Capire la democrazia – 2 –
Spesso ho sentito presentare la democrazia
come un insieme di regole di buona creanza civile imposte dall’alto. Lo stesso
per la religione. Entrambe sono molto di più, ma anche di diverso.
Viviamo
in società che sono altamente istituzionalizzate. Questo significa che ci si
muove, nelle relazioni sociali quotidiane, secondo rigide regole formali che,
se violate, comportano vari tipi di sanzioni. Ci si trova inseriti in organizzazioni
disegnate da quelle regole. Accade sul lavoro, nell’utilizzare servizi
pubblici, ma anche, ad esempio, nella pratica della nostra religione.
La parrocchia, ad esempio, è
stata istituita anche come un ufficio burocratico dipendente gerarchicamente
dal vescovo. E’ retta da un funzionario ecclesiastico che è il parroco, che la
rappresenta giuridicamente e accentra ogni potere. In questo contesto, i fedeli
sono utenti di un servizio ecclesiastico, gli altri preti e i diaconi, come
anche i catechisti e chiunque altro abbia
affidate mansioni ecclesiastiche anche a titolo di volontari, sono sostanzialmente degli impiegati. In parrocchia i fedeli ricevono un’istruzione religiosa e
vari servizi liturgici. Sono anche organizzati spazi conviviali, specialmente
per i più anziani, che si ritengono ormai usciti dal sistema della formazione. Non
vi è possibilità di esercizio di una certa autonomia da parte dei fedeli, che,
al più, sono chiamati a collaborare come impiegati o consulenti. Questa la
realtà istituzionale della
parrocchia. Se però ne vogliamo parlare con i concetti della teologia, allora
essa ci viene presentata come comunità, nella quale ognuno ha pari
dignità e vi partecipa come in una famiglia allargata. Il parroco e i preti e
diaconi che con lui collaborano sono pastori
che conducono il gregge per il giusto cammino, in un contesto di relazioni
di benevolenza e rispetto. Il gregge
ama
il buon pastore ed è da lui riamato. Questa
realtà, di carattere spirituale, non corrisponde però a quella istituzionale,
formale, giuridica. Entrambe non sono democratiche. La parrocchia, in entrambi
quegli aspetti, non è un ambiente democratico, la democrazia non vi viene praticata,
non vi viene insegnata, la si riserva per i rapporti civili, dove però dovrebbe
essere lo strumento con il quale i laici di fede dovrebbero influire sulla società per
renderla aperta a ricevere la buona novella della fede. Dove si impara la democrazia?
A scuola, viene da rispondere. In realtà, però, a scuola la si insegna sommariamente,
come dicevo prima, come un sistema di regole di buona creanza imposte dall’alto.
Ma ben presto si fa esperienza di una cosa fondamentale: in società le regole
vivono diversamente da come sono scritte o anche solo tramandate per
consuetudine. Questo perché le società, come gli esseri viventi cambiano.
Quindi ognuno, nel concreto delle relazioni sociali quotidiane, è costantemente
impegnato ad impersonare quelle regole che trova in società e, innanzi
tutto, a decidere se, e in che misura, valgono per lui e nei rapporti sociali
in cui è coinvolto. In questo, ciascuno di noi esercita un potere sociale, anche se spesso non ne ha consapevolezza o ne sottovaluta l’importanza.
Questo che ho osservato serve a
rendere l’idea che ogni fatto sociale, come lo sono la democrazia e la
religione, come anche qualsiasi altra forma di potere sociale, ad esempio
quello in cui si dovrebbe essere solo sudditi di un’autocrazia, un potere che
non vuole rendere conto che a se stesso, o quello rigidamente diviso per caste o ceti corporativi, nel
quale le regole cambiano a seconda del gruppo sociale in cui ci si trova
inseriti o si è ammessi, vive e
quindi viene impersonato, e, in questo, viene anche cambiato, perché,
per quanto ci si sforzi di ottenere uniformità, rimane il fatto che gli esseri
umani sono viventi l’uno diverso dall’altro, è ciò anche nella coscienza e
nella volontà.
Il sistema politico e la religione
non sono solo un sistema di regole, ma innanzi tutto sistemi di
convivenza sociale sempre soggetti a mutamenti più o meno rapidi secondo le
dinamiche sociali, quindi alle relazioni di potere in cui ciascuno, solo che
viva in società, è coinvolto come attore e, insieme, oggetto.
La Chiesa assume teologicamente di essere sempre la stessa dalle
origini, e questo, secondo una concezione mitologica che non significa erronea
ma non necessariamente corrispondente alle dinamiche sociali, perché comprende
anche aspetti emotivi che sono connaturati negli umani, può anche essere
accettato, tenendo conto degli elementi di continuità che indubbiamente
emergono nella sua storia bimillenaria, innanzi tutto la riflessione sulle
Scritture. Ma, da un punto di vista sociale, e anche giuridico, la nostra
Chiesa è molto diversa da quella delle origini, perché è espressa da una
società molto diversa, anzi, studiando la sua storia, ci si può convincere che nel
tempo, sotto l'aspetto sociale, ci sono state molte Chiese, quindi molti modi in cui si è vissuta e
impersonata la Chiesa, e certamente quelli dei bellicosi e irruenti vescovi dei
primi secoli della storia della nostra fede,
che avevano l’anatema (oggi diremmo scomunica) facile, non corrispondono al nostro attuale modo di essere Chiesa. E, tuttavia, noi cattolici veneriamo i nostri santi, ma anche nella
tradizione delle altre confessioni religiose c’è una analoga alta considerazione
per certi personaggi del passato molto significativi nelle questioni di fede,
perché vorremmo stabilire una continuità ideale con le vite di chi ci ha preceduto e ci
ha trasmesso quello che definiamo
deposito di fede, che non è fatto solo di scritti, concetti, pensieri,
regole, ma soprattutto di modi di vivere la fede. E’ per questo che troviamo annoverati tra i
nostri santi anche persone di fede del passato piuttosto criticabili sotto vari
aspetti, ma delle quali apprezziamo ancora l’impegno fortissimo a vivere la propria fede come il valore fondamentale della loro vita. Quindi non le lasciamo seppellire dal passato, ma recuperiamo il loro messaggio di
vita per trarne ispirazione oggi. Ed è anche per questo che ciclicamente rivediamo
il catalogo dei santi, che una volta
proclamati tali sicuramente non possono essere come dire declassificati dal
punto di vista delle procedure istituite nella nostra Chiesa, nel senso che di
epoca in epoca ne risaltano di più alcuni e meno altri. Ad esempio, dell’elenco
dei papi “Pii” dall’Ottocento al Novecento, le scelte politiche antirisorgimentali
di un papa Pio 9°, il Papa del Sillabo (1964; l’elenco di proposizioni
erronee contro il liberalismo che contribuì a rendere difficilissima l’assimilazione
della democrazia tra i cattolici), o quelle religiose di un papa Pio 10°, che
ordinò una durissima e spietata persecuzione antimodernista causando gravissime
sofferenze e lacerazioni nella Chiesa e la perdita di grandi anime (lo stesso don
Romolo Murri, che aveva teorizzato tra i primi l’ida di una democrazia
cristiana ne cadde vittima), che,
con il senno del poi si sono rivelate
del tutto inutili, o l’apprezzamento positivo verso il corporativismo del
fascismo mussoliniano e l’elogio della repressione antisocialista di un papa
Pio 11°, ci creano ora qualche difficoltà e, di fatto, non seguiamo quei loro
insegnamenti. Noi, oggi, non impersoneremmo più la fede in quel modo. La
nostra religione, intensa nel suo aspetto di convivenza sociale, è molto
diversa.
E, tuttavia, parlando di democrazia, che è il sistema politico in cui i
più sono nati e che solo i più anziani hanno contribuito a costruire con il loro
voto per l’Assemblea Costituente nel 1946, e di religione, e uno della mia età
ne ha vissuto ormai almeno cinque versioni, a partire da quella degli anni
Sessanta del secolo scorso, nel trapasso dalla rigidità gerarchica della Chiesa
del papa Pio 12° alla Chiesa del Concilio, a che punto siamo in termini di convivenza
sociale?
Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte
Sacro, Valli.