Azione Cattolica: fede religiosa e democrazia
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Parte 2
(dal n.1.3 al n.9)
(le parti precedenti sono
pubblicate nei post successivi, nei post precedenti sono pubblicate quelle successive.
Questo testo è pubblicato in 8 parti)
di
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli
edizione ottobre 2020, con nuovi materiali
1.3
Azione per il cambiamento
(26-9-18)
«Si può dire che
oggi non viviamo un’epoca di cambiamento quanto un cambiamento d’epoca. Le
situazioni che viviamo oggi pongono dunque sfide nuove che per noi a volte sono
persino difficili da comprendere. Questo nostro tempo richiede di vivere i
problemi come sfide e non come ostacoli: il Signore è attivo e all’opera nel
mondo. Voi, dunque, uscite per le strade e andate ai crocicchi: tutti quelli
che troverete, chiamateli, nessuno escluso (cfr Mt 22,9).
Soprattutto accompagnate chi è rimasto al bordo della strada, «zoppi, storpi,
ciechi, sordi» (Mt 15,30). Dovunque voi siate, non costruite mai muri né
frontiere, ma piazze e ospedali da campo.»
Papa Francesco. Dal
discorso pronunciato il 10-11-15 nella Cattedrale di Santa Maria in Fiore a
Firenze, nel corso dell’incontro con in rappresentanti del 5° Convegno
nazionale della Chiesa Italiana, durante la visita pastorale a Prato e a
Firenze.
La nostra Chiesa
ha attraversato molti cambiamenti d’epoca nella sua
lunga storia. Tra un’epoca e l’altra ci sono stati tempi di cambiamento.
Se si è convinti che oggi non siamo in un’epoca di
cambiamento, ma che c’è stato un cambiamento d’epoca,
si vuol dire che il nuovo c’è già. Il tempo del cambiamento è stato molto
veloce? In realtà è durato più o meno una generazione, dall’inizio degli anni
’90 ad oggi. La nostra Chiesa, però, non si è allarmata più di tanto: tutto
sommato pensava al nuovo come ad un ambiente favorevole. Invece le cose stanno
prendendo una brutta piega. E’ con il regno di papa Francesco che ha iniziato a
manifestare di doversi ricredere. A lungo si è mirato, sostanzialmente, a
lasciare le cose come stavano. Ora è difficile reagire. La Chiesa appare
ancora, nel complesso, come la Bella Addormentata della favola,
preda di un incanto di inazione.
Reagire poteva
significare contrasti, lotte, divisioni. Si è preferito riuscire a
mantenere un’immagine di pace uniforme, a prezzo di quell’incantamento. Molte
energie, così, sono andate disperse. In particolare in periferia: le parrocchie
funzionano più che altro come scuola di morale per i più giovani, da dopolavoro
per gli adulti e da centro anziani per gli altri. Certe organizzazioni
religiose hanno assorbito le funzioni di club dei
maggiorenti che in passato vennero svolte da varie confraternite. La storia
nazionale ci avverte però che tra l’Ottocento e il Novecento il movimento
religioso italiano fu molto più di questo. Progettò la riforma sociale. Formulò
valori politici che poi seppe tradurre in realtà sociali. La nostra nuova
democrazia repubblicana è anche opera sua. In questo fu partecipe di un
moto che si sviluppò a livello europeo fin da metà Ottocento. Il Papa,
probabilmente, pensa a qualcosa di simile per affrontare l’epoca nuova in cui
siamo finiti. Ma manca la formazione necessaria e quindi la capacità. Chi, al
di fuori dell’Azione Cattolica, ha parlato più di certe cose alla gente?
Di solito le
analisi finiscono a questo punto: si disegna un quadro e si sta lì a rimirarlo.
Come cambiare, se si vuole farlo?
Cambiare è
sempre possibile, ma richiede impegno. Di questo si è meno capaci. Ci si
disamora facilmente. Magari le si sparano grosse, ma poi? Si frequenta e poi,
di punto in bianco, si sparisce, senza dare spiegazioni. Non parlo sulle
generali. Parlo proprio a te, che sei sparito. E che ne sarà di quelli che
contavano su di te?
Allora poi
quegli altri, quelli che si inquadrano in schemi paternalistici molto rigidi
per resistere, hanno buon gioco a criticare chi la pensa diversamente. Eppure,
onestamente dovranno riconoscere che capita anche tra i loro.
“Chi me lo fa
fare?”, ci si dice. Ecco, quelli della mia generazione più raramente la
pensano così.
Si partecipa
distrattamente: cerchiamo di fare più attenzione! Cerchiamo di fare programmi e
di rispettarli! Ne sappiamo troppo poco di tutto. Così, stiamo a ricasco dei
preti, che, ad un certo punto, si disamorano, non ce la fanno più. Non si
impara nulla! Da anziani imparare è più difficile. Ma da giovani?
Vogliamo decidere
di studiare con un po’ più di pervicacia il pensiero sociale ispirato alla
fede? Come si potrebbe, poi, uscirsene con certe avvilenti banalità xenofobe e
razziste? Si avrebbe qualcosa da dire in società, per rendere ragione,
per spiegare perché noi non siamo xenofobi e razzisti, non lo vogliamo
diventare, e facciamo blocco contro chi si propone di farci degradare in quel
modo.
Impegniamoci,
dai!, a ragionare su quello che il Papa ha detto ieri:
«Viviamo tempi in cui sembrano
riprendere vita e diffondersi sentimenti che a molti parevano superati.
Sentimenti di sospetto, di timore, di disprezzo e perfino di odio nei confronti
di individui o gruppi giudicati diversi in ragione della loro appartenenza
etnica, nazionale o religiosa e, in quanto tali, ritenuti non abbastanza degni
di partecipare pienamente alla vita della società.
Questi sentimenti, poi, troppo
spesso ispirano veri e propri atti di intolleranza, discriminazione o
esclusione, che ledono gravemente la dignità delle persone coinvolte e i loro
diritti fondamentali, incluso lo stesso diritto alla vita e all’integrità
fisica e morale. Purtroppo accade pure che nel mondo della politica si ceda
alla tentazione di strumentalizzare le paure o le oggettive difficoltà di
alcuni gruppi e di servirsi di promesse illusorie per miopi interessi
elettorali.
La gravità di questi fenomeni non
può lasciarci indifferenti. Siamo tutti chiamati, nei nostri rispettivi ruoli,
a coltivare e promuovere il rispetto della dignità intrinseca di ogni persona
umana, a cominciare dalla famiglia – luogo in cui si imparano fin dalla
tenerissima età i valori della condivisione, dell’accoglienza, della
fratellanza e della solidarietà – ma anche nei vari contesti sociali in cui
operiamo.
Penso, anzitutto, ai formatori e
agli educatori, ai quali è richiesto un rinnovato impegno affinché nella
scuola, nell’università e negli altri luoghi di formazione venga insegnato il
rispetto di ogni persona umana, pur nelle diversità fisiche e culturali che la
contraddistinguono, superando i pregiudizi.
In un mondo in cui l’accesso a
strumenti di informazione e di comunicazione è sempre più diffuso, una
responsabilità particolare incombe su coloro che operano nel mondo delle
comunicazioni sociali, i quali hanno il dovere di porsi al servizio della verità
e diffondere le informazioni avendo cura di favorire la cultura dell’incontro e
dell’apertura all’altro, nel reciproco rispetto delle diversità.
Coloro, poi, che traggono
giovamento economico dal clima di sfiducia nello straniero, in cui l’irregolarità
o l’illegalità del soggiorno favorisce e nutre un sistema di precariato e di
sfruttamento – talora a un livello tale da dar vita a vere e proprie forme di
schiavitù – dovrebbero fare un profondo esame di coscienza, nella
consapevolezza che un giorno dovranno rendere conto davanti a Dio delle scelte
che hanno operato.
Di fronte al dilagare di nuove
forme di xenofobia e di razzismo, anche i leader di tutte le
religioni hanno un’importante missione: quella di diffondere tra i loro fedeli
i principi e i valori etici inscritti da Dio nel cuore dell’uomo, noti come la
legge morale naturale. Si tratta di compiere e ispirare gesti che
contribuiscano a costruire società fondate sul principio della sacralità della
vita umana e sul rispetto della dignità di ogni persona, sulla carità, sulla
fratellanza – che va ben oltre la tolleranza – e sulla solidarietà.
In particolare, possano le Chiese
cristiane farsi testimoni umili e operose dell’amore di Cristo. Per i
cristiani, infatti, le responsabilità morali sopra menzionate assumono un
significato ancora più profondo alla luce della fede.
La comune origine e il
legame singolare con il Creatore rendono tutte le persone membri di un’unica
famiglia, fratelli e sorelle, creati a immagine e somiglianza di Dio, come insegna
la Rivelazione biblica.
La dignità di tutti gli uomini,
l’unità fondamentale del genere umano e la chiamata a vivere da fratelli,
trovano conferma e si rafforzano ulteriormente nella misura in cui si accoglie
la Buona Notizia che tutti sono ugualmente salvati e riuniti da Cristo, al
punto che – come dice san Paolo – «non c’è giudeo né greco; non c’è schiavo né
libero; non c’è maschio e femmina, perché tutti [… siamo] uno in Cristo Gesù»
(Gal 3,28).
In questa prospettiva, l’altro è non
solo un essere da rispettare in virtù della sua intrinseca dignità, ma
soprattutto un fratello o una sorella da amare. In Cristo, la tolleranza si
trasforma in amore fraterno, in tenerezza e solidarietà operativa. Ciò vale
soprattutto nei confronti dei più piccoli dei nostri fratelli, fra i quali
possiamo riconoscere il forestiero, lo straniero, con cui Gesù stesso si è
identificato. Nel giorno del giudizio universale, il Signore ci rammenterà:
«ero straniero e non mi avete accolto» (Mt25,43). Ma già oggi ci interpella: “sono
straniero, non mi riconoscete?”.
E quando Gesù diceva ai Dodici:
«Non così dovrà essere tra voi» (Mt 20,26), non si riferiva solamente al
dominio dei capi delle nazioni per quanto riguarda il potere politico, ma a
tutto l’essere cristiano. Essere cristiani, infatti, è una chiamata ad andare
controcorrente, a riconoscere, accogliere e servire Cristo stesso scartato nei
fratelli.
Consapevole delle molteplici
espressioni di vicinanza, di accoglienza e di integrazione verso gli stranieri
già esistenti, mi auguro che dall’incontro appena concluso possano scaturire
tante altre iniziative di collaborazione, affinché possiamo costruire insieme
società più giuste e solidali.»
Ecco qua
la ragione teologica per cui non si può essere xenofobi e razzisti:
La comune origine e il
legame singolare con il Creatore rendono tutte le persone membri di un’unica
famiglia, fratelli e sorelle, creati a immagine e somiglianza di Dio, come
insegna la Rivelazione biblica.
La dignità di tutti gli uomini,
l’unità fondamentale del genere umano e la chiamata a vivere da fratelli,
trovano conferma e si rafforzano ulteriormente nella misura in cui si accoglie
la Buona Notizia che tutti sono ugualmente salvati e riuniti da Cristo, al
punto che – come dice san Paolo – «non c’è giudeo né greco; non c’è schiavo né
libero; non c’è maschio e femmina, perché tutti [… siamo] uno in Cristo Gesù»
(Gal 3,28).
In questa prospettiva, l’altro è
non solo un essere da rispettare in virtù della sua intrinseca dignità, ma
soprattutto un fratello o una sorella da amare. In Cristo, la tolleranza si
trasforma in amore fraterno, in tenerezza e solidarietà operativa. Ciò vale
soprattutto nei confronti dei più piccoli dei nostri fratelli, fra i quali
possiamo riconoscere il forestiero, lo straniero, con cui Gesù stesso si è
identificato. Nel giorno del giudizio universale, il Signore ci rammenterà:
«ero straniero e non mi avete accolto» (Mt25,43). Ma già oggi ci interpella:
“sono straniero, non mi riconoscete?”.
Cerchiamo di tenerlo a mente.
«Essere cristiani,
infatti, è una chiamata ad andare controcorrente»: questo comporta lottare, non
facciamoci illusioni. Bisogna, ad esempio, sbarrare la strada alla xenofobia e al
razzismo, non dar loro tregua, fare barriera, culturale, ma anche
fisica, mettendosi di mezzo, innanzi tutto per proteggere chi è
minacciato e umiliato. Qualche volta si è tentati di mettersi in mezzo, sì, ma
nel senso di indifferenti, tra chi perseguita e chi è oltraggiato. Come
ci fosse un giusto mezzo tra giustizia e ingiustizia.
“Non esiste il centro tra giustizia e ingiustizia”, sosteneva il
democristiano cileno Rodomiro Tomic.
1.4
Riforma sociale come azione religiosa
(29-9-18)
Sembra
che poco della religione passi nella gente. Si dà la colpa alla
secolarizzazione, il modo di vivere che non ricorre più alla fede per spiegare
come va il mondo. Le ragioni che però se ne danno non mi convincono.
Essenzialmente le persone non trovano più utilità a comprendere la società
intorno: si limitano a lasciarsi trascinare e a fare come tutti. Si pensa di
essere in balia della sorte, della dea Fortuna, che qui
vicino a Roma aveva un suo grande santuario, a Preneste, l’attuale
Palestrina. Questo ha screditato l’idea di riforma sociale come
azione religiosa, che presuppone di sentire come doveroso in quanto possibile
il miglioramento sociale, e, prima di questo, di capire come va il mondo per
progettarne il cambiamento. E’ su queste basi che le persone della nostra fede
diedero un apporto decisivo alla costruzione di una grande realtà istituzionale
come l’Unione Europea, che ha garantito la pace europea dal 1945, un periodo
lunghissimo.
C’è sicuramente un problema
educativo. L’istruzione religiosa si ferma, di solito e per la maggior parte
delle persone, alla Cresima, che in Italia si all’età delle scuole medie
inferiori o poco più in là. Ma molti lasciano prima, dopo la Prima Comunione,
alle elementari. Quella scolastica per i più finisce verso i diciotto anni.
All’età di quarant’anni, quella in cui si ricoprono i ruoli più importanti della
propria vita, l’istruzione ricevuta è spesso un ricordo lontano di oltre
vent’anni. Si notano difficoltà anche nel comprendere testi semplici. I ricordi
religiosi, che dovrebbero rifarsi alla nostra complessa dottrina teologica,
appaiono molto approssimativi, come risulta, in particolare, dalle ricerche
demoscopiche.
La società, si dice, non sostiene
più la vita religiosa, come un tempo; diciamo, in Italia, come fu fino agli
anni Sessanta. Ma come la sosteneva? Non se ne era per nulla soddisfatti. Per
questo si avviò la riforma progettata nel corso del Concilio Vaticano 2°
(1962-1965). Cominciò ad essere attuata negli anni 70, ma fu presto sospesa,
con l’inizio del regno religioso di Karol Wojtyla - Giovanni Paolo 2°
(1978-2005). Si temette la dispersione dei fedeli.
Quella riforma aveva
due aspetti importanti: l’idea di una comunità educante alla fede e la
concezione cristocentrica dei fatti religiosi. In
precedenza il clero, il cui potere religioso era
accreditato e sostenuto dalla politica di governo, impartiva al
popolo un’istruzione dottrinaria basata sull’idea di un potere esercitato
direttamente dal Cielo attraverso plenipotenziari terreni: i principi del
clero, e i Papi innanzi tutto. Un impero religioso che univa Cielo e
terra e che era stato organizzato a partire dall’Undicesimo secolo. Il potere
sul popolo era suddiviso consensualmente tra prìncipi religiosi e civili sulla
base di concordati. Si era organizzato una sorta di condominio. Il
compito del popolo era quello di obbedire ai prìncipi e, in quest’ottica, era
molto importante che ciascuno conoscesse il posto che gli competeva.
L’istruzione religiosa si riduceva sostanzialmente a questo. I risultati
nell’etica personale non erano certi migliori di quelli dei nostri tempi: tutti
i comandamenti erano in genere apertamente violati, in particolare da chi
dominava nella società, clero compreso, ma la coerenza del sistema era
assicurata dall’obbedienza che veniva prestata ai superiori. Ad un certo punto,
la misericordia del Cielo scendeva sulla gente, a coprire e perdonare i suoi
peccati. Questo sistema religioso aveva coperto conflitti crudeli e stragisti,
che avevano travagliato innanzi tutto l’Europa e poi il mondo, prodotti dai
processi di colonizzazione europea. L’idea di un’Europa eticamente migliore in
quanto sorretta e vivificata da radici cristiane è
solo una fantasia che non trova riscontri storici reali. Quello che in Europa
funzionò a lungo fu il sistema disacralizzazione del potere
politico, mediante un’alleanza tra prìncipi civili e religiosi, che consolidava
il potere di entrambi. Essa non escludeva la possibilità di catastrofici
conflitti tra stati e la repressione violenta di quelli civili: si trattava di
eventi considerati al pari di quelli naturali, sgradevoli ma impossibili da
evitare.
La riforma religiosa
progettata durante il Concilio Vaticano 2° prese le mosse dall’idea
di fare dell’umanità un’unica famiglia, combattendo le cause sociali che
avevano portato ai disastrosi conflitti mondiali scoppiati nel corso del Novecento.
Questo rese necessario esprimere una critica sociale e, pertanto,
desacralizzare il potere politico, rompere e rivedere gli antichi concordati.
La critica sociale doveva partire dal popolo e, quindi, in una prospettiva
ecclesiale, dai laici, che fino ad allora avevano avuto come unica prospettiva
quella dell’obbedienza. Essi si sarebbero dovuti formare e attivare in nuovi
tipi di comunità di fede, non più organizzati con struttura piramidale, in alto
il Cielo e alla base i fedeli, con al centro, su vari livelli, i
plenipotenziari religiosi, ma, al modo delle origini, come discepoli intorno al
Maestro. Quest’ultimo, innanzi tutto con i suoi esempi di vita ma anche con la
sua vita soprannaturale, era il vero tramite tra Cielo e terra, accessibile ad ogni
fedele attraverso un rapporto personale, che però andava costruito nella
formazione religiosa. Occorreva una nuova spiritualità. La teologia del laicato
fu al centro della riflessione dei saggi di quel Concilio. Si volle però
preservare la struttura gerarchica del clero, prevedendone riforme molto
limitate, innanzi tutto potenziando l’autonomia e la corresponsabilità dei
vescovi, il cui potere veniva però ancora configurato come quello di prìncipi
religiosi. Mentre il laicato veniva lanciato nella riforma sociale sfruttando i
processi democratici che si erano andati affermando a partire dalle
società di tipo europeo, nessuna vera democrazia veniva ammessa
nell’organizzazione ecclesiale, riservandone la riforma al clero. Questo portò
a distinguere, separando, clero e laicato. Un bel problema in una nazione come
l’Italia dove il clero, in particolare quello di base, aveva avuto un ruolo
importantissimo nello sviluppare processi di riforma sociale, compresi quelli
democratici! Al clero venne sostanzialmente assegnata, nei processi di
riforma, la formulazione dei principi dell’azione sociale, che
però doveva essere attuata dai laici. Tuttavia dal Concilio degli
anni Sessanta uscì l’immagine di un laicato che avrebbe dovuto operare con una
certa autonomia nei campi di sua competenza, e che quindi avrebbe dovuto avere
la possibilità di essere corresponsabile della formulazione di
quei principi, come in effetti avvenne. Nella pratica questo
produsse una certa tensione. Mentre il clero era ancora soggetto all’obbedienza
canonica, nell’impero religioso nel quale era inquadrato, non così fu per il
laicato con la sua nuova autonomia. Nel laicato, inevitabilmente, per
l’affermarsi dei processi democratici, si produssero varie correnti di pensiero
e di azione, che cercarono di tirarsi dietro il potere religioso. Quest’ultimo,
ad un certo punto, sentì di non riuscire più a controllare la
situazione e bloccò tutto, sospendendo l’azione di riforma, cercando di
cristallizzare la situazione in uno stadio in cui ancora era gestibile dal
vertice religioso. Questo si riuscì a fare con il nuovo stile del Papato sotto
Karol Wojtyla, molto centrato sulla personalità del Pontefice, come mai prima
di allora. La nuova situazione influì sui processi di formazione del laicato,
al quale si chiedeva sostanzialmente, al posto dell’antica obbedienza, una
sorta di neo-papismo emotivo, un fidarsi emotivamente nel Papato in un rapporto
di simpatia personale. La riforma sociale fu sospettata di socialismo, al quale
il Wojtyla era fortemente avverso, per l’esperienza che ne aveva fatto, nella
versione di ispirazione comunista sovietica, nella sua Polonia. Nei confronti
del clero si produsse invece una dura azione di repressione di ogni tipo di
dissenso, che aveva il precedente più prossimo nella persecuzione
anti-modernista di inizio Novecento. Una manifestazione di questa durezza
gerarchica fu l’approvazione del Catechismo della Chiesa Cattolica, nel 1992,
come documento normativo e pertanto da prendere come riferimento
universale anche dalla più raffinata ricerca teologica, pena la condanna. La
riforma catechetica attuata in Italia negli anni ’70 aveva concepito
invece i catechismi come sussidi all’azione formativa nel popolo di fede.
Tutto questo ci porta
alla situazione di oggi. Una teologia che è ancora fondamentalmente quella
riformata del Concilio Vaticano 2°, dell’umanità come un’unica famiglia umana,
ma che non ha più un attore sociale che la attui, e neppure in grado di
comprenderla veramente. Le comunità educanti alla fede, in Italia progettate a
partire dal Documento di base in materia di catechetica
del 1970, non hanno funzionato. Sono rimaste realtà artificiali, molto
confinate nell’azione catechetica e troppo dipendenti dal clero, senza vera
capacità di ragionare e agire in termini di riforma sociale. In definitiva,
appaiono inutili. Si pensa di lanciarle in società, per organizzare ospedali
da campo sociali, è l’idea del Papa regnante, ma è un lavoro che
non sanno fare: sono diventate essenzialmente collettività di auto-aiuto, per
la medicina dell’anima. Le si è tenute troppo a lungo separate perché possano
produrre qualcosa. Naturalmente, qualcosa per cambiare è sempre possibile fare.
Ma non è cosa da preti. Loro fanno già troppo. E a certe cose non sono stati
formati. Mi pare che nei seminari, per ciò che ho potuto constatare, si stia
troppo tra nuvole d’incenso e paramenti sacri, troppo lontani dal popolo, e
anche sospettosi verso di esso come possibile fonte di contaminazione
religiosa. Non avremo nuovi Murri, Sturzo, Dossetti. E’ il laicato, innanzi
tutto, che deve iniziare a pensare a certe cose.
Noi laici sappiamo troppo
poco di tutto. Questo ci rende facilmente manovrabili dalla politica
spregiudicata di oggi, che impiega raffinate tecniche di psicologia sociale per
dominare le masse. Questo pregiudica i nostri progetti di azione sociale
ispirata dalla fede. E’ necessario innanzi tutto,
allora, riunirsi per aiutarci reciprocamente a capire meglio come va
il mondo. Bisogna riprendere a studiare. Questo richiede tempo e buona volontà.
Non basta partecipare a gruppi di auto-coscienza in cui si dice la propria e si
vede gli altri che fanno. Un lavoro che Lorenzo Milani fece con i suoi alunni,
nella sua parrocchia di montagna, con tanti meno mezzi di quelli a nostra disposizione
oggi. Un impegno integrale: occorre recuperarlo. Un impegno per certi versi
anche rischioso: la società intorno è cambiata, stanno producendosi a livello
europeo processi neo-fascisti in cerca di legittimazione sacrale. Essi fanno
appello alla religiosità che negli Sessanta si volle riformare, quella che non
faceva conto di produrre conflitti e morti per sostenere l’egoismo nazionale.
1.5
Un mondo da salvare
(4-10-18)
Il catechismo per i più giovani per molti rimane l’unico per tutta la
vita. Si vuole iniziare a spiegare il senso della nostra fede e a farne fare
l’esperienza e la pratica. Dalla metà degli scorsi anni ’70 è un po’ meno
strutturato come una lezione scolastica. Ma dovrebbe essere approfondito
crescendo. E’ qualcosa di più del semplice annuncio, ma per certe
nozioni si è troppo piccoli; occorre, in particolare, fare più esperienza di
vita per capirle. Un tempo la storia sacra veniva raccontata come una favoletta
e, alla fine, poteva essere scambiata per quella. Adesso ci si concentra di più
su alcuni episodi, ma si perde un po’ il senso generale della narrazione, la
continuità che si vorrebbe far vedere nei fatti raccontati. Il problema è che,
quando sarebbe il momento di iniziare ad approfondire, si lascia. La fede,
però, non si spegne subito, rimane come sottotraccia. E’ ancora possibile, per
un po’, suscitarla di nuovo. Questo si fa più difficile se perdura
l’allontanamento dalle consuetudini religiose. Di solito la religione non viene
sostituita da altro, ma da un tempo vuoto. Quindi, poi, ad una certa età se ne
sente la mancanza, ma da soli non si riesce più a tornare. Del resto non si
tratta nemmeno più di tornare. La fede da bimbi non serve più a
quel punto, va stretta. Serve riprendere un discorso, delle consuetudini, delle
amicizie.
La catechesi si dovrebbe
fare non in nome proprio, ma per conto della Chiesa, sotto la direzione del
Vescovo. Questo richiederebbe una formazione dei catechisti che non mi pare che
in genere si faccia. La catechetica è diventata una vera disciplina scientifica,
che si avvale di tante altre scienze, ad esempio della psicologia e
della pedagogia. Nelle parrocchie, però, si fa di necessità virtù. Si cerca di
fare con quelli che si mostrano disponibili, anche se non formati a
sufficienza, perché bisogna iniziare e i preti non bastano. Accade, però, che
poi ognuno tenda a metterci dentro i propri personali punti di riferimento, che
possono essere insufficienti o inadatti.
La cosa più difficile è la
mediazione tra fede e vita: far capire che la fede serve alla vita
e che quest’ultima interroga la fede e, in qualche modo, così la
orienta. Non è la stessa cosa vivere la fede in uno dei tanti inferni della
terra e nel nostro quartiere, dove ci sono tante situazioni di sofferenza, ma
che non è (ancora) un inferno. Quest’opera di mediazione è di solito l’aspetto
più critico della catechesi. Non si riesce più a convincere dell’utilità della
fede. Quest’ultima, ad un certo punto, viene proposta anche come
medicina dell’anima, come una specie di sostegno psicologico, ma a questo
scopo, non illudiamoci, serve a poco. Può solo funzionare, e questa è stata una
delle critiche più serie a certi tipi di religiosità, temporaneamente come
anestetico, ma nulla di più.
C’è però chi riesce a
trasferire la propria fede dall’età più giovane a quella adulta, facendo quegli
approfondimenti che servono, che comprendono anche una critica della fede
bambina. Quest’ultima, a volte, riesce ancora buona per i più anziani, per i
quali gli orizzonti si restringono. Chi conquista una fede adulta, che prima o
poi finisce per manifestarsi agli altri, si trova di fronte alla difficoltà di
renderne ragione con chi ha lasciato. Questi ultimi, di solito,
tengono a precisare che hanno lasciato, come a scansare tentativi di proselitismo.
C’è sempre il sospetto che chi ancora crede tenti di conquistare gli altri alla
religione, e certe volte è effettivamente così. Io, ad esempio, non sono di
quelli. A chi mi espone i motivi per cui non crede, rispondo che è vero, ha
ragione, e aggiungo che ce ne sono molti altri. La nostra fede, in fondo, è
inverosimile. E’ più o meno così per tutte le religioni storiche.
Ma, se da ragazzo, negli anni 70, mi avessero parlato degli smartphone, li
avrei considerati inverosimili. Eppure, eccoli nelle nostre mani. Funzionano,
ma non sappiamo come. C’è negli e tra gli esseri umani più di ciò che appare.
Uno però può ritenere di non aver bisogno di scoprire altro oltre ciò che
appare. Di solito però è la vita a proporre certi interrogativi. Se ci si mette
alla ricerca di una risposta, prima o poi si incontra la fede. La grande
riflessione biblica è tutta centrata su questo. Ecco perché, ad esempio, Aldo
Moro, quando era prigioniero nella piccola cella allestita per lui dalle
brigate rosse che lo tenevano in suo potere, chiese di avere una Bibbia. Ma
aveva avuto una lunga formazione per trarre beneficio dai tesori nascosti in
quel testo. Dico “nascosti”, perché a molti di quelli che lo prendono in mano
appare solo una raccolta di favole. Alla riflessione biblica occorre infatti
essere introdotti e guidati. C’è necessità di qualcuno che spieghi. La prima
figura che tenta di farlo è il prete, a Messa, e poi c’è il catechista. Sembra
strano, data l’importanza della liturgia, ma spesso a Messa ci si distrae. Lo
scrittore Bruce Marshall sosteneva che l’effetto di una buona predica dura per
non più di dieci minuti in chi la ascolta e circa due minuti in chi la fa.
Nella Messa per i più piccoli, allora, il celebrante cerca di coinvolgere
l’attenzione dei bambini usando il metodo interattivo, a domande e risposte. Ma
il catechista può fare di più.
All’adulto che ha lasciato faccio
osservare che c’è un mondo da salvare. Se condivide quest’idea, significa che
empatizza con chi soffre: è sulla buona strada. La nostra fede essenzialmente
è, infatti, compassione, o, altrimenti detto, misericordia. Ci sentiamo tutti
uniti: questo sentimento nel greco evangelico è detto agàpe, che
traduciamo di solito con amore, ma che è sostanzialmente misericordia,
compassione. E’ molto importante, perché nella fede crediamo che il
Fondamento sia agàpe, è scritto.
1.6
Catechesi civile
(7-10-18)
Nel 2016 l’Azione Cattolica Ragazzi
organizzò un movimento tra i suoi aderenti, dall’età di 3 anni a 14 anni, per
imparare e mettere in pratica la dottrina sociale, sostanzialmente progettando
azioni politiche, ad esempio la gestione di un Comune. All’incontro finale, qui
a Roma, venne invitata anche la Sindaca della nostra città, che però non poté
venire.
Si prese come riferimento
l’esortazione apostolica La gioia del Vangelo - Evangelii
Gaudium. Ecco come venne presentata l’iniziativa:
« La Chiesa italiana si è sempre
interrogata e si lascia ogni giorno interrogare molto dalle sfide dell’annuncio
di fede nel mondo, e la Dottrina Sociale della Chiesa è proprio il frutto di
una riflessione orientata a leggere il progetto di Dio nella società, nella
cultura, nell’economia, nelle nostre vite.
Gli ambienti quotidianamente
abitati, come la famiglia, l’educazione, la scuola, il creato, la città, il
lavoro, i poveri e gli emarginati, l’universo digitale e la rete, sono
diventati per tutti noi quelle “periferie esistenziali”
che s’impongono all’attenzione della Chiesa italiana quale priorità
in cui operare il discernimento e vivere la missione.
L’Azione Cattolica anche
oggi sceglie di fare sue le istanze e le intuizioni profetiche che coglie
camminando e stando con la gente alla luce del Vangelo e delle parole del
Magistero. È per questo che, in questo tempo così ricco ed entusiasmante, non
possiamo non accogliere nuovamente il rinnovato invito che Papa Francesco ha
rivolto alla Chiesa Italiana
durante il Convegno di Firenze . Il Santo Padre ci ha, infatti, detto che : «In
ogni comunità, in ogni parrocchia e istituzione, in ogni Diocesi e
circoscrizione, in ogni regione, cercate di avviare, in modo sinodale, un
approfondimento della Evangelii Gaudium, per trarre da essa criteri
pratici e per attuare le sue disposizioni, specialmente sulle tre o quattro
priorità che avrete individuato in questo convegno. Sono sicuro della vostra
capacità di mettervi in movimento creativo per concretizzare questo studio. Ne
sono sicuro perché siete una Chiesa adulta, antichissima nella fede, solida
nelle radici e ampia nei frutti. Perciò siate creativi nell’esprimere quel
genio che i vostri grandi, da Dante a Michelangelo, hanno espresso in maniera
ineguagliabile. Credete al genio del cristianesimo italiano, che non è
patrimonio né di singoli né di una élite, ma della comunità, del popolo di
questo straordinario Paese».
(PAPA FRANCESCO, Incontro con i
rappresentanti del V Convegno Nazionale
della Chiesa Italiana, Cattedrale di
Santa Maria del Fiore, Firenze,
Martedì 10 novembre 2015)
Abbiamo così pensato che
sarebbe stato bello e importante per la vita delle nostre comunità ecclesiali e
civili che anche i più piccoli, i bambini e i ragazzi dell’Acr potessero avere
spazi e luoghi per potersi lasciare interpellare “a loro misura” dalle
intuizioni che Papa Francesco ha scritto nell’Esortazione apostolica, e che
stanno tracciando il cammino delle nostre Chiese locali e della nostra
Associazione. Desideriamo infatti che anche loro possano, non solo guardare con
occhi grati le loro comunità e accoglierne bellezza, ma possano anche vivere e
fare esperienza della Chiesa che sognaPapa Francesco, una Chiesa sempre “in
uscita” che vive la sua missione con e per il suo popolo.
In questo percorso abbiamo
allora scelto di lasciarci accompagnare da 5 espressioni dell’Evangelli
Gaudium, che crediamo possano illuminare il cammino che i ragazzi vivranno in
questo anno. Desideriamo che in questi mesi, durante i quali si impegneranno a
sperimentare la grandezza della misericordia di Dio nel loro cammino ordinario,
possano comprendere come, a partire dalla famiglia, dalla cura del creato e
dalla partecipazione alla vita delle loro città, possano essere guidati
dall’orizzonte e dallo stile che questi verbi disegnano.
Prendere l’iniziativa,
coinvolgersi, accompagnare, fruttificare e festeggiare orientano così
l’itinerario che i bambini e i ragazzi dell’Acr vivranno e che li aiuterà ad
interrogarsi su come possono anche loro ogni giorno costruire una Chiesa bella
dove crescere sperimentando la bellezza di essere amati, e per questo lasciarsi
condurre dall’amore che non può non portare frutti di bene e di lode. Infatti,
come afferma Papa Francesco:
«La Chiesa “in uscita” è la comunità di
discepoli missionari cheprendono l’iniziativa, che si
coinvolgono, che accompagnano, chefruttificano e festeggiano.
“Primerear – prendere l’iniziativa”: vogliate scusarmi per questo neologismo.
La comunità evangelizzatrice sperimenta che il Signore ha preso l’iniziativa,
l’ha preceduta nell’amore (cfr. 1Gv 4,10), e per questo essa sa fare il primo
passo, sa prendere l’iniziativa senza paura, andare incontro, cercare i lontani
e arrivare agli incroci delle strade per invitare gli esclusi. Vive un
desiderio inesauribile di offrire misericordia, frutto dell’aver sperimentato
l’infinita misericordia del Padre e la sua forza diffusiva.
Osiamo un po’ di più di
prendere l’iniziativa! Come conseguenza, la Chiesa sa “coinvolgersi”. Gesù ha
lavato i piedi ai suoi discepoli. Il Signore si coinvolge e coinvolge i suoi,
mettendosi in ginocchio davanti agli altri per lavarli. Ma subito dopo dice ai
discepoli: «Sarete beati se farete questo» (Gv 13,17). La
comunità evangelizzatrice si mette mediante opere e gesti nella vita
quotidiana degli altri, accorcia le distanze, si abbassa fino all’umiliazione
se è necessario, e assume la vita umana, toccando la carne sofferente di Cristo
nel popolo.
Gli evangelizzatori
hanno così “odore di pecore” e queste ascoltano la loro voce.
Quindi, la comunità evangelizzatrice si dispone ad “accompagnare”. Accompagna
l’umanità in tutti i suoi processi, per quanto duri e prolungati possano
essere. Conosce le lunghe attese e la sopportazione apostolica.
L’evangelizzazione usa molta pazienza, ed evita di non tenere conto dei limiti.
Fedele al dono del Signore, sa anche “fruttificare”. La comunità
evangelizzatrice è sempre attenta ai frutti, perché il Signore la vuole
feconda. Si prende cura del grano e non perde la pace a causa della zizzania.
Il seminatore, quando vede spuntare la zizzania in mezzo al grano, non ha
reazioni lamentose né allarmiste. Trova il modo per far sì che la Parola si
incarni in una situazione concreta e dia frutti di vita nuova, benché
apparentemente siano imperfetti o incompiuti. Il discepolo sa offrire la vita
intera e giocarla fino al martirio come testimonianza di Gesù Cristo, però il
suo sogno non è riempirsi di nemici, ma piuttosto che la Parola venga accolta e
manifesti la sua potenza liberatrice e rinnovatrice. Infine, la comunità
evangelizzatrice gioiosa sa sempre “festeggiare”. Celebra e festeggia ogni
piccola vittoria, ogni passo avanti nell’evangelizzazione. L’evangelizzazione gioiosa
si fa bellezza nella Liturgia in mezzo all’esigenza quotidiana di far
progredire il bene. La Chiesa evangelizza e si evangelizza con la bellezza
della Liturgia, la quale è anche celebrazione dell’attività evangelizzatrice e
fonte di un rinnovato impulso a donarsi».
(PAPA FRANCESCO, Evangelii Gaudium, 24)»
Quella fu catechesi civile, quella
che molto raramente si fa nelle nostre parrocchie e che, invece, si dovrebbe
fare, pena l’inutilità della religione. Non ci si deve sorprendere, poi, se non
la si fa, che i ragazzi, avvicinandosi all’età adulta abbandonino la religione,
e, seguitando, con la religione, anche la fede, che della religione ha bisogno.
La catechesi che si fa per i
più giovani è, per ciò che ne so, di carattere piuttosto intimistico. La
religione, sostanzialmente, quando va bene, viene presentata come medicina
dell’anima, e per questo scopo serve veramente a poco, perché la fede,
quando le si dà via libera, è sommovimento dell’anima, cambia la
gente e la spinge alle cose più strane. Quando va male, la religione
viene presentata come una gabbia etica, in particolare come un rigido sistema
di divieti sessuali, contro il quale giustamente i giovani si ribellano.
Ad alcuni la catechesi
civile non sta bene perché, dicono, è fare politica, e hanno
perfettamente ragione. Infatti serve per imparare a fare politica, che
significa partecipare democraticamente al governo della società. E’ con la
politica, con l’associarsi per progettare una società migliore, che si cambia
il mondo. La politica è strumento del pensiero sociale ispirato ai valori della
fede, del quale fa parte anche la dottrina sociale, quella sua versione che
viene diffusa dal Magistero come prescrizione di doveri religiosi. Infatti la
dottrina sociale è teologia: spiega quindi qualcosa che è molto importante per
la fede. Non bastano i riti, le liturgie. Occorre l’azione sociale. E’ così che
la nostra fede ha cambiato il mondo. In meglio o in peggio? In genere siamo
stati poco portati all’autocritica. In nome della nostra fede si sono fatte
azioni sociali orrende. Si è iniziato a riconoscerlo francamente nel
2000, durante il Grande Giubileo che si celebrò quell’anno, sotto la guida di
san Karol Wojtyla, che regnava in religione come Giovanni Paolo 2°. Ma non
siamo andati più in là. Certe cose ce le diciamo sottovoce tra gente che
approfondisce, non le proclamiamo al popolo.
L’Azione Cattolica è stata
costituita, per decreto pontificio, proprio perfare politica.
Di solito si fissa la sua
nascita al 1867, quando il conte Mario Fani di Viterbo e Giovanni Acquaderni
fondarono a Bologna la Gioventù Cattolica italiana, il cui
programma fu diffuso in pubblico il 4 gennaio 1868.
Si era in epoca di durissimo
scontro politico tra il Papato, il cui regno territoriale nell’Italia
centrale era minacciato dai moti nazionalistici italiani, e il Regno d’Italia,
fondato nel 1861 sotto la monarchia cattolica dei Savoia, che di quei moti
aveva preso la guida.
In questo clima, nel 1866 a
Bologna era stato in precedenza fondato un gruppo denominato Associazione
Cattolica Italiana per la difesa della libertà della Chiesa
in Italia. La nascita dell’associazione venne consacrata da un breve del
Pontefice nel quale ne vennero fissati gli scopi. Era presieduta dall’avvocato
Giulio Cesare Fangarezzi e tra suoi fondatori aveva Giovanni Battista Casoni.
Presto si ebbe la reazione delle autorità di polizia italiane. Venne approvata,
relatore Francesco Crispi, una legge eccezionale che stabiliva il domicilio
coatto per i sovversivi politici. Fangarezzi dovette rifugiarsi in Svizzera e
il Casoni dovette fuggire da Bologna ed entrare in clandestinità, per sfuggire
all’arresto. L’associazione si sciolse. Giovanni Acquaderni era schedato come
“paolotto” (che all’epoca era sinonimo di bigotto) e “clericale reazionario”
dalla polizia italiana. Erano considerati sovversivi politici perché, prima
della fine del regno dei Papi a Roma, si opponevano al processo di unificazione
nazionale, nell’interesse politico del Papato, e successivamente avrebbero
voluto rompere l’unità nazionale restituendo al Papato il regno territoriale su
Roma. Un reato politico molto grave.
Tuttavia la nostra Azione
Cattolica non nacque né nel 1866, né nel 1868, né è l’erede dell’Opera dei
Congressi, che organizzò grandi incontri dell’associazionismo cattolico
tra il 1874 e il 1904. Anzi, per così dire, nacque dalle ceneri del precedente
associazionismo, in particolare dallo scioglimento dell’Opera dei Congressi per
volontà del Pontefice, irritato per le correnti democratico-cristiane che in essa
si manifestavano sempre più vivacemente, nonostante la condanna formulata con l’enciclica Le
gravi preoccupazioni sociali - Graves de Communi re diffusa nel 1901
dal papa Vincenzo Gioacchino Pecci - Leone 13°, lo stesso della prima enciclica
della moderna dottrina sociale, la Le Novità - Rerum Novarum, del
1891. La nostra Azione Cattolica fu prefigurata nel 1905 dall’enciclica Il
fermo proposito del papa Giuseppe Sarto, regnante in religione
come Pio 10°, proclamato santo nel 1954, e costituita nel 1906 con l’approvazione
dei suoi statuti da parte di quel medesimo Papa. Si era nel periodo più buio
della persecuzione antimodernista, l’ultima guerra di religione intrapresa
dalla Chiesa cattolica. Lo stesso Romolo Murri, prete, tra gli ideatori di una
ideologia democratico-cristiana, ne fece le spese, venendo scomunicato nel
1909.
[Traggo le informazioni di cui sopra dal
libro di Gabriele De Rosa, Il movimento
cattolico in Italia. Dalla Restaurazione all’età giolittiana, Laterza,
1979, consultabile solo in biblioteca, in quanto non più in commercio].
La missione politica
dell’Azione Cattolica era chiaramente dimostrata dal fatto che la
nuova organizzazione comprendeva una Unione elettorale, in un’epoca
nella quale, per altro, ai cattolici era vietato di partecipare alle elezione
politiche nazionali, quindi alla vita democratica del Regno d’Italia. Nel 1913
il divieto fu superato, in concomitanza con l’allargamento del suffragio
elettorale (comunque limitato ai cittadini uomini). Nel 1919 venne fondato, da
cattolici democratici di ideologia democristiana, il Partito popolare italiano
e venne sciolta l’Unione elettorale.
L’Azione Cattolica venne
costituita come strumento politico del Papato, come partito di massa, per
contrastare con la forza del numero la politica nazionalista e liberale nel
Regno d’Italia e sostenere le pretese territoriali del Papato, che era stato
spodestato nel 1870 dal suo piccolo regno territoriale con capitale Roma.
Tuttavia venne profondamente trasformata, rispetto alla missione delle origini,
dall’azione autonoma dei suoi aderenti, a cominciare da persone come Giuseppe
Toniolo e Armida Barelli. Fu una delle principali agenzie culturali per la
formazione del popolo alla democrazia, donne comprese, che poterono votare solo
dal 1946. Questa azione venne progressivamente limitata negli anni ’30, ai
tempi della compromissione del Papato con il regime fascista, per stabilizzare
la conciliazione contrattata nel ‘29 con il Regno
d’Italia, con i Patti Lateranensi, firmati nel palazzo
romano del Laterano da Benito Mussolini, per parte italiana quale Presidente
del Consiglio dei ministri, e dal cardinale Pietro Gasparri, Segretario di
Stato, in rappresentanza della Santa Sede. Da quegli accordi venne a noi romani
la Città del Vaticano, simulacro del potere territoriale del Papato, con gli
Svizzeri, i francobolli, le monete ecc. Tuttavia, anche in quel triste
decennio, il tirocinio alla democrazia continuò nelle organizzazioni intellettuali dell’Azione
Cattolica, in particolare nella FUCI (gli universitari cattolici) e nei
Laureati Cattolici, ispirati da Giovanni Battista Montini, uno dei principali
artefici della democrazia italiana, in particolare quale co-autore della serie
di radiomessaggi pontifici in tema, tra il 1939 e il 1945.
L’evoluzione
dell’Azione Cattolica fu portata a termine, dopo il Concilio Vaticano 2°
(1962-1965), sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, con il nuovo
statuto del 1969, che staccò l’associazione dall’asservimento agli interessi
politici del Papato. Questo il vero significato della scelta religiosa.
La politica del Papato l’aveva incatenata al sostegno del partito
cristiano, la Democrazia Cristiana, della quale costituiva serbatoio di
voti e agente formativo. Ciò era avvenuto nel quadro del compromesso che,
regnante Eugenio Pacelli - Pio 12°, si era raggiunto con i democratici
cristiani di De Gasperi, Dossetti, Moro, La Pira e Fanfani. L’ideologia del
Concilio Vaticano 2° ampliò di molto la missione del laicato cattolico e questo
richiese quel processo di liberazione di energie. Ciò avrebbe richiesto
una laicizzazione del partito cristiano, che non si
riuscì ad ottenere, pur tentandola negli anni ’80. Questo ne innescò una sua
crisi terminale. Ma avrebbe richiesto anche la revisione dell’impegno politico
dell’Azione Cattolica, libera di sostenere l’evoluzione dei processi
democratici secondo la nuova era che si venne prefigurando nel corso degli anni
’80. Anche in questo si fallì. Non si riuscì a pensare ad un impegno politico
che sostituisse quello a sostegno di un partito cristiano. Emersero
correnti fondamentaliste e integraliste che trovarono credito presso Wojtyla,
profondamente sospettoso verso il socialismo che indubbiamente attraversava le
correnti democratico cristiane italiane per la loro lunga storia
insieme ad esso. Si arriva, in definitiva, all’attuale irrilevanza politica del
cattolicesimo sociale italiano, al quale nessuna formazione politica
rappresentata in parlamento si richiama più.
Tutto questo si sta
manifestando nel bel mezzo di una gravissima crisi della politica democratica
in Italia. La democrazia, il cui sostegno era stata la principale ragione per
cui i democratici cristiani avevano accettato il sostegno di un Papato uscito
piuttosto screditato dal compromesso con il fascismo, è posta seriamente in
questione. E si avverte una forte difficoltà della gente di ragionare di
politica in termini democratici. Ma, innanzi tutto, proprio di ragionare.
Eppure gli strumenti formativi non mancherebbero. All’esortazione
apostolica La gioia del Vangelo, si è aggiunta l’enciclica Laudato
si’, che contiene una realistica e informata spiegazione dell’origine dei
problemi sociali che ci travagliano. Si tratta di documenti che, purtroppo,
sono poco conosciuti, per quello che ho constatato, tra gli stessi formatori.
Negli anni passati siamo stati abituati ad un profluvio di letteratura
pontificia, a cui non si riusciva proprio a tener dietro. Ma a quei
due documenti bisognerebbe proprio fare attenzione.
Con fatica riusciamo a
portare i più piccoli alla Comunione e una minoranza di loro anche alla
Cresima. Questo non basta. Occorrerebbe formarli a costituire società animate
da spirito di fede, fin da piccoli. Questo sembra superare le nostre
capacità di immaginazione: eppure è appunto quello che l’Azione Cattolica
Ragazzi ha tentato nel 2016 e sta ancora facendo. Una catechesi civile.
1.7
La religione come conquista culturale
(9-10-18)
La religione, intesa come sistema di credenze nel soprannaturale, riti e stili di
vita con essi coerenti, è integralmente una produzione sociale, vale a dire un
fatto culturale, studiato
dall’antropologia, che osserva come vivono gli esseri umani, dalla sociologia,
che si occupa delle dinamiche delle società umane, e dalla psicologia, che
studia i processi della nostra mente. La fede, il confidare in un
soprannaturale, in ciò che va oltre quello che appare, è invece innata, ma senza la religione non ha parole per
esprimersi.
La religione, come fatto culturale, viene
determinata dalle necessità sociali del momento. La fede vi influisce, ma fino
ad un certo punto. Le religioni primitive sono quelle basate sull’osservazione
della natura. Ci si trova in balia di essa e la si personalizza, la si pensa
opera di dei. Poi si sono le religioni che danno molta importanza al caso, o
altrimenti detto alla fortuna. Qui vicino a Roma, nell’attuale
Palestrina, c’era un grande e frequentato santuario dedicato alla Dea
Fortuna. Più avanti nella storia, le dinamiche sociali furono
immaginate come frutto di lotte tra dei. Ogni popolo costituito in nazione con
il suo dio. Tutte queste concezioni religiosi hanno una caratteristica comune:
sono facili da vivere, frutto di tradizioni molto radicate e quindi sentite un
po’ come istintive, e anche di un certo pessimismo in materia di storia umana.
Ci si pensa come totalmente nelle mani di capricciose potenze soprannaturali, e
soprannaturali in quanto non in nostro dominio. Occorre quindi accattivarsene i
favori con riti e sacrifici.
La nostra religione è molto diversa e si
affermò intorno al Mediterraneo, in un processo dei primi tre secoli della
nostra era, all’esito di un travaglio culturale durato circa quattro secoli, gli ultimi dell’era
antica, in cui si avvertì l’insufficienza etica delle più antiche religioni. Il
veicolo culturale dell’affermazione della nostra fede fu l’ellenismo, la
cultura greca diffusa negli ambienti sociali conquistati da Alessandro il
grande e dai suoi successori dal Quarto
secolo dell’era antica.
La caratteristica principale della
nostra religione è di pensare un’unione molto stretta tra gli esseri umani,
basata su una realtà soprannaturale unica, benigna e molto vicina a ciascuno,
tanto da annullare la differenza tra Cielo e Terra. Non è una
religioneistintiva, naturale, perché
costantemente smentita dalla realtà: pretende, ad esempio, la pace in un mondo
travagliato da continue guerre. E’ espressione di una certa insoddisfazione per
come vanno le cose nella natura e nella società: si vorrebbe porre
rimedio ai mali che manifestano. E’ il frutto, quindi, di una conquista
culturale, anche se corrisponde ad esigenze molto profonde degli esseri umani,
ad una loro fede indubbiamente piantata in loro. Richiede
quindi un impegno di approfondimento. Questo è, appunto, ciò che manca tra noi
di questi tempi.
La capacità di raggiungere quella conquista
culturale si ha al termine di un processo di formazione che possiamo ritenere
in qualche modo sufficiente alla fine delle scuole superiori. E’ in quel
momento che, ad esempio, si hanno le basi per capire alcuni documenti religiosi
molto importanti come le Costituzioni Luce
per le genti e La gioia e la speranza del Concilio Vaticano 2°, che, come diceva
Giovanni Battista Montini - papa Paolo 6°, sono il catechismo del mondo moderno. I catechismi per le varie età diffusi
dalla Conferenza episcopale italiana e da altre istituzioni religiose ne sono
versioni semplificate. Il Catechismo della Chiesa Cattolica è, invece, un
documento normativo diretto ai teologi, non uno strumento formativo popolare, e
richiede un’istruzione a livello universitario per essere capito.
Purtroppo il nostro sistema di formazione
permanente degli adulti alla religione è molto carente, per vari motivi. Non ci
sono le forze per reggerlo e, in genere, non si ha nemmeno il tempo e la voglia
di parteciparvi. Ci si contenta, così, di una coscienza religiosa un po’
superficiale. La situazione si aggrava molto con il trascorrere degli anni
dall’uscita del percorso formativo. Già nei quarantenni è piuttosto seria. I
più anziani mantengono solo vari ricordi. Solo chi per professione ha dovuto
approfondire tematiche culturali, come gli insegnanti, ne sanno di più.
Qual è il compito dell’Azione Cattolica di
oggi?, mi ha chiesto una signora del nostro gruppo? E’ la realizzazione dei
deliberati del Concilio Vaticano 2°, ho risposto senza esitazioni. Una riforma
religiosa, quella di quel Concilio, che
comprendeva l’esigenza di una migliore coscienza religiosa. Questo significa
darsi, come associati, una disciplina formativa, riprendendo certi testi e
discutendone. Ma anche cercare di spiegarli agli altri, dopo averli compresi.
Non è
possibile una fede irriflessa, istintiva? E’ un inizio, ma non basta.
Soprattutto non basta per quel lavoro di cambiare il mondo che è oggi richiesto
dalla dottrina sociale come dovere per la persona religiosa. Per produrre
cambiamenti, occorre capire e capire in modo affidabile. Questo fu compreso
molto bene fin dagli inizi del nostro moderno associazionismo. E’ la ragione
per la quale, ad esempio, nel gruppo fondato nell’Ottocento a Viterbo da Mario
Fani si istituì una biblioteca popolare e si faceva scuola. Così come la faceva
un’altra grande anima della nostra religione: Lorenzo Milani.
1.8
Religione difficile
(17-10-18)
La
nostra religione ha avuto problemi negli ultimi cinquant’anni. Antropologi,
sociologi e teologi hanno cercato di capirne le cause. Sono coinvolte quelle
scienze perché esse riguardano i modi di vivere e di pensare, le
dinamiche della società e le concezioni sul soprannaturale che si sono diffuse.
I risultati di questa riflessione non convincono del tutto, ad esempio quando
mettono in risalto una certa maggiore incredulità rispetto al passato. I
problemi si apprezzano maggiormente nelle realtà di base che ai vertici del
potere religioso, dove, in definitiva, può immaginarsi, e non senza ragione,
che tutto stia andando un po’ come prima. I costumi curiali e gli ambienti
principeschi in cui talvolta si lavora possono favorire questo straniamento dal
popolo. Per questo è molto apprezzabile la scelta del Papa regnante di vivere
in un appartamento in albergo. Poteri civili e religiosi continuano,
come nei millenni passati, ad accreditarsi a vicenda, anche se in Europa è
venuta meno, nel processo di pacificazione europea iniziato dalla metà degli scorsi
anni ’40, al termine della Seconda guerra mondiale, la sacralizzazione del
potere civile, che legava molto più strettamente quest’ultimo al
potere religioso e, in genere, alla religione. E’ per quella via che gli
europei, nella loro crudele conquista del mondo, poterono pensare di avere il
Cielo dalla loro parte e di svolgere una missione religiosa mentre
sottomettevano, spesso annientandoli, altri popoli e altre culture.
Le antiche religioni non
sono finite dopo l’affermarsi della nostra, ma si sono trasformate
inculturandola. Le loro credenze sopravvivono in diversi modi nella nostra, ad
esempio in molti riti popolari. Questo è stato sfruttato dal potere religioso,
in particolare quando, in Europa, e in particolare in Italia, ha avuto problemi
con quelli civili e ha cercato di mobilitare le masse in suo soccorso. Si
tratta di una religiosità che funziona ancora molto bene e si esprime nella
spiritualità di massa dei santuari e delle apparizioni. Durante il Concilio
Vaticano 2° si cercò di correggerla. Si volle progettare una formazione
religiosa più accurata, più vicina a ciò che è il cardine della nostra fede: se
ne parlò come di svolta cristologica. In questo quadro
si propose di fare dell’umanità una sola famiglia come obiettivo religioso. Questo
privò di consistenza le ideologie politico-religiose di sacralizzazione che
avevano base nazionalistica, quelle che erano l’espressione moderna dell’antica
concezione di un popolo legato ad un dio. Tutto questo incise sulla religiosità
degli europei, molto basata sulla sacralizzazione dei poteri civili e sulla
sopravvivenza culturale di certi elementi delle antiche religioni della natura
e della storia a sostegno di essa, per cui si immaginava che venendo meno il
dominio degli europei sul mondo, le cose si sarebbero messe molto male.
All’origine della spaccatura verticale e durissima tra fazioni religiose in
Italia c’è appunto la contrapposizione frontale tra chi vorrebbe tornare
all’antico sistema, essenzialmente questa volta in funzione difensiva verso un
mondo che assedia l’Europa e chi vorrebbe proseguire sulla via indicata dal
Concilio Vaticano 2°.
I sociologi hanno
osservato che il processo di secolarizzazione, vale a dire il minor credito
sociale della religione, interessa sostanzialmente solo l’Europa, è un problema
essenzialmente europeo. E’ la coscienza degli europei ad essere implicata.
Nelle altre parti del mondo va molto diversamente. In un certo senso gli
europei non sanno più bene che pensare di se stessi. La religione ancora tra
loro prevalente li spinge a farsi interpreti e fautori di una civiltà
dell’amore, quella che vorrebbe fare dell’umanità una sola famiglia, ma non
capiscono più bene perché dovrebbero farlo, in un mondo in cui si va in
tutt’altra direzione e ognuno si fa gli affari propri e pretende di
fare bene così, anche dal punto di vista religioso. Così si avvicinano alla
religione se manifesta l’antica religiosità della natura e della storia, quella
che prometteva di ammansire le potenze soprannaturali nascoste nella natura o
di far prevalere un popolo sugli altri. Ma appena si iniziano a fare i discorsi
che i saggi del Concilio vollero che si facessero, in quel nuovo processo
formativo, non intendono più. I più anziani, poi, che sono sempre di più tra
noi e in particolare nelle realtà religiose di base, quel passaggio culturale,
in genere, non l’hanno mai neppure iniziato. Tutto è stato coperto dall’ingenuo
papismo introdotto da san Karol Wojtyla al termine degli anni ’70 e dell’ultimo
travagliato periodo di papato del suo predecessore, san Giovanni
Battista Montini, che aveva segnato il clamoroso insuccesso del nuovo processo
formativo, che, iniziato alla fine degli anni ’60, apparentemente
stava portando alla dispersione del gregge.
1.9
La democrazia come problema religioso per il cambiamento della società
(13/17-10-18)
1. Chi ha meno di sessant’anni
non ha vissuto consapevolmente i tempi di Giovanni Battista Montini, che regnò
in religione come papa Paolo 6° tra il 1963 e il 1978. E molti di quelli più
giovani non hanno avuto né il tempo né il desiderio di approfondire. E ancora
non li hanno. Vivranno quindi superficialmente le celebrazioni della
canonizzazione che si farà oggi e che non riguarderà solo Montini, ma anche
Oscar Romero, assassinato in una chiesa, durante la Messa, nel 1980, da
arcivescovo di San Salvador, nel piccolo stato centroamericano di El Salvador,
al tempo di una repressione fascista: egli seguiva e insegnava una delle
versioni della teologia della liberazione, filone di pensiero e
d’azione iniziato durante la conferenza del 1968 del
Consiglio Episcopale Latino Americano - CELAM - svoltasi a Medellin, in
Colombia, e inaugurata dal papa Paolo 6°. Si tratta di una teologia
sostanzialmente scomunicata da san Karol Wojtyla (il quale pure ne fece proprie
alcune istanze), che non fece proclamare la santità di Romero, invocata a gran
voce dal popolo latino americano. E’ stata riabilitata da Jorge Mario
Bergoglio, Papa attualmente regnante, il cui magistero ne va considerato uno
dei frutti.
La teologia della liberazione, che
si presenta come il più importante movimento di riforma in linea con gli
indirizzi del Concilio Vaticano 2° succeduto a quella grande assemblea di
vescovi con il Papa, tenutasi a Roma tra il 1962 e il 1965, partiva dalla
compassione per i poveri, coloro che vivevano situazioni economiche e sociali
di oppressione e di emarginazione, dal considerare questa, la
povertà reale, come un male anche dal punto di vista religioso
frutto di sistemi economici e sociali che potevano essere riformati, e dal
concepire l’impegno religioso innanzi tutto come solidarietà, protesta e azione
di riforma in favore dei poveri, mediante uno stile di vita personale e
comunitario di povertà spirituale, intesa come disponibilità alla volontà
divina. Farsi poveri, dunque, vale a dire disponibili a quella
volontà, per soccorrere i poveri, gli oppressi ed emarginati, riformando la
società, e questo come dovere religioso. Da qui il tema centrale della teologia
della liberazione: l’opzione preferenziale per i poveri. Non si tratta
però di qualcosa di facoltativo, osservò il teologo
Gustavo Gutiérrez nell’introduzione all’edizione del 1988
del suo libro del 1971 Teologia della liberazione(edito
in traduzione italiana da Queriniana), come se la si potesse fare o non fare
come credenti, perché non è facoltativo l’amore che dobbiamo ad ogni persona
senza eccezione. Si volle esprimere, con quell’espressione opzione
preferenziale per i poveri, il carattere libero e impegnativo della
decisione. Perché farsi poveri per aiutare i
poveri sconfiggendo le cause sociali della povertà? Il motivo
ultimo, scrisse Gutierrez nel testo che ho citato, non sta nell’analisi sociale
di cui facciamo uso, nella nostra compassione umana o nell’esperienza
diretta che possiamo avere della povertà: «[…] il
povero è preferito non perché sia necessariamente migliore degli altri dal
punto di vista morale e religioso, ma perché Dio è Dio, Colui per il quale “gli
ultimi sono i primi”. Questa affermazione perentoria si scontra con la nostra
frequente e angusta maniera di intendere la giustizia, ma è proprio questa
preferenza a ricordarci che le vie di Dio non sono le nostre vie (Isaia 55,8)».
Fu il Concilio Vaticano 2° a
indicare la via per un impegno religioso per cambiare il mondo, in
particolare deliberando la Costituzione pastorale La gioia e la
speranza - Gaudium et spes, per il motivo che in religione si
insegna autorevolmente che abbiamo un unico Padre e che quindi siamo una sola
famiglia, noi, tutta l’umanità, solidali e solleciti verso gli altri come si è
in famiglia, come descritto nella prima frase della Costituzione dogmatica di
quel concilio Luce per le genti - Lumen gentium:
«Le gioie e le
speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri
soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze,
le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla Vi è di genuinamente
umano che non trovi eco nel loro cuore», questa
la frase iniziale della Costituzione La gioia e la speranza.
In altre parole,
secondo quella teologia, per un credente è intollerabile l’esistenza di
situazioni di oppressione e di sfruttamento. La via dell’impegno per la riforma
sociale è quella di farsi poveri nel senso di
disponibili a seguire veramente la via religiosa, ripudiando ogni compromesso.
Questa prospettiva priva di fondamento teologico qualsiasi forma di conciliazione che
comporti l’accettazione dell’oppressione e dello sfruttamento e quindi i tanti
modelli di sacralizzazione dei poteri civili nei quali la
Chiesa storicamente si compromise, intendendola come male minore e
in vista di benefici materiali e sociali che la fecero ricca e potente in un
mondo di oppressi e sfruttati. E, nei suoi più recenti sviluppi, indica quella
della liberazione dall’oppressione e dallo sfruttamento come
una via di salvezza non solo per i poveri in senso
materiale, ma per tutti. L’ingiustizia sociale, se non corretta, farà affondare
le società intere, non solo la loro parte posta ai margini.
L’eco di quella concezione è
evidente in un documento come l’enciclica Laudato si’, diffusa
nel 2015 da papa Jorge Mario Bergoglio, gesuita latinoamericano, regnante come
Francesco in religione.
2. Ci si illudeva che le
idee del Concilio Vaticano 2° sarebbero state ben accolte dalle nostre comunità
religiose. Parte di esse erano però coinvolte nelle molte sacralizzazioni politiche
attuate nel mondo, in particolare nell’Occidente, tanto permeato dalla nostra
fede. Del resto, il dominio degli europei su quasi tutto il resto del mondo si
era compiuto secondo la più spettacolare di quelle sacralizzazioni, quella che
considerava le stragiste guerre di conquista degli europei come espressione di
una missione religiosa evangelizzatrice. Essa fu particolarmente evidente
nell’America Latina, caduta sotto il dominio delle monarchie cattoliche di
Spagna e Portogallo.
Il Concilio Vaticano 2° aprì
la via, nei successivi cinque anni a vivacissimi fermenti religiosi che, ad
esempio, condussero al nuovo statuto dalla nostra Azione Cattolica, approvato
nel 1969 sotto la Presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e, come sopra ho
ricordato, al movimento di riforma prima pensato nella linea della
nuova dottrina sociale di quel Concilio e poi deliberato come
parte del Magistero nel 1968 nel corso della conferenza di
Medellin del Consiglio Episcopale Latino Americano. Ma anche a veementi
polemiche all’interno della Chiesa tra le fazioni dei riformatori e dei
reazionari, che volevano tornare alla conciliazione tra religione e politica
attuata sotto il Papato di Eugenio Pacelli - regnante come Pio 12° dal 1938 al
1958. Si temette che la Chiesa potesse sfasciarsi. Il nuovo, ad esempio le
nuove liturgie nelle lingue nazionali, era sorprendente, ma si stavano
lasciando tante sicurezze del passato: sembrò che mettere la religione nelle
mani del popolo, ad esempio facendogliene comprendere i riti, la mettesse in
pericolo. Parlare tanto di povertà sembrò che mettesse in
pericolo l’ordine sociale che garantiva la sopravvivenza stessa della Chiesa.
Ecco quindi che da subito, fin dall’anno in cui il Concilio si chiuse, si cercò
di porvi rimedio correggendo l’impostazione
conciliare e cercando di frenarne gli sviluppi. Nell’articolo di due giorni fa
su La Repubblica Alberto Melloni ha ricordato alcune
decisioni in quel senso del papa Paolo 6° e, in particolare, l’impulso alla
preparazione di una Legge fondamentale della Chiesa, una vera e
propria costituzione come si davano gli stati, che avrebbe corretto interpretazioni
ritenute eccessivamente riformiste della teologia conciliare (i lavori,
iniziati nel 1965, nel novembre che precedette la conclusione del
Concilio, e proseguiti negli anni ’70, non ebbero seguito), i
tentativi di normalizzazione dell’Ordine dei Gesuiti,
che staccandosi da una storia generalmente conservatrice e
addirittura reazionaria avevano iniziato a procedere velocemente nella via
indicato dal Concilio Vaticano 2°, la decisione di convincere l’arcivescovo di
Bologna, Giacomo Lercaro, uno dei protagonisti di quel Concilio, di lasciare la
sua carica, dopo un’omelia contro i bombardamenti statunitensi nella guerra in
Vietnam, nel 1968. Ma anche decisioni, e soprattutto azioni, in senso diverso.
Il papa Paolo
6° morì nel 1978 angosciato da quella situazione che ho cercato di
descrivere. Fu ad un uomo dell’Europa Orientale, rimasta sostanzialmente
indenne da quel travaglio perché caduta nel dominio del comunismo ateo di
scuola sovietica e dunque libera da certi sensi di colpa degli Occidentali, in
quanto immemore del suo passato ma tutta concentrata sul suo difficile
presente, che fu affidato il compito di moderare gli influssi riformistici
conciliari. A Paolo 6° successe Giovanni Paolo 2°. Il nuovo Papa, forte del suo
grande carisma personale, fece ciò che ci si aspettava da lui procedendo ad una
estesa opera di repressione teologica e clericale, tuttavia senza
raggiungere gli eccessi di inizio Novecento nella persecuzione del modernismo,
e commissionando e approvando il Catechismo della Chiesa
Cattolica, deliberato nel 1992 non solo come sussidio ma come documento
ideologico normativo. Da oggi saranno santi, quindi
proposti a modello per i credenti, i Papi del Concilio, Giovanni 23° e Paolo
6°, e il Papa che del movimento innescato dal Concilio volle essere moderatore
e censore, Giovanni Paolo 2°. Il primo diede l’impulso, l’ultimo cercò di
frenare: Paolo 6° espresse tendenze intermedie, desideroso ma anche timoroso
del nuovo. Ad un franco sguardo retrospettivo bisogna riconoscere che il
governo del papa Giovanni Paolo 2° spense gli aneliti conciliari, silenziandone
ma non sopendone del tutto le controversie, ostacolandone gli
sviluppi nel pensiero teologico, conducendo i cattolici italiani, che dal suo
influsso furono particolarmente plasmati, in una sorta di stato di incantamento
di stasi, che è la nostra condizione attuale, nell’Italia di oggi. Ma anche la
via percorsa da Paolo 6° appare insufficiente. Ciò che gli era in parte
riuscito durante il Concilio, tenere tutti insieme a prezzo di qualche
concessione al passato, non funzionò nella società: non si riuscì ad
organizzare dal vertice una via moderata al cambiamento, innanzi tutto cercando
di dilazionarlo nel tempo, in modo che fosse assunto a piccole dosi.
Oggi si celebra la
vita di persone proposte come esemplari in religione, ma è su che
cosa vogliamo essere, noi, oggi, che dovremmo riflettere. Perché il dilemma che
si presentò negli anni ’70, che tanto travagliarono la vita e il ministero del
Montini, riguarda anche noi. Andare avanti o tornare indietro? E a che velocità
andare avanti?
La Chiesa è spaccata
verticalmente come allora. Movimenti di impostazione sostanzialmente
neofascista reclamano una nuova sacralizzazione della loro
politica. Da soli, più che sventagliare qualche rosario qua e là, non riescono
a fare, non gli basta. Hanno bisogno di una teologia e di un magistero
compiacenti. Si è diffusa, in Europa, e anche da noi in Italia, una mentalità
da assediati. Chi sono gli assedianti? Sono i poveri che si voleva liberare e salvare secondo
gli auspici del Concilio Vaticano 2°, per liberare e salvare tutti,
anche quelli che avevano avuto la parte migliore: dall’ingiustizia e dal duro
destino che attende gli ingiusti, man mano che la loro ingiustizia si afferma
travolgendo le società da cui dipendono anche loro le vite di privilegiati. Si
è immemori della cause sociali della povertà, e si getta sui poveri la colpa
della povertà. La giustizia viene di nuovo concepita come il dare a
ciascuno il suo, ai ricchi la ricchezza, ai poveri il loro triste destino:
il problema della povertà, così, ridiventa questione di ordine pubblico, da
trattare per le spicce con metodi polizieschi, invece che questione
sociale.
Da che parte stare? Verso
dove muoversi?
La fabbrica dei santi non
aiuta, perché ha proposto come esemplari figure di capi religiosi che
indicavano vie diverse: Roncalli, Montini, Wojtyla e Romero.
Rimaniamo con il nostro
problema di coscienza. Farsi poveri o accettare quel
tanto di povertà o ingiustizia che ci rende possibile la nostra tranquillità di
europei, capitati in una delle società più sviluppate, e quindi più ricche, del
mondo? La via originaria del Concilio, espressa dal magistero di Roncalli e
Romero, quella attenuata di Montini, quella della stasi, del non più di
così, di Wojtyla. Quanto a quest’ultima, se ne possono vedere i
frutti nella Polonia di oggi, alla quale anche parte dell’Italia sembra
guardare di nuovo, come negli anni ’80, per trarre esempio.
La prima cosa da fare è
saperne di più, studiare, capire. La conoscenza dei fatti e ideologie della
religione è in genere piuttosto superficiale nei più, e questo nonostante
l’insegnamento religioso impartito nella scuola pubblica. E, per chi ha meno di
sessant’anni, non soccorre il vissuto personale. Le celebrazioni per una
canonizzazione non sono il tempo giusto per farlo, ma possono costituirne
l’incentivo. Oggi l’agiografia, la celebrazione dei nuovi santi, prevarrà. Al
popolo che assisterà sarà assegnato un posto e una parte nel rito, secondo
quando scritto nel libretto che sarà messo nelle mani dei presenti. Nulla di
più. Ma già attendendo l’inizio della celebrazione, e probabilmente l’attesa
sarà lunga, si potrà iniziare a confrontarsi sui temi che ho indicato. E poi
bisognerà proseguire dove si vive, innanzi tutto nelle parrocchie, con l’aiuto
dei libri giusti, perché certe cose bisogna impararle leggendo, non ci entrano
in testa semplicemente acclamando, come si dovrà fare oggi.
3. L’accusa più dura, e più dura perché più vera, alle
persone religiose è quella di essersi costruite una divinità, e quindi una
religione, a misura dei loro interessi, “un dio tutto loro”. Gran parte del
lavoro che si fa da persone religiose è quello di redimersene. E lo si fa
facendo spazio agli altri. Questo significa essere missionari.
Nel
lessico di papa Francesco se ne parla come di organizzare un ospedale
da campo, che significa farsi carico delle sofferenze altrui. Nello stesso
tempo egli tiene a precisare che non si è, in religione, una Onlus, un
ente benefico. Quel lavoro che si fa è molto più che filantropia e non basta
andare in soccorso di chi è caduto. Bisogna cambiare la macchina sociale che
produce i sofferenti. Che cos’è il cambiare il mondo, perché
proprio di questo si tratta, se non rivoluzione? E infatti questa
parola, che ancora fa tanta paura, ricorre negli scritti del Papa. Ma in un
senso molto più radicale da come di solito la si intende, vale a dire il
contrapporre violenza a violenza per rivoltare un certo
ordine sociale. Perché la nostra rivoluzione si fa seguendo il nostro Maestro e
comporta anche il ripudio della violenza sopraffattrice, di un mondo che si
regge sulla violenza. La storia ha dimostrato chiaramente, per chi abbia tempo
e modo di studiarla, che nessun ordine che dipenda dalla violenza per
instaurarsi e resistere è veramente rivoluzionario: prosegue solo
la desolante serie del passato. E’ per questo che il Papa, volendo rendere
l’idea di una rivoluzione secondo la nostra fede, ha abbandonato l’immagine
del soldato di Cristo, tanto utilizzata
nel passato, per ricorrere a quella dell’ospedale allestito in
emergenza sui campi di battaglia, l’ospedale da campo, appunto. Si evoca
con questo una società che si pensa pacifica, pacificata e
pacificatrice e invece è in guerra, molto violenta. Quella che produce gente
da buttar via, scarti nel lessico del Papa, e che
respinge.
«Il dovere che
la Chiesa ha di chinarsi su tutte le ferite dell’umanità e di operare perché
nessuno possa risultare uno scarto non le deriva da qualche forma di neutrale
filantropia: è esigenza del Vangelo della misericordia, che è chiamata ad
annunciare.
Esso, proprio
perché è annuncio del cuore di Dio che si china sulle miserie -compreso il
peccato e ogni divisione degli uomini tra loro- non può essere
ridotto all’individuale rapporto del singolo con Dio o a qualcosa
che rimandi ad un aldilà che nulla avrebbe a che fare con l’aldiqua di una
vita, spesso misera degli uomini. Il Papa lo chiarifica mettendo in evidenza la
portata sociale dell’evangelizzazione, rilevando che il Vangelo implica il
regnare di Dio nel mondo, permettendo così che la vita sociale diventi “uno
spazio di fraternità, di giustizia, di pace, di dignità per tutti”»
[da: Roberto
Repole, Il sogno di una Chiesa evangelica. L’ecclesiologia di papa
Francesco, Libreria Editrice Vaticana, 2017, pag.87-88].
Quell’idea
di evangelizzazione, oggi come negli anni ’60 quando cominciò
a diffondersi, è ai tempi nostri duramente contestata da ogni tipo
di reazionari, quelli che vorrebbero che si tornasse come si era prima. Si
reclama a gran voce una religione che torni a sacralizzare le
società degli europei così come sono, violente e ingiuste come
sono, a ridar loro sovranità non solo
sui corpi ma anche sulle anime. C’è nostalgia, insomma, di quando c’era
un dio tutto nostro. Perché c’è stato, indubbiamente. E noi europei
ne abbiamo anche fatta evangelizzazione, lo abbiamo addirittura imposto con la
violenza, distruggendo le culture altrui per insediarlo al loro posto. Prima di
ricominciare, noi stessi, a rievangelizzarci alla sequela del vero Maestro.
4. L'apporto più importante del Montini
fu, credo, la sua azione per lo sviluppo della democrazia avanzata, piena di
grandi valori umanitari, da realizzarsi con un'intensa opera di formazione
popolare guidata da persone colte e competenti.
Un intento che inizia a manifestarsi fin dal
libretto Coscienza universitaria, del 1930, durante il suo
ministero di Assistente generale della Fuci - l'organizzazione degli
universitari cattolici, che all'epoca era inquadrata nell'Azione Cattolica -
nel quale si legge:
«[...] tocca a noi fare
dell'intelligenza un mezzo di unità sociale; tocca a noi rendere la verità
tramite della comunicazione tra gli uomini, tocca a noi diffondere
"l'unità di pensiero". [...] è una delle speranze del mondo moderno,
pur tanto traviato, questa tensione immensa verso la unificazione del
genere umano, e sarà forse è [...] l'opera buona [...] perché darà, come
l'unità del mondo romano lo diede al primo cristianesimo, il mezzo per riunire
tutti i figli della terra in un solo nome e in una sola famiglia.
Ma è pur vero che questo non è voluto e non è capito. Quelli stessi che adesso
parlano di "unità sociale" sono spesso tanto convinti che il pensiero
sia contro tale unità, che dicono di voler prescindere da ogni
ideologia; e credono di eliminare così l'ostacolo, altrimenti
insuperabile, per un'effettiva e concreta compaginazione collettiva di
coscienze e di opere. [...] Ciascuno deve avere una visione propria [...] si
pretende che ognuno [...] debba inventarsi una sua soluzione dei problemi
fondamentali del sapere [...[ Vale a dire che l'intelligenza è educata in modo
da dividere e differenziare gli uomini fra loro. [...] com'è facile
ascoltare discorsi pronunciati con la più inamidata solennità, press'a poco
così "E' questione di principi: ciascuno ha i suoi; ed è impossibile
andare d'accordo sui principi. Ciascuno conserva le sue idee. Piuttosto
possiamo essere d'accordo per via di fatto; non in teoria, ma in pratica;
nel campo degli affari. Questi sì, sono di tutti, perché non sono opinioni".
[...] E così che le forze, a cui è affidato il provvidenziale compito di
affratellare i popoli fra loro, non sono quelle redentrici e santificatrici
dello spirito, ma sono quelle economiche, quelle del progresso esteriore,
quelle immensamente pesanti della materia, che da un momento all'altro possono
trasformare in schiavitù spietata, o in ribellione violenta, la società che son
riuscite a creare tra gli uomini.
[...]
E' perché crediamo al fondamento
oggettivo della verità che abbiamo fiducia di incontrare in essa, come in un
unico punto di riferimento, le menti che vanno cercandola o che l'anno trovata.
[...] E' sui principi che avviene l'accordo. [...] E' così che avere un
pensiero, una dottrina, un'ideologia non è ostacolo alle formazioni collettive,
ma diventa una necessità, e costituisce allo stesso tempo la garanzia più
stabile degli organismi sociali e la semplificazione più benefica
liberatrice delle pesantezze burocratiche e autoritarie. [...] E' il regno
della carità umana. [...] E ciò che accresce l'ammirazione di tanto fenomeno si
è che tale coincidenza di pensiero non è ottenuta per via di contratto, di
rinuncia, o di compromesso con cui gli associati transigono fra di loro su una
porzione dei propri diritti spirituali e cercano con il tributo così estorto di
costituire un patrimonio comune di credenze e di pensiero, come capitale
indispensabile per realizzare una qualsiasi convivenza [...] Noi siamo
universitari. Noi siamo cristiani, Noi siamo cioè i ricercatori
dell'universalità e dell'unità. Noi siamo giovani, e perciò viviamo ciò
che pensiamo. Spetta a noi quindi nella scuola e nella vita preparare la
società delle intelligenze e della comunione dei santi».
Quindi poi: inculturare la politica con i valori fondamentali mediante lo strumento
della democrazia, e quindi creare, e prima di tutto pensare, una nuova
democrazia piena di quei valori. Da questo pensiero non è nata solo la nuova
democrazia italiana, ma anche la nostra nuova Europa. Un'opera epocale e,
purtroppo, ai tempi nostri misconosciuta, oltre che semplicemente ignorata. Ne
troviamo tracce importanti nei radiomessaggi diffusi tra il 1939 e il 1945
sotto l'autorità di Eugenio Pacelli - papa Pio 12°, ma scritti con l'importante
contributo del Montini, che ho pubblicato qualche giorno fa, e in
documenti come l'enciclica Lo sviluppo dei popoli - Populorum
progressio del 1967 e la lettera apostolica L'ottantesimo
anniversario [dalla pubblicazione dell'enclicica Le novità - Rerum
Novarum, del papa Vicenzo Gioacchino Pecci - Leone 13°] Octogesima
adveniens, del 1971.
Il papa Paolo 6° fu molto
avversato in vita, da reazionari e progressisti, e molto diffamato poi.
Da ragazzi, noi giovani di allora, lo sentimmo sempre più vicino mentre si
avvicinava per lui la fine, nei tristi anni '70, sorprendendoci con la sua
umanità. Ma io lo compresi veramente solo molti anni dopo, quando ebbi la
maturità sufficiente. Iniziai a capirlo, però, quando lo sentii pronunciare, a
San Giovanni in Laterano, la dolente preghiera alla Messa funebre per Aldo Moro,
il 13 maggio 1978:
«Ed ora le nostre labbra,
chiuse come da un enorme ostacolo, simile alla grossa pietra rotolata
all’ingresso del sepolcro di Cristo, vogliono aprirsi per esprimere il «De
profundis», il grido cioè ed il pianto dell’ineffabile dolore con cui la
tragedia presente soffoca la nostra voce.
E chi può ascoltare il nostro
lamento, se non ancora Tu, o Dio della vita e della morte? Tu non hai esaudito
la nostra supplica per la incolumità di Aldo Moro, di questo Uomo buono, mite,
saggio, innocente ed amico; ma Tu, o Signore, non hai abbandonato il suo
spirito immortale, segnato dalla Fede nel Cristo, che è la risurrezione e la
vita. Per lui, per lui.
Fa’, o Dio, Padre di
misericordia, che non sia interrotta la comunione che, pur nelle tenebre della
morte, ancora intercede tra i Defunti da questa esistenza temporale e noi
tuttora viventi in questa giornata di un sole che inesorabilmente tramonta. Non
è vano il programma del nostro essere di redenti: la nostra carne risorgerà, la
nostra vita sarà eterna ! Oh! che la nostra fede pareggi fin d’ora questa
promessa realtà. Aldo e tutti i viventi in Cristo, beati nell’infinito Iddio,
noi li rivedremo!
E intanto, o
Signore, fa’ che, placato dalla virtù della tua Croce, il nostro cuore sappia
perdonare l’oltraggio ingiusto e mortale inflitto a questo Uomo carissimo e a
quelli che hanno subito la medesima sorte crudele; fa’ che noi tutti
raccogliamo nel puro sudario della sua nobile memoria l’eredità superstite
della sua diritta coscienza, del suo esempio umano e cordiale, della sua
dedizione alla redenzione civile e spirituale della diletta Nazione italiana!».
Ecco, sintetizzata con le sue
stesse parole, la ragione della grandezza di Montini: aver suscitato, in tempi
bui, e contribuito in maniera determinante a realizzare, con i suoi amici, in
uno spettacolare lavoro collettivo, la redenzione civile e spirituale della Nazione italiana, da lui e dai suoi
amici "diletta" mediante l’azione democratica. Un'opera patriottica, quindi, a vera
chiusura della Questione romana, e nello stesso tempo europea e mondiale,
universalistica, perché espressione di un'ideologia con caratteristiche
universalistiche, tesa a fare di tutta l'umanità un'unica famiglia, a
superamento dello stragista sovranismo del fascismo storico.
La
democrazia come fattore di unità delle masse (non solo di ceti privilegiati)
sui valori, non quindi fonte di
divisione sociale secondo l’opinione dei reazionari di sempre, i quali
preferirebbero trascinare le masse al seguito di un capo indiscutibile. Un
mondo veramente nuovo, come mai c’era stato nel passato,
E mi risuonano sempre dentro le
sue accorate parole la mattina di Pasqua, rimandate da radio e
televisione: "Cristo è risorto! E' veramente risorto!". L'annuncio
che un mondo diverso è veramente possibile.
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2
Azione Cattolica è azione nella società
democratica
(26
settembre 2012)
Le associazioni e i movimenti ecclesiali hanno
sempre qualcosa che è comune a tutti e qualcos’altro che è peculiare di
ciascuno di essi. Qual è lo specifico dell’Azione Cattolica?
L’Azione Cattolica nasce nel Novecento per
confrontarsi con le democrazie popolari di massa da persone di fede. Essa venne
costituita dal papato, quindi dall’autorità ecclesiale, sulla base di un vivace
movimento sorto tra il laici cattolici italiani nel corso dell’Ottocento. L’
“azione” che c’è nella sua denominazione è dunque essenzialmente quella nella
società.
Si tratta di un’associazione di laici convinti
della propria fede e persuasi che democrazia ed esperienza religiosa non siano
in antitesi. L’idea fondamentale alla base dell’esperienza associativa è che i
valori della fede possano plasmare la società civile attraverso l’opera di
laici che cooperano democraticamente con le altre forze sociali, in un contesto
istituzionale democratico. L’Azione Cattolica non ha scopi puramente difensivi
degli interessi della Chiesa come istituzione, né è volta ad assoggettare la
società civile al governo dell’autorità ecclesiastica. Non mira a ritornare ai
tempi passati, non è quindi una forza reazionaria. E’ non è nemmeno una forza
conservatrice, perché, in particolare dopo il Concilio Vaticano 2°, è impegnata
nella riforma sociale secondo gli ideali evangelici: in questo senso è un
movimento che punta a un miglioramento, quindi a un progresso, della società
civile.
Nell’esperienza di Azione Cattolica è molto
importante l’approfondimento delle verità di fede come parte di una
spiritualità che cerca un’adesione consapevole e informata alla religione professata.
E tuttavia quello in Azione Cattolica è un impegno che presuppone una
formazione catechistica precedente. Non è quindi caratterizzata da un percorso
di iniziazione religiosa. Si entra già persuasi della propria fede.
Gli associati nell’Azione Cattolica
partecipano alle attività liturgiche e di formazione della Chiesa, ma ciò che
caratterizza veramente il loro impegno, quello che è loro peculiare, è
l’impegno collettivo e individuale nella società in cui vivono da laici, con
piena cittadinanza. L’Azione Cattolica non è quindi un’aggregazione che vuole
costituire un’alternativa a quel tipo di impegno, un mondo chiuso in sé stesso
dove sviluppare la propria socialità e la propria personalità. I momenti di
incontro che si hanno nell’associazione sono diretti a migliorare l’azione
nella società che c’è fuori, in cui gli aderenti vivono, da laici, nella
famiglia, nel lavoro, nella cultura, nella politica.
Detto ciò, è chiaro che nei gruppi spesso si
sperimenta una certa distanza tra gli ideali associativi e la realtà
particolare. Accade anche a noi, in San Clemente Papa?
L’età media del nostro gruppo è piuttosto
alta: in che cosa ci differenziamo da un “gruppo anziani”?
Giovani e anziani possiamo riscoprire di avere
tra noi, nella nostra esperienza associativa, un tesoro prezioso da preservare,
che è quel modo di impegno nella società, da gente di fede, di cui dicevo.
Qualcosa che ci è proprio e che non ha attualmente sostitutivi. Qualcosa che è
ancora necessario alla Chiesa di oggi.
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3
Agire da gente di fede nella società
democratica di oggi
(29
settembre 2012)
In una società ordinata democraticamente le
moltitudini dei cittadini hanno la possibilità di influire di più sul corso
delle cose. E ci sono valori da definire, perché, quando si comanda in molti,
bisogna trovare un accordo per rispettarsi a vicenda e poi su quello che deve
essere fatto e su come farlo, e infine per stabilire come si forma la volontà
di tutti, che necessariamente deve, alla fine, essere unitaria. In una
monarchia assoluta, come ce ne sono state in passato e come ce ne sono ancora (poche, non so se si
arriverebbe a cinque volendo fare l’inventario), è diverso. Decide uno solo, o meglio, spesso, decide la
famiglia reale o la corte che ruota intorno ad essa e gli altri devono attuare,
con una discrezionalità più o meno ampia. Come una volta si provvedeva a
istruire e formare i giovani rampolli delle famiglie regnanti, così ora questo
lavoro si fa su più larga scala, perché vanno formate all’esercizio della
sovranità le masse dei cittadini. Il sistema dell’istruzione pubblica serve
anche a questo.
L’avvento, dalla fine del Settecento, delle
democrazie, non è stato indolore per la Chiesa cattolica, mentre non vi sono
stati problemi per altre Chiese cristiane, come quelle che sorressero fin dagli
inizi le idealità del nuovo stato federale uscito dalla rivoluzione
nordamericana contro il Regno Unito (“In
God we trust – Confidiamo in Dio” fu
ed è uno dei suoi motti). Quale ne è stata la ragione? Il problema è che la
Chiesa cattolica era (ed è ancora) ordinata come una monarchia assoluta. E una
di quelle monarchie assolute contemporanee di cui dicevo l’abbiamo proprio qui
a Roma ed è la Città del Vaticano, che la Santa Sede ha ordinato come un vero e
proprio stato, con una propria costituzione, propri uffici e servizi
amministrativi e giudiziari, una propria polizia e un piccolo (ma molto
motivato) esercito.
Con l’avvento, in Europa, delle democrazie, i
cattolici, laici e clero, si posero il problema di come e su che basi influire
in esse. I Papi, nell’Ottocento e fino a metà del Novecento, considerarono con
preoccupazione la politica democratica. Una pronuncia in questo senso la
troviamo ancora agli inizi del Novecento, rispondendo a che pretendeva di
conciliare democrazia e valori esplicitamente cristiani. Diciamo così i Papi
che non si fidavano tanto dei nuovi “sovrani”, delle masse elevate alla
cittadinanza, anche se anche gli antichi monarchi assoluti avevano dato
problemi. In Italia le cose furono complicate dalle caratteristiche specifiche
del nostro processo di unificazione nazionale che, per il fatto che il Papa era
sovrano temporale nel Centro Italia, e soprattutto possedeva Roma, si svolse
anche “contro” la Santa Sede, il cui stato, ad un certo punto, fu invaso militarmente, con morti e feriti
(Nella Chiesa di San Luigi dei Francesi una lapide li commemora). La prima
presa di posizione pubblica di un Papa che in cui fu dichiarato che la democrazia
il regime politico preferibile risale al 1944 (radiomessaggio natalizio del
Papa Pio XII): la trovate sul WEB al seguente indirizzo:
http://www.vatican.va/holy_father/pius_xii/speeches/1944/documents/hf_p-xii_spe_19441224_natale_it.html
La
riflessione della Chiesa sui problemi creati dall’avvento delle democrazie e
sulle opportunità determinate dall’elevazione di moltitudini alla sovranità,
con piena cittadinanza, si è espressa in quel vasto corpo di insegnamenti che
va sotto il nome di “dottrina sociale della Chiesa” e che si suole far partire
dall’enciclica Rerum Novarum, del
1891, del Papa Leone 13°. La trovate sul WEB a questo indirizzo:
http://www.vatican.va/holy_father//leo_xiii/encyclicals/documents/hf_l-xiii_enc_15051891_rerum-novarum_it.html
Gli
insegnamenti i questa materia vengono promulgati con autorità dai pontefici e
dai vescovi, ma hanno sempre avuto l’ampia collaborazione dei laici nella loro
ideazione e, più di recente, anche nella loro formulazione. Infatti, quando si
deve trattare del mondo fuori dei templi, quello che nel gergo ecclesiale viene
definito “il temporale”, gli specialisti sono, in fondo, i laici. Questo è
stato riconosciuto formalmente in alcuni importanti documenti normativi del
Concilio Vaticano 2°, ma era già una realtà anche prima.
Oggi
la dottrina sociale della Chiesa cattolica comprende un corpo veramente molto
esteso, tanto che se ne è fatto un compendio, una sorta di testo unico, che
sintetizza dichiarazioni solenni che si sono avute in un arco temporale ormai
più che centenario. Lo trovate sul WEB a
questo indirizzo:
http://www.vatican.va/roman_curia/pontifical_councils/justpeace/documents/rc_pc_justpeace_doc_20060526_compendio-dott-soc_it.html
Come
risulta da quello che ho scritto prima, il ruolo dei laici, per quanto riguarda
l’azione nel sociale negli ordinamenti democratici, è primario e comprende
anche la fase ideativa. Non si tratta solo di eseguire decisioni prese da
altri. Il Papa e i vescovi ci chiedono espressamente di collaborare con loro a
capire i tempi in cui viviamo. Mi fece molto impressione, quando il mio gruppo
F.U.C.I. (gli universitari cattolici) venne ricevuto dal cardinal Vicario
Poletti), sentire che il mio vescovo dichiarava che noi giovani eravamo i suoi
occhi e le sue orecchie nell’Università. Me ne sentii lusingato ma mi resi
anche conto della mia insufficienza. I tempi nuovi richiedono un impegno
maggiore di noi laici: non possiamo limitarci a farci trascinare da un clero
eroico.
E il
lavoro nella società richiede soprattutto un impegno continuo. Le cose non
possono essere pensate una volta per tutte. La dottrina “sociale” della Chiesa,
a differenza di quella “teologica”, è
infatti soggetta necessariamente a continui aggiornamenti, perché i nuovi
problemi, in particolare nel mondo contemporaneo, si producono continuamente.
Ma su certe cose è necessario riflettere insieme. Nessuno, come scrisse Hannah
Arendt, da solo, senza compagni, arriva ad avere una visione sufficientemente
completa delle cose. Questa è appunto
una delle ragioni per associarsi nell’Azione Cattolica: dare continuità
all’impegno di fede nella società civile democratica e vedere le cose da più
punti di vista.
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4
Libertà e democrazia come esperienze
collettive di elevazione delle moltitudini alla piena cittadinanza. Esse
contrastano con la nostra esperienza religiosa?
(30
settembre 2012)
Da Strada
verso la libertà di Paolo Giuntella, Paoline Editoriale Libri, 2004, a
pag.36 (ancora disponibile in commercio ad € 12,00) :
“…presentare
una verità che vi farà liberi come una religione repressiva è quanto di
meno evangelico si possa immaginare. I tarli dell’integralismo e della
mentalità normativa possono ridurre il Vangelo in polvere. No. Tutto al
contrario di quello che dicono i detrattori, il cristianesimo è una grande
esperienza di liberazione interiore. Le Beatitudini sono scritte in positivo,
indicano un modello, una strada: ‘Beati…’. Un’esclamazione di gioia, una
speranza. Il comandamento cardine del Nuovo Testamento, l’amore, indica la forza d’amare, non la forza di non fare. A me piace usare l’espressione
di Martin Luther King, la forza d’amare (che è poi una delle possibilità di tradurre
il vocabolo indiano non violenza;
l’altra è la forza della verità),
proprio perché c’è una proiezione dell’amore in fare, in azione, in forza,
appunto, e non in sdolcinatezza, in sentimentalismo. Dunque amore come energia
creativa, come forza della creatività, come costruire, tessere, unire: una
coppia di innamorati, un gruppo di persone (una comunità), un popolo, il genere
umano”.
Quando, in occasione di incontri religiosi, si affronta il tema
della libertà, molte volte si comincia con l'elencarne i danni, si prosegue con
il fissarne limiti precisi e si conclude che la vera libertà sta nel decidere
liberamente di obbedire. Non è così? Questa impostazione crea qualche problema
nel trattare dell’esperienza religiosa nelle società ordinate come democrazie
di popolo e, in particolare, per stabilire se democrazia e religione possano
andare d’accordo. Un argomento in contrario viene tratto dal fatto che, pur se
oggi riconosce che la democrazia è il regime politico preferibile per la
società civile, la nostra Chiesa al suo interno non è ordinata democraticamente e non vuole esserlo.
La
libertà di tutti, dei popoli interi, è uno degli aneliti fondamentali delle
democrazie moderne e, in particolare, delle democrazie di popolo contemporanee,
che si propongono di elevare alla piena cittadinanza le masse, senza
distinzione tra le persone che le compongono.
E’
scritto nell’art.3, 2° comma, della
nostra Costituzione, legge fondamentale della Repubblica italiana:
“E’ compito della Repubblica rimuovere gli
ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della
persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori
all’organizzazione politica, economica e
sociale del Paese”.
In
questa norma è chiaramente espresso l’impegno democratico, che in Italia è un
obbligo di legge per tutti, di elevazione delle moltitudini alla piena
cittadinanza, senza distinzione di sesso,
razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali, che è come dire alla sovranità comune. Un bel rovesciamento
di prospettiva rispetto, ad esempio, alla condizione degli ultimi nelle
monarchie feudali, nelle quali il potere emanava dall’alto, e poi veniva, come
dire, delegato in parte a persone inserite in diverse posizioni decrescenti di
una scala gerarchica in cui, più in basso di tutti, c’erano moltitudini fatte
di chi non contava nulla ed era semplicemente dominato da quelli che stavano
sopra!
In
una preghiera di origine evangelica che recitiamo ogni giorno nella liturgia
delle Ore, ai Vespri, il Magnificat,
c’è qualcosa che richiama quell’idea. In greco fa kazèilen dinàsta apò trònon/ kài ùpsosen tapinùs, che viene
tradotto nella Bibbia CEI 2010 con ha
rovesciato i potenti dai troni/ha innalzato gli umili. La diversità di
questa concezione rispetto a quella democratica sta nel fatto che in quella
biblica il risultato è soprannaturale
mentre nell’altra è prodotto da un’azione collettiva e consapevole, da una rivoluzione, dal basso. Rivoluzione ha
significato spesso violenza tra le persone e per questo motivo la Chiesa
cattolica, tanto più in quanto storicamente, fin dalla rivoluzione francese
della fine del Settecento, ha fatto le spese di simili moti, ha posto
un’obiezione morale contro di essa. E tuttavia in un ordinamento democratico
contemporaneo certi cambiamenti, certe riforme anche radicali, possono essere
attuati senza violenza, anzi questa è una delle caratteristica salienti dei
regimi politici di questo tipo. Ciò avviene perché, nella concezione
contemporanea, la democrazia integra in sé anche un sistema molto esteso di
valori, che viene definito come quello dei diritti
umani: non è fatta solo della regola per la quale decide la maggioranza. Molte cose sono infatti
sottratte all’arbitrio delle maggioranze. Ad esempio il principio supremo
dell’uguaglianza tra le persone umane. Ed è proprio per questo che ai tempi
nostri l’azione democratica costituisce un’opportunità importante anche per chi
abbia una concezione religiosa della vita e, in base ad essa, ritenga che le
società umane di oggi possano essere migliorate. Uno dei più importanti auspici
che troviamo nella dottrina sociale della Chiesa espressa dal Concilio Vaticano
2° in poi è quello che i laici cattolici, cooperando con altre formazioni nella
società civile, riescano a introdurre nei principi fondamentali degli
ordinamenti democratici valori tratti
dalle idee religiose, mediati,
quindi, come dire, tradotti in modo
che possano essere compresi e accolti anche al di fuori della Chiesa, con
l’impiego del discorso razionale e della cultura nel dialogo con le altre
componenti della società. Per riunire intorno ad essa le forze sociali, i
popoli e, al limite, l’intero genere umano, come scrisse Giuntella. Questo lavoro è centrale in Azione Cattolica. Esso non
è altro che l’espressione della missione della Chiesa nel mondo, tra le genti.
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5
Fede religiosa, uguaglianza e
democrazia: relazioni in veloce
evoluzione
(1
ottobre 2012)
dal Catechismo della Chiesa cattolica (1992) n.1934 e 1935 (nella Parte terza: La vita in Cristo; Sezione
seconda: La vocazione dell’uomo: la vita nello spirito; Capitolo secondo: La
comunità umana; articolo 3: La
giustizia sociale; paragrafo 2°: Uguaglianza e differenze tra gli uomini:
1934. Tutti gli uomini, creati ad immagine
dell’unico Dio e dotati di una medesima anima razionale, hanno la stessa natura
e la stessa origine. Redenti dal sacrificio di Cristo, tutti sono chiamati a
partecipare della medesima beatitudine divina: tutti, quindi, godono di una
eguale dignità.
1935. L’uguaglianza tra gli uomini poggia
essenzialmente sulla loro dignità personale e si diritti che ne derivano:
“Ogni genere di discriminazione nei diritti fondamentali della
persona […] in ragione di sesso, della
stirpe, del colore, della condizione sociale, della lingua o della religione,
deve essere superato ed eliminato, come contrario al disegno di Dio” [dalla Costituzione pastorale Gaudium
et spes del Concilio Vaticano 2°, 29],
Dunque il principio dell’uguaglianza
universale degli esseri umani, fondamento delle democrazie popolari
contemporanee, è oggi legge anche della Chiesa cattolica, in quanto sancito
dalla Costituzione pastorale Gaudium et
spes, del Concilio Vaticano 2° (1962-1965), e dal Catechismo della chiesa cattolica, il quale è molto di più di un
semplice sussidio per l’iniziazione religiosa, ma è anche un documento
normativo, promulgato dal papa Giovanni Paolo 2° con la Costituzione Apostolica
Fidei depositum, dell’11 ottobre 1992 (alcune modifiche furono
apportate in occasione della pubblicazione dell’edizione tipica latina, il 15
agosto 1997).
La
formulazione di quell’ideale di uguaglianza sociale che troviamo nella Gaudium et spes è simile a quella che si legge nell’art.3,
comma 1° della nostra Costituzione (deliberata dall’Assemblea costituente il 22
dicembre 1947 ed entrata in vigore il 1 gennaio 1948), la cui elaborazione
iniziò durante i lavori della prima sottocommissione della Commissione per la
Costituzione dell’Assemblea costituente (luglio 1946 – gennaio 1948) in cui i
cattolici erano ben rappresentati, in particolare dai democristiani Umberto
Tupini, che la presiedeva, Giorgio La Pira (al quale si deve la formulazione
dell’art.2 della Costituzione), Giuseppe Dossetti, Aldo Moro e Camillo
Corsanego. E sostanzialmente essa richiama l’analoga formulazione che troviamo
nell’art.2, 1° comma, della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo
(approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10-12-1948):
1. Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciati
nella presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza,
di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro
genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra
condizione.
Ora,
vi propongo un lavoro comune, perché, in tutta sincerità non ho la sapienza
necessaria per fare asserzioni sicure sul tema: cercate nella storia ormai
bimillenaria della nostra Chiesa dichiarazioni normative (atti dei papi, dei
concili, dei vescovi) analoghe a quella
che trascrivo nuovamente, della Gaudium
et spes, in materia di uguaglianza: “Ogni genere
di discriminazione nei diritti fondamentali della persona […] in ragione di sesso, della stirpe, del
colore, della condizione sociale, della lingua o della religione, deve essere
superato ed eliminato, come contrario al disegno di Dio”.
Vi
sarò grato se mi farete conoscere il risultato della vostra ricerca.
Intanto ricordo che il 12
marzo del 2000, durante il Grande
Giubileo dell’anno 2000, il papa Giovanni Paolo 2° presiedette una solenne
liturgia penitenziale denominata Preghiera
universale – Confessione delle colpe e richiesta di perdono, che comprese
la seguente parte:
[…]
VI. CONFESSIONE DEI PECCATI CHE HANNO FERITO LA DIGNITÀ DELLA DONNA
E L'UNITÀ DEL GENERE UMANO
Un Rappresentante della Curia
Romana:
Preghiamo per tutti quelli che sono stati
offesi
nella loro dignità umana e i cui diritti sono stati conculcati;
preghiamo per le donne troppo spesso umiliate ed emarginate,
e riconosciamo le forme di acquiescenza
di cui anche cristiani si sono resi colpevoli.
Preghiera in silenzio.
II Santo Padre:
Signore Dio, nostro Padre,
tu hai creato l'essere umano, l'uomo e la donna,
a tua immagine e somiglianza
e hai voluto la diversità dei popoli
nell'unità della famiglia umana;
a volte, tuttavia, l'uguaglianza dei tuoi
figli non è stata riconosciuta,
ed i cristiani si sono resi colpevoli di atteggiamenti
di emarginazione e di esclusione,
acconsentendo a discriminazioni
a motivo della razza e dell'etnia diversa.
Perdonaci e accordaci la grazia di guarire le ferite
ancora presenti nella tua comunità a causa del peccato,
in modo che tutti ci sentiamo tuoi figli.
Per Cristo nostro Signore.
R. Amen.
R. Kyrie, eleison; Kyrie, eleison; Kyrie, eleison.
Viene accesa una lampada davanti al
Crocifisso.
…
Orazione conclusiva
Il Santo Padre:
O Padre misericordioso,
tuo Figlio Gesù Cristo, giudice dei vivi e dei morti,
nell'umiltà della prima venuta
ha riscattato l'umanità dal peccato
e nel suo glorioso ritorno chiederà conto di ogni colpa:
ai nostri padri, ai nostri fratelli e a noi tuoi servi,
che mossi dallo Spirito Santo
ritorniamo a te pentiti con tutto il cuore,
concedi la tua misericordia e la remissione dei peccati.
Per Cristo nostro Signore.
R. Amen.
Il Santo Padre in segno di penitenza e di
venerazione abbraccia e bacia il Crocifisso.
BENEDIZIONE E INVIO
12 marzo 2000
Il Santo Padre:
Il Signore sia con voi.
E con il tuo spirito.
Vi benedica il Padre che ci ha generati
alla vita eterna.
Amen.
Vi benedica il Cristo che ci ha fatti suoi
fratelli.
Amen.
Vi benedica lo Spirito Santo che dimora
nel tempio dei nostri cuori.
Amen.
Vi benedica Dio onnipotente, Padre e
Figlio e Spirito Santo.
Amen.
Fratelli e sorelle,
questa liturgia che ha celebrato la misericordia del Signore
e ha voluto purificare la memoria
del cammino dei cristiani nei secoli
susciti in tutta la Chiesa e in ciascuno di noi
un impegno di fedeltà al messaggio perenne del Vangelo:
mai più contraddizioni alla carità
nel servizio della verità,
mai più gesti contro la comunione
della Chiesa,
mai più offese verso qualsiasi
popolo,
mai più ricorsi alla logica della
violenza,
mai più discriminazioni, esclusioni,
oppressioni,
disprezzo dei poveri e degli ultimi.
E il Signore con la sua grazia
porti a compimento il nostro proposito
e ci conduca tutti insieme alla vita eterna.
Amen.
La proclamazione dell’uguaglianza universale
degli esseri umani è oggi quindi parte della dottrina sociale della Chiesa, un
principio promulgato con la massima autorità: quella di un Concilio ecumenico e
di un papa. Il papa Giovanni Paolo 2°,
con le parole pronunciate nel 2000 al termine della preghiera universale
di confessione delle colpe e richiesta di perdono ha anche assegnato a tutti
noi fedeli, e in particolare a noi laici
che operiamo nel “temporale”, cioè al di fuori della sfera liturgica di
competenza canonica dell’autorità ecclesiastica e del clero, un compito molto chiaro, da svolgere con
determinazione e senza cedimenti o
arretramenti (“mai più…”), anche in
materia di realizzazione dell’uguaglianza sociale universale.
C’è ancora molto da fare, sia dal punto di
vista pratico che da quello teorico, ideativo. Ma molto indubbiamente è stato
fatto.
Considerate ad esempio quante volte nel Catechismo
della Chiesa cattolica (1992 – 1997) ricorre il tema dell’uguaglianza.
E’ una ricerca che possiamo fare agevolmente mediante l’indice tematico. Dunque
il termine ricorre cinque volte ai numeri:
n.369: riguarda l’uguaglianza tra uomo
e donna;
n.872:
non riguarda l’uguaglianza nella società civile, ma il contributo
all’edificazione del Corpo di Cristo, quindi alla missione della Chiesa;
n.1935 (sopra citato)
n.2273: se ne parla con riguardo ai
diritti del nascituro;
n.2377:
se ne parla con riferimento alle pratiche di inseminazione e fecondazione
artificiali omologhe.
In
sostanza il tema dell’uguaglianza è considerato nel senso a cui vi si riferiva
il citato brano della Gaudium et spes solo nel n.1935, poche righe.
Molto di più vi è nel Compendio della
dottrina sociale della Chiesa, pubblicato nel giugno 2004, che raccoglie
precedenti dichiarazioni del magistero dei pontefici e dei concili. Si tratta
di uno strumento molto utile per avere una visione d’insieme e coordinata dei
temi in esso trattati, tra i quali, appunto, quello dell’uguaglianza e
soprattutto per collegare certe importanti affermazioni alle fonti da dove
derivano.
1965 – 1992 – 1997 – 2000 – 2004: mi pare che
si possa rilevare una veloce (tenendo conto dei tempi occorrenti solitamente
nelle cose di religione) evoluzione della concezione delle relazioni della
nostra fede con i temi dell’uguaglianza sociale e, conseguentemente, della
democrazia che anche su di essa di fonda.
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6
La libertà come opportunità religiosa in
democrazia
(1
ottobre 2012)
Il nuovo colosso
Non
come lo sfacciato gigante di bronzo della gloria greca,
piantato
a soggiogare la terra da un confine all’altro,
qui
sulle rive della terra d’Occidente si ergerà
una
donna potente con una torcia, la cui fiamma
racchiude
il fulmine, e il suo nome è
Madre
degli Esuli. Dal faro che ha in mano
lampeggia
il benvenuto a genti di tutto il mondo;
gli
occhi suoi dolci dominano il ponte sospeso
che
unisce due quartieri della città.
“Tenetevi pure, terre antiche, il vostro fasto
leggendario!” ella grida
con
labbra silenziose. “Datemi chi tra voi è
esausto e povero,
le vostre masse che si accalcano
nell’anelito di libertà,
i
miseri rifiuti della vostre popolose terre.
Mandatemi
quelli che non hanno più casa e gli sventurati,
innalzando la mia luce mostrerò loro la
porta d’oro!”.
Emma
Lazarus, 1883 (traduzione mia)
Avvicinandosi dal mare e dal cielo alla città
statunitense di New York, risalta la gigantesca statua eretta a fino Ottocento
alla foce del fiume Hudson per celebrare l’indipendenza degli Stati Uniti d’America, conosciuta come
la Statua della Libertà: raffigura
una donna coronata che innalza una torcia con il braccio destro e nell’altro
tiene un libro sul quale è incisa la data dell’indipendenza americana dal Regno
Unito, il 4 luglio 1776; ai suoi piedi vi sono catene infrante; è la
raffigurazione della Libertà che illumina il mondo. Sul suo piedistallo sono
incisi gli ultimi versi della poesia Il
nuovo colosso, della poetessa americana Emma Lazarus, che sopra ho
evidenziato in neretto (l’antico colosso greco menzionato nel primo verso della
lirica era quello, raffigurante il dio
Sole – Helios, eretto nel porto della
città di Rodi nel terzo secolo dell’era antica). Comunemente quel monumento è
ritenuto un simbolo degli Stati Uniti d’America, ed è vero, ma rappresenta
anche qualcosa di molto più profondo: infatti ricorda che la guerra di
indipendenza delle colonie nordamericane combattuta nel Settecento contro i
britannici fu una vera e propria rivoluzione, motivata non solo dalla volontà
dei coloni di comandare a casa propria, ma anche da quella di creare un mondo
nuovo, con altri principi rispetto a quelli che dominavano la monarchia europea
che pretendeva di continuare a dominarli; quel proposito che nella poesia è
espresso con il voler aprire la “porta
d’oro” a quelli che oltremare erano considerati rifiuti umani. La Libertà
simboleggiata in quella statua è quindi quella che è associata alla giustizia
sociale ed è molto di più del solo conquistare il potere di decidere che cosa
fare di sé e delle proprie cose, liberandosi in questo dal giogo altrui; non è
solo la liberazione da una lontana monarchia,
è liberazione dal giogo della
diseguaglianza e della discriminazione sociale e anelito ad un nuovo ordine
sociale, ad una nuova condizione di cittadinanza, per dare a tutti
l’opportunità della ricerca della felicità, poiché
gli esseri umani sono stati dotati dal Creatore di certi inalienabili diritti
(così è scritto nella Dichiarazione d’indipendenza americana). La Statua
della Libertà e la dichiarazione di
indipendenza che essa celebra manifestano una caratteristica delle democrazie
moderne che spesso non è bene intesa: esse sono fondate sul desiderio della
libertà dall’ingiustizia sociale e sull’affermazione di diritti umani sottratti
all’arbitrio umano, sia esso quello di un monarca come anche quello di una
maggioranza. Essa ha quindi sostanzialmente carattere religioso perché non
dipende dall’osservazione e accettazione di come vanno le cose di solito, e
infatti di solito vanno diversamente, ma da principi proclamati, attuati e
difesi come assoluti: nella Dichiarazione d’Indipendenza statunitense ciò è
detto chiaramente, vi sono infatti menzionati esplicitamente Dio e altri ideali
religiosi.
Quando si dice che il cristianesimo è
all’origine di importanti valori della nostra civiltà questo è vero anche per quanto riguarda le
democrazie contemporanee, anche se non bisogna dimenticare che esse si sono
spesso imposte contro gli insegnamenti e i divieti delle autorità
ecclesiastiche e che ciò risalta particolarmente nel caso della Chiesa
cattolica. Una delle epoche più problematiche sotto questo profilo fu quella
del ventennio fascista italiano. Ma oggi siamo in un’era diversa, qui in Italia
e ce ne dobbiamo rallegrare. Possiamo parlare di democrazia e religione senza
dover superare divieti della autorità
civili e di quelle religiose. Ci può sembrare una cosa ovvia, ma non lo è. E’
stata una faticosa conquista, dalla quale non dobbiamo mai accettare di
recedere. Abbiamo quindi, ai tempi nostri, la possibilità, ma anche il compito
e il dovere, di approfondire il tema dell’influsso che come fedeli cattolici
possiamo esercitare per la crescita della società civile e in particolare per
la piena affermazione di quei diritti inalienabili, di quei valori, che sono all’origine delle
idealità democratiche. L’obiettivo, condivisibile anche con coloro che non
hanno le nostre convinzioni di fede, è quello di realizzare, mediante vite
buone, una società in cui sia veramente bello vivere, in libertà e giustizia.
Ciò è parte cruciale dell’impegno in Azione Cattolica.
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7
L’uguaglianza come pari dignità sociale è
alla base delle democrazie di popolo
contemporanee
(3
ottobre 2012)
Nel Compendio
della dottrina sociale della Chiesa (2004) si legge una interessante
citazione alla nota n.793, a proposito dell’amicizia
civile da intendere come forma di fraternità alla base della pacifica
convivenza sociale:
« “Libertà, uguaglianza, fraternità’” è stato il motto della Rivoluzione
francese. In fondo sono idee cristiane »
ha affermato Giovanni Paolo II, nel corso del suo primo viaggio in Francia: Omelia
a Le Bourget (1º giugno 1980).
Quelle parole di un papa colpiscono tenendo
conto del carattere marcatamente anticlericale della Rivoluzione francese del
Settecento (1789-1799). E certamente esse non vollero intendere una
giustificazione delle violenze politiche di massa che quei moti espressero o delle
misure restrittive e delle espropriazioni adottate contro la Chiesa cattolica
di allora o degli altri provvedimenti
contro il clero cattolico, ma riconoscere che alcune delle principali idealità
di convivenza sociale manifestate da quei rivoluzionari di allora
corrispondevano anche a principi religiosi cristiani. Naturalmente ai nostri
tempi ci siamo abituati ad una libertà di espressione del pensiero che nel Settecento
ci sarebbe costata cara. All’epoca non si potevano dedurre liberamente dai principi religiosi certe conseguenze quanto a riforme sociali. Quindi dobbiamo capire che
certe cose vengono dette talvolta con il senno
del poi. E, certo, giudicando con quel senno del poi, ci possiamo
dispiacere che la Chiesa cattolica abbia espresso non di rado nei secoli
passati posizioni arretrate rispetto ad altre della sua contemporaneità, e lo
riconosciamo perché poi ha appunto
dichiarato pubblicamente di pentirsene. La situazione ai nostri giorni è
piuttosto cambiata. Mi riferisco ad esempio alla bioetica in cui il pensiero cattolico, stimolato dal magistero, è
all’origine di un importante e fecondo filone speculativo che ha portato ad
approfondire il tema di quando cominci l’umano che deve essere riconosciuto
nella dignità sua propria, o all’etica dell’economia e dello sviluppo, come
quella espressa nell’enciclica pontificia Caritas
in veritate (2009), in cui si è
presa consapevolezza dell’esigenza che dall’interdipendenza umana planetaria
discenda la necessità di un nuovo spirito di fraternità globale.
Soffermandoci sul principio
di uguaglianza, è senz’altro vero che esso è alle fondamenta della democrazie
popolari contemporanee, per intenderci quelle basate sul suffragio universale (alle elezioni politiche votano tutti gli
adulti, maschi e femmine, senza distinzione di istruzione, reddito, condizione
sociale o di stirpe) e sui quei principi assoluti, proclamati solennemente
dalla Nazioni Unite nel 1948 nella Dichiarazione
universale dei diritti dell’uomo, che si indicano come diritti umani. Il principio di uguaglianza è uno di essi e viene
così enunciato in quella solenne Dichiarazione,
all’art.2:
1. Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciati
nella presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione
politica o di altro genere, di origine
nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione.
2. Nessuna distinzione sarà inoltre
stabilita sulla base dello statuto politico, giuridico o internazionale del
Paese o del territorio cui una persona appartiene, sia che tale Paese o
territorio sia indipendente, o sottoposto ad amministrazione fiduciaria o non
autonomo, o soggetto a qualsiasi altra limitazione di sovranità.
Una delle principali eccezioni
al principio di uguaglianza universale è stata storicamente quella della
condizione di schiavitù, superata solo nel corso dell’Ottocento dagli stati
europei ed americani. Dai film western
sappiamo, ad esempio, che una delle motivazioni che furono alla base del
sanguinoso conflitto detto guerra di
secessione (1861-1865) nordamericana fu la questione dello schiavismo in danno dei
deportati dall’Africa. Lo schiavismo fu istituzione molto antica ed era molto
praticato anche ai tempi delle primitive comunità cristiane, che non vi videro
vero motivo di scandalo. Così, in particolare, per la gran parte della storia
della Chiesa cattolica le autorità ecclesiastiche non vi videro veramente un
problema da punto di vista religioso se praticato da popoli cristiani (al
contrario, ad esempio, di quello praticato dai predoni saraceni che comportava l’abbandono della pratica religiosa
cristiana). Per quanto ho letto, se ne cominciarono a occupare dal Cinquecento,
di fronte alle morie di massa dei nativi americani costretti in schiavitù dai
colonizzatori europei. Monarchie cattoliche come quella spagnola e portoghese
consentirono la deportazione di massa di schiavi dall’Africa e la riduzione in
schiavitù di masse di nativi americani. I cristiani europei non furono in
genere particolarmente sensibili al tema fino al Settecento, salvo che nel caso
di alcuni spiriti illuminati (anche del clero) e di alcuni filosofi. Lo
schiavismo attuato da cristiani influenzò profondamente il profilo demografico
americano, come si può constatare facilmente in particolare negli Stati Uniti
d’America, nei Caraibi e in Brasile.
L’uguaglianza tra gli esseri
umani non è del resto un dato evidente (un dato è evidente quando esso ci si impone senza che ci si debba ragionare
molto su). La scienza contemporanea ci dice che gli umani condividono tutto il
profilo genetico, tranne però una piccolissima parte che denota importanti
caratteristiche etniche, familiari e individuali. E certe comuni
caratteristiche fisiche e mentali degli umani erano già chiare ai popoli
dell’antichità, come anche però le differenze tra le persone e i popoli. E’
insomma da sempre esperienza comune che ognuno di noi nasce e si sviluppa
diverso dall’altro, benché simile
agli altri. Si tratta di differenze di stirpe, ma anche di altre particolarità individuali nella costituzione
fisica e di caratteristiche psichiche, come quelle relative alla struttura e
all’orientamento sessuali, alle quali si aggiungono differenze derivate dalla
storia individuale e sociale della persona. In definitiva si può dire che l’uguaglianza non è in natura, questo
sicuramente è evidente, mentre certamente gli umani si assomigliano
gli uni gli altri, anche questo è evidente,
e inoltre che gli umani sono viventi sociali che hanno bisogno gli uni degli altri e quindi si sono reciprocamente
complementari e cercano di organizzare le loro società in modo da sfruttare al
meglio questa loro qualità. Nel mondo di oggi, molto complesso e molto più
abitato da esseri umani che nelle epoche passate, riteniamo generalmente che a
questo fine si debba promuovere l’uguaglianza universale tra gli esseri umani per realizzare società in cui le
opportunità di cooperazione pacifica siano potenziate al massimo. Ci figuriamo
infatti che un conflitto su scala mondiale, data la profonda interdipendenza
della società umane e la potenza degli strumenti di distruzione a disposizione,
porterebbe a una catastrofe che metterebbe addirittura in pericolo la
sopravvivenza dell’intera specie umana sulla Terra.
Faccio un esempio tratto
dalla vita quotidiana di oggi: il mio IPAD è stato ideato negli Stati Uniti
d’America, prodotto nella Repubblica popolare di Cina (lo stato che domina
nella Cina continentale) e venduto in Italia: che succederebbe se scoppiasse un
conflitto tra americani e cinesi motivato dall’annosa rivendicazione di
sovranità dei cinesi sull’isola-stato di Taiwan? Naturalmente possiamo fare un
esercizio simile di previsione anche con riferimento ad altri prodotti di cui
non potremmo fare facilmente a meno, mentre tutto sommato all’IPAD si potrebbe
rinunciare.
In che cosa quindi siamo uguali e, innanzi tutto, da dove deriviamo questa pretesa di uguaglianza?
In realtà quella
all’uguaglianza tra gli esseri umani è un’aspirazione e un obiettivo, non (ancora) una realtà, né in natura né nelle
società umane, e si fonda sull’idea che essi abbiano pari dignità, vale a dire
che a tutti loro vadano riconosciuti nella
stessa misura alcuni diritti umani
fondamentali. Questa idea, per quanto ho capito, è di origine
specificamente cristiana.
Si legge nel Compendio della dottrina sociale della
Chiesa, al n.144:
144 « Dio non fa preferenze
di persone » (At 10,34; cfr. Rm 2,11; Gal 2,6; Ef 6,9),
poiché tutti gli uomini hanno la stessa
dignità di creature a Sua immagine e somiglianza.
L'Incarnazione del Figlio di Dio manifesta
l'uguaglianza di tutte le persone quanto a dignità: « Non c'è più giudeo né
greco; non c'è più schiavo né libero; non c'è più uomo né donna, poiché tutti
voi siete uno in Cristo Gesù » (Gal 3,28; cfr. Rm 10,12; 1 Cor
12,13; Col 3,11).
Poiché sul volto di ogni
uomo risplende qualcosa della gloria di Dio, la dignità di ogni uomo davanti a
Dio sta a fondamento della dignità dell'uomo davanti agli altri uomini. Questo è, inoltre, il
fondamento ultimo della radicale uguaglianza e fraternità fra gli uomini,
indipendentemente dalla loro razza, Nazione, sesso, origine, cultura, classe.
Quindi: in primo luogo viene in rilievo
l’essere stati tutti creati da Dio, che ci si è manifestato come Padre, e
in secondo luogo la fraternità comune in
Cristo. E, quanto alla condizione di creature, c’è un altro elemento
importante: la convinzione di essere stati creati da Dio a sua immagine, a sua somiglianza (Genesi 1,26).
Riconoscere la pari dignità degli
umani è quindi, nella concezione cristiana, materia di un dovere religioso,
anche se nella storia cristiana sono state riconosciute lecite molte
distinzioni ulteriori, ad esempio quella fra uomo e donna, che sono state poste
alla base di vere e proprie discriminazioni.
Quello che viene espresso nella terminologia biblica, può anche essere detto
così: tutti gli esseri umani devono essere considerati uguali nei
diritti fondamentali. In un caso come nell’altro, sia che la si esprima in
termini religiosi che con altri termini, a questa realtà si crede in modo
religioso, vale a dire a prescindere da quello che si ricava dall’osservazione
delle cose come vanno di solito e, in particolare, della natura, in cui, come ho detto,
l’uguaglianza non esiste e la regola fondamentale è pesce grosso mangia pesce piccolo e sopravvive il più adatto alla
condizioni ambientali e biologiche. Insomma per uno spirito religioso
cristiano l’affermazione della pari dignità creaturale degli esseri umani e
tutto ciò che se ne fa conseguire non è un problema, mentre chi vuol far
discendere quel principio dalla semplice natura,
vale a dire dal nostro essere viventi prodotto della natura, deve affrontare un’insufficienza nel fondamento di quella
pretesa.
Gli illuminati artefici della rivoluzione
nordamericana (1776) della fine del Settecento non trovarono infatti alcun
ostacolo nel proclamare:
We hold these
truths to be self-evident, that all men are created equal, that they
are endowed by their Creator with certain unalienable
Rights, that among these are Life, Liberty and the
pursuit of Happiness.
(trad.mia:
Crediamo fermamente nell’evidenza di queste verità: che tutti gli esseri
umani sono creati uguali,
provvisti dal loro Creatore di alcuni Diritti inalienabili, e tra essi il
diritto alla Vita, alla Libertà e alla ricerca della Felicità.)
La lotta contro le discriminazioni tra gli
esseri umani nei loro diritti umani è
alla base di molte delle costituzioni delle entità politiche contemporanee, in
particolare di quelle europee e americane e di quelle che a queste ultime si
sono ispirate. L’Unione Europea è tra quelle entità. Bisogna riconoscere che
questa è una materia in cui ci sono state alcune prese di posizione divergenti
tra le autorità civili e quelle religiose. A volte l’affermazione dei diritti
umani è stata considerata antireligiosa. In campo civile si è presa ad esempio
coscienza di forme di discriminazione che la dottrina religiosa non riconosce
come tali. Segnalo solo un problema che è, come si dice, di stringente
attualità. Una di quelle questioni è venuta in rilievo nell’ultima riunione del
nostro gruppo e riguarda la disciplina giuridica delle unioni delle persone
omosessuali. Su di essa ai laici cattolici è lasciata poca autonomia, perché
rientra in quelle riguardanti i valori
non negoziabili, sui quali l’autorità ecclesiastica, con vincolo di
obbedienza canonica, chiede che si segua la sua linea. Ma comunque bisogna
ragionarci su, perché come fedeli laici dobbiamo pur sempre rendere ragione al mondo della nostra
fede e a questo fine non è sufficiente l’argomento “ci è stato ordinato di pensare e di fare così”. Si tratta del resto
di problemi che rilevano ancor più in
materia di fede per la base in fondo religiosa del diritto umanitario.
Nel campo dei diritti umani, le tematiche religiose, e in particolare quelle
cristiane, stanno avendo, un po’ inaspettatamente, una particolare rilevanza
nello sviluppo dell’organizzazione delle società civili più avanzate, in
particolare in Europa. E’ un settore in cui sono chiamati a operare innanzitutto i fedeli laici,
impegnati a spendersi in quello che nel gergo ecclesiale è definita l’animazione del temporale. E’ questo, dall’inizio, uno degli ambiti
spazio in cui l’Azione Cattolica ha deciso di lavorare prioritariamente.
Infondere nelle società civili i valori,
che sono alla base del diritto umanitario, è infatti necessariamente un compito
collettivo, da affrontare insieme,
dopo essersi preparati insieme. Così
anche è da affrontare insieme il
dialogo con altre componenti della società per individuare nelle condizioni
contemporanee altri fattori, oltre a quelli storicamente già noti, che
ostacolino la piena espansione universale della dignità degli esseri umani.
Per molti versi tuttavia in molte realtà
locali il discorso di Azione Cattolica è da riavviare o anche solo da ravvivare, perché nei decenni passati ci si è spesso concentrati su altre tematiche
e altri modi di impegno religioso e si è quindi un po’ perso il senso del
nostro impegno nella Chiesa e nella società civile. Veniamo da lontano, ma
qualche volta appariamo alla gente come un’esperienza nuova, non esattamente in
linea con le altre esperienze di collettività presenti nella vita delle
parrocchie. Ad esempio può apparire che, dove altri mettono l’accento su una
disciplina individuale, noi puntiamo molto sulla libertà delle persone nelle
nostre dinamiche associative, in particolare su quella di pensiero e di
espressione. Eppure la nostra rimane una esperienza di carattere religioso, in
cui si vuole quindi rimanere legati alla fede comune, anche se effettivamente
si punta a scoprire/riscoprire/sperimentare la nostra fede anche come strada verso la libertà, secondo
l’espressione di Paolo Giuntella che ho citato nel post del 1 ottobre scorso.
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8
Un appello per ripartire insieme
(4
ottobre 2012)
Negli ultimi giorni ho pubblicato alcuni
contenuti in cui ho parlato degli obiettivi peculiari dell’Azione Cattolica
nella società civile democratica di oggi. Può sembrare una cosa un po’ troppo
grande per una realtà parrocchiale come la nostra. E per le nostre forze in
concreto. Per certi versi noi dell’A.C. in San Clemente Papa siamo un piccolo resto, se ci paragoniamo a come era anni
fa il nostro gruppo. Non abbiamo più una nostra stanza in parrocchia, di volta
in volta ce ne assegnano una. Il nostro assistente ecclesiastico si trova a
volte a parlare a poche persone e può domandarsi se, in fondo, ne valga ancora
la pena. Avere una grande storia non potrà salvarci a lungo dall’estinzione se il gruppo non si rivitalizzerà con l’ingresso
di nuovi soci, in particolare di soci più giovani. E’ paradossale che questo
accada in un mondo che ha tanto bisogno di ciò che la Chiesa si propone di dare
e in un Chiesa che vuole essere tanto presente nel mondo, in particolare
confrontandosi con le democrazie europee e l’Unione Europea sul terreno dei valori. Questo è appunto da sempre il
campo specifico dell’Azione Cattolica, l’azione
nella società civile per promuovere
in essa i valori religiosi.
E’ possibile che non si abbia ben chiaro,
pensando ad un impegno in Azione Cattolica, che
cosa si fa nei nostri gruppi e soprattutto quali risultati si riescano
effettivamente ad ottenere. Bene, innanzi tutto occorre distaccarsi da una
mentalità per così dire aziendalistica,
per la quale si somma nei risultati positivi solo tutto quello che si fa sotto
il marchio associativo. Noi riuniamo gente che già opera nella società
nei vari ambiti in cui si può farlo: la famiglia, il lavoro, lo sport, la
cultura e via dicendo. Non dobbiamo inventarci cose nuove da fare lì come
Azione Cattolica. Però formandoci e riflettendo in Azione Cattolica, in un
gruppo che è federato in un’organizzazione che ne condivide le idealità, gli
obiettivi e il metodo, possiamo manifestare meglio nel posto che occupiamo nella
società il nostro essere cristiani e i
nostri valori, dialogando con altri
sui temi e i problemi emergenti. Per
questo occorre una preparazione, sia spirituale che culturale, e una
determinazione che scaturisce da una adesione consapevole e convinta ai valori di fede. Non è un lavoro che troviamo già fatto, come se, per ogni
situazione, la nostra Chiesa, il magistero in particolare, potesse fornirci una
sorta di manuale operativo o di catechismo, e poi a noi spettasse solo di
attuare cose decise da altri. Forse, al di fuori del mondo ecclesiale, si pensa
che tra noi cattolici vada così, che insomma si faccia quello che in dettaglio
viene stabilito più in alto nella scala gerarchica, dal Papa in giù. E’ il
pregiudizio che, da cattolico, dovette superare John Kennedy assumendo la
presidenza degli Stati Uniti d’America. In realtà ognuno di noi porta
effettivamente la personale e diretta responsabilità della porzione di mondo
che è sotto la sua sfera di influenza e le soluzioni vanno ideate e
sperimentate di volta in volta, dialogando nella Chiesa e nella società. Se
oggi si dispera di poter cambiare le cose che non vanno a partire dal basso è
perché è un po’ svanito il senso democratico, che comunque pervade sempre la
nostra società, per il quale si è capaci di individuare e capire la dinamica
dei grandi numeri, delle masse, dietro certi cambiamenti storici. Di
convincersi che in democrazia si cambiano effettivamente le cose a partire
dagli sforzi delle persone nella loro particolare, apparentemente umile e insignificante,
storia. Una parte del lavoro che si deve
fare in Azione Cattolica consiste proprio in questo: nel comprendere meglio
quello che l’azione collettiva democratica ha fatto, sta facendo e può ancora
fare per il bene di tutti, per cambiare il mondo. Democrazia è agire in una
collettività rispettando la personalità e i valori degli altri, con la fiducia
di poter cambiare in meglio la società: l’Azione Cattolica concepisce sé stessa
anche come una palestra di democrazia (Atto
normativo Diocesano di Roma). La fiducia nelle potenzialità dell’agire in
democrazia si acquista lavorando insieme ad altri, in un gruppo aperto alla
società, partecipando ad un’azione collettiva spinta da alte idealità, quali
sono quelle religiose.
La
parrocchia è la casa di tutti e tutti possono trovarvi la loro casa, il tipo di
impegno adatto a loro. L’Azione Cattolica è una stanza di quella casa di tutti,
anch’essa quindi è di tutti e per tutti. E
tuttavia il lavoro in un gruppo di Azione Cattolica può non venire incontro
alle esigenze di tutti, perché in primo luogo esso non è volto tanto ad operare
per coloro che ne fanno parte, a risanarli e sorreggerli nella loro psicologia
e nella loro fede, ma per gli altri che non
ne fanno parte, la società intorno, e poi perché non è centrato tanto su
ciò che si fa nel gruppo ma su ciò
che si deve fare fuori di esso, non
però come specifica collettività religiosa, come ditta ecclesiale, ma come parti della società civile. E l’azione
che si cerca di svolgere nella società è innanzi tutto diretta alla promozione
di valori, la specifica forma di apostolato che compete ai laici, non
tanto a suscitare nuove adesioni al gruppo, all’espansione della nostra
particolare realtà associativa. La particolarità della nostra esperienza
associativa sta proprio nell’apertura
alla società civile, non in un modo particolare di vivere la nostra fede inteso
come spiritualità e disciplina individuale o di gruppo, dal momento che esso
non differisce da quello comune della parrocchia. Mi pare di aver capito quindi
che per associarsi in Azione Cattolica occorra: 1)aver già maturato una fede
salda; 2)avere già una formazione catechistica di base; 3) avere un interesse
alla vita della Chiesa, in particolare alla la missione che in essa e fuori di
essa specificamente compete ai laici;
4)avere interesse ad approfondire i temi proposti ai laici dal magistero, per
quella specifica missione dei laici; 5) avere interesse per le dinamiche
sociali contemporanee ed essere inseriti nella vita della società civile, negli
ambiti propri dei laici (famiglia, lavoro, cultura, sport ecc.), in posizioni
in cui si può concretamente influire su di essa. Per tutto ciò che non è di
interesse specifico di un gruppo di Azione Cattolica la parrocchia offre altre
forme di impegno sociale (ad esempio: catechesi per le varie età della vita,
azione caritativa, socialità per il tempo libero, sostegno alla fede e via
dicendo): l’associazione in Azione Cattolica non è
esclusiva e non è totalitaria.
Voglio concludere osservando
questo: per quanto riguarda le fasce d’età 30/50 anni il nostro gruppo deve
ripartire in pratica dall’inizio, si tratta di ripensarlo da capo. Ad esempio,
partecipare ad una riunione con inizio alle ore 17:00 può essere difficile per
persone di quell’età (io ho 55 anni e trovo difficoltà; la mia prole a
quell’ora è quasi sempre impegnata all’università). Ma si possono escogitare
alternative.
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9
Le ragioni di un lavoro insieme
(5
ottobre 2012)
Nei giorni scorsi ho scritto sull’esperienza
associativa in gruppo di Azione Cattolica. E certo ci si possono immaginare dei
risultati. Ma non vorrei dare per scontato che si abbia chiaro perché, in
definitiva, ci si debba unire per ottenerli. Qual è il movente interiore per
fare questo? Non posso vivere la mia fede nell’interiorità nella relazione che
ho saputo costruire con il soprannaturale, secondo la mia personale concezione?
Anche così poi posso manifestare con la mia vita la fede nell’ambiente in cui
vivo e opero.
Da universitario ho partecipato alle settimane
di riflessione che la FUCI – l’organizzazione degli universitari cattolici –
svolgeva ogni anno a Camaldoli, sede di un celebre monastero di monaci di una
congregazione appartenente alla famiglia benedettina. Lì c’erano alcuni monaci
che conducevano vita eremitica da decenni, vivevano da soli nelle loro casette
in cima a un monte e si ritrovavano insieme di quando in quando di giorno e
nella notte solo per la vita liturgica. Erano persone di fede, indubbiamente, e
vivevano la loro religiosità in quel modo. Bisogna dire però che si sentivano e
volevano essere in unione spirituale con la Chiesa e l’intera umanità. Il loro
isolamento era quindi solo esteriore.
La fede cristiana in realtà ci spinge gli uni
verso gli altri. Questo movimento emerge chiaramente negli scritti del Nuovo
Testamento. In un libretto di Giuseppe Dossetti che ho utilizzato nelle vacanze
per le mia meditazione personale (Giuseppe Dossetti, Eucarestia e città, Editrice A.V.E., 2011, pagine 131, euro 8) ho
trovato questa citazione da un’opera di San Basilio, una preghiera:
…noi tutti che partecipiamo all’unico pane e
all’unico calice, unisci fra noi nella comunione dell’unico Spirito Santo”.
Essa richiama le parole di S. Paolo nella
prima lettera ai Corinzi (1 Cor 10,17):
Vi è un solo pane e quindi formiamo un solo
corpo, anche se siamo molti, perché tutti insieme mangiamo dell’unico pane (trad.interconfess. Elle Di Ci / Alleanza
Biblica interconfes. 1976).
In parrocchia, prima della Comunione,
recitiamo una preghiera formulata su quelle parole:
Poiché
c’è un solo pane per noi tutti, uno solo è il corpo formato da noi che partecipiamo al pane unico.
Insomma, mi pare di aver capito che questa
spinta a stare insieme abbia un fondamento teologico e non sia qualcosa di
accidentale ed episodico. Essa ha coinvolto anche me, che per temperamento non
sono particolarmente socievole. Mi sono sempre sentito arricchito dalle
esperienze di fede vissute con gli altri.
In un libro dello psicoterapeuta Bruno
Bettelheim pubblicato nel 1967 ho letto questa osservazione che ho sentito
convalidare la mia esperienza di vita:
La vita interiore, e con essa la
personalità, non si sviluppa allo scopo di ottenere una sempre maggiore
ricchezza di sensazioni e di esperienze interne, ma sostanzialmente per
un’altra ragione: per entrare in rapporto con il mondo esterno nella speranza
di poter agire su di esso. Se la personalità non arriva a questo, non vi è
alcuna ragione di sviluppare le strutture interne. Esattamente come il linguaggio
si sviluppa solo se desideriamo comunicare con qualcuno o comprendere quello
che egli ci dice, così la personalità si struttura solo se desideriamo fare
qualcosa a un’altra persona o con essa o
per essa.
[da
Bruno Bettelheim, La fortezza vuota, Garzanti
editore spa, 1976, pag.64].
Gli studi scientifici di Bettelheim, in
particolare quelli sull’autismo, oggi sono generalmente ritenuti superati da
più recenti acquisizioni e scoperte, ma la sua esperienza umana, prima di
recluso in un campo di concentramento
nazista e poi di medico nel campo della terapia per i bambini autistici, rimane
importante e, per molti aspetti della
vita, illuminante. Tra ciò che si muove dentro
di noi e ciò che si muove e che
facciamo fuori di noi c’è un continuo
e vitale rimando.
Ma, come ho osservato prima, non è detto che
questo movimento verso gli altri si debba esprimere necessariamente
nell’aderire a un movimento, ad una associazione, ad una fraternità. Esso può
manifestarsi in altre forme, sebbene si ritenga che in qualche modo debba
essere presente, anche, ad esempio, in quelle spiritualità eremitiche di cui ho
detto.
Molte volte una fede religiosa è produttiva e
non si risolve solo nell’interiorità, quella cristiana stimola poi alla
generosità: ognuno sente quindi, ad un certo punto, di avere qualcosa in sé che
può essere non scambiato ma dato gratuitamente ad altri.
A volte si concepisce, un po’
superficialmente, la Chiesa come una dispensatrice di beni spirituali, uno “ci
entra” (nella Chiesa intesa come popolo)
o “ci va” (nella chiesa intesa come edificio)
e prende. A volte c’è anche l’idea di una sorta di scambio: vado a Messa e
deposito la mia offerta nell’apposito contenitore che gira al tempo
dell’Offertorio, poi partecipo alla mensa comune.
Ecco, riunendoci insieme potremmo ad esempio
riflettere se quell’impressione sia corretta e completa. Non credete che ci sia
ancora qualcosa da imparare?
Anticipo la mia opinione. Nell’esperienza
religiosa siamo tutti noi, gente di fede, dispensatori, perché è come se quello che ci arriva poi rifluisca
intorno e verso gli altri, al modo di un irraggiamento. Quindi nella Chiesa non si va solo per ricevere, ma
anche per dare, per portare qualcosa, che è importante per gli altri e li conforta
nella loro fede. Un teologo lo saprebbe dire meglio. Chi vuole può approfondire
o chiedere spiegazioni. In parrocchia può farlo. Ci sono i sacerdoti e
catechisti per ogni età della vita. Abbiamo anche una biblioteca piuttosto
fornita (aperta lunedì e mercoledì, ore 16-18). Ne può discutere anche in
Azione Cattolica, nel nostro gruppo, che è sostenuto dal prezioso apporto
dell’assistente ecclesiastico.
Nell’Azione Cattolica, che è un’associazione
che si propone di diffondere e
promuovere valori cristiani nella
società civile, è importante l’esperienza di vita degli aderenti. E’ questo il
materiale prezioso che chi ci viene porta. Non si aderisce infatti per ricevere
dall’alto le soluzioni ai vari problemi e direttive su che cosa fare fuori, o
peggio (solo) moniti e rimbrotti su ciò che è male, come se ci fossero
“istruzioni” precise per ogni situazione, ma per riflettere insieme, alla luce
della comune esperienza civile e religiosa,
su ciò che accade e per illuminare vie praticabili, che poi ognuno
proverà a percorrere lì dove concretamente opera, tornando a riferire ciò che
gli è riuscito di fare e di scoprire. In una poesia che ho trascritto in uno
dei passati post, padre David Turoldo
scrisse:
Ancora un'alba sul mondo:
altra luce, un giorno
mai vissuto da nessuno,
Effettivamente il futuro è nostra
particolare e attuale responsabilità, ci avventuriamo in esso al modo di
esploratori.