Azione Cattolica: fede
religiosa e democrazia
-
Parte 1
(dal n.0 al n.1.2)
( nei post precedenti sono pubblicate le parti successive.
Questo testo è pubblicato in 8 parti)
Nel n.0.1 ho inserito le mie risposte alle domande più frequenti sull'Azione Cattolica, per spiegare ciò che non è e ciò che è
di
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli
edizione ottobre 2020, con nuovi materiali
Parte 1
0.Introduzione
0,1 Azione Cattolica FAQ - domande frequenti
1. Religione che cambia il mondo agendo in
democrazia.
1.1. Per cominciare a capire
1.2. Cercatori di verità
Parte 2
1.3 Azione per il cambiamento
1.4. Riforma sociale come azione religiosa
1.5 Un mondo da salvare
1.6 Catechesi civile
1.7 Religione come conquista culturale
1.8 Religione difficile
1.9 La democrazia come problema religioso per il
cambiamento della società
2
Azione Cattolica è azione nella società
democratica
(26 settembre 2012)
3
Agire da gente di fede nella società
democratica di oggi
(29 settembre 2012)
4
Libertà
e democrazia come esperienze collettive di elevazione delle moltitudini alla
piena cittadinanza. Esse contrastano
con la nostra esperienza religiosa? (30 settembre 2012)
5
Fede religiosa, uguaglianza e
democrazia: relazioni in veloce
evoluzione (1 ottobre 2012)
6
La libertà come opportunità religiosa in
democrazia (1 ottobre 2012)
7
L’uguaglianza
come pari dignità sociale è alla base delle democrazie di popolo contemporanee
(3 ottobre 2012)
8
Un
appello per ripartire insieme
(4 ottobre 2012)
9
Le ragioni
di un lavoro insieme
(5 ottobre 2012)
Parte 3
10
Azione
Cattolica: un’esperienza di Chiesa
(7 ottobre 2012)
11
Noi
cattolici: cittadini o stranieri nella società in cui viviamo?
(8 ottobre 2012)
12
Europa,
pace, diritti umani. E noi? Abbiamo vinto il premio Nobel.
(13 ottobre 2012)
13
Insieme
per agire da gente di fede
(14 ottobre 2012)
14
Costruire
nella società per narrare il fondamento della nostra speranza
(12 ottobre 2012)
15
Noi:
popolo di Dio
(15 ottobre 2012)
16
Essere
popolo unito da una fede religiosa
(16 ottobre 2012)
17
Unire
le genti per una vita buona
(17 ottobre 2012)
18
Un
popolo nuovo
(19 ottobre 2012)
19
Micro-Macro
e la ricerca della felicità
(20 ottobre 2012)
20
Uguale
dignità nella Chiesa tra tutti i fedeli
(21 ottobre 2012)
21
Città
di Dio, città dell’uomo, città del diavolo
(22 ottobre 2012)
22
Quale
impegno nell’Anno della Fede? Andare avanti!
(24 ottobre 2012)
23
E pluribus unum: quale fondamento per l’unità?
(25 ottobre 2012)
24
Gioia e timore alla base
dell’impegno religioso nella società
(27 ottobre 2012)
Parte 4
25
Fare
memoria di un’alleanza
(30 ottobre 2012)
26
Azione
Cattolica: insieme per promuovere la pace universale
(1 novembre 2012)
27
Un
nuovo modello globale di organizzazione e convivenza dell’umanità. Il modello
della famiglia umana.
(2 novembre 2012)
28
Realtà
invisibili
(3 novembre 2012)
29
A
occhi aperti
(5 novembre 2012)
30
La
città dell’uomo
(7 novembre 2012)
31
Una
lunga storia
(8 novembre 2012)
32.1.
Sentirsi
responsabili di tutto
(10 novembre 2012)
32.2.
Costruire
la città dell’uomo come dovere religioso
(12 novembre 2012)
33
Rinnovarsi
sempre, ma custodendo ciò che di vitale si è ricevuto dal passato
(14 novembre 2012)
34
La
fede fa scandalo?
(16 novembre 2012)
35
Fede e promozione umana
(19-11-12)
36
Conflitto come esperienza religiosa
(19 novembre 2012)
Parte 5
37
Una
riunione “politica”
(23 novembre 2012)
38
Noi e la storia. Chi siamo veramente?
(28
novembre 2012)
39
La parrhesia*
evangelica
(29
novembre 2012)
40
Eterno presente o apertura verso un futuro diverso
(30 novembre 2012)
41
Sollecitudine
nel lavoro relativo alla terra presente e rilevanza religiosa della democrazia
(1 dicembre 2012)
42
La
pace universale come finalità religiosa
(3 dicembre 2012)
43
Che
fanno i laici cattolici nel mondo?
(3 dicembre 2012)
44
Laicità
dello stato: nuovo fronte religioso?
(9 dicembre 2012)
45
Civiltà
cristiana e Azione Cattolica
(15 novembre 2012)
46
L’incontro
della Chiesa col mondo
(23 dicembre 2012)
47
Cattolicesimo
forza di progresso?
(29 novembre 2012)
Parte 6
48
Fede
religiosa, forza di progresso
(4 gennaio 2013)
49
Noi,
la Chiesa e la società nella crisi
(7 gennaio 2013)
50
Un
processo continuo di liberazione
(8 gennaio 2013)
51
Pace come promozione
umana
(13-1-13)
52
Unita’/comunione
nella Chiesa e promozione umana
(13
gennaio 2013)
53
Scrutare
i segni dei tempi
(15 gennaio 2013)
54
Fede cristiana:
speranza credibile e onesta o pia illusione?
(17 gennaio 2013)
55
La
Chiesa vuole rinnovare il mondo
(19 gennaio 2013)
56
Democrazia,
difficile virtù
(22-3-16)
57
Dottrina sociale,
liturgia e Concilio Vaticano 2°
(23-3-16)
58
Convincersi
della democrazia
(24-3-16)
59
Democrazia
dei cristiani, democrazia di tutti
(30-3-16)
60
Nella grande politica
(6-6-16)
61
Il
partito del Papa
(8-6-16)
62
Fede e
politica: una relazione essenziale
(10-6-16)
63
La vita
di fede come esperienza civile
(1-7-16)
Parte 7
64
Condominio
o repubblica
(2-7-16)
65
Fedi omicide
(4-7-16)
66
Le religioni e il tribunale della coscienza e
della ragione
(16 luglio
2016)
67
La Nazione
(1 agosto 2016)
68
Degrado della politica ed eclisse del
Parlamento
(3-11 agosto 2016)
69
La sfida della pace
(21 febbraio 2016)
70
Impegno civile come attività
religiosa
(3 gennaio
2015)
71
Spunti per un dialogo politico su
democrazia di popolo e fede cristiana.
(29-1-15)
Parte 8
72
A compagni di fede spietati
(agosto 2019)
72.0. Premessa con il contesto storico.
72.1. Motivazione alla fede.
72.2. Un progetto per una realtà di
base.
72,.3. Mandata a tutti i popoli della
Terra.
72.4. Filantropia.
72.5. Il nostro vangelo.
72.6. Oltre il mondo fisico e la storia.
72.7. Un altro mondo.
72.8. La patria celeste.
72.9. Ad uno spietato.
72.10. Due parole sulla Chiesa.
72.11. Su tutta la Terra.
72.12. Cose dell’altro mondo.
72.13. Sono persone!
72.14. Riconoscere o rinnegare Gesù.
72.15. Il principio evangelico di
insoddisfazione.
72.16. Grideranno le pietre.
72.17. Sapienza evangelica.
72.18. Operatori di ingiustizia o di
giustizia?
72.19. Azione Cattolica e riforma
sociale.
72.20. Predicazione.
72.21. Ciò che è di Cesare.
72.22. Desacralizzazione.
73.
Capire e praticare la democrazia (settembre 2019)
73.1. La
democrazia: non solo regole, ma una forma di convivenza sociale per risoluzione
pacifica dei conflitti.
73.2. Cambiare democraticamente la
società.
73.3. Democrazia e istituzioni.
73.4. Democrazia, desacralizzazione e secolarizzazione.
73.5. Democrazia: una forma di
convivenza che consente il cambiamento sociale.
73.6. Democrazia come convivenza che
libera da sottomissioni umilianti
73.7. Democrazia: cominciare dal
piccolo e dal basso
74
In sintesi
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0.
INTRODUZIONE
1. Viviamo, come società italiana, tempi
impegnativi, particolarmente ora nel mezzo dell’emergenza determinata
dall’epidemia di COVID 19. Per ognuno lo è sempre la vita quotidiana. Si
cambia, bisogna farsi largo, bisogna sopravvivere, si cerca di durare il più a
lungo possibile e meglio che si può. Per ogni persona è così. Ma la riuscita
degli sforzi individuali dipende in larga misura da come è la società. Il
benessere è sempre un fatto collettivo. Innanzi tutto dipende dalle relazioni
sociali. E poi certi obiettivi, come la possibilità di vivere sicuri, di avere
un’istruzione, di avere una casa e un’alimentazione sufficiente, di poter
svolgere un lavoro con una retribuzione sufficiente, di essere aiutati nella
nei periodi in cui non si ha lavoro o non si può lavorare per malattia o
vecchiaia, di potere fare sport, musica e altre attività interessanti, anche di
praticare una religione, dipendono in gran parte da come è organizzata la
società, a cominciare dalla sua economia, in cui tanta parte hanno le
iniziative collettive, di enti pubblici e privati. Organizzare una società
significa fare politica. Lo si può
fare su grande e piccola scala. Non ci sono solo gli stati, i comuni e via
dicendo. Ognuno di noi, interagendo con gli altri, fa politica, ad esempio nel palazzo dove abita,
nel quartiere, nel circolo che frequenta, nel gruppo sportivo, e anche in una
parrocchia. Ogni fatto collettivo influisce in maniera più o meno accentuata su
altri fatti collettivi e modifica la società intorno. Poi si cerca anche di
intervenire d’autorità, esercitando poteri pubblici, diramando ordini,
sentenziando, preparando programmi, stabilendo regole. Ma come verranno
accolti? Ogni società esprime una certa resistenza alle imposizioni. Per
vincerla c’è la strada della persuasione o quella della violenza. Si cerca di
fare in modo di scoraggiare la violenza
privata, ma allora si deve organizzare una certa misura di violenza pubblica.
Ma quando quest’ultima supera un certo livello, la società diventa infelice.
Accade anche quando non si riesce a limitare la violenza privata, ad esempio
quella delle bande criminali. Ma come persuadere più gente possibile? A questo
serve il dialogo politico, quello che
riguarda l’organizzazione della società. Perché sia efficace occorre però
fidarsi degli altri ed essere veramente convinti che insieme si possano trovare
e soprattutto attuare soluzioni più efficaci sia ai mali sociali, sia ai mali
privati che a quelli sociali sono tanto strettamente collegati. Per aver
fiducia gli uni negli altri occorre conoscersi. Meglio ci si conosce, più ci si
fida. Ma di chi? Se, conoscendo una persona, trovo che è cattiva, allora non
dovrei fidarmi di lei. Perché magari ora non è cattiva con me, ma solo con altri, ma
potrebbe venire il momento in cui lo sarà anche con me. Chi è cattivo, chi è
buono? Se lo chiedo, i miei interlocutori si trovano in imbarazzo a darmi una
risposta. In altre epoche si era meno indecisi. Ma ogni epoca ha avuto i suoi
criteri etici, per giudicare il buono e il cattivo. Nella nostra, appunto, si è
più indecisi. Però decidersi è importante. Ecco, l’Azione Cattolica, fu fondata
proprio per fare questo lavoro, politico in
senso ampio.
2. Di solito si
racconta le sue origini risalgono ad un gruppo di giovani bolognesi che si
costituì nel 1867. Si era in un’epoca molto impegnativa nella storia d’Italia.
Si sottolinea l’aspetto religioso dell’iniziativa, ma, in realtà, la politica
era il vero campo di impegno. Si stava completando l’unità nazionale. Il Regno
d’Italia, sotto la dinastia piemontese dei Savoia, era stato proclamato nel
1861. Mancava Roma e i nazionalisti di vario orientamento, i monarchici ma
anche i repubblicani di Giuseppe Mazzini (1805-1872), la volevano. A Roma e
dintorni c’era il Papa, che era anche il sovrano di un piccolo regno
nell’Italia centrale di allora, che dal 1860 si era ridotto più o meno al
Lazio. Vi furono quindi movimenti di laici cattolici che si organizzarono come
forza sociale di resistenza a difesa della monarchia pontificia. Nel 1870 lo Stato pontificio, il regno politico del
Papa, fu conquistato militarmente dal Regno d’Italia. In quel momento era in
corso a Roma un concilio ecumenico, il Concilio ecumenico Vaticano 1°. La città
fu assaltata; a cannonate si fece una breccia nelle mura della città, un
centinaio di metri a destra guardando Porta Pia. Ci furono combattimenti
sanguinosi con morti e feriti tra glie eserciti contrapposti, ma i pontifici si
arresero presto. L’anno seguente la capitale del Regno d’Italia fu trasferita a
Roma e, per garantire la posizione e la missione del Papato, fu approvata una
apposita legge, detta delle Guarentigie (=garanzie).
Il Papato vietò ai cattolici la partecipazione alla politica nazionale, sotto
pena di sanzione canonica e si considerò prigioniero
in Vaticano.
Questi fatti suscitarono un’enorme
impressione nella società cattolica italiana. Una parte dei cattolici era stati
ed erano nazionalisti. Ma molti si schierarono a difesa del Papato, a sostegno
delle sue rivendicazioni di restituzione del suo regno intorno a Roma.
Naturalmente questo movimento ebbe motivazioni profonde e colte, che, in
sostanza, proponevano l’idea che, senza quel piccolo regno, il Papato fosse
menomato anche nella sua missione religiosa. Quindi la posizione politica intransigente verso i nazionalisti
monarchici e repubblicani, verso l’ideologia liberale che in genere era da loro
seguita, verso i nuovo regno unitario italiano, ebbe anche profonde motivazioni
religiose. Senza un Papato veramente indipendente, si sosteneva, anche la
civiltà del popolo italiano, che tanto era legata alla fede religiosa, ne
sarebbe uscita scossa, alterata. Si pensò, ed era la prima volta che accadeva,
di suscitare un vasto moto di resistenza nel popolo a difesa delle ragioni del
Papato, non solo con un’azione di propaganda culturale, ma con un ampio
programma di azioni sociali, sull’esempio di ciò che si stava facendo in tutta
Europa a quell’epoca, in particolare ad opera dei movimenti socialisti, in
particolare per sostenere e istruire i lavoratori dipendenti delle città e
delle campagne, ad esempio con mutue per assisterli nella disoccupazione o nelle
malattie, con cooperative di
lavoro. Si cercò di dare un coordinamento nazionale a tutte queste
iniziative creando un’organizzazione specifica, l’Opera dei Congressi, costituita nel 1874, con articolazione
centrale e locale, strettamente legata al Papa, sebbene non fosse una sua
emanazione. C’era tutta questa attività sociale a sfondo religioso, che
comprendeva anche un capillare lavoro di formazione culturale e propriamente
politico, nel senso appunto di un atteggiamento intransigente verso il nuovo stato unitario italiano. Ma
l’intento principale era politico.
Scrive Arturo Carlo Jemolo (1891-1981),
professore di diritto ecclesiastico (che riguarda le norme degli stati che
regolano i rapporti con la Chiese) e
storico, uno dei maggiori esponenti del mondo cattolico italiano, in Chiesa e Stato in Italia negli ultimi cento
anni, Einaudi, 1948 (1° ed.) - 1963
(ed. riveduta e ampliata) [richiede una formazione di tipo universitario]:
[pag.13] «La
prima metà del secolo era quasi consumata allorché, il 1 giugno 1846, si
spegneva Gregorio XVI [16°]; già s’intravedevano le caratteristiche della
storia della Chiesa nell’Ottocento quali si sarebbero profilate allo storico
futuro.
Non grandi
controversie teologiche, né aspri dibattiti dottrinali, né
contrapposizione di scuole a scuole; neppure lotte tra Ordini religiosi, o tra
clero secolare e clero regolare.
[…]
In nessuno di questi campi la storia della
Chiesa dell’Ottocento avrebbe presentato episodi emozionanti, aspri contrasti,
com’eransi dati in altri secoli, La Chiesa avrebbe incontrato in vece le sue
ore più difficili nei rapporti con gli Stati. Di fronte alle ideologie
politiche, ai partiti che le incarnano, alle leggi per realizzarle, la Chiesa
avrebbe dovuto prendere posizione; e qui avrebbe affrontato battaglie, forse
toccato dure sconfitti.
L’Ottocento appariva ormai come il secolo
contraddistinto dal contrasto delle
ideologie politiche. Due fondamentali di fronte. Quella che era ancora la
prosecuzione dell’enciclopedismo e
dell’illuminismo, realizzatisi in struttura politica nella Rivoluzione
francese, e che, a ragione o a torto, […] si considerava avesse avuto ad erede l’impero napoleonico e,
dopo la sua caduta, quanto ne serbavano rimpianto. E l’ideologia che affermava
i valori del cattolicesimo, quelli della tradizione, anzitutto della tradizione
monarchica; che nel re legittimo, alleato con la Chiesa, scorgeva il
caposaldo per l’opera di ricostruzione,
di cui appariva urgente il bisogno ai suoi fautori; ricostruzione
degl’istituti, delle leggi, delle grandi linee della struttura politica, del
sistema dei rapporti tra popoli, e soprattutto dell’uomo interiore e di ciò che
lo forma: scuola, metodi di educazione, stessa disciplina familiare, ambiti
tutti in cui occorreva rimediare all’opera deleteria svoltasi a partire dal
Settecento.”
Con la fine del suo regno nell’Italia
centrale il Papato si vide minacciato nella sua missione religiosa, in Italia e
nel mondo, e vide minacciata la stessa civiltà degli italiani. Bisogna infatti
ricordare che il nazionalismo italiano,
di impostazione fondamentalmente liberale, era divenuto piuttosto anticlericale
nel contrapporsi alle pretese politiche del Papato di mantenere quel regno.
Quindi vennero incoraggiate quelle aggregazioni laicali confluite nell’Opera
dei Congressi, che presto divennero l’equivalente di un potente partito
politico, di impostazione politica intransigente verso le nuove istituzioni
unitarie e verso la politica nazionale che le sosteneva. Ad esse il Papato
diede uno straordinario manifesto ideologico, un documento di natura
programmatica che disegnava un progetto di riforma dell’intera società, avendo
di vista in particolare la situazione italiana: l’enciclica Rerum
Novarum - Le Novità diffusa nel 1891
dal papa Vicenzo Gioacchino Pecci, regnante ormai solo in religione con il nome
di Leone XIII (fino al papa Francesco, i papi continuarono l’uso di attribuirsi
un nome da monarchi capi di stato, con il numero ordinale a fianco: primo, secondo…). A questo punto i
cattolici italiani divennero una forza politica molto agguerrita, con una
struttura capillare sul territorio e una forte ideologia, divenuta obbligatoria, parte della dottrina, appunto una dottrina sociale, un vasto programma di riforma sociale a cui diedero il loro contributo, per svilupparlo,
ingegni di grande rilievo, come l’economista e sociologo beato Giuseppe Toniolo (1845-1918). Ma, passando gli
anni dalla conquista dello Stato pontificio, ci si rese conto che
l’atteggiamento intransigente, che comportava il divieto di partecipare alla
politica nazionale eleggendo e presentandosi come candidati, non consentiva di
cogliere le opportunità offerte dall’ordinamento democratico del Regno
d’Italia, un regno costituzionale, in cui l’indirizzo
politico dello stato era determinato anche da una camera elettiva, la Camera dei deputati, oltre che da un Senato integralmente di nomina regia e a vita. I
giovani soprattutto proposero di organizzare una partecipazione democratica alla vita politica nazionale, secondo principi
sociali orientati dalla fede,
in linea con la dottrina sociale. Ciò avrebbe richiesto maggiori spazi di
autonomia dei laici nelle cose della società. Quest’idea, della possibilità di
una democrazia cristiana, fu duramente
respinta dal Papato, con un’enciclica diffusa nel 1901 dallo stesso Papa della Rerum Novarum, il Pecci - Leone 13°, la Graves
de communi re - Le serie divergenze [sulle questioni sociali] [su
<vatican.va> solo nel testo inglese - traduzione italiana in
<http://www.totustuustools.net/magistero/l13grave.htm>]. Alle correnti democratiche cristiane si opposero duramente, nell’Opera dei
Congressi, quelle intransigenti. L’ideologia democratico
cristiana fu presto confusa e assimilata con il modernismo, il movimento essenzialmente culturale per un
rinnovamento della cultura religiosa nel cattolicesimo, in particolare
nell’interpretazione dei testi sacri, colpito radicalmente e senza tregua in
quella che fu l’ultima persecuzione religiosa attuata storicamente dal
Papato. Non ottenendosi una tacitazione
delle correnti democratiche cristiane, il Papato assunse l’iniziativa di
organizzare, in sostituzione dell’Opera dei Congressi che fu sciolta d’autorità
nel 1904, una nuova organizzazione, che comprese anche una sezione propriamente
politica, denominata Unione elettorale. L’iniziativa prese inizio con l’enciclica Fermo proposito, diffusa nel 1905 dal papa Giuseppe Sarto,
regnante in religione come Pio 10°, che potete leggere in
http://w2.vatican.va/content/pius-x/it/encyclicals/documents/hf_p-x_enc_11061905_il-fermo-proposito.html
nella quale è scritto:
«Importa inoltre ben definire le opere intorno alle quali
si devono spendere con ogni energia e costanza le forze cattoliche. Quelle
opere devono essere di così evidente importanza, così rispondenti ai bisogni
della società odierna, così acconce agli interessi morali e materiali,
soprattutto del popolo e delle classi diseredate, che mentre infondono ogni
migliore alacrità dei promotori dell’azione cattolica pel grande e sicuro
frutto che da sé medesime promettono, siano insieme da tutti e facilmente
comprese ed accolte volonterosamente. Appunto perché i gravi problemi della
vita odierna sociale esigono una soluzione pronta e sicura, si desta in tutti
il più vivo interesse di sapere e conoscere i vari modi onde quelle soluzioni
si propongono in pratica. Le discussioni in un senso o nell’altro si
moltiplicano ogni dì più e si propagano facilmente per mezzo della stampa. È
quindi supremamente necessario che l’azione cattolica colga il momento
opportuno, si faccia innanzi coraggiosa e proponga anch’essa la soluzione sua e
la faccia valere con propaganda ferma, attiva, intelligente, disciplinata, tale
che direttamente si opponga alla propaganda avversaria. La bontà e giustizia
dei principi cristiani, la retta morale che professano i cattolici, il pieno
disinteresse delle cose proprie non altro apertamente e sinceramente bramando
che il vero, il solo, il supremo bene altrui, infine l’evidente loro capacità
di promuovere meglio degli altri anche i veri interessi economici del popolo, è
impossibile non facciano breccia sulla mente e sul cuore di quanti ascoltano e
non ne aumentino le file, fino a renderli un corpo forte e compatto, capace di
resistere gagliardamente alla contraria corrente e di tenere in rispetto gli
avversari.
Tale supremo bisogno avvertì pienamente il Nostro
Antecessore di beata memoria Leone XIII, additando soprattutto nella memoranda
Enciclica Rerum Novarum” ed in altri documenti posteriori, l’oggetto intorno al
quale precipuamente doveva svolgersi l’azione cattolica, cioè “la pratica
soluzione a seconda dei principi cristiani della questione sociale”. Noi pure,
seguendo così sapienti norme, col Nostro Motu proprio del 18 Dicembre 1903
abbiamo dato all’azione popolare cristiana, che in sé comprende tutto il
movimento cattolico sociale, un ordinamento fondamentale che fosse quasi la
regola pratica del lavoro comune ed il vincolo della concordia e della carità.
Qui dunque ed a questo scopo santissimo e necessarissimo devono anzitutto
aggrupparsi e solidarsi le opere cattoliche, varie e molteplici nella forma, ma
tutte egualmente intese a promuovere con efficacia il medesimo bene sociale.
[…]
l’odierno
ordinamento degli Stati offre indistintamente a tutti la facoltà di influire
sulla pubblica cosa, ed i cattolici, salvo gli obblighi imposti dalla legge di
Dio e dalle prescrizioni della Chiesa, possono con sicura coscienza giovarsene,
per mostrarsi idonei al pari, anzi meglio degli altri, di cooperare al
benessere materiale civile del popolo ed acquistarsi così quell’autorità e quel
rispetto che rendano loro possibile eziandio di difendere e promuovere i beni più
alti, che sono quelli dell’anima.
Quei diritti civili sono
parecchi e di vario genere, fino a quello di partecipare direttamente alla vita
politica del paese rappresentando il popolo nelle aule legislative. Ragioni gravissime Ci dissuadono,
Venerabili Fratelli, dallo scostarsi da quella norma già decretata dal Nostro
Antecessore di s. m. Pio IX e seguita poi dall’altro Nostro Antecessore di s.
m.Leone XIII durante il diuturno suo
Pontificato, secondo la quale rimane in genere vietata in Italia la
partecipazione dei cattolici al potere legislativo. Sennonché altre ragioni
parimenti gravissime, tratte dal supremo bene della società, che ad ogni costo
deve salvarsi, possono richiedere che nei casi particolari si dispensi dalla
legge, specialmente quando voi, Venerabili Fratelli, ne riconosciate la stretta
necessità pel bene delle anime e dei supremi interessi delle vostre Chiese e ne
facciate dimanda.
Ora la possibilità di questa benigna concessione
Nostra induce il dovere nei cattolici tutti di prepararsi prudentemente e
seriamente alla vita politica, quando vi fossero chiamati. Onde importa assai, che quella stessa
attività, già lodevolmente spiegata dai cattolici per prepararsi con una buona
organizzazione elettorale alla vita amministrativa dei Comuni e dei Consigli
provinciali, si estenda altresì a prepararsi convenientemente e ad organizzarsi
per la vita politica, come fu opportunamente raccomandato con la circolare del
3 dicembre 1904 alla Presidenza generale delle Opere economiche in Italia.
Nello stesso tempo dovranno inculcarsi e seguirsi in pratica gli altri principi
che regolano la coscienza di ogni vero cattolico. Deve egli ricordarsi sopra
ogni cosa di essere in ogni circostanza e di apparire veramente cattolico,
accedendo agli offici pubblici ed esercitandoli col fermo e costante proposito
di promuovere a tutto potere il bene sociale ed economico della Patria e
particolarmente del popolo, secondo le massime della civiltà spiccatamente cristiana
e di difendere insieme gli interessi della Chiesa, che sono quelli della
Religione e della giustizia.
[…]
Ci resta a toccare, Venerabili Fratelli, di un
altro punto di somma importanza, ed è la relazione che tutte le opere
dell’azione cattolica devono avere rispetto all’Autorità ecclesiastica. Se bene
si considerano le dottrine che siamo andati svolgendo nella prima parte di
queste Nostre Lettere, si conchiuderà di leggieri, che tutte quelle opere che direttamente vengono in sussidio del
ministero spirituale pastorale della Chiesa e che si propongono un fine
religioso in bene diretto delle anime, devono in ogni menoma cosa essere
subordinate all’autorità dei Vescovi, posti dallo Spirito Santo a reggere la
Chiesa di Dio nelle diocesi loro assegnate. Ma anche le altre opere, che, come
abbiamo detto, sono precipuamente istituite a ristorare e promuovere in Cristo
la vera civiltà cristiana e che costituiscono nel senso spiegato l’azione
cattolica, non si possono per niun modo concepire indipendenti dal consiglio e
dall’alta direzione dell’Autorità ecclesiastica, specialmente poi in quanto
devono tutte informarsi ai principi della dottrina e della morale cristiana;
molto meno è possibile concepirle in opposizione più o meno aperta con la
medesima Autorità. Certo è che tali
opere, posta la natura loro, si debbono muovere con la conveniente ragionevole
libertà, ricadendo sopra di loro la responsabilità dell’azione, soprattutto poi
negli affari temporali ed economici ed in quelli della vita pubblica amministrativa
o politica, alieni dal ministero puramente spirituale. Ma poiché i cattolici
alzano sempre la bandiera di Cristo, per ciò stesso alzano la bandiera della
Chiesa, ed è quindi conveniente che la ricevano dalle mani della Chiesa, che la
Chiesa ne vigili l’onore immacolato e che a questa materna vigilanza i
cattolici si sottomettano, docili ed amorevoli figliuoli.»
Ho trascritto
questa lunga citazione dell’enciclica, mettendo a dura prova la pazienza dei
miei lettori, perché i principi
contenuti nei brani citati sono state le
norme che hanno regolato l’azione civile e politica dei cattolici italiani fino
al Concilio Vaticano 2° (1962-1965). E’ sostanzialmente lo statuto di una
potente organizzazione politica popolare che non poteva dirsi propriamente partito politico solo perché
mancava di vera autonomia laicale ed era interamente soggetta alla supremazia
di Papa e vescovi. Anticipo che la situazione è molto cambiata, nel senso del
realizzarsi di quella autonomia, con il nuovo statuto dell’Azione Cattolica
approvato nel 1969, per renderlo conforme ai principi di azione sociale
stabiliti nel Concilio Vaticano 2°. Ma
anche ora l’Azione Cattolica non è un partito politico, perché non è
strumento di alcuna politica, non è partito del papa
né partito dei cattolici, non sacralizza
alcun orientamento politico, ma è agente di formazione politica per
preparare le persone di fede a coniugare, in autonomia e libertà, sapienza e
dottrina, dialogando i società, nella pluralità delle opzioni possibili, azione
sociale e politica e carità in senso religioso, quindi per capire come riempire
politica e azione sociale dei valori di fede. Questo il senso della scelta religiosa fatta dall’associazione, con il consenso dei
vescovi italiani, con l’approvazione del nuovo statuto del 1969, sotto la
presidenza di Vittorio Bachelet (1926-1890).
Nel 1906, l’anno seguente l’enciclica Fermo proposito, furono approvati i nuovi statuti dell’Azione Cattolica,
costituita da quattro organizzazioni: l’Unione
popolare, l’Unione economico sociale,
l’Unione elettorale e
la Società della gioventù cattolica. Il disegno si completò nel 1908 con l’Unione donne cattoliche italiane, che ebbe un grandioso sviluppo dopo la Prima
Guerra mondiale (1914-1918). E’ a questa epoca che risale la nostra
Azione Cattolica. Uno dei principali
architetti di questo disegno organizzativo fu il beato Giuseppe Toniolo. Questo
potente movimento sociale venne indirizzato alla riforma sociale secondo
principi di fede e organizzò una grandioso e capillare lavoro di formazione
politica popolare, di massa, che coinvolse anche le donne, in epoca in cui esse
non potevano ancora votare (in Italia poterono farlo per la prima volta solo
nel 1946). Sempre più passò in secondo piano la questione romana, le pretese
politiche del Papato ad un proprio regno in Italia
vennero infine risolte, in maniera ritenuta disonorevole da diverse grandi anime del cattolicesimo italiano, ma comunque risolte,
nel 1929, con i Patti Lateranensi, accordi con il Regno d’Italia che in quell’occasione
fu rappresentato dal capo del governo di allora, Benito Mussolini, fondatore
del regime fascista storico, con la creazione di un simulacro di stato in
Vaticano, denominato Città del Vaticano,
dove tutt’oggi è arroccata la corte pontificia. In nessun modo esso è il
successore dello Stato pontificio. Dovrebbe servire solo a rendere indipendente
il Papato dalle pretesi degli stati del mondo. Ma il Papato partecipa nella
comunità internazionale, ad esempio mandando propri ambasciatori (detti Nunzi) e ricevendo quelli degli stati,
non come sovrano della Città del Vaticano, ma proprio in quanto Papato, e ciò
per millenaria tradizione storica.
Nell’Azione cattolica italiana maturò la
lenta assimilazione culturale della politica democratica da parte dei cattolici
italiani.
Una prima tappa fu l’organizzazione, nel
1919, di un vero e proprio partito
politico, distinto dall’Azione cattolica e dalla Chiesa cattolica, con
responsabilità propria dei propri aderenti, per un disegno di riforma sociale
nel senso indicato dalla dottrina sociale, il Partito popolare, sciolto d’autorità, con altri partiti
democratici, nel 1926 dal regime fascista.
Dal 1930, anche con l’enciclica Quadragesimo anno - Il quarantennale, diffusa nel 1931 dal papa Achille Ratti, regnante
come Pio 11°, documento che contiene anche la formulazione dell’importantissimo
principio di sussidiarietà, sul quale,
con la collaborazione determinante di politici cattolici, fu fondata la nostra
nuova Europa, il Papato accreditò la riforma sociale del regime fascista, al
quale i cattolici italiani furono spinti a collaborare. Il tirocinio
democratico rimase proprio, in Azione Cattolica, quasi solo di alcune
organizzazioni ristrette, come la FUCI - gli universitari cattolici - e i
Laureati cattolici, in particolare sotto la cura religiosa di Giovanni Battista
Montini, il futuro papa Paolo 6°. Questo orientamento mutò radicalmente di
fronte alle catastrofi sociali provocate dalla Seconda Guerra Mondiale.
Dagli anni ’30 le organizzazioni intellettuali dell’azione Cattolica, costituite nella storia
dell’associazione, progettarono il superamento del regime fascista, e, in
particolare una nuova costituzione e nuovi indirizzi politici. Cattolici
provenienti dall’Azione Cattolica furono protagonisti nella guerra civile
combattuta contro le ultime manifestazioni del regime fascista, dal 1945 al
1945 e della creazione della Repubblica democratica. Essi crearono il partito
politico, denominato Democrazia Cristiana, che, dal 1946 al 1994, resse le coalizioni di
governo, prima di orientamento centrista e poi di centrosinistra,
con la partecipazione di partiti
socialisti, attuando parte delle riforme sociali disegnate nella nuova
Costituzione repubblicana, scritta e approvata, con il contributo determinante
di cattolici provenienti dall’Azione Cattolica, negli anni 1946 e 1947 ed
entrata in vigore il 1 gennaio 1948. Il
successo di tale partito fu determinato dall’appoggio del Papato, che, con una
serie di radiomessaggi natalizi tra il 1941 e il 1944 del papa Eugenio Pacelli
- Pio 12° (tutti pubblicati sul sito <vatican.va>), in piena Seconda
guerra mondiale, defascistizzò
l’orientamento politico dei cattolici italiani, spingendoli a partecipare a una
riforma costituzionale e sociale democratica, realizzata con la nostra
Costituzione repubblicana, piena di principi desunti dalla dottrina sociale.
La svolta democratica
dell’Azione Cattolica fu consolidata
nel 1969 con il nuovo statuto, nel quale l’associazione è definita palestra di democrazia.
3. Mi sono dilungato su riferimenti storici per far capire che l’Azione Cattolica italiana è cosa molto
diversa da come spesso la si pensa superficialmente, assimilandola ad altre
associazioni e movimenti a sfondo religioso.
Nella nostra parrocchia quest’anno partirà l’Azione
Cattolica Ragazzi - ACR. Ci saranno altri ragazzi, poco più anziani di quelli
dell’ACR, che faranno da educatori. Si faranno delle domande sull’Azione
Cattolica. I ragazzi dell’ACR cresceranno presto e anche loro si faranno
domande analoghe. Ecco, ho cercato di spiegare che cos’è l’Azione Cattolica. Ma
anche di rendere un’idea del lavoro che c’è da fare in società. Perché a quello
ci chiamano, con particolare intensità oggi, il Papa e i vescovi.
La
società vive tempi impegnativi: così ho iniziato. Ci sono problemi sociali
che creano dolore e difficoltà nelle vite delle persone. Per pensare e realizzare soluzioni serve
gente preparata ed eticamente ben indirizzata. Quindi gente competente e buona,
capace di collaborare con l’altra gente competente
e buona che c’è, per cambiare sapientemente ciò che
non va, dialogando con gli altri, persuadendoli a seguire le vie buone e
coinvolgendoli in questo lavoro che è, ancora, riforma sociale. Formarla fin dai giovanissimi, educarla, completarne
la preparazione anche da adulta, cercando di suscitare e diffondere, in un
lavoro collettivo che è anche e principalmente di auto-formazione, visioni
realistiche, affidabili, di ciò che accade e progetti di soluzione, è parte del
lavoro di Azione Cattolica. In una prospettiva che, ormai, non riguarda più
solo l’Italia, o l’Europa, ma addirittura il mondo interno, secondo le
indicazioni che troviamo nell’enciclica Laudato
si’, diffusa nel 2015 dal papa Francesco.
Ho cercato anch’io di fare la mia parte,
negli anni passati.
Pubblico, raccolte in un unico documento, mie
riflessioni, svolte sul blog <acvivearomavalli.blospot.it> dal settembre
2012 al settembre 2020, che possono essere
utili a quel lavoro da fare in Azione Cattolica, in particolare in un gruppo
locale di impegno collettivo che voglia
avere una certa consapevolezza storica.
Ne autorizzo il libero utilizzo in qualunque
forma, senza onere di indicarne l’autore. Come ho scritto presentando un mio
precedente lavoro, restituisco ciò che ho ricevuto in un lungo periodo di
formazione prima nella nostra parrocchia, poi tra gli scout cattolici, in FUCI
e infine del Movimento Ecclesiale di impegno Culturale, l’attuale denominazione
degli antichi Laureati cattolici.
Consiglio a tutti di avere sotto mano il
libro di storia dell’ultimo anno delle scuole medie frequentata, inferiori o
superiori. A quelli che non l’hanno più in casa, consiglio di procurarsi
l’ultima edizione del volume 3 del testo Nuovi
Profili Storici - Con percorsi di documenti e di critica storica di Andrea Giardina, Giovanni Sabbatucci e
Vittorio Vidotto, Editori Laterza, €40,50, un testo per i licei.
Per aggiornarsi rapidamente si possono
utilizzare:
http://www.treccani.it/enciclopedia/
e
http://www.treccani.it/biografico/index.html
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0.1
Azione
Cattolica – F.A.Q. (domande più frequenti)
(le risposte alle F.A.Q. che seguono sono frutto di
una elaborazione fatta da Mario Ardigò, sulla base di quello che pensa di aver
capito dell’Azione Cattolica. Non esprimono necessariamente il pensiero dei
vertici associativi, né rappresentano un’interpretazione autentica
dell’ideologia associativa – I lettori sono quindi invitati a verificarne
personalmente la correttezza e fedeltà e
a far pervenire eventuali rettifiche o integrazioni all’account
<marioardigo@yahoo.com>; di esse si darà atto nel blog)
L’Azione Cattolica è fatta per persone di
ogni età, fin dai piccolissimi (3-5
anni). Sono state elaborate proposte di impegno per tutti. Il centro nazionale
e quelli diocesani supportano il lavoro dei gruppi parrocchiali. La struttura
dell’Azione Cattolica è democratica e la sua azione si avvale del contributo di
tutti.
L’Azione Cattolica ha fatto dell’attuazione dei
principi del Concilio Vaticano 2° il suo principale settore di lavoro
collettivo. Ora è anche fortemente impegnata nella presa di coscienza, nello
sviluppo e nell’attuazione pratica dei nuovi principi della dottrina sociale
contenuti nel magistero del papa Francesco e, in particolare, nell’esortazione
apostolica La gioia del Vangelo e nell’enciclica Laudato si’.
Nella nostra parrocchia sono in corso importanti
innovazioni in AC. Ci si propone, in
particolare, di iniziare le attività di un gruppo ACR, l’Azione Cattolica
Ragazzi. Le riunioni infrasettimanali del gruppo adulti/adultissimi riprenderanno a ottobre. Il gruppo
parrocchiale di AC anima la messa domenicale delle ore nove.
Propongo di seguito alcune risposte alle
domande che più frequentemente vengono poste in materia di Azione Cattolica.
Ulteriori informazioni sulla struttura,
finalità, metodo e progetti dell’Azione Cattolica possono trovarsi sul sito
dell’Azione Cattolica nazionale
http://azionecattolica.it/
e diocesana
http://www.acroma.it/
L’impegno dei laici di fede in Azione Cattolica è corale, dalla vita di
tutti si impara e tutti possono contribuire a renderlo più efficace e bello.
Con le parole del motto di un jamboree, il grande raduno annuale
degli scout, di tanti anni fa: “Di più saremo insieme, più gioia ci
sarà”.
L’impegno in Azione Cattolica è
vita sociale di fede nella libertà.
Chi decidesse di avvicinarci per
aderire, non pensi di trovare le cose già fatte, di salire su un treno in corsa
e di sedersi da passeggero facendosi trasportare. Di potersi limitare a seguire
un qualche metodo per il quale esista un manuale dettagliato di istruzioni. Si
tratta, di anno in anno, di costruire
una nuova casa, di ideare e attuare nuovi progetti di impegno. In particolare
nel clima di rinnovamento che si vive nella Chiesa italiana, si tratta sempre,
in fondo, di ripartire.
Del resto quella della
rifondazione dovrebbe caratterizzare la nostra esperienza religiosa, nella
quale ci è anticipato che tutte le cose saranno fatte nuove. Non
viviamo in un museo, che ci si possa limitare a spolverare di tanto in tanto.
L’Azione Cattolica vive nel quartiere Valli di Roma,
come dice il titolo di questo blog: AC-VIVE-A-ROMA-VALLI!
1. L’Azione
Cattolica è Chiesa cattolica?
L’Azione
Cattolica è una delle associazioni di laici inserite nell’organizzazione
della Chiesa cattolica italiana. Il suo statuto è approvato dal Consiglio Episcopale Permanente della Conferenza Episcopale Italiana. Vi sono
diverse altre associazioni che hanno analoghe caratteristiche di particolare
legame con l’organizzazione della Chiesa cattolica italiana.
2. Chi è il
laico?
Il laico è il fedele cattolico che non è né
diacono, né prete, né vescovo (vale a dire membro dell’ordine sacro) e che non appartiene a un ordine religioso o a una
congregazione religiosa (che non è, ad esempio, frate o suora; monaco o monaca)
(si veda la definizione che del termine laico
si dà nella Costituzione dogmatica del Concilio Vaticano II Lumen Gentium, al n. 31).
3. Per essere
un fedele cattolico laico è indispensabile aderire all’Azione Cattolica?
No.
4. Se un fedele
cattolico laico ha già aderito ad un altro gruppo religioso laicale o ha il
proposito di farlo, può associarsi all’Azione Cattolica?
Sì. L’adesione all’Azione Cattolica non è esclusiva. Si può far parte di altri gruppi
laicali.
5. L’Azione Cattolica è un gruppo di
spiritualità?
No. Ciò che caratterizza l’Azione Cattolica non è un
particolare tipo di spiritualità, anche se i gruppi locali e le altre
articolazioni associative esprimono anche una vita spirituale. Ciascun
associato manifesta poi la propria, liberamente scelta. Alla vita associativa
partecipano i Sacerdoti Assistenti per contribuire ad alimentare la vita
spirituale e il senso apostolico.
6. L’Azione
Cattolica è un gruppo di preghiera?
No, anche se
nelle riunioni associative vi sono momenti di preghiera.
7.L’Azione
Cattolica è un gruppo di approfondimento biblico?
No, anche se
associandosi ci si impegna ad approfondire le tematiche bibliche.
8. L’Azione
Cattolica è un gruppo di approfondimento culturale?
No, anche se
associandosi ci si impegna a conoscere e capire di più del mondo in cui si
vive.
9. L’Azione
Cattolica è un gruppo per il catecumenato?
No. La
conversione, il catechismo per il Battesimo
e il Battesimo sono dati per presupposti. In ogni parrocchia dovrebbe
essere costituita un’organizzazione specifica per queste esigenze.
10. L’Azione
Cattolica è un gruppo per il catechismo?
No, anche se
associandosi ci si impegna ad approfondire le verità di fede. In ogni
parrocchia dovrebbe essere costituita un’organizzazione che si occupa
specificamente del catechismo, per i fedeli di tutte le età.
11. L’Azione
Cattolica è un gruppo di propaganda religiosa?
No. Essa
infatti vuole stabilire con i propri interlocutori una relazione molto più
profonda.
12. L’Azione
Cattolica è un gruppo che lavora per il proselitismo religioso o associativo?
L’Azione
Cattolica è certamente impegnata, in diretta collaborazione con il Papa e i
vescovi, a far conoscere il Vangelo, ad esporre le verità di fede, a far
comprendere gli ideali religiosi cristiani, a presentare correttamente il fine
e l’azione della Chiesa nel mondo e il significato della sua liturgia, a
raggiungere gli altri nel loro bisogno di religiosità, ad aiutare tutti a
migliorarsi secondo la fede professata
e, in particolare, a capire come fare per meglio favorire l’accettazione nel
mondo di quegli ideali. Ma il proselitismo religioso o associativo, l’obiettivo
di “far numero”, di “distribuire tessere”, non è tra le sue finalità dirette, anche se il
riavvicinamento alla vita della parrocchia e adesioni associative possono
effettivamente conseguire dalle sue attività.
13.L’impegno
degli associati all’Azione Cattolica parrocchiale è principalmente in
parrocchia?
L’Azione Cattolica ha come primo impegno la
presenza e il servizio nella Chiesa locale, quindi anche nella parrocchia.
Tuttavia, in quanto associazione di laici, in essa è fondamentale l’impegno
nella società civile, luogo privilegiato dell’azione laicale, per favorire
l’affermazione dei valori religiosi.
14.
Associandosi all’Azione Cattolica si è sottoposti ad un giudizio sulla propria
vita?
No.
15. L’adesione
all’Azione Cattolica richiede un cambiamento di vita?
No.
L’associazione si ritiene arricchita dai doni che le provengono dalle diverse
condizioni ed esperienze di quanti partecipano alla sua vita.
16. L’adesione
all’Azione Cattolica comporta particolari pratiche religiose?
No.
17. L’adesione
all’Azione Cattolica comporta particolari
pratiche di vita, oltre quelle raccomandate a tutti i fedeli laici?
No.
18. L’adesione
all’Azione Cattolica richiede un particolare livello culturale o scolastico?
No.
19. L’adesione
all’Azione Cattolica si sviluppa per gradi iniziatici, vale a dire da livelli
inferiori a livelli superiori di perfezione?
No. Si è membri
a pieno titolo fin dal primo giorno e fin quando si vuole.
20. Per chi è
l’Azione Cattolica?
L’Azione Cattolica è per
tutti i fedeli laici cattolici e di
tutti i fedeli laici cattolici.
21. L’Azione
Cattolica risolve i problemi personali degli associati?
Gli associati si impegnano anche a favorire la
comunione fra di loro, quindi anche all’aiuto reciproco, ma non è detto che
dall’associarsi in Azione Cattolica derivi
la soluzione dei propri problemi personali. Non
farei quindi molto affidamento su questo aspetto.
22. L’Azione Cattolica
risolve, in particolare, i problemi affettivi o di socialità?
Può accadere. Ma non è scontato che accada.
Non vi farei molto affidamento.
23. Le persone
che, associandosi, si spendono per le finalità dell’Azione Cattolica devono
aspettarsi riconoscimenti o corrispettivi, anche solo morali o affettivi?
No. Ci si
associa perché si sente bisogno di agire in gruppo in relazione a certi
obiettivi che si pensa di non poter raggiungere individualmente. Ma, come tutte
le esperienze sociali umane, anche quella
nei gruppi di Azione Cattolica
finisce in genere per deludere certe
alte aspettative, almeno sotto il profilo umano. Solo alla lunga e
considerandola complessivamente, specialmente verso la fine di una vita, se ne
può essere in fondo soddisfatti, soprattutto se la si considera con sguardo soprannaturale,
andando contro le apparenze, in spirito evangelico.
24. Chi comanda
in Azione Cattolica?
L’Azione Cattolica è retta su basi
democratiche. Tuttavia i suoi
presidenti, a tutti i livelli (nazionale, diocesano, locale) sono nominati
dall’autorità ecclesiastica, su proposta dei rispettivi consigli. A livello
della parrocchia, l’Azione Cattolica
è presente con un’associazione
parrocchiale, che è un’articolazione di quella diocesana. Gli organi
dell’associazione parrocchiale di Azione
Cattolica sono: l’assemblea parrocchiale (programma la
vita associativa e verifica l’attuazione del programma; elegge il consiglio
parrocchiale); il consiglio parrocchiale
(promuove lo sviluppo della vita associativa secondo le linee del programma
approvato dall’assemblea; assicura la presenza dell’associazione nelle
strutture di partecipazione ecclesiale; mantiene i rapporti di amichevole
collaborazione con le gli altri gruppi della parrocchia; propone al parroco la
nomina del presidente parrocchiale); il/la presidente
parrocchiale (nominato/a dal parroco, sentito il vescovo ausiliare
territorialmente competente - promuove e
coordina l’attività del consiglio parrocchiale; convoca e presiede l’assemblea
parrocchiale; insieme al consiglio tiene costanti rapporti con il parroco; si
fa garante degli amichevoli rapporti con l’associazione diocesana; rappresenta
l’associazione parrocchiale).
25. Ma,
insomma, quali sono le caratteristiche per le quali l’Azione Cattolica si
differenzia da altri gruppi laicali?
Non è né facile né semplice rispondere a
questa domanda. Bisogna considerare non solo gli statuti associativi, ma anche
la storia dell’Azione Cattolica italiana.
E, per quanto riguarda gli statuti associativi, bisogna saper intendere bene il
sofisticato gergo teologico con cui sono
stati scritti.
Nello statuto nazionale (articoli 1 e 2) è
scritto che l’Azione Cattolica è
fatta di laici che si impegnano liberamente,
per impregnare dello spirito evangelico
le varie comunità e i vari ambienti. Più avanti (art.3) è scritto che gli
associati si impegnano in particolare anche ad informare dello spirito cristiano le scelte da loro compiute con
propria responsabilità personale, nell’ambito delle realtà temporali (cioè,
traducendo dal gergo teologico, nella società civile). E, ancora, (art.11) che quella in Azione Cattolica è
un’esperienza popolare e democratica. Essa poi è presentata come rivolta alla crescita della comunità
cristiana e si dice animata dalla tensione verso l’unità, da costruire partendo da diverse
esperienze e condizioni di vita. Nell’Atto
Normativo Diocesano della Diocesi di
Roma è scritto che l’esperienza in Azione
Cattolica è una palestra di democrazia e di responsabilità civile.
La storia. Dalla fine del Settecento
cominciano a diffondersi e ad essere attuati, a partire dall’Europa, ideali
democratici di organizzazione sociale. Si produce una profonda e tragica
frattura tra l’organizzazione di vertice della Chiesa cattolica, espressa dal
clero, e i movimenti democratici. Essa attraversa i popoli evangelizzati. In
Italia si complica per l’interferenza del potere temporale dei Papi con la
questione dell’unità nazionale. L’esperienza storica dell’Azione Cattolica è stata la
manifestazione di vari tentativi di realizzare,
senza rompere l’unità ecclesiale, una
partecipazione di popolo alla missione della Chiesa attuata con maggiore
responsabilità laicale e secondo criteri di non esclusiva soggezione
gerarchica, sia ideale e programmatica che pratica, almeno nelle cose che
riguardano l’organizzazione della società civile. In ciò consiste appunto la
sua tendenziale democraticità.
L’impegno nel sociale è venuto poi assumendo anche il significato di un tentativo di comporre la
plurisecolare diffidenza dei vertici ecclesiali, e quindi anche della teologia
ritenuta ortodossa dall’autorità, verso le acquisizioni delle scienze
contemporanee, sia naturali che umane. Infine, dal punto di vista politico,
quello di mediare per giungere al superamento del risentimento storico del
papato per la perdita del potere temporale in Italia e della storica
indifferenza dei vertici ecclesiali verso i regimi politici democratici
rispetto a quelli non democratici o addirittura antidemocratici (venuta meno
solo nel 1944 con il radiomessaggio natalizio del Papa Pio XII, mentre ancora
agli inizi del secolo il Papa allora regnante aveva condannato l’idea di una
democrazia cristiana). Con ciò è
chiaro che si è trattato di un’azione che ha riguardato non solo la società
civile, ma anche la stessa Chiesa. Essa si inquadra in un movimento storico di
pensiero e di azione i cui ideali hanno trovato ampia espressione nei documenti
del Concilio Vaticano II (svoltosi a Roma, nella Città del Vaticano, dal 1962
al 1965). A partire da tale evento l’Azione Cattolica, sotto la presidenza di
Vittorio Bachelet, ha fatto della piena attuazione, nella Chiesa e nel mondo,
dei principi stabiliti da Concilio Vaticano II
uno dei suoi principali obiettivi.
26. Vediamo che
attualmente nel gruppo di Azione Cattolica in San Clemente Papa prevalgono
numericamente gli elementi più anziani. Perché?
Il gruppo si trova in una fase di passaggio.
In realtà è composto da persone di diverse età, dai vent'anni ai novanta. E'
portatore di una tradizione culturale importante che deve passare da una
generazione all'altra: questo è il lavoro che attualmente è in corso. Nei
decenni passati l'attenzione del laicato si è forse concentrata su altri temi,
ritenuti più urgenti, e su altre esperienze religiose. Oggi dai vescovi
italiani viene un rinnovato appello ai laici cattolici per un impegno che
corrisponde a quello tipico di Azione Cattolica.
La partecipazione alla riunione del martedì
alle cinque del pomeriggio può risultare difficoltosa a chi lavora e si deve
occupare di figli ancora bambini o molto giovani. Ci sono altre modalità per
tenersi in contatto. I più giovani possono pensare a incontri a loro
specificamente dedicati. E' importante tuttavia mantenere un'occasione
periodica di incontro per tutti gli associati, appunto per favorire il passare
di una tradizione di generazione in generazione. Nell'organizzazione nazionale
e diocesana dell'Azione Cattolica vi sono settori distinti per le varie età e
condizioni della vita. Tuttavia il lavoro che si fa parte dall'idea che c'è un
unico popolo che attraversa la storia
dell'umanità.
L’emergenza sanitaria della pandemia da Covid
19 ci costringerà a ristrutturare le
riunioni del gruppo, perché la presenza dei più anziani nelle sale parrocchiali
costituisce un serio rischio, pur
cercando di adottare misure di prevenzione e di distanziamento.
Bisognerà utilizzare gli strumenti telematici
che già nei primi mesi della pandemia ci hanno aiutato. Questa può essere anche
una buona occasione per cercare di costituire, in modalità virtuale, una sezione di adulti che si affianchi a quella storica degli attuali adultissimi. Potrebbe essere organizzata
come gruppo di lettura e di discussione al fine di orientamento sociale.
Sarebbe soprattutto un’occasione per frequentarci e conoscerci meglio. Chi lavora, e deve occuparsi anche dei figli,
sperimenta di avere poco tempo per questo, ma la modalità virtuale potrebbe
agevolare l’impegno. I programmi di video conferenza in commercio in genere
consentono collegamenti fino a 60 minuti, con ciò imponendo la sintesi.
27. Che fa l’Azione Cattolica per la parrocchia?
L’Azione
Cattolica opera principalmente nella società del suo tempo, come un fermento,
come il lievito in un impasto. Di questa società fa parte anche la parrocchia.
Due sono i campi in cui un gruppo di Azione
Cattolica parrocchiale può dare un proprio caratteristico contributo:
l’approfondimento dei temi del Concilio Vaticano 2° e la pratica della
democrazia nella vita di fede. Questo può servire per fare spazio agli altri,
per aprirsi agli altri, per convivere serenamente con il pluralismo della
società del nostro tempo, che si riflette anche nelle nostre collettività
religiose. L’esperienza dell’Azione Cattolica nacque nell’Ottocento proprio con
queste finalità, scegliendo una strada diversa da quella dell’intransigentismo dell’epoca, della dura opposizione contro ogni
moto di progresso sociale: oggi si direbbe del fondamentalismo. Essa si propose di far uscire le collettività
religiose da una condizione di arretratezza culturale, sociale e politica e di
separatezza dal contesto nazionale. Un impegno che appare sempre attuale.
Infatti è sempre viva in religione la tentazione di bastare a se stessi, la
paura di perdersi in un contesto in cui ogni opzione di vita ha lo stesso
valore e vengono a mancare solide fondamenta. In realtà si tratta di
ricostruire pazientemente, di epoca in epoca, le città degli esseri umani, secondo l’auspico di Giuseppe Lazzati,
dove essi possano vivere liberi e felici. Senza una visione di fede è arduo
riuscirci, anche se storicamente le religioni sono state anche fonte di
oppressione e di infelicità. Eppure l’era delle democrazie contemporanee si
apre, nel nord America di fine Settecento, con rivoluzionari che affermano
solennemente che tutti gli uomini sono “creati” uguali e per questo hanno diritto alla ricerca della
felicità: ecco la fede religiosa che libera. Lo ricordò papa Francesco nel suo
viaggio negli Stati Uniti d’America del
2015.
28. In vista dalla ripresa delle attività
del gruppo di AC per la sessione Ottobre 2020/Giugno 2021
Il 6
ottobre prossimo abbiamo previsto la ripresa delle attività del nostro gruppo
di AC.
Le
riunioni a cui partecipino persone anziane presentano un maggior rischio in
tempi di epidemia di Covid-19. Questo potrebbe rendere necessario incontrarci
utilizzando un programma di video conferenze come Meet. Bisogna
prepararsi. Acquistare un tablet (ce ne sono in
vendita al di sotto dei 100,00 euro). Impratichirsi nell’avviarlo, spegnerlo e
nell’accedere al programma di videoconferenza scelto per incontrarci e ad una
casella di posta elettronica. Collegare il tablet alla
rete telefonica. Il minimo per partecipare a una videoconferenza. Si tratta di
abilità pratiche sicuramente accessibili anche a persone anziane, come a
persone molto giovani, addirittura ai bambini prima delle elementari. Le
persone anziane possono farsi aiutare in questo dalle più giovani.
Proporrò
di affiancare alle attività consuete un impegno più mirato alla mediazione tra
l’attualità del nostro tempo e la fede personale. Questo in vista di una
rigenerazione del nostro gruppo coinvolgendo in particolare le fasce d’età che
sono ancora poco rappresentate.
Nel
complesso, la profonda modifica della vita sociale a seguito dell’epidemia ci
ha sorpreso e più che altro siamo rimasti in attesa che tutto tornasse come
prima, il che però non potrà avvenire tanto presto, almeno secondo ciò che si
sa.
Nella
migliore delle ipotesi, una campagna vaccinale su larga scala per il Covid-19
non potrà iniziare prima della primavera inoltrata del prossimo anno, e prima
che abbia raggiunto un numero di persone sufficienti a produrre effetti sul
corso dell’epidemia se ne sarà andato tutto il prossimo anno di attività
associative.
Mettiamo
in conto, dunque, di dover lavorare ancora in emergenza da ottobre fino alla
fine delle attività associative prima della sospensione estiva del prossimo
anno.
Non avremo
più tra noi il caro Ciccio, che ci ha lasciati a luglio. La fede ci insegna
a contare i nostri giorni. C’è un tempo per ogni cosa e anche per
ogni vivente. Le persone anziane vorrebbero lasciare qualcuno che proseguisse
il loro lavoro, ma, nella religione, oggi vi sono tante difficoltà. E tuttavia
non ci rassegniamo ad essere un gruppo ad esaurimento, come ci volevano in una
passata stagione della vita parrocchiale. Ma se non ci diamo da fare, questo
potremmo diventare, dando così ragione ai nostri critici di una volta.
L’organizzazione
ecclesiastica, d’altra parte, è quella che è e certamente non
incoraggia la partecipazione dei laici. Questi ultimi, in
genere, non vengono formati a partecipare attivamente e quindi non
partecipano. Questo tema non è compreso nella formazione di primo
livello, che per molti è l’unica per una intera vita di fede. Il
clero si lamenta di laici piuttosto clericalizzati, ma dai laici si ribatte che
spesso solo per i clericalizzati c’è vero spazio. Il lavoro dell’Azione
Cattolica dovrebbe contribuire a superare questi problemi e, innanzi tutto, a
imparare, facendone tirocinio, i metodi democratici di partecipazione. Il
nostro statuto definisce l’associazione una palestra di democrazia.
Il metodo democratico ha a che fare con i valori, non solo con le procedure, le
votazioni, per l’attribuzione degli incarichi. Tra quei valori è
molto importante quello della formazione, anche mediante auto-formazione. La
formazione rende capaci di pensiero autonomo e quindi creativi. La
formazione alla democrazia, che deve comprendere un vero tirocinio ad essa,
rende possibile l’azione collettiva, superando, integrandole, le differenze
caratteriali e di punti di vista, in modo da non dover sempre dipendere da un
superiore istituito dall’alto per pacificare. C’è, in definitiva,
qualcosa di molto importante che ci accomuna ed è la nostra fede religiosa.
D’altra parte ogni persona la vive in modo creativo, non si tratta
semplicemente di adeguarsi a modelli della tradizione validi universalmente,
per la donna e per l’uomo, per il bambino, il giovane o l’anziano, per chi
vive nel mondo e per chi vorrebbe vivere fuori del mondo
(tuttavia legiferando sul mondo), per la persona sana e per quella malata, per
l’oppresso come per l’oppressore e via dicendo. Leggo che a volte i laici di
fede sono accusati di volersi costruire una fede a modo loro,
secondo le rispettive esigenze personali, come quando si va al supermercato e
qualcosa si sceglie e qualcos’altra la si scarta. E’ un addebito ingiusto e che
largamente dipende da una visione clericalizzata del popolo dei credenti. Non
c’è un modello di fede che vada bene per tutti. Ci sono del
resto moltissime questioni aperte a livello teologico, che non conviene
superare come nel nostro triste passato con delle specie di scomuniche. Ma
anche nella pratica quotidiana, bisogna prendere consapevolezza che una parte
dell’etica religiosa che ancora viene insegnata non è sostenibile. E certe
volte sono proprio i metodi di insegnamento che non vanno, troppo centrati
sulla forza dell’autorità, quando poi la storia ci dimostra chiaramente che
l’autorità raramente ci piglia nelle questioni che
travagliano in particolare la vita dei laici. Del resto è effettivamente così
che va nelle questioni di fede: finché ci si mantiene sulle generali, certi
problemi sono avvertiti quasi solo dai teologi, quando invece si passa alle
questioni pratiche e si osservano da vicino tutto si complica. Certo, abbiamo
una teologia dogmatica spietata ma una pastorale piuttosto comprensiva, però
questa non è una soluzione che soddisfi veramente. Un laicato consapevole
potrebbe contribuire a superare questo stato di cose. Inutile cercare soluzioni
nelle teologie correnti: la teologia ragiona sempre su ciò che è stato già
acquisito per altra via, è un riflessione a posteriori. Bisogna cambiare, o
almeno provare a cambiare, poi i teologi seguiranno. Una certa familiarizzazione
con i ragionamenti teologici serve, perché i nostri vescovi e i nostri preti
hanno fondamentalmente una cultura teologica, parlano teologico, e
se se ne è completamente digiuni non ci si intende, ma senza eccedere, perché
il metodo della teologia porta in genere a creare ostacoli
insuperabili da parte della teologia stessa, ma superabilissimi nella pratica
delle relazioni umane.
Il
contadino esce, guarda il cielo, e capisce se farà brutto tempo o non, e se è
tempo di seminare o di mietere: è scritto. Ma di questi tempi questo non è più
tanto vero per la questione dell’epidemia in corso. Finirà? Quando? Ne sappiamo
ancora troppo poco per rispondere. I ritmi della nostra vita ne
risultano molto alterati. La stessa incertezza colpisce. Non si riescono più a
are previsioni affidabili. Rimane certo lo scorrere del tempo, per
cui inesorabilmente ci si fa più anziani, così come rimangono le stagioni,
perché il cosmo è indifferente al nostro problema biologico, e
ruota, ruota, ruota, ma la fede è un fatto sociale e se la vita sociale è
colpita, addirittura certe volte interdetta, la fede ne risente.
Mi pare
che nei mesi scorsi si sia data troppa importanza alla sospensione delle
attività liturgiche con la partecipazione effettiva della gente. Si è visto che
si poteva ovviare con le riprese televisive. La pratica della fede non è solo
liturgia, che spesso appare come la recita di certi copioni in una serie di
rappresentazioni clericali che si succedono senza fine. E’ la nostra fede che
riempie di senso vitale le liturgie a cui partecipiamo, ed è in questo che
effettivamente essere realmente presenti è differente dall’assistere in
televisione. Allora, però, occorre esercitarsi in quella nostra fede,
svilupparla, praticarla attivamente, farla reagire con ciò che ci accade
intorno. In modo, ad esempio, da essere capaci di liturgia anche quando non
siano praticabili quelle consuete, dirette dal clero. Non è
possibile concludere che o la messa o nulla. Naturalmente
anche a questo si è poco o nulla formati. Ed è un problema serio.
Dunque, per
tutti noi l’anno di attività associativa che ci attende sarà molto impegnativo,
richiederà di imparare e praticare cose nuove, perché stiamo vivendo tempi
nuovi, terribili anche, ma essenzialmente nuovi. Ci sarà una fatica
da affrontare, resistenze anche interiori da superare. Perché in genere ci
hanno insegnato ad essere piuttosto conservatori e, facendoci anziani, lo
diveniamo naturalmente. Ma i tempi nuovi scompaginano la tradizione, anche solo
intesa come l’insieme delle nostre care consuetudini. Del reato non ci sono
stati promessi così, tutti nuovi, i tempi che ci hanno insegnato ad
attendere?
Per chi vi volesse approfondire segnalo i
seguenti link:
Statuto AC
Nazionale:
http://www0.azionecattolica.it/aci/chi/statuto/statuto.pdf
Atto normativo
diocesano:
http://sacricuoriroma.altervista.org/joomla/images/Azione_Cattolica/ac_roma.pdf
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1.1
Per cominciare a capire l’AC
Nello statuto
nazionale (articoli 1 e 2) dell’Azione Cattolica è scritto che essa è fatta di laici che si impegnano liberamente, per impregnare dello spirito evangelico le varie comunità e i vari
ambienti. Più avanti (art.3) è scritto che gli associati si impegnano in
particolare anche ad informare dello
spirito cristiano le scelte da loro compiute con propria responsabilità
personale, nell’ambito delle realtà temporali (cioè, traducendo dal gergo
teologico, nella società civile). E,
ancora, (art.11) che quella in Azione
Cattolica è un’esperienza popolare e democratica. Essa poi è
presentata come rivolta alla crescita
della comunità cristiana e si dice
animata dalla tensione verso l’unità,
da costruire partendo da diverse
esperienze e condizioni di vita. Nell’Atto
Normativo Diocesano della Diocesi di
Roma è scritto che l’esperienza in Azione
Cattolica è una palestra di democrazia e di responsabilità civile.
La storia. Dalla fine del Settecento
cominciano a diffondersi e ad essere attuati, a partire dall’Europa, ideali
democratici di organizzazione sociale. Si produce una profonda e tragica
frattura tra l’organizzazione di vertice della Chiesa cattolica, espressa dal
clero, e i movimenti democratici. Essa attraversa i popoli evangelizzati. In
Italia si complica per l’interferenza del potere temporale dei Papi con la
questione dell’unità nazionale. L’esperienza storica dell’Azione Cattolica è stata la
manifestazione di vari tentativi di
realizzare, senza rompere l’unità ecclesiale, una partecipazione di popolo alla missione della
Chiesa attuata con maggiore responsabilità laicale e secondo criteri di non
esclusiva soggezione gerarchica, sia ideale e programmatica che pratica, almeno
nelle cose che riguardano l’organizzazione della società civile. In ciò
consiste appunto la sua tendenziale democraticità.
L’impegno nel sociale è venuto poi assumendo anche il significato di un tentativo di comporre la
plurisecolare diffidenza dei vertici ecclesiali, e quindi anche della teologia
ritenuta ortodossa dall’autorità, verso le acquisizioni delle scienze contemporanee,
sia naturali che umane. Infine, dal punto di vista politico, quello di mediare
per giungere al superamento del risentimento storico del papato per la perdita
del potere temporale in Italia e della storica indifferenza dei vertici
ecclesiali verso i regimi politici democratici rispetto a quelli non
democratici o addirittura antidemocratici (venuta meno solo nel 1944 con il
radiomessaggio natalizio del Papa Pio XII, mentre ancora agli inizi del secolo
il Papa allora regnante aveva condannato l’idea di una democrazia cristiana). Con ciò è chiaro che si è
trattato di un’azione che ha riguardato non solo la società civile, ma anche la
stessa Chiesa. Essa si inquadra in un movimento storico di pensiero e di azione
i cui ideali hanno trovato ampia espressione nei documenti del Concilio
Vaticano II (svoltosi a Roma, nella Città del Vaticano, dal 1962 al 1965). A partire da tale evento l’Azione Cattolica, sotto la presidenza di
Vittorio Bachelet, ha fatto della piena attuazione, nella Chiesa e nel mondo,
dei principi stabiliti da Concilio Vaticano II
uno dei suoi principali obiettivi.
Due sono i campi in cui un gruppo di Azione
Cattolica può dare un proprio caratteristico contributo: l’approfondimento dei
temi del Concilio Vaticano 2° e la pratica della democrazia nella vita di fede.
Questo può servire per fare spazio agli altri, per aprirsi agli altri, per
convivere serenamente con il pluralismo della società del nostro tempo, che si
riflette anche nelle nostre collettività religiose. L’esperienza dell’Azione
Cattolica nacque nell’Ottocento proprio con queste finalità, scegliendo una
strada diversa da quella dell’intransigentismo
dell’epoca, della dura opposizione
contro ogni moto di progresso sociale: oggi si direbbe del fondamentalismo. Essa si propose di far uscire le collettività
religiose da una condizione di arretratezza culturale, sociale e politica e di
separatezza dal contesto nazionale. Un impegno che appare sempre attuale.
Infatti è sempre viva in religione la tentazione di bastare a se stessi, la
paura di perdersi in un contesto in cui ogni opzione di vita ha lo stesso
valore e vengono a mancare solide fondamenta. In realtà si tratta di
ricostruire pazientemente, di epoca in epoca, le città degli esseri umani, secondo l’auspicio di Giuseppe Lazzati,
dove essi possano vivere liberi e felici. Senza una visione di fede è arduo
riuscirci, anche se storicamente le religioni sono state anche fonte di
oppressione e di infelicità. Eppure l’era delle democrazie contemporanee si
apre, nel nord America di fine Settecento, con rivoluzionari che affermano
solennemente che tutti gli uomini sono “creati” uguali e per questo hanno diritto alla ricerca della
felicità: ecco la fede religiosa che libera. Lo ha ricordato papa Francesco nel
suo viaggio negli Stati Uniti d’America
del 2017.
1.2
Cercatori di verità
(26-9-18)
1. Per orientarci in società in quello che facciamo, abbiamo bisogno di
convinzioni affidabili su come va il mondo, sul passato, su quello che si
prevede nel futuro e sul senso della vita. Quando queste convinzioni sono
condivise da gruppi sociali diventano verità in quei
gruppi. Sono ritenute socialmente affidabili le convinzioni
che funzionano in ciò che ci servono, innanzi tutto per essere accettati in
società, ma anche per difendersene, per farla funzionare, e per sopravvivere
negli ambienti naturali, pieni di rischi. Sono verità quelle che fanno
funzionare le nostre automobili e gli smartphone. Ne siamo convinti anche se
non arriviamo a comprenderle in dettaglio, perché funzionano. Può apparire
strano dirlo, ma anche per le verità religiose è un po’ così. Le verità,
di solito, vengono sottoposte a costante revisione: innanzi tutto per i
processi di apprendimento sociale che progrediscono (e talvolta regrediscono) e
poi perché, al variare delle società che le espressero, anch’esse devono
cambiare, altrimenti non servono più. Una verità, pertanto, è legata a un
gruppo sociale e a un’epoca. Tutte le verità compresenti in un gruppo sociale e
in un tempo sono tra loro collegate: quelle sul senso della vita, ad esempio,
dipendono anche dalla concezione di come va il mondo e di come è andata nel
passato. Oggi riteniamo inaffidabili molte verità degli antichi, ma i posteri,
probabilmente, faranno lo stesso con le nostre. Bisogna dire che, però, molte
delle verità oggi credute sono legate con quelle del passato: spesso ne
costituiscono più che altro un’evoluzione, un adattamento. Questo accade spesso
in religione. Non crediamo più negli antichi
dei, ma non crediamo in un modo molto diverso dagli antichi: gli antropologi,
anzi, riconoscono l’antica religiosità in diversi atteggiamenti di oggi. L’antichissima
narrazione biblica su Adamo ed Eva, che in parte ha analogie
con quelle di altre religioni degli antichi in merito ai primi esseri umani, oggi non
è più considerata verità in senso storico, ma
rimane verità in senso religioso.
Esistono verità assolute, vale
a dire resistenti al cambiamento dei corpi sociali nei quali sono diffuse? In
religione di solito si è convinti di sì, ma, quando si va nel particolare,
vediamo che molti rimaneggiamenti ci sono stati e, anche dove certe verità sono
espresse con parole antiche, oggi le comprendiamo in modo diverso dagli
antichi. Si spiega la cosa dicendo che, nel tempo e secondo le varie società,
esse si sono capite diversamente e, in genere, meglio, con più profondità. In
effetti c’è stata una loro diversa inculturazione. Sono penetrate
in culture diverse che le hanno intese in modi diversi. Ogni epoca vi ha
lasciato qualcosa. Ragionandoci sopra si possono individuare questi lasciti
culturali e anche tentarne un’opera di escissione per così dire chirurgica. Ma
poi sempre anche noi si lascerà in quelle antiche verità qualcosa di nuovo,
perché devono legarsi a società nuove e, se non vi riescono, non possono
permearle. Questo è appunto il lavoro della mediazione culturale.
Studiando i nostri testi
sacri possiamo renderci conto molto bene di queste caratteristiche delle verità
credute in società. E di come certe verità, che vengono ritenute ad un certo
momento non più o meno affidabili sotto certi punti di vista,
mantengono validità sotto altri, ad esempio quando si parla del senso della
vita.
Oggi in religione non si è
più obbligati a credere che gli esseri umani
furono creati esattamente come li vediamo adesso
(anche se c’è chi ancora lo crede). Ma è così che la Creazione viene
presentata nelle Scritture e a lungo, in religione, la si è pensata così. L’evoluzionismo,
la convinzione che i nostri organismi siano il risultato di lunghi processi biologici
di metamorfosi che ci accumunano agli altri mammiferi, è stato da poco digerito dalla
teologia, e non del tutto. E’ ritenuto una verità in ambito
scientifico, vale a dire un’idea affidabile ampiamente condivisa nelle comunità
scientifiche che spiega come siamo arrivati ad essere come siamo, e ciò
naturalmente solo fino al momento in cui essa sia provata come
inaffidabile e sostituita con un’altra che non sia ritenuta tale. I teologi ci
hanno spiegato che, comunque, l’evoluzionismo non mette in questione il senso
religioso della vita e, in particolare, l’idea diCreazione, che
significa produrre vita e natura dotate di senso, proprio come scritto nella
Bibbia. Anche nell’evoluzione delle specie viventi si può scorgere un senso
religioso. I racconti biblici sulla Creazione funzionano ancora come verità in
quell’ambito, anche se non sono più creduti come tali quali spiegazioni
scientifiche degli eventi biologici che portarono alle metamorfosi delle specie
fino a noi.
Ci furono tempi in cui si diede
molta importanza al provare l’esistenza di Dio, impiegando
argomenti logici basati anche sull’osservazione dei fatti della natura e
della nostra psicologia. Poi ci si è convinti che è fatica
sprecata. Di fronte alle tante ragionevoli obiezioni poste dagli increduli, in
definitiva noi pur sempre amiamo Dio e perciò crediamo,
e tuttavia anche ragioniamo, ma quel nostro ragionare non è un provare,
bensì l’inquadrare armonicamente quelle religiose tra le altre nostre
convinzioni, quelle che ci servono in società. Si ricorda quel detto dello
scrittore russo Fëdor Dostoevskij secondo
il quale, se gli avessero dimostrato che Dio non esiste, egli avrebbe tuttavia
continuato ad amarlo. Quella su Dio non è una di quelle verità che abbia
bisogno di essere provata per essere ritenuta
affidabile. Per questo resiste ad ogni confutazione, ed anche a quella,
contenuta nelle stesse Scritture, secondo la quale “Dio, nessuno lo ha
mai visto”.
Nel
processo giudiziario vediamo bene esemplificato il dramma che riguarda le verità che
usiamo in società. Cerchiamo di convincerci in modo affidabile di come è andato
un certo fatto storico, che ipotizziamo come illecito e si vorrebbe come tale
sanzionare. Cerchiamo prove, le colleghiamo con dei ragionamenti: proponiamo
una certa ricostruzione. Ma è andata sicuramente così? Arriviamo a
convincercene, e dobbiamo farlo perché una decisione, in un senso o in un altro
va comunque presa. Arriva a diventare irrevocabile, non più confutabile
in sede giudiziaria con i mezzi ordinari. Ad essa il condannato è inchiodato,
come lo fu il nostro Maestro. “Che cosa è la verità?”, gli
aveva chiesto il suo giudice. Fatto sta che oggi non si è più convinti di
quella verità giudiziaria, che lo coinvolse così crudelmente. Accade anche nei
processi di oggi. Sono previste però possibilità di revisione delle
decisioni giudiziarie, quando vengano fuori prove decisive affidabili che ne
dimostrino l’ingiustizia. La verità giudiziaria, come quella scientifica, non
ha la pretesa di essere assoluta e definitiva.
La principale controindicazione alla pena di morte è che, dopo la morte del
condannato, la revisione giudiziaria diventa inutile: rimane solo il lavoro
degli storici, per i fatti di rilevante interesse sociale.
Abbiamo ancora bisogno
di verità? Certamente. La società, altrimenti, non potrebbe
esistere e funzionare, organizzarsi come tale. Abbiamo bisogno di convinzioni
sociali ritenute affidabili e ampiamente condivise. Prima dell’avvento dell’era
delle ferrovie non si sentiva la necessità di tecniche di misurazione del tempo
orario, ora per ora, con precisione al minuto, uniformi a livello
nazionale o addirittura internazionale, salvo che per fare il punto in
navigazione. Dopo fu diverso: anche se l’alba non arriva alla stessa ora in una
città rispetto ad un’altra e il giorno comincia quindi in orari diversi a
seconda dei posti, gli orari di partenza e di arrivo dei treni non dipendono da
quello e se un treno parte alle sette a Roma, arriva alle 10 e qualcosa a
Milano indipendentemente dall’orario dell’alba. Altrimenti come si farebbe a
programmare i viaggi in treno? L’orario ferroviario è una verità nel
senso che ho precisato.
Abbiamo anche bisogno che alcune
di queste verità, quelle più importanti, non siano nelle mani dei potenti
del momento, e anzi arrivino a obbligare anche loro, come è, ad esempio, per i
valori costituzionali nel nostro regime democratico. Gran parte delle verità
religiose sono appunto del tipo che va maggiormente preservato. Quelle
tecnologiche o sulla natura possono mutare rapidamente, ma quelle sul senso
della vita, no. Nel senso della vita siamo infatti compresi noi stessi,
con la nostra dignità, la nostra felicità, il nostro destino sociale.
I teologi sanno riconoscere quel
nucleo di verità che è rimasto stabile, nelle nostre convinzioni religiose, dai
primi tempi, nonostante le molte varianti culturali, con i conseguenti apporti,
e nonostante che tante altre affermazioni, tanti altri racconti, non siano più
considerati verità in tutti i sensi in cui li si pensava
tali. Chiamano quel nucleo deposito di fede e ci dicono
che è molto importante non solo preservarlo, ma anche tramandarlo,
ciò che richiede necessariamente dimediarlo attraverso i
tempi e le società. Mediare non significa tradire,
ma interpretarlo (non solo tradurlo) in modo
che funzioni anche in epoche e società diverse da quelle originarie, mantenendo
il suo senso profondo, ciò che lo rende santo, che
appunto significa da preservare religiosamente, ma non per semplice puntiglio
dotto di eruditi, bensì per amore. Depositandolo in altre
culture, mediandolo, le comprendiamo in ciò che amiamo.
Oggi si preferisce dire che
siamo cercatori di verità, piuttosto chepossessori, volendo
intendere che siamo sempre impegnati ad approfondire quelle che permangono stabili
nel tempo, perché hanno a che fare con il senso della vita, e a capire sempre
meglio, in maniera sempre più affidabile, il contorno, le altre. Della ricerca della
verità fa parte anche la sua critica, il vaglio per stabilirne la
perdurante affidabilità. Come pure quel lavoro che definiamo di mediazione
culturale, che serve a tramandare e trasferire le verità più importanti
anche oltre le società e i tempi che le originarono. Ad alcuni esso pare
indebito perché la verità è la verità, dicono, e non si
accorgono che, così concludendo, fanno però sempre riferimento ad una certa
versione della verità, socialmente e temporalmente collocata, ad esempio quella
che si ricava dal catechismo del 1905 di san Giuseppe
Sarto - Pio 10°. Alla fine restringendo la verità in una specie di recinto
culturale, oltre il quale non ce ne sarebbe più, la si costringe in una
prigione e non le si consente di fare il lavoro che serve in società, innanzi
tutto parlando alla sua gente in maniera tale che possa essere capita. E’ un
po’ l’obiezione che viene posta al Catechismo della Chiesa cattolica,
deliberato nel 1992 come documento normativo, limitativo della ricerca
teologica, non solo come strumento per la formazione dei fedeli.
Gli antichi dei e le antiche
religioni passarono: è un monito serio. Non è che gli antichi fossero
irreligiosi, come, sbagliando, a volte li riteniamo. Non avrebbero perso tempo,
in quel caso, a costruire quei grandi templi che ancora oggi ammiriamo. E’ che,
ad un certo punto, in un processo non istantaneo ma che richiese circa
settecento anni, da quando il greco Socrate cominciò a parlare
dell’insufficienza delle concezioni religiose del suo tempo a quando la nostra
fede si affermò nell’impero romano intorno al Mediterraneo, certe verità non
furono più suscettibili di mediazioni affidabili in società e vennero
sostituite da altre di cui ci si convinse. Potrebbe succedere anche alle nostre
verità di fede? Potrebbe, se abbandoniamo il lavoro di mediazione culturale e
di inculturazione.
Ai tempi nostri c’è una certa
libertà nel credere in certe verità, come quelle religiose o quelle
in materia medica. Questo non significa che si sia effettivamente più liberi,
in generale, in materia di verità. Oggi, ad esempio, si dà molta importanza ai
fatti economici, ed è come se ad ognuno sia assegnato un prezzo che ne
definisce il valore sociale. Si è liberi di dire di non credere in un dio, ma
se non si crede ai fatti economici si finisce in rovina,
e sempre meno ci si sente impegnati a soccorrere chi cade. Qualche volta la
cosa viene presentata come il conflitto tra il Dio della Bibbia e il
dio-denaro. Criticare quest’ultimo, mettendo in questione il sistema sociale
che lo esprime, può essere piuttosto pericoloso. Può costare la libertà e
addirittura la vita. E’ un sistema di valori che sta mutando. Cercare di
spiegarne, e innanzi tutto spiegarsene, le ragioni è una parte di
quel rendere ragione della propria fede, che è un obbligo
importante del fedele religioso. Non basta ripetere a memoria la dottrina
ricevuta, come una volta si faceva da bambini con i nostri vecchi catechismi a
domande e risposte per la Prima Comunione correnti ancora per tutti gli scorsi
anni Sessanta, fino al rinnovamento della catechesi del
decennio succesivo. Questo lavoro del rendere ragione, che è
confrontarsi con le verità del proprio tempo, e innanzi tutto sulla questione
della verità, è un parte importante del lavoro che ci si aspetta da un laico di
fede. Perché egli deve difendere e promuovere i valori di fede, le verità religiose,
nella società del suo tempo. Non si tratta di provare le
realtà soprannaturali, le quali in quanto tali non sono suscettibili di essere
provate, ormai lo abbiamo capito, ma di accreditare nella società del proprio
tempo il senso religioso della vita, quello basato sulla misericordia tra
gli umani che si irradia anche a tutta la natura intorno, perché quella società
cambi nel senso giusto, in questo trovando compagni ben oltre la cerchia di chi
è esplicitamente religioso.
2. Le verità, le convinzioni socialmente condivise, mutano con il
cambiare delle società in cui sono diffuse. Le società cambiano per successioni
delle generazioni o per commistioni con altre società. La formulazione delle
verità, in riti e ideologie, segue il loro affermarsi in società e, in
generale, le istituzioni che hanno il compito sociale di formalizzare le verità
resistono al cambiamento.
L’idea di un’umanità tutta
compresa in un’unica famiglia è molto antica nella nostra fede e corrisponde
alla situazione sociale in cui si affermò alle origini: quella di un grande
impero multinazionale. Tuttavia essa subì delle metamorfosi al variare della
situazione politica europea. La fede si venne nazionalizzando, venendo a
legarsi con società meno aperte, ad etnie e regni. Il processo seguì la
divisione sociale. La divisione comportava la guerra, ma quest’ultima era
considerata come un fatto naturale, come i terremoti e i cicloni atmosferici.
Ogni società si costruiva così il suo dio, ma la teologia non vedeva
contraddizione con una fede di impronta universalistica. Le conquiste europee
in Africa, America ed Asia crearono problemi più seri. In particolare, in
Africa e in America, si venne a contatto con culture molto distanti da quelle
europee e anche con culture primitive. La comune umanità, che era evidente,
faticò ad essere affermata culturalmente, anche in religione. Convissero varie
formulazioni teologiche, quelle universalistiche, quelle nazionalistiche,
quelle di impronta razzista basate su un primato etnico. Queste ultime furono
alla base della colonizzazione religiosa degli europei.
La nostra teologia si mostrò
piuttosto duttile alle esigenze sociali. Così, ciascun popolo, ciascuno stato,
poteva immaginare di avere un proprio dio e, a livello
mondiale, gli europei di avere un diritto di dominio di origine divina, come
strumento per l’evangelizzazione.
La situazione
cominciò a mutare a partire dalla fine del Settecento, con
l’affermarsi delle democrazie di popolo. Si compresero le origini sociali delle
sofferenze sociali, compresi i conflitti e, pertanto, anche delle guerre. Lo
sfruttamento sociale dei ceti più poveri e il razzismo cominciarono ad essere
intesi come peccati sociali, colpe da cui redimersi. A partire dalla Prima
Guerra Mondiale la riflessione coinvolse il problema della guerra e di un
ordine internazionale pacifico. Anche la guerra cominciò ad essere pensata come
un peccato collettivo, non più quindi come un fenomeno naturale, ma come un
prodotto sociale che, con giuste riforme, poteva essere evitato. Dopo la Seconda
Guerra Mondiale il medesimo orientamento coinvolse anche la valutazione del
colonialismo europeo. Il pensiero sociale cristiano in materia precedette, e
determinò, le pronunce del nostro Magistero, in particolare di quello dei Papi.
Riprese vigore, a partire dagli anni Sessanta, la teologia universalistica
delle origini, ma intesa secondo le esigenze sociali del momento e il mondo
nuovo che si era creato. La globalizzazione della nostra fede
precedette di molto quella dell’economia e, in un certo, senso la prefigurò e
sostenne. Questo orientamento si manifestò in maniera spettacolare nel
magistero di san Karol Wojtyla, il quale arrivò a proporre l’immagine di radici cristiane
dell’Europa che ne avrebbero imposto la pacificazione in un nuovo ordine
internazionale per preservare la pace. Questa visione non aveva in realtà
riscontri storici: la storia europea, fin dall’affermarsi della nostra fede sul
continente, dal Quarto secolo, era stata un lungo seguito di conflitti, anche a
sfondo religioso. La possiamo immaginare come una retropia,
l’immaginare un passato migliore, ma mai esistito, a cui tornare. Un passato
alternativo. Il fatto che, nel corso del Novecento, si fosse affermata una
frattura tra società in cui la fede religiosa era tra le verità ammesse e altre
in cui essa era vivamente contrastata e ridotta al rango di credenza tollerata,
quindi tra regimi di democrazia capitalista e regimi comunisti, non poteva
cambiare la realtà di un passato aspramente conflittuale nel quale la comune
fede religiosa non era stata mai un deterrente sufficiente alle guerre e, anzi,
spesso era stata all’origine di esse.
La dottrina sociale ancora
corrente sulla pace iniziò a essere diffusa nel 1939, al manifestarsi della
minaccia di una nuova guerra mondiale, e da allora non ha mai cessato di
esserlo. Essa corrispondeva a una situazione sociale che considerava la pace un
valore importante. Ai tempi nostri la situazione sta cambiando. Sembra che
risorgano gli dei nazionali. Si sta proponendo una corrispondente teologia, che,
anch’essa, cerca in passati immaginari degli
esempi sociali a cui tornare. L’epoca dei sovrani assoluti, da essa
mitizzata, non fu infatti propizia per l’affermazione della nostra fede, perché
fu caratterizzata da aspri conflitti religiosi e quindi da valori e fatti
contrastanti con quelli evangelici, che pure venivano proclamati. Ma la si
propone come più religiosa di quella delle democrazie,
basata sulla libertà di coscienza, disperando di ottenere l’unità delle anime
altro che con la forza, la coercizione. Questa è la posizione di quei
neo-fascismi di egoismo nazionale che vanno sotto il nome di sovranismi,
i quali hanno come slogan quello antievangelico “Prima noi!”. Essi
sono insofferenti dell’attuale teologia universalistica e del suo principale esponente
vivente, il Papa regnante. Con fatti concludenti e con la battaglia delle idee
cercano di contrastarla e di ottenerne delle metamorfosi, innanzi tutto
cercando da sradicarla dai corpi sociali di riferimento. Utilizzano a questo
fine la paura ancestrale di un’invasione aliena. Cercano inoltre di modificare
politicamente la legislazione sociale e le istituzioni ispirate ai suoi
principi umanitari. Si tratta, in particolare, della Costituzione italiana
vigente e dell’Unione Europea, con la sua Carta dei diritti, nella cui
realizzazione sono stati fortemente impegnati quelli della nostra fede, sull’ispirazione
della dottrina sociale diffusa dagli anni ‘40 del secolo scorso. Avevano l’obiettivo
di un ordine internazionale pacifico, che in effetti si è prodotto a lungo.