persecuzioni
del mondo e le consolazioni di Dio » , annunziando la passione e la morte del
Signore fino a che egli venga (cfr. 1 Cor 11,26). Dalla virtù del Signore
risuscitato trae la forza per vincere con pazienza e amore le afflizioni e le
difficoltà, che le vengono sia dal di dentro che dal di fuori, e per svelare in
mezzo al mondo, con fedeltà, anche se non perfettamente, il mistero di lui,
fino a che alla fine dei tempi esso sarà manifestato nella pienezza della luce.
Non è certo
casuale che il tema venga riproposto da un papa che proviene dall’America
Latina e da una Chiesa che in questi decenni lo ha recepito e sviluppato.
E’ per mezzo
di una Chiesa misericordiosa che il Vangelo della misericordia può, infatti,
raggiungere l’umanità di oggi, ridivenendo udibile e “sperimentabile” per le
donne in carne ed ossa e dal di dentro delle loro situazioni di miseria e di
peccato,
Dice il
Papa: “ Sì io credo che questo sia il
tempo della misericordia. La Chiesa mostra il suo volto materno all’umanità
ferita”. [È] una delle metafore
preferite da Francesco, per parlare della Chiesa: quella materna. Francesco ha
espressamente riconosciuto un debito
teologico nei confronti del suo confratello gesuita Henri de Lubac [teologo
francese 1896-1991] (in particolare per la sua opera Méditation sur l’Èglise - Meditazione sulla Chiesa9, per il quale
tale immagine ha avuto un peso considerevole. L’immagine materna è utile per dire come sia per mezzo della
Chiesa che si viene generati, con il battesimo, alla via in Cristo; ed è solo
per suo tramite che si viene raggiunti dal Vangelo. Dal momento, poi, che il Vangelo è quello di
un Dio che ha cuore per le miserie dell’umanità, tale maternità si esprime
anche nell’agire misericordioso della Chiesa: dove per Chiesa si deve intendere
la totalità dei cristiani.
È attraverso
i sacramenti, l’annuncio del Vangelo, l’esistenza stessa di tutti i cristiani,
la loro compassione e il loro chinarsi sulle ferite dell’umanità, che il
Vangelo continua ad essere udibile e vivo nel mondo. È, dunque, la maternità
della Chiesa che consente di rimettere al centro la questione di Dio; non un
“Dio qualunque”, ma il Dio che ha a cuore e si prende cura di un’umanità misera
e peccatrica.
Si tratta
di una realtà di cui, nonostante le apparenze, l’umanità contemporanea ha,
secondo il Papa, una sete infinita.
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Capitolo 2°
Il “santo popolo fedele di
Dio”
parte prima
Se ci si
domanda a chi si riferisca Francesco quando parla di Chiesa, la risposta appare
nitida: al santo popolo di Dio.
La
categoria più importante con cui li [Concilio] Vaticano 2° ha parlato della Chiesa è stata quella del
popolo di Dio.
Con
l’intenzione di arginare un’interpretazione sociologica e democratizzante del
popolo di Dio, il Sinodo dei Vescovi del 1985 affermò che idea centrale e
fondamentale dei documenti conciliari è
stata l’ecclesiologia di comunione (1). [Ciò] servì a chiarificare che quanto
sta a fondamento della Chiesa è la comunione con Dio.
Uno degli
effetti di questa nuova fase di recezione e di interpretazione del Concilio fu, però, anche quello di far
cadere il sospetto sulla categoria [di popolo di Dio], con il pericoloso
conseguente di mettere in primo piano una visione di Chiesa nella quale l’idea
di comunione può facilmente indurre o a una eccessiva spiritualizzazione o a un
eccessivo giuridicismo.
L’immagine
della Chiesa che mi piace - ha affermato - è quella del santo popolo fedele di
Dio. Non c’è identità piena senza appartenere a un popolo. Nessuno si salva da
solo, come individuo isolato. Il popolo
è soggetto. E la Chiesa è il popolo di Dio in cammino nella storia, con
gioia e dolori.
[da A. Spadaro, Intervista a papa Francesco,
pubblicata su Civiltà Cattolica, 19-8-2013]
Nell’insegnamento di Francesco vengono nuovamente valorizzati, occorre
menzionare, anzitutto il fatto che con la Chiesa si manifesta l’intenzione di
Dio di salvare gli uomini non
individualmente ma in quanto appartenenti
al suo popolo. In un mondo occidentale
come quello contemporaneo, l’individuo si percepisce [invece] sganciato da ogni
vincolo o legame e quale soggetto di diritti infiniti.
Considerare
la Chiesa quale popolo di Dio permette,
poi, di mettere maggiore evidenza la sua destinazione universale. Una delle
preoccupazioni più vive di Francesco è
che la Chiesa rimanga aperta a tutti, che chiunque vi si possa sentire
chiamato, che ciascuno vi si possa sentire a casa. Questa universalità [è]
connessa con l’idea di una Chiesa misericordiosa, dove tutti possano trovare
ospitalità. Esiste, infatti, un nesso intrinseco tra questa universalità e la
misericordia - di Dio prima e della Chiesa di conseguenza - che permette di
mettere in primo piano i più lontani, i poveri e i peccatori; soltanto quando
siano raggiunti anche loro, si può realizzare una reale universalità;
quest’ultima non si può mai costituire, al contrario, partendo dai “più
vicini”. Egli è il primo papa
proveniente dall’America Latina e con lui le periferie del sud del mondo vengono collocate al centro
della Chiesa. L’America Latina è, infatti, «il subcontinente più diseguale e
segnato dall’inequità - dice il teologo argentino Galli -, il che interpella la
coscienza cristiana. In esso si sovrappongono la povertà e il cristianesimo:
molti vivono la povertà a partire dalla propria fede e tutti dobbiamo vivere la
fede per superare la povertà ingiusta. L’opzione per i poveri e la religione
cattolica popolare segnano la fisionomia di una Chiesa dei poveri».
L’aspetto
inequivocabilmente più importane consegnato da un’ecclesiologia del popolo di
Dio è, però quello della pari dignità e della corresponsabilità di tutti i
cristiani. Il soggetto evangelizzatore non può essere solo qualcuno, ma tutti
il popolo di Dio e, dunque, tutti i cristiani.
Dice
Francesco:
«Tutti
facciamo il nostro ingresso nella Chiesa da laici. Il primo sacramento è il
Battesimo. Ci fa bene ricordare che la Chiesa non è un’élite dei sacerdoti, dei
consacrati, dei vescovi, ma che tutti formiamo il santo popolo fedele di Dio».
Ciò non
toglie né sminuisce, naturalmente, il senso e l’importanza dei ministri
ordinati, [ma] essi sono dentro la Chiesa , a servizio del suo esistere: «Un pastore non si concepisce senza un
gregge, che è chiamato a servire. Il pastore è pastore di un popolo, e il
popolo lo serve dal di dentro».
Francesco
dichiara di apprezzare la «santità quotidiana» di questo popolo, quella
riscontrabile in ogni soggetto ecclesiale in qualunque situazione di vita.
Dalla visione della Chiesa quale popolo di Dio, Francesco [desume] una
concezione “popolare” della Chiesa, per la quale la voce e l’apporto di
ciascuno sono realmente indispensabili e nessun gruppo - né di chierici, né di
laici - può avanzare la pretesa di
essere tutto o di sostituire gli altri. Tale prospettiva si traduce nella
visione di un popolo di Dio che è tale in forza di legami tra i cristiani, come
qualcosa di dato e al tempo stesso di perseguito, nella forza dello Spirito
Santo. Il Papa rintraccia nella
fraternità mistica la vera medicina contro la malattia
dell’individualismo:
«dal momento
che il modo di relazionarci con gli altri, che realmente ci risana invece di
farci ammalare, è una fraternità mistica, contemplativa, che sa guardare alla grandezza sacra del prossimo, che sa
scoprire Dio in ogni essere umano, che sa sopportare le molestie del vivere
insieme aggrappandosi all’amore di Dio, che sa aprire il cuore all’amore divino
per cercare la felicità degli altri come la cerca il loro Padre buono».
note:
(1) Assemblea straordinaria del Sinodo dei Vescovi
del dicembre 1985 sul tema "20° anniversario della conclusione del
Concilio Vaticano II".
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Osservazioni
mie
Un teologo si interesserà a rintracciare le vicende storiche della
teologia del popolo di Dio per cercare di fondarle rigorosamente nelle origini.
Una persona che voglia semplicemente rendere ragione della propria fede, una
volta acquisita consapevolezza dei riferimenti alle Scritture di tale pensiero,
noterà i suoi elementi pratici di novità rispetto ad un’immagine di Chiesa che
è ancora piuttosto radicata nella gente, quella che la presenta essenzialmente
come gente radunata intorno ai chierici e ai religiosi consacrati, Papa e
vescovi innanzi a tutti, gli elementi veramente caratterizzanti. Sempre
nell’esperienza pratica si renderà conto della difficoltà di costruire una Chiesa
di popolo sfrondata di tutti gli elementi culturali che di solito definiscono
dal punto di vista antropologico e sociologico il popolo, salvo che di quello
di origine teologica individuato nella misericordia reciproca. Un’unità di popolo di tipo spirituale, mistica, quindi, mentre solitamente ci si riconosce in un
popolo in base alla condivisione di una certa cultura storicamente data. Ma la
visione universalistica del popolo di Dio, destinato a comprendere nell’unità
misericordiosa tutti i popoli della Terra, porta anche a superare,
relativizzandole, anche se non annullandole, tutte le culture che
caratterizzano quei popoli. [E ciò mentre la religione popolare, quella
ad esempio centrata su certi santuari e feste locali, è fortemente legata a
specifici elementi culturali locali, spesso con una storia di commistioni tra
elementi religiosi e non e tra elementi religiosi di diversa origine, anche non
cristiana. Tra questi, i nazionalismi, legati all’idea di popolo come nazione, che si è sviluppata a partire
dall’Europa solo alla fine del Settecento.
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Parte seconda
Il popolo di
Dio è[…] immerso nella storia: da ciò e dal fatto di essere universale consegue
che esso non possa venir pensato al margine dei diversi popoli che abitano la
terra e delle loro culture.
[…]
La Chiesa
non si può esaurire evidentemente nei popoli e nelle loro culture; ciò
nondimeno, essa non può neppure esistere se non inculturata al loro interno e
in esse.
[…]
Il Vaticano
2° è stato […] l’espressione di una Chiesa desiderosa di entrare finalmente in
dialogo con la cultura moderna, rispetto alla quale si erano da secoli create abissali
distanze. […] La fedeltà al Concilio [passa] perciò anche per una Chiesa capace
di inculturarsi e di inculturare il Vangelo di cui vive nei diversi popoli e
nelle loro culture.
[…]
Senza alcun
dubbio tale “compito”, all’indomani del Concilio, è stato assunto con
generosità e creatività dalle Chiese latino-americane e, in un modo peculiare,
dalla Chiesa argentina. Ciò ha dato vita anche al rinnovamento teologico
avutosi con la cosiddetta teologia della liberazione e con la versione tipicamente
argentina di tale teologia, denominata “teologia del popolo”. […] Essa si
caratterizza per il fatto di considerare il popolo alla luce della sua
unità e interpreta, pertanto, l’ingiustizia
sociale come anti-popolo, […] non come classe oppressa dal
sistema capitalista, ma in una prospettiva socio-culturale, quale soggetto di
una storia e di una cultura comune; ed è ritenuto portatore di una propria
cultura, intesa come “stile di vita comune di un popolo”.[…] In questa
prospettiva teologica, il popolo di Dio […] è l’unico popolo di Dio, che esiste
però concretamente come abitato dalla pluralità dei popoli e delle culture in
cui vive.
«Questo popolo di Dio – dice infatti Francesco
- si incarna nei popoli della Terra,
ciascuno dei quali ha la propria cultura. La nozione di cultura è uno strumento
prezioso per comprendere le diverse espressioni della vita cristiana presenti
nel popolo di Dio. Si tratta dello stile di vita di una determinata società, del
modo peculiare che hanno i suoi membri di relazionarsi tra loro, con le altre
culture e con Dio. Intesa così, la cultura comprende la totalità della vita di
un popolo.» [dall’esortazione apostolica La gioia del Vangelo (2013)
[…]
L’evangelizzazione [comporta] che si incida
e si trasfigurino le culture. […]
La visione di un popolo di Dio che vive nei diversi popoli comporta, però, che
non vi sia una cultura dentro cui si possa
pensare di esaurire la Chiesa.
[…]
Una tale
prospettiva ecclesiologica […] risulta difatto critica rispetto ad una visione
che non implichi una reale pluralità e con la quale si finisce, inesorabilmente,
con il sacralizzare e con l’estendere a tutti i popoli una unica cultura.
[Questa] teologia [comporta e invoca] una riforma
strutturale della [Chiesa], che preveda un reale superamento del centralismo e
favorisca, di conseguenza, una effettiva decentralizzazione.
[…]
Dice […] il Papa:
«in tutti i battezzati, dal primo all’ultimo,
opera la forza santificatrice dello Spirito che spinge ad evangelizzare. Il
popolo di Dio è santo in ragione di questa unzione che lo rende infallibile “in
credendo” [=nel credere].Questo
significa che quando crede non si sbaglia, anche se non trova parole per
esprimere la sua fede.»
[…]
La teologia
argentina ha […] interpretato la pietà popolare come espressione del sensum
fidei fidelium [=il senso della fede dei fedeli]. […] La pietà popolare
deve essere vista, per Francesco, «come spiritualità incarnata nel cuore dei
semplici». [dall’esortazione apostolica La gioia del Vangelo, n.124. […] Nella pietà popolare è in rilievo più lo slancio personale con cui i credenti,
specie i più poveri si abbandonano filialmente
a Dio, che non conoscenza credente di Dio e del suo piano salvifico.
[…]
La pietà
popolare [è] vista da Francesco anche
come espressione dell’attività evangelizzatrice di tutti, a cominciare dai più semplici e più
poveri. Essa è uno dei modi attraverso cui i poveri non sono solo destinatari del’attenzione
ecclesiale, ma protagonisti della sua menzione.
[…]
La pietà popolare può essere anche ciò che rimane di un mondo
assoggettato ad una logica strumentale ed una “via di fuga” rispetto ad esso. E’
pertanto evidente, che in tale contesto la pietà popolare più che l’espressione
di una fede inculturata potrebbe essere l’espressione di una fede marginalizzata.