INFORMAZIONI UTILI SU QUESTO BLOG

  Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

  This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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  Questo blog è un'iniziativa di laici aderenti all'Azione Cattolica della parrocchia di San Clemente papa e manifesta idee ed opinioni espresse sotto la personale responsabilità di chi scrive. Esso non è un organo informativo della parrocchia né dell'Azione Cattolica e, in particolare, non è espressione delle opinioni del parroco e dei sacerdoti suoi collaboratori, anche se i laici di Azione Cattolica che lo animano le tengono in grande considerazione.

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  Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

  Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

  Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

  Dall’anno associativo 2020/2021 il gruppo di AC di San Clemente Papa si riunisce abitualmente due martedì e due sabati al mese, alle 17, e anima la Messa domenicale delle 9. Durante la pandemia da Covid 19 ci siamo riuniti in videoconferenza Google Meet. Anche dopo che la situazione sanitaria sarà tornata alla normalità, organizzeremo riunioni dedicate a temi specifici e aperte ai non soci con questa modalità.

 Per partecipare alle riunioni del gruppo on line con Google Meet, inviare, dopo la convocazione della riunione di cui verrà data notizia sul blog, una email a mario.ardigo@acsanclemente.net comunicando come ci si chiama, la email con cui si vuole partecipare, il nome e la città della propria parrocchia e i temi di interesse. Via email vi saranno confermati la data e l’ora della riunione e vi verrà inviato il codice di accesso. Dopo ogni riunione, i dati delle persone non iscritte verranno cancellati e dovranno essere inviati nuovamente per partecipare alla riunione successiva.

 La riunione Meet sarà attivata cinque minuti prima dell’orario fissato per il suo inizio.

Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

NOTA IMPORTANTE / IMPORTANT NOTE

SUL SITO www.bibbiaedu.it POSSONO ESSERE CONSULTATI LE TRADUZIONI IN ITALIANO DELLA BIBBIA CEI2008, CEI1974, INTERCONFESSIONALE IN LINGUA CORRENTE, E I TESTI BIBLICI IN GRECO ANTICO ED EBRAICO ANTICO. CON UNA FUNZIONALITA’ DEL SITO POSSONO ESSERE MESSI A CONFRONTO I VARI TESTI.

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domenica 6 settembre 2020

 

Azione Cattolica: fede religiosa e democrazia

-

Parte 1

 (dal n.0 al n.1.2)

( nei post  precedenti sono pubblicate le parti successive. Questo testo è pubblicato in 8 parti)

Nel n.0.1 ho inserito le mie risposte alle domande più frequenti sull'Azione Cattolica,  per spiegare ciò che non è e ciò che è

di Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli

 

edizione ottobre  2020, con nuovi materiali

 

 

Parte 1

0.Introduzione

0,1 Azione Cattolica FAQ - domande frequenti

1. Religione che cambia il mondo agendo in democrazia.

1.1. Per cominciare a capire

1.2. Cercatori di verità

Parte 2

1.3 Azione per il cambiamento

1.4. Riforma sociale come azione religiosa

1.5 Un mondo da salvare

1.6 Catechesi civile

1.7 Religione come conquista culturale

1.8 Religione difficile

1.9 La democrazia come problema religioso per il cambiamento della società

2 

Azione Cattolica è azione nella società democratica

(26 settembre 2012)

3 

Agire da gente di fede nella società democratica di oggi

(29 settembre 2012)

4

Libertà e democrazia come esperienze collettive di elevazione delle moltitudini alla piena   cittadinanza. Esse contrastano con la nostra esperienza religiosa? (30 settembre 2012)

5

Fede religiosa, uguaglianza e democrazia:  relazioni in veloce evoluzione (1 ottobre 2012)

6

La libertà come opportunità religiosa in democrazia (1 ottobre 2012)

7

L’uguaglianza come pari dignità sociale è alla base delle democrazie  di popolo contemporanee

(3 ottobre 2012)

8

Un appello per ripartire insieme

(4 ottobre 2012)

9

Le ragioni di un lavoro insieme

(5 ottobre 2012)

Parte 3 

10

Azione Cattolica: un’esperienza di Chiesa

(7 ottobre 2012)

11

Noi cattolici: cittadini o stranieri nella società in cui viviamo?

(8 ottobre 2012)

12

Europa, pace, diritti umani. E noi? Abbiamo vinto il premio Nobel.

(13 ottobre 2012)

13

Insieme per agire da gente di fede

(14 ottobre 2012)

14

Costruire nella società per narrare il fondamento della nostra speranza

(12 ottobre 2012)

15

Noi: popolo di Dio

(15 ottobre 2012)

16

Essere popolo unito da una fede religiosa

(16 ottobre 2012)

17

Unire le genti per una vita buona

(17 ottobre 2012)

18

Un popolo nuovo

(19 ottobre 2012)

19

Micro-Macro e la ricerca della felicità

(20 ottobre 2012)

20

Uguale dignità nella Chiesa tra tutti i fedeli

(21 ottobre 2012)

21

Città di Dio, città dell’uomo, città del diavolo

(22 ottobre 2012)

22

Quale impegno nell’Anno della Fede? Andare avanti!

(24 ottobre 2012)

23

E pluribus unum: quale fondamento per l’unità?

(25 ottobre 2012)

24

Gioia e timore alla base dell’impegno religioso nella società

(27 ottobre 2012)

Parte 4

25

Fare memoria di un’alleanza

(30 ottobre 2012)

26

Azione Cattolica: insieme per promuovere la pace universale

(1 novembre 2012)

27

Un nuovo modello globale di organizzazione e convivenza dell’umanità. Il modello della famiglia umana.

(2 novembre 2012)

28

Realtà invisibili

(3 novembre 2012)

29

A occhi aperti

(5 novembre 2012)

30

La città dell’uomo

(7 novembre 2012)

31

Una lunga storia

(8 novembre 2012)

32.1.

Sentirsi responsabili di tutto

(10 novembre 2012)

32.2.

Costruire la città dell’uomo come dovere religioso

(12 novembre 2012)

 

33

Rinnovarsi sempre, ma custodendo ciò che di vitale si è ricevuto dal passato

(14 novembre 2012)

34

La fede fa scandalo?

(16 novembre 2012)

35

Fede e promozione umana

(19-11-12)

36

Conflitto come esperienza religiosa

(19 novembre 2012)

Parte 5

37

Una riunione “politica”

(23 novembre 2012)

38

Noi e la storia. Chi siamo veramente?

(28 novembre 2012)

39

La parrhesia* evangelica

(29 novembre 2012)

40

Eterno presente o apertura verso un futuro diverso

(30 novembre 2012)

41

Sollecitudine nel lavoro relativo alla terra presente e rilevanza religiosa della democrazia

(1 dicembre 2012)

42

La pace universale come finalità religiosa

(3 dicembre 2012)

43

Che fanno i laici cattolici nel mondo?

(3 dicembre 2012)

44

Laicità dello stato: nuovo fronte religioso?

(9 dicembre 2012)

45

Civiltà cristiana e Azione Cattolica

(15 novembre 2012)

46

L’incontro della Chiesa col mondo

(23 dicembre 2012)

47

Cattolicesimo forza di progresso?

(29 novembre 2012)

Parte 6

48

Fede religiosa, forza di progresso

(4 gennaio 2013)

49

Noi, la Chiesa e la società nella crisi

(7 gennaio 2013)

50

Un processo continuo di liberazione

(8 gennaio 2013)

51

Pace come promozione umana

(13-1-13)

52

Unita’/comunione nella Chiesa e promozione umana

(13 gennaio 2013)

53

Scrutare i segni dei tempi

(15 gennaio 2013)

54

Fede cristiana: speranza credibile e onesta o pia illusione?

(17 gennaio 2013)

55

La Chiesa vuole rinnovare il mondo

(19 gennaio 2013)

56

Democrazia, difficile virtù

(22-3-16)

57

Dottrina sociale, liturgia e Concilio Vaticano 2°

(23-3-16)

58

Convincersi della democrazia

(24-3-16)

59

Democrazia dei cristiani, democrazia di tutti

(30-3-16)

60

Nella grande politica

(6-6-16)

61

Il partito del Papa

(8-6-16)

62

Fede e politica: una relazione essenziale

(10-6-16)

63

La vita di fede come esperienza civile

(1-7-16)

Parte 7

64

Condominio o repubblica

(2-7-16)

65

Fedi omicide

(4-7-16)

66

Le religioni e il tribunale della coscienza e della ragione

(16 luglio 2016)

67

La Nazione

(1 agosto 2016)

68

Degrado della politica ed eclisse del Parlamento

(3-11 agosto 2016)

69

La sfida della pace

(21 febbraio 2016)

70

Impegno civile come attività religiosa

(3 gennaio 2015)

71

Spunti per un dialogo politico su democrazia di popolo e fede cristiana.

(29-1-15)

Parte 8

72

A compagni di fede spietati

(agosto 2019)

72.0. Premessa con il contesto storico.

72.1. Motivazione alla fede.

72.2. Un progetto per una realtà di base.

72,.3. Mandata a tutti i popoli della Terra.

72.4. Filantropia.

72.5. Il nostro vangelo.

72.6. Oltre il mondo fisico e la storia.

72.7. Un altro mondo.

72.8. La patria celeste.

72.9. Ad uno spietato.

72.10. Due parole sulla Chiesa.

72.11. Su tutta la Terra.

72.12. Cose dell’altro mondo.

72.13. Sono persone!

72.14. Riconoscere o rinnegare Gesù.

72.15. Il principio evangelico di insoddisfazione.

72.16. Grideranno le pietre.

72.17. Sapienza evangelica.

72.18. Operatori di ingiustizia o di giustizia?

72.19. Azione Cattolica e riforma sociale.

72.20. Predicazione.

72.21. Ciò che è di Cesare.

72.22. Desacralizzazione.

73.

Capire e praticare la democrazia (settembre 2019)

73.1.  La democrazia: non solo regole, ma una forma di convivenza sociale per risoluzione pacifica dei conflitti.

73.2. Cambiare democraticamente la società.

73.3. Democrazia e istituzioni.

73.4. Democrazia, desacralizzazione e secolarizzazione.

73.5. Democrazia: una forma di convivenza che consente il cambiamento sociale.

73.6. Democrazia come convivenza che libera da sottomissioni umilianti

73.7. Democrazia: cominciare dal piccolo e dal basso

74

In sintesi

 

 

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0.

INTRODUZIONE

 

1.  Viviamo, come società italiana, tempi impegnativi, particolarmente ora nel mezzo dell’emergenza determinata dall’epidemia di COVID 19. Per ognuno lo è sempre la vita quotidiana. Si cambia, bisogna farsi largo, bisogna sopravvivere, si cerca di durare il più a lungo possibile e meglio che si può. Per ogni persona è così. Ma la riuscita degli sforzi individuali dipende in larga misura da come è la società. Il benessere è sempre un fatto collettivo. Innanzi tutto dipende dalle relazioni sociali. E poi certi obiettivi, come la possibilità di vivere sicuri, di avere un’istruzione, di avere una casa e un’alimentazione sufficiente, di poter svolgere un lavoro con una retribuzione sufficiente, di essere aiutati nella nei periodi in cui non si ha lavoro o non si può lavorare per malattia o vecchiaia, di potere fare sport, musica e altre attività interessanti, anche di praticare una religione, dipendono in gran parte da come è organizzata la società, a cominciare dalla sua economia, in cui tanta parte hanno le iniziative collettive, di enti pubblici e privati. Organizzare una società significa fare politica. Lo si può fare su grande e piccola scala. Non ci sono solo gli stati, i comuni e via dicendo. Ognuno di noi, interagendo con gli altri,  fa  politica, ad esempio nel palazzo dove abita, nel quartiere, nel circolo che frequenta, nel gruppo sportivo, e anche in una parrocchia. Ogni fatto collettivo influisce in maniera più o meno accentuata su altri fatti collettivi e modifica la società intorno. Poi si cerca anche di intervenire d’autorità, esercitando poteri pubblici, diramando ordini, sentenziando, preparando programmi, stabilendo regole. Ma come verranno accolti? Ogni società esprime una certa resistenza alle imposizioni. Per vincerla c’è la strada della persuasione o quella della violenza. Si cerca di fare in  modo di scoraggiare la violenza privata, ma allora si deve organizzare una certa misura di violenza pubblica. Ma quando quest’ultima supera un certo livello, la società diventa infelice. Accade anche quando non si riesce a limitare la violenza privata, ad esempio quella delle bande criminali. Ma come persuadere più gente possibile? A questo serve il dialogo politico, quello che riguarda l’organizzazione della società. Perché sia efficace occorre però fidarsi degli altri ed essere veramente convinti che insieme si possano trovare e soprattutto attuare soluzioni più efficaci sia ai mali sociali, sia ai mali privati che a quelli sociali sono tanto strettamente collegati. Per aver fiducia gli uni negli altri occorre conoscersi. Meglio ci si conosce, più ci si fida. Ma di chi? Se, conoscendo una persona, trovo che è cattiva, allora non dovrei fidarmi di lei. Perché magari ora  non è cattiva con me, ma solo con altri, ma potrebbe venire il momento in cui lo sarà anche con me. Chi è cattivo, chi è buono? Se lo chiedo, i miei interlocutori si trovano in imbarazzo a darmi una risposta. In altre epoche si era meno indecisi. Ma ogni epoca ha avuto i suoi criteri etici, per giudicare il buono e il cattivo. Nella nostra, appunto, si è più indecisi. Però decidersi è importante. Ecco, l’Azione Cattolica, fu fondata proprio per fare questo lavoro, politico in senso ampio.

2. Di solito si racconta le sue origini risalgono ad un gruppo di giovani bolognesi che si costituì nel 1867. Si era in un’epoca molto impegnativa nella storia d’Italia. Si sottolinea l’aspetto religioso dell’iniziativa, ma, in realtà, la politica era il vero campo di impegno. Si stava completando l’unità nazionale. Il Regno d’Italia, sotto la dinastia piemontese dei Savoia, era stato proclamato nel 1861. Mancava Roma e i nazionalisti di vario orientamento, i monarchici ma anche i repubblicani di Giuseppe Mazzini (1805-1872), la volevano. A Roma e dintorni c’era il Papa, che era anche il sovrano di un piccolo regno nell’Italia centrale di allora, che dal 1860 si era ridotto più o meno al Lazio. Vi furono quindi movimenti di laici cattolici che si organizzarono come forza sociale di resistenza a difesa della monarchia pontificia. Nel 1870  lo Stato pontificio, il regno politico del Papa, fu conquistato militarmente dal Regno d’Italia. In quel momento era in corso a Roma un concilio ecumenico, il Concilio ecumenico Vaticano 1°. La città fu assaltata; a cannonate si fece una breccia nelle mura della città, un centinaio di metri a destra guardando Porta Pia. Ci furono combattimenti sanguinosi con morti e feriti tra glie eserciti contrapposti, ma i pontifici si arresero presto. L’anno seguente la capitale del Regno d’Italia fu trasferita a Roma e, per garantire la posizione e la missione del Papato, fu approvata una apposita legge, detta delle Guarentigie (=garanzie). Il Papato vietò ai cattolici la partecipazione alla politica nazionale, sotto pena di sanzione canonica e si considerò prigioniero in Vaticano.  

  Questi fatti suscitarono un’enorme impressione nella società cattolica italiana. Una parte dei cattolici era stati ed erano nazionalisti. Ma molti si schierarono a difesa del Papato, a sostegno delle sue rivendicazioni di restituzione del suo regno intorno a Roma. Naturalmente questo movimento ebbe motivazioni profonde e colte, che, in sostanza, proponevano l’idea che, senza quel piccolo regno, il Papato fosse menomato anche nella sua missione religiosa. Quindi la posizione politica intransigente verso i nazionalisti monarchici e repubblicani, verso l’ideologia liberale che in genere era da loro seguita, verso i nuovo regno unitario italiano, ebbe anche profonde motivazioni religiose. Senza un Papato veramente indipendente, si sosteneva, anche la civiltà del popolo italiano, che tanto era legata alla fede religiosa, ne sarebbe uscita scossa, alterata. Si pensò, ed era la prima volta che accadeva, di suscitare un vasto moto di resistenza nel popolo a difesa delle ragioni del Papato, non solo con un’azione di propaganda culturale, ma con un ampio programma di azioni sociali, sull’esempio di ciò che si stava facendo in tutta Europa a quell’epoca, in particolare ad opera dei movimenti socialisti, in particolare per sostenere e istruire i lavoratori dipendenti delle città e delle campagne, ad esempio con  mutue  per assisterli nella disoccupazione o nelle malattie, con  cooperative  di lavoro. Si cercò di dare un coordinamento nazionale a tutte queste iniziative creando un’organizzazione specifica, l’Opera dei Congressi, costituita nel 1874, con articolazione centrale e locale, strettamente legata al Papa, sebbene non fosse una sua emanazione. C’era tutta questa attività sociale a sfondo religioso, che comprendeva anche un capillare lavoro di formazione culturale e propriamente politico, nel senso appunto di un atteggiamento  intransigente  verso il nuovo stato unitario italiano. Ma l’intento principale era politico.

  Scrive Arturo Carlo Jemolo (1891-1981), professore di diritto ecclesiastico (che riguarda le norme degli stati che regolano i rapporti con la Chiese)  e storico, uno dei maggiori esponenti del mondo cattolico italiano, in Chiesa e Stato in Italia negli ultimi cento anni,  Einaudi, 1948 (1° ed.) - 1963 (ed. riveduta e ampliata) [richiede una formazione di tipo universitario]:

[pag.13] «La prima metà del secolo era quasi consumata allorché, il 1 giugno 1846, si spegneva Gregorio XVI [16°]; già s’intravedevano le caratteristiche della storia della Chiesa nell’Ottocento quali si sarebbero profilate allo storico futuro.

  Non grandi  controversie teologiche, né aspri dibattiti dottrinali, né contrapposizione di scuole a scuole; neppure lotte tra Ordini religiosi, o tra clero secolare e clero regolare.

[…]

  In nessuno di questi campi la storia della Chiesa dell’Ottocento avrebbe presentato episodi emozionanti, aspri contrasti, com’eransi dati in altri secoli, La Chiesa avrebbe incontrato in vece le sue ore più difficili nei rapporti con gli Stati. Di fronte alle ideologie politiche, ai partiti che le incarnano, alle leggi per realizzarle, la Chiesa avrebbe dovuto prendere posizione; e qui avrebbe affrontato battaglie, forse toccato dure sconfitti.

 L’Ottocento appariva ormai come il secolo contraddistinto  dal contrasto delle ideologie politiche. Due fondamentali di fronte. Quella che era ancora la prosecuzione dell’enciclopedismo  e dell’illuminismo, realizzatisi in struttura politica nella Rivoluzione francese, e che, a ragione o a torto, […] si considerava  avesse avuto ad erede l’impero napoleonico e, dopo la sua caduta, quanto ne serbavano rimpianto. E l’ideologia che affermava i valori del cattolicesimo, quelli della tradizione, anzitutto della tradizione monarchica; che nel re legittimo, alleato con la Chiesa, scorgeva il caposaldo  per l’opera di ricostruzione, di cui appariva urgente il bisogno ai suoi fautori; ricostruzione degl’istituti, delle leggi, delle grandi linee della struttura politica, del sistema dei rapporti tra popoli, e soprattutto dell’uomo interiore e di ciò che lo forma: scuola, metodi di educazione, stessa disciplina familiare, ambiti tutti in cui occorreva rimediare all’opera deleteria svoltasi a partire dal Settecento.”

  Con la fine del suo regno nell’Italia centrale il Papato si vide minacciato nella sua missione religiosa, in Italia e nel mondo, e vide minacciata la stessa civiltà degli italiani. Bisogna infatti ricordare che il  nazionalismo italiano, di impostazione fondamentalmente liberale, era divenuto piuttosto anticlericale nel contrapporsi alle pretese politiche del Papato di mantenere quel regno. Quindi vennero incoraggiate quelle aggregazioni laicali confluite nell’Opera dei Congressi, che presto divennero l’equivalente di un potente partito politico, di impostazione   politica  intransigente verso le nuove istituzioni unitarie e verso la politica nazionale che le sosteneva. Ad esse il Papato diede uno straordinario manifesto ideologico, un documento di natura programmatica che disegnava un progetto di riforma dell’intera società, avendo di vista in particolare la situazione italiana: l’enciclica  Rerum Novarum - Le Novità  diffusa nel 1891 dal papa Vicenzo Gioacchino Pecci, regnante ormai solo in religione con il nome di Leone XIII (fino al papa Francesco, i papi continuarono l’uso di attribuirsi un nome da monarchi capi di stato, con il numero ordinale a fianco: primo, secondo…). A questo punto i cattolici italiani divennero una forza politica molto agguerrita, con una struttura capillare sul territorio e una forte ideologia, divenuta obbligatoria, parte della dottrina, appunto una  dottrina sociale,  un vasto programma di riforma sociale a cui diedero il loro contributo, per svilupparlo, ingegni di grande rilievo, come l’economista e sociologo   beato  Giuseppe Toniolo (1845-1918). Ma, passando gli anni dalla conquista dello Stato pontificio, ci si rese conto che l’atteggiamento  intransigente,  che comportava il divieto di partecipare alla politica nazionale eleggendo e presentandosi come candidati, non consentiva di cogliere le opportunità offerte dall’ordinamento democratico del Regno d’Italia, un regno  costituzionale, in cui l’indirizzo politico dello stato era determinato anche da una camera elettiva, la Camera dei deputati, oltre che da un Senato  integralmente di nomina regia e a vita. I giovani soprattutto proposero di organizzare una partecipazione democratica  alla vita politica nazionale, secondo principi  sociali  orientati dalla fede, in linea con la dottrina sociale. Ciò avrebbe richiesto maggiori spazi di autonomia dei laici nelle cose della società. Quest’idea, della possibilità di una  democrazia cristiana, fu duramente respinta dal Papato, con un’enciclica diffusa nel 1901 dallo stesso Papa della Rerum Novarum,  il Pecci - Leone 13°,  la Graves de communi re - Le serie divergenze [sulle questioni sociali] [su <vatican.va> solo nel testo inglese - traduzione italiana in <http://www.totustuustools.net/magistero/l13grave.htm>]. Alle correnti democratiche cristiane  si opposero duramente, nell’Opera dei Congressi, quelle  intransigenti. L’ideologia democratico cristiana fu presto confusa e assimilata con il modernismo, il movimento essenzialmente culturale per un rinnovamento della cultura religiosa nel cattolicesimo, in particolare nell’interpretazione dei testi sacri, colpito radicalmente e senza tregua in quella che fu l’ultima persecuzione religiosa attuata storicamente dal Papato.  Non ottenendosi una tacitazione delle correnti democratiche cristiane, il Papato assunse l’iniziativa di organizzare, in sostituzione dell’Opera dei Congressi che fu sciolta d’autorità nel 1904, una nuova organizzazione, che comprese anche una sezione propriamente politica, denominata Unione elettorale.  L’iniziativa prese inizio con l’enciclica Fermo proposito,  diffusa nel 1905 dal papa Giuseppe Sarto, regnante in religione come Pio 10°, che potete leggere in

http://w2.vatican.va/content/pius-x/it/encyclicals/documents/hf_p-x_enc_11061905_il-fermo-proposito.html

nella quale è scritto:

«Importa inoltre ben definire le opere intorno alle quali si devono spendere con ogni energia e costanza le forze cattoliche. Quelle opere devono essere di così evidente importanza, così rispondenti ai bisogni della società odierna, così acconce agli interessi morali e materiali, soprattutto del popolo e delle classi diseredate, che mentre infondono ogni migliore alacrità dei promotori dell’azione cattolica pel grande e sicuro frutto che da sé medesime promettono, siano insieme da tutti e facilmente comprese ed accolte volonterosamente. Appunto perché i gravi problemi della vita odierna sociale esigono una soluzione pronta e sicura, si desta in tutti il più vivo interesse di sapere e conoscere i vari modi onde quelle soluzioni si propongono in pratica. Le discussioni in un senso o nell’altro si moltiplicano ogni dì più e si propagano facilmente per mezzo della stampa. È quindi supremamente necessario che l’azione cattolica colga il momento opportuno, si faccia innanzi coraggiosa e proponga anch’essa la soluzione sua e la faccia valere con propaganda ferma, attiva, intelligente, disciplinata, tale che direttamente si opponga alla propaganda avversaria. La bontà e giustizia dei principi cristiani, la retta morale che professano i cattolici, il pieno disinteresse delle cose proprie non altro apertamente e sinceramente bramando che il vero, il solo, il supremo bene altrui, infine l’evidente loro capacità di promuovere meglio degli altri anche i veri interessi economici del popolo, è impossibile non facciano breccia sulla mente e sul cuore di quanti ascoltano e non ne aumentino le file, fino a renderli un corpo forte e compatto, capace di resistere gagliardamente alla contraria corrente e di tenere in rispetto gli avversari.

Tale supremo bisogno avvertì pienamente il Nostro Antecessore di beata memoria Leone XIII, additando soprattutto nella memoranda Enciclica Rerum Novarum” ed in altri documenti posteriori, l’oggetto intorno al quale precipuamente doveva svolgersi l’azione cattolica, cioè “la pratica soluzione a seconda dei principi cristiani della questione sociale”. Noi pure, seguendo così sapienti norme, col Nostro Motu proprio del 18 Dicembre 1903 abbiamo dato all’azione popolare cristiana, che in sé comprende tutto il movimento cattolico sociale, un ordinamento fondamentale che fosse quasi la regola pratica del lavoro comune ed il vincolo della concordia e della carità. Qui dunque ed a questo scopo santissimo e necessarissimo devono anzitutto aggrupparsi e solidarsi le opere cattoliche, varie e molteplici nella forma, ma tutte egualmente intese a promuovere con efficacia il medesimo bene sociale.

[…]

l’odierno ordinamento degli Stati offre indistintamente a tutti la facoltà di influire sulla pubblica cosa, ed i cattolici, salvo gli obblighi imposti dalla legge di Dio e dalle prescrizioni della Chiesa, possono con sicura coscienza giovarsene, per mostrarsi idonei al pari, anzi meglio degli altri, di cooperare al benessere materiale civile del popolo ed acquistarsi così quell’autorità e quel rispetto che rendano loro possibile eziandio di difendere e promuovere i beni più alti, che sono quelli dell’anima.

Quei diritti civili sono parecchi e di vario genere, fino a quello di partecipare direttamente alla vita politica del paese rappresentando il popolo nelle aule legislative. Ragioni gravissime Ci dissuadono, Venerabili Fratelli, dallo scostarsi da quella norma già decretata dal Nostro Antecessore di s. m. Pio IX e seguita poi dall’altro Nostro Antecessore di s. m.Leone XIII durante il diuturno suo Pontificato, secondo la quale rimane in genere vietata in Italia la partecipazione dei cattolici al potere legislativo. Sennonché altre ragioni parimenti gravissime, tratte dal supremo bene della società, che ad ogni costo deve salvarsi, possono richiedere che nei casi particolari si dispensi dalla legge, specialmente quando voi, Venerabili Fratelli, ne riconosciate la stretta necessità pel bene delle anime e dei supremi interessi delle vostre Chiese e ne facciate dimanda.

Ora la possibilità di questa benigna concessione Nostra induce il dovere nei cattolici tutti di prepararsi prudentemente e seriamente alla vita politica, quando vi fossero chiamati. Onde importa assai, che quella stessa attività, già lodevolmente spiegata dai cattolici per prepararsi con una buona organizzazione elettorale alla vita amministrativa dei Comuni e dei Consigli provinciali, si estenda altresì a prepararsi convenientemente e ad organizzarsi per la vita politica, come fu opportunamente raccomandato con la circolare del 3 dicembre 1904 alla Presidenza generale delle Opere economiche in Italia. Nello stesso tempo dovranno inculcarsi e seguirsi in pratica gli altri principi che regolano la coscienza di ogni vero cattolico. Deve egli ricordarsi sopra ogni cosa di essere in ogni circostanza e di apparire veramente cattolico, accedendo agli offici pubblici ed esercitandoli col fermo e costante proposito di promuovere a tutto potere il bene sociale ed economico della Patria e particolarmente del popolo, secondo le massime della civiltà spiccatamente cristiana e di difendere insieme gli interessi della Chiesa, che sono quelli della Religione e della giustizia.

[…]

Ci resta a toccare, Venerabili Fratelli, di un altro punto di somma importanza, ed è la relazione che tutte le opere dell’azione cattolica devono avere rispetto all’Autorità ecclesiastica. Se bene si considerano le dottrine che siamo andati svolgendo nella prima parte di queste Nostre Lettere, si conchiuderà di leggieri, che tutte quelle opere che direttamente vengono in sussidio del ministero spirituale pastorale della Chiesa e che si propongono un fine religioso in bene diretto delle anime, devono in ogni menoma cosa essere subordinate all’autorità dei Vescovi, posti dallo Spirito Santo a reggere la Chiesa di Dio nelle diocesi loro assegnate. Ma anche le altre opere, che, come abbiamo detto, sono precipuamente istituite a ristorare e promuovere in Cristo la vera civiltà cristiana e che costituiscono nel senso spiegato l’azione cattolica, non si possono per niun modo concepire indipendenti dal consiglio e dall’alta direzione dell’Autorità ecclesiastica, specialmente poi in quanto devono tutte informarsi ai principi della dottrina e della morale cristiana; molto meno è possibile concepirle in opposizione più o meno aperta con la medesima Autorità. Certo è che tali opere, posta la natura loro, si debbono muovere con la conveniente ragionevole libertà, ricadendo sopra di loro la responsabilità dell’azione, soprattutto poi negli affari temporali ed economici ed in quelli della vita pubblica amministrativa o politica, alieni dal ministero puramente spirituale. Ma poiché i cattolici alzano sempre la bandiera di Cristo, per ciò stesso alzano la bandiera della Chiesa, ed è quindi conveniente che la ricevano dalle mani della Chiesa, che la Chiesa ne vigili l’onore immacolato e che a questa materna vigilanza i cattolici si sottomettano, docili ed amorevoli figliuoli.»

  Ho trascritto questa lunga citazione dell’enciclica, mettendo a dura prova la pazienza dei miei lettori, perché i principi contenuti nei brani citati sono  state le norme che hanno regolato l’azione civile e politica dei cattolici italiani fino al Concilio Vaticano 2° (1962-1965). E’ sostanzialmente lo statuto di una potente organizzazione politica popolare che non poteva  dirsi propriamente partito politico  solo perché mancava di vera autonomia laicale ed era interamente soggetta alla supremazia di Papa e vescovi. Anticipo che la situazione è molto cambiata, nel senso del realizzarsi di quella autonomia, con il nuovo statuto dell’Azione Cattolica approvato nel 1969, per renderlo conforme ai principi di azione sociale stabiliti nel Concilio Vaticano 2°.  Ma anche ora  l’Azione Cattolica non è un partito politico, perché  non  è strumento  di alcuna politica, non è partito del papa   partito dei cattolici, non sacralizza  alcun orientamento politico, ma è agente di formazione politica per preparare le persone di fede a coniugare, in autonomia e libertà, sapienza e dottrina, dialogando i società, nella pluralità delle opzioni possibili, azione sociale e politica e carità in senso religioso, quindi per capire come riempire politica e azione sociale dei valori di fede. Questo il senso della scelta religiosa  fatta dall’associazione, con il consenso dei vescovi italiani, con l’approvazione del nuovo statuto del 1969, sotto la presidenza di Vittorio Bachelet (1926-1890).

 Nel 1906, l’anno seguente l’enciclica Fermo proposito, furono approvati  i nuovi statuti dell’Azione Cattolica, costituita da quattro organizzazioni: l’Unione popolare, l’Unione economico sociale, l’Unione elettorale   e la Società della gioventù cattolica.  Il disegno si completò nel 1908 con l’Unione donne cattoliche italiane,  che ebbe un grandioso sviluppo dopo la Prima Guerra mondiale (1914-1918). E’ a questa epoca che risale la  nostra  Azione Cattolica. Uno dei principali architetti di questo disegno organizzativo fu il beato Giuseppe Toniolo. Questo potente movimento sociale venne indirizzato alla riforma sociale  secondo principi di fede e organizzò una grandioso e capillare lavoro di formazione politica popolare, di massa, che coinvolse anche le donne, in epoca in cui esse non potevano ancora votare (in Italia poterono farlo per la prima volta solo nel 1946). Sempre più passò in secondo piano la  questione romana, le pretese politiche  del Papato ad un proprio regno in Italia vennero infine risolte, in maniera ritenuta disonorevole da diverse grandi anime  del cattolicesimo italiano, ma comunque risolte, nel 1929, con i Patti Lateranensi, accordi con il Regno d’Italia che in quell’occasione fu rappresentato dal capo del governo di allora, Benito Mussolini, fondatore del regime fascista storico, con la creazione di un simulacro di stato in Vaticano, denominato Città del Vaticano, dove tutt’oggi è arroccata la corte pontificia. In nessun modo esso è il successore dello Stato pontificio. Dovrebbe servire solo a rendere indipendente il Papato dalle pretesi degli stati del mondo. Ma il Papato partecipa nella comunità internazionale, ad esempio mandando propri ambasciatori (detti Nunzi) e ricevendo quelli degli stati, non come sovrano della Città del Vaticano, ma proprio in quanto Papato, e ciò per millenaria tradizione storica.

  Nell’Azione cattolica italiana maturò la lenta assimilazione culturale della politica democratica da parte dei cattolici italiani.

 Una prima tappa fu l’organizzazione, nel 1919,  di un vero e proprio partito politico, distinto dall’Azione cattolica e dalla Chiesa cattolica, con responsabilità propria dei propri aderenti, per un disegno di riforma sociale nel senso indicato dalla dottrina sociale, il Partito popolare, sciolto d’autorità, con altri partiti democratici, nel 1926 dal regime fascista.

  Dal 1930, anche con l’enciclica Quadragesimo anno - Il quarantennale,  diffusa nel 1931 dal papa Achille Ratti, regnante come Pio 11°, documento che contiene anche la formulazione dell’importantissimo principio di  sussidiarietà, sul quale, con la collaborazione determinante di politici cattolici, fu fondata la nostra nuova Europa, il Papato accreditò la riforma sociale del regime fascista, al quale i cattolici italiani furono spinti a collaborare. Il tirocinio democratico rimase proprio, in Azione Cattolica, quasi solo di alcune organizzazioni ristrette, come la FUCI - gli universitari cattolici - e i Laureati cattolici, in particolare sotto la cura religiosa di Giovanni Battista Montini, il futuro papa Paolo 6°. Questo orientamento mutò radicalmente di fronte alle catastrofi sociali provocate dalla Seconda Guerra Mondiale.

 Dagli anni ’30 le organizzazioni  intellettuali  dell’azione Cattolica, costituite nella storia dell’associazione, progettarono il superamento del regime fascista, e, in particolare una nuova costituzione e nuovi indirizzi politici. Cattolici provenienti dall’Azione Cattolica furono protagonisti nella guerra civile combattuta contro le ultime manifestazioni del regime fascista, dal 1945 al 1945 e della creazione della Repubblica democratica. Essi crearono il partito politico, denominato  Democrazia Cristiana,  che, dal 1946 al 1994, resse le coalizioni di governo, prima di orientamento  centrista  e poi di centrosinistra,  con la partecipazione di partiti socialisti, attuando parte delle riforme sociali disegnate nella nuova Costituzione repubblicana, scritta e approvata, con il contributo determinante di cattolici provenienti dall’Azione Cattolica, negli anni 1946 e 1947 ed entrata in vigore il 1 gennaio 1948.  Il successo di tale partito fu determinato dall’appoggio del Papato, che, con una serie di radiomessaggi natalizi tra il 1941 e il 1944 del papa Eugenio Pacelli - Pio 12° (tutti pubblicati sul sito <vatican.va>), in piena Seconda guerra mondiale,  defascistizzò l’orientamento politico dei cattolici italiani, spingendoli a partecipare a una riforma costituzionale e sociale democratica, realizzata con la nostra Costituzione repubblicana, piena di principi desunti dalla dottrina sociale.

  La svolta democratica  dell’Azione Cattolica fu consolidata nel 1969 con il nuovo statuto, nel quale l’associazione è definita  palestra di democrazia.

3. Mi sono dilungato su riferimenti storici per far capire che  l’Azione Cattolica italiana è cosa molto diversa da come spesso la si pensa superficialmente, assimilandola ad altre associazioni e movimenti a sfondo religioso.

   Nella nostra parrocchia quest’anno partirà  l’Azione Cattolica Ragazzi - ACR. Ci saranno altri ragazzi, poco più anziani di quelli dell’ACR, che faranno da educatori. Si faranno delle domande sull’Azione Cattolica. I ragazzi dell’ACR cresceranno presto e anche loro si faranno domande analoghe. Ecco, ho cercato di spiegare  che cos’è l’Azione Cattolica. Ma anche di rendere un’idea del lavoro che c’è da fare in società. Perché a quello ci chiamano, con particolare intensità oggi, il Papa e i vescovi.

 La società vive tempi impegnativi: così ho iniziato. Ci sono problemi sociali che creano dolore e difficoltà nelle vite delle persone.  Per pensare e realizzare soluzioni serve gente preparata ed eticamente ben indirizzata. Quindi gente  competente  e buona, capace di collaborare con l’altra gente competente  e  buona   che c’è, per cambiare sapientemente ciò che non va, dialogando con gli altri, persuadendoli a seguire le vie buone e coinvolgendoli in questo lavoro che è, ancora,  riforma sociale.  Formarla fin dai giovanissimi, educarla, completarne la preparazione anche da adulta, cercando di suscitare e diffondere, in un lavoro collettivo che è anche e principalmente di auto-formazione, visioni realistiche, affidabili, di ciò che accade e progetti di soluzione, è parte del lavoro di Azione Cattolica. In una prospettiva che, ormai, non riguarda più solo l’Italia, o l’Europa, ma addirittura il mondo interno, secondo le indicazioni che troviamo nell’enciclica Laudato si’, diffusa nel 2015 dal papa Francesco.

  Ho cercato anch’io di fare la mia parte, negli anni passati.

  Pubblico, raccolte in un unico documento, mie riflessioni, svolte sul blog <acvivearomavalli.blospot.it> dal settembre 2012 al settembre 2020, che  possono essere utili a quel lavoro da fare in Azione Cattolica, in particolare in un gruppo locale di impegno  collettivo che voglia avere una certa consapevolezza storica.

  Ne autorizzo il libero utilizzo in qualunque forma, senza onere di indicarne l’autore. Come ho scritto presentando un mio precedente lavoro, restituisco ciò che ho ricevuto in un lungo periodo di formazione prima nella nostra parrocchia, poi tra gli scout cattolici, in FUCI e infine del Movimento Ecclesiale di impegno Culturale, l’attuale denominazione degli antichi  Laureati cattolici. 

  Consiglio a tutti di avere sotto mano il libro di storia dell’ultimo anno delle scuole medie frequentata, inferiori o superiori. A quelli che non l’hanno più in casa, consiglio di procurarsi l’ultima edizione del volume 3 del testo Nuovi Profili Storici - Con percorsi di documenti e di critica storica  di Andrea Giardina, Giovanni Sabbatucci e Vittorio Vidotto, Editori Laterza, €40,50, un testo per i licei.

  Per aggiornarsi rapidamente si possono utilizzare:

http://www.treccani.it/enciclopedia/

e

http://www.treccani.it/biografico/index.html

 

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0.1

 

 Azione Cattolica – F.A.Q. (domande più frequenti)

(le risposte alle F.A.Q. che seguono sono frutto di una elaborazione fatta da Mario Ardigò, sulla base di quello che pensa di aver capito dell’Azione Cattolica. Non esprimono necessariamente il pensiero dei vertici associativi, né rappresentano un’interpretazione autentica dell’ideologia associativa – I lettori sono quindi invitati a verificarne personalmente  la correttezza e fedeltà e a far pervenire eventuali rettifiche o integrazioni all’account <marioardigo@yahoo.com>; di esse si darà atto nel blog)

 

 

  L’Azione Cattolica è fatta per persone di ogni età, fin dai piccolissimi (3-5 anni). Sono state elaborate proposte di impegno per tutti. Il centro nazionale e quelli diocesani supportano il lavoro dei gruppi parrocchiali. La struttura dell’Azione Cattolica è democratica e la sua azione si avvale del contributo di tutti.

   L’Azione Cattolica ha fatto dell’attuazione dei principi del Concilio Vaticano 2° il suo principale settore di lavoro collettivo. Ora è anche fortemente impegnata nella presa di coscienza, nello sviluppo e nell’attuazione pratica dei nuovi principi della dottrina sociale contenuti nel magistero del papa Francesco e, in particolare, nell’esortazione apostolica La gioia del Vangelo  e nell’enciclica Laudato si’.

    Nella  nostra parrocchia sono in corso importanti innovazioni in AC. Ci  si propone, in particolare, di iniziare le attività di un gruppo ACR, l’Azione Cattolica Ragazzi. Le riunioni infrasettimanali del gruppo adulti/adultissimi  riprenderanno a ottobre. Il gruppo parrocchiale di AC anima la messa domenicale delle ore nove.

  Propongo di seguito alcune risposte alle domande che più frequentemente vengono poste in materia di Azione Cattolica.

 Ulteriori informazioni sulla struttura, finalità, metodo e progetti dell’Azione Cattolica possono trovarsi sul sito dell’Azione Cattolica nazionale

http://azionecattolica.it/

e diocesana

http://www.acroma.it/

   L’impegno dei laici di fede in Azione Cattolica è corale, dalla vita di tutti si impara e tutti possono contribuire a renderlo più efficace e bello. Con le parole del motto di un jamboree, il grande raduno annuale degli scout, di tanti anni fa: “Di più saremo insieme, più gioia ci sarà”.

 L’impegno in Azione Cattolica è vita sociale di fede nella libertà.

  Chi decidesse di avvicinarci per aderire, non pensi di trovare le cose già fatte, di salire su un treno in corsa e di sedersi da passeggero facendosi trasportare. Di potersi limitare a seguire un qualche metodo per il quale esista un manuale dettagliato di istruzioni. Si tratta, di anno in anno,  di costruire una nuova casa, di ideare e attuare nuovi progetti di impegno. In particolare nel clima di rinnovamento che si vive nella Chiesa italiana, si tratta sempre, in fondo, di ripartire.

  Del resto quella della rifondazione dovrebbe caratterizzare la nostra esperienza religiosa, nella quale ci è anticipato che tutte le cose saranno fatte nuove. Non viviamo in un museo, che ci si possa limitare a spolverare di tanto in tanto. L’Azione Cattolica vive  nel quartiere Valli di Roma, come dice il titolo di questo blog: AC-VIVE-A-ROMA-VALLI!

 

1. L’Azione Cattolica è  Chiesa cattolica?

  L’Azione Cattolica è una delle associazioni di laici inserite nell’organizzazione della Chiesa cattolica italiana. Il suo statuto è approvato dal Consiglio Episcopale Permanente della Conferenza Episcopale Italiana. Vi sono diverse altre associazioni che hanno analoghe caratteristiche di particolare legame con l’organizzazione della Chiesa cattolica italiana.

2. Chi è il laico?

 Il laico è il fedele cattolico che non è né diacono, né prete, né vescovo (vale a dire membro dell’ordine sacro) e che non appartiene a un ordine religioso o a una congregazione religiosa (che non è, ad esempio, frate o suora; monaco o monaca) (si veda la definizione che del termine laico si dà nella Costituzione dogmatica del Concilio Vaticano II Lumen Gentium, al n. 31).

3. Per essere un fedele cattolico laico è indispensabile aderire all’Azione Cattolica?

No.

4. Se un fedele cattolico laico ha già aderito ad un altro gruppo religioso laicale o ha il proposito di farlo, può associarsi all’Azione Cattolica?

Sì.  L’adesione all’Azione Cattolica non è esclusiva. Si può far parte di altri gruppi laicali.

5. L’Azione Cattolica è un gruppo di spiritualità?

 No. Ciò che caratterizza l’Azione Cattolica non è un  particolare tipo di spiritualità, anche se i gruppi locali e le altre articolazioni associative esprimono anche una vita spirituale. Ciascun associato manifesta poi la propria, liberamente scelta. Alla vita associativa partecipano i Sacerdoti Assistenti per contribuire ad alimentare la vita spirituale e il senso apostolico.

6. L’Azione Cattolica è un gruppo di preghiera?

No, anche se nelle riunioni associative vi sono momenti di preghiera.

7.L’Azione Cattolica è un gruppo di approfondimento biblico?

No, anche se associandosi ci si impegna ad approfondire le tematiche bibliche.

8. L’Azione Cattolica è un gruppo di approfondimento culturale?

No, anche se associandosi ci si impegna a conoscere e capire di più del mondo in cui si vive.

9. L’Azione Cattolica è un gruppo per il catecumenato?

No. La conversione, il catechismo per il Battesimo   e il Battesimo sono dati per presupposti. In ogni parrocchia dovrebbe essere costituita un’organizzazione specifica per queste esigenze.

10. L’Azione Cattolica è un gruppo per il catechismo?

No, anche se associandosi ci si impegna ad approfondire le verità di fede. In ogni parrocchia dovrebbe essere costituita un’organizzazione che si occupa specificamente del catechismo, per i fedeli di tutte le età.

11. L’Azione Cattolica è un gruppo di propaganda religiosa?

No. Essa infatti vuole stabilire con i propri interlocutori una relazione molto più profonda.

12. L’Azione Cattolica è un gruppo che lavora per il proselitismo religioso o associativo?

 L’Azione Cattolica è certamente impegnata, in diretta collaborazione con il Papa e i vescovi, a far conoscere il Vangelo, ad esporre le verità di fede, a far comprendere gli ideali religiosi cristiani, a presentare correttamente il fine e l’azione della Chiesa nel mondo e il significato della sua liturgia, a raggiungere gli altri nel loro bisogno di religiosità, ad aiutare tutti a migliorarsi  secondo la fede professata e, in particolare, a capire come fare per meglio favorire l’accettazione nel mondo di quegli ideali. Ma il proselitismo religioso o associativo, l’obiettivo di “far numero”, di “distribuire tessere”, non è  tra le sue finalità dirette, anche se il riavvicinamento alla vita della parrocchia e adesioni associative possono effettivamente conseguire dalle sue attività.

13.L’impegno degli associati all’Azione Cattolica parrocchiale è principalmente in parrocchia?

 L’Azione Cattolica ha come primo impegno la presenza e il servizio nella Chiesa locale, quindi anche nella parrocchia. Tuttavia, in quanto associazione di laici, in essa è fondamentale l’impegno nella società civile, luogo privilegiato dell’azione laicale, per favorire l’affermazione dei valori religiosi.

14. Associandosi all’Azione Cattolica si è sottoposti ad un giudizio sulla propria vita?

No.

15. L’adesione all’Azione Cattolica richiede un cambiamento di vita?

No. L’associazione si ritiene arricchita dai doni che le provengono dalle diverse condizioni ed esperienze di quanti partecipano alla sua vita.

16. L’adesione all’Azione Cattolica comporta particolari pratiche religiose?

No.

17. L’adesione all’Azione Cattolica comporta particolari  pratiche di vita, oltre quelle raccomandate a tutti i fedeli laici?

No.

18. L’adesione all’Azione Cattolica richiede un particolare livello culturale o scolastico?

No.

19. L’adesione all’Azione Cattolica si sviluppa per gradi iniziatici, vale a dire da livelli inferiori a livelli superiori di perfezione?

No. Si è membri a pieno titolo fin dal primo giorno e fin quando si vuole.

20. Per chi è l’Azione Cattolica?

L’Azione Cattolica  è per tutti i fedeli laici cattolici e di tutti i fedeli laici cattolici.

21. L’Azione Cattolica risolve i problemi personali degli associati?

 Gli associati si impegnano anche a favorire la comunione fra di loro, quindi anche all’aiuto reciproco, ma non è detto che dall’associarsi in Azione Cattolica derivi la soluzione dei propri problemi personali. Non  farei quindi molto affidamento su questo aspetto.

22. L’Azione Cattolica risolve, in particolare, i problemi affettivi o di socialità?

 Può accadere. Ma non è scontato che accada. Non vi farei molto affidamento.

23. Le persone che, associandosi, si spendono per le finalità dell’Azione Cattolica devono aspettarsi riconoscimenti o corrispettivi, anche solo morali o affettivi?

No. Ci si associa perché si sente bisogno di agire in gruppo in relazione a certi obiettivi che si pensa di non poter raggiungere individualmente. Ma, come tutte le esperienze sociali umane, anche  quella nei gruppi di Azione Cattolica finisce in genere  per deludere certe alte aspettative, almeno sotto il profilo umano. Solo alla lunga e considerandola complessivamente, specialmente verso la fine di una vita, se ne può essere in fondo soddisfatti, soprattutto se la  si considera con sguardo soprannaturale, andando contro le apparenze, in spirito evangelico.

24. Chi comanda in Azione Cattolica?

L’Azione Cattolica è retta su basi democratiche. Tuttavia i  suoi presidenti, a tutti i livelli (nazionale, diocesano, locale) sono nominati dall’autorità ecclesiastica, su proposta dei rispettivi consigli. A livello della parrocchia, l’Azione Cattolica è presente con un’associazione parrocchiale, che è un’articolazione di quella diocesana. Gli organi dell’associazione parrocchiale di Azione Cattolica  sono: l’assemblea parrocchiale (programma la vita associativa e verifica l’attuazione del programma; elegge il consiglio parrocchiale); il consiglio parrocchiale (promuove lo sviluppo della vita associativa secondo le linee del programma approvato dall’assemblea; assicura la presenza dell’associazione nelle strutture di partecipazione ecclesiale; mantiene i rapporti di amichevole collaborazione con le gli altri gruppi della parrocchia; propone al parroco la nomina del presidente parrocchiale); il/la presidente parrocchiale (nominato/a dal parroco, sentito il vescovo ausiliare territorialmente competente  - promuove e coordina l’attività del consiglio parrocchiale; convoca e presiede l’assemblea parrocchiale; insieme al consiglio tiene costanti rapporti con il parroco; si fa garante degli amichevoli rapporti con l’associazione diocesana; rappresenta l’associazione parrocchiale).

25. Ma, insomma, quali sono le caratteristiche per le quali l’Azione Cattolica si differenzia da altri gruppi laicali?

 Non è né facile né semplice rispondere a questa domanda. Bisogna considerare non solo gli statuti associativi, ma anche la storia dell’Azione Cattolica italiana. E, per quanto riguarda gli statuti associativi, bisogna saper intendere bene il sofisticato  gergo teologico con cui sono stati scritti.

 Nello statuto nazionale (articoli 1 e 2) è scritto che l’Azione Cattolica è fatta di laici che si impegnano liberamente, per impregnare dello spirito evangelico le varie comunità e i vari ambienti. Più avanti (art.3) è scritto che gli associati si impegnano in particolare anche ad informare dello spirito cristiano le scelte da loro compiute con propria responsabilità personale, nell’ambito delle realtà temporali (cioè, traducendo dal gergo teologico, nella società civile). E, ancora, (art.11) che quella in Azione Cattolica  è un’esperienza popolare e democratica.  Essa poi è presentata come rivolta alla crescita della comunità cristiana  e si dice animata dalla tensione verso l’unità, da costruire partendo da diverse esperienze e condizioni di vita. Nell’Atto Normativo Diocesano della Diocesi di Roma è scritto che l’esperienza in Azione Cattolica  è una palestra di democrazia e di responsabilità civile.

 La storia. Dalla fine del Settecento cominciano a diffondersi e ad essere attuati, a partire dall’Europa, ideali democratici di organizzazione sociale. Si produce una profonda e tragica frattura tra l’organizzazione di vertice della Chiesa cattolica, espressa dal clero, e i movimenti democratici. Essa attraversa i popoli evangelizzati. In Italia si complica per l’interferenza del potere temporale dei Papi con la questione dell’unità nazionale. L’esperienza storica dell’Azione Cattolica  è stata la manifestazione di vari tentativi di  realizzare, senza rompere l’unità ecclesiale,  una partecipazione di popolo alla missione della Chiesa attuata con maggiore responsabilità laicale e secondo criteri di non esclusiva soggezione gerarchica, sia ideale e programmatica che pratica, almeno nelle cose che riguardano l’organizzazione della società civile. In ciò consiste appunto la sua tendenziale democraticità. L’impegno nel sociale è venuto poi assumendo anche il  significato di un tentativo di comporre la plurisecolare diffidenza dei vertici ecclesiali, e quindi anche della teologia ritenuta ortodossa dall’autorità, verso le acquisizioni delle scienze contemporanee, sia naturali che umane. Infine, dal punto di vista politico, quello di mediare per giungere al superamento del risentimento storico del papato per la perdita del potere temporale in Italia e della storica indifferenza dei vertici ecclesiali verso i regimi politici democratici rispetto a quelli non democratici o addirittura antidemocratici (venuta meno solo nel 1944 con il radiomessaggio natalizio del Papa Pio XII, mentre ancora agli inizi del secolo il Papa allora regnante aveva condannato l’idea di una democrazia cristiana). Con ciò è chiaro che si è trattato di un’azione che ha riguardato non solo la società civile, ma anche la stessa Chiesa. Essa si inquadra in un movimento storico di pensiero e di azione i cui ideali hanno trovato ampia espressione nei documenti del Concilio Vaticano II (svoltosi a Roma, nella Città del Vaticano, dal 1962 al 1965).   A partire da tale evento l’Azione Cattolica, sotto la presidenza di Vittorio Bachelet, ha fatto della piena attuazione, nella Chiesa e nel mondo, dei principi stabiliti da Concilio Vaticano II  uno dei suoi principali obiettivi.

26. Vediamo che attualmente nel gruppo di Azione Cattolica in San Clemente Papa prevalgono numericamente gli elementi più anziani. Perché?

 Il gruppo si trova in una fase di passaggio. In realtà è composto da persone di diverse età, dai vent'anni ai novanta. E' portatore di una tradizione culturale importante che deve passare da una generazione all'altra: questo è il lavoro che attualmente è in corso. Nei decenni passati l'attenzione del laicato si è forse concentrata su altri temi, ritenuti più urgenti, e su altre esperienze religiose. Oggi dai vescovi italiani viene un rinnovato appello ai laici cattolici per un impegno che corrisponde a quello tipico di Azione Cattolica.

 La partecipazione alla riunione del martedì alle cinque del pomeriggio può risultare difficoltosa a chi lavora e si deve occupare di figli ancora bambini o molto giovani. Ci sono altre modalità per tenersi in contatto. I più giovani possono pensare a incontri a loro specificamente dedicati. E' importante tuttavia mantenere un'occasione periodica di incontro per tutti gli associati, appunto per favorire il passare di una tradizione di generazione in generazione. Nell'organizzazione nazionale e diocesana dell'Azione Cattolica vi sono settori distinti per le varie età e condizioni della vita. Tuttavia il lavoro che si fa parte dall'idea che c'è un unico popolo che attraversa la storia dell'umanità.

 L’emergenza sanitaria della pandemia da Covid 19 ci costringerà  a ristrutturare le riunioni del gruppo, perché la presenza dei più anziani nelle sale parrocchiali costituisce un  serio rischio, pur cercando di adottare misure di prevenzione e di distanziamento.

  Bisognerà utilizzare gli strumenti telematici che già nei primi mesi della pandemia ci hanno aiutato. Questa può essere anche una buona occasione per cercare di costituire, in modalità  virtuale, una sezione di adulti che si affianchi a quella storica degli attuali adultissimi. Potrebbe essere organizzata come gruppo di lettura e di discussione al fine di orientamento sociale. Sarebbe soprattutto un’occasione per frequentarci e conoscerci meglio.  Chi lavora, e deve occuparsi anche dei figli, sperimenta di avere poco tempo per questo, ma la modalità virtuale potrebbe agevolare l’impegno. I programmi di video conferenza in commercio in genere consentono collegamenti fino a 60 minuti, con ciò imponendo la sintesi.

27.  Che fa l’Azione Cattolica per la parrocchia?

   L’Azione Cattolica opera principalmente nella società del suo tempo, come un fermento, come il lievito in un impasto. Di questa società fa parte anche la parrocchia.

  Due sono i campi in cui un gruppo di Azione Cattolica parrocchiale può dare un proprio caratteristico contributo: l’approfondimento dei temi del Concilio Vaticano 2° e la pratica della democrazia nella vita di fede. Questo può servire per fare spazio agli altri, per aprirsi agli altri, per convivere serenamente con il pluralismo della società del nostro tempo, che si riflette anche nelle nostre collettività religiose. L’esperienza dell’Azione Cattolica nacque nell’Ottocento proprio con queste finalità, scegliendo una strada diversa da quella dell’intransigentismo  dell’epoca, della dura opposizione contro ogni moto di progresso sociale: oggi si direbbe del fondamentalismo. Essa si propose di far uscire le collettività religiose da una condizione di arretratezza culturale, sociale e politica e di separatezza dal contesto nazionale. Un impegno che appare sempre attuale. Infatti è sempre viva in religione la tentazione di bastare a se stessi, la paura di perdersi in un contesto in cui ogni opzione di vita ha lo stesso valore e vengono a mancare solide fondamenta. In realtà si tratta di ricostruire pazientemente, di epoca in epoca, le città degli esseri umani, secondo l’auspico di Giuseppe Lazzati, dove essi possano vivere liberi e felici. Senza una visione di fede è arduo riuscirci, anche se storicamente le religioni sono state anche fonte di oppressione e di infelicità. Eppure l’era delle democrazie contemporanee si apre, nel nord America di fine Settecento, con rivoluzionari che affermano solennemente che  tutti gli uomini sono “creati” uguali  e per questo hanno diritto alla ricerca della felicità: ecco la fede religiosa che libera. Lo ricordò papa Francesco nel suo viaggio negli Stati Uniti  d’America del 2015.

28. In vista dalla ripresa delle attività del gruppo di AC per la sessione Ottobre 2020/Giugno 2021

  Il 6 ottobre prossimo abbiamo previsto la ripresa delle attività del nostro gruppo di AC.

  Le riunioni a cui partecipino persone anziane presentano un maggior rischio in tempi di epidemia di Covid-19. Questo potrebbe rendere necessario incontrarci utilizzando un programma di video conferenze come Meet. Bisogna prepararsi.  Acquistare un tablet (ce ne sono in vendita al di sotto dei 100,00 euro). Impratichirsi nell’avviarlo, spegnerlo e nell’accedere al programma di videoconferenza scelto per incontrarci e ad una casella di posta elettronica. Collegare il tablet  alla rete telefonica. Il minimo per partecipare a una videoconferenza. Si tratta di abilità pratiche sicuramente accessibili anche a persone anziane, come a persone molto giovani, addirittura ai bambini prima delle elementari. Le persone anziane  possono farsi aiutare in questo dalle più giovani.

  Proporrò di affiancare alle attività consuete un impegno più mirato alla mediazione tra l’attualità del nostro tempo e la fede personale. Questo in vista di una rigenerazione del nostro gruppo coinvolgendo in particolare le fasce d’età che sono ancora poco rappresentate.

  Nel complesso, la profonda modifica della vita sociale a seguito dell’epidemia ci ha sorpreso e più che altro siamo rimasti in attesa che tutto tornasse come prima, il che però non potrà avvenire tanto presto, almeno secondo ciò che si sa.

   Nella migliore delle ipotesi, una campagna vaccinale su larga scala per il Covid-19 non potrà iniziare prima della primavera inoltrata del prossimo anno, e prima che abbia raggiunto un numero di persone sufficienti a produrre effetti sul corso dell’epidemia se ne sarà andato tutto il prossimo anno di attività associative.

  Mettiamo in conto, dunque, di dover lavorare ancora in emergenza da ottobre fino alla fine delle attività associative prima della sospensione estiva del prossimo anno.

  Non avremo più tra noi il caro Ciccio, che ci ha lasciati a luglio. La fede ci insegna a contare i nostri giorni. C’è un tempo per ogni cosa e anche per ogni vivente. Le persone anziane vorrebbero lasciare qualcuno che proseguisse il loro lavoro, ma, nella religione, oggi vi sono tante difficoltà. E tuttavia non ci rassegniamo ad essere un gruppo ad esaurimento, come ci volevano in una passata stagione della vita parrocchiale. Ma se non ci diamo da fare, questo potremmo diventare, dando così ragione ai nostri critici di una volta.

   L’organizzazione ecclesiastica, d’altra parte,  è quella che è e certamente non incoraggia la partecipazione dei laici. Questi ultimi, in genere,  non vengono formati a partecipare attivamente e quindi non partecipano. Questo tema non è  compreso nella formazione di primo livello, che per molti è l’unica per una intera vita di fede.  Il clero si lamenta di laici piuttosto clericalizzati, ma dai laici si ribatte che spesso solo per i clericalizzati c’è vero spazio. Il lavoro dell’Azione Cattolica dovrebbe contribuire a superare questi problemi e, innanzi tutto, a imparare, facendone tirocinio, i metodi democratici di partecipazione. Il nostro statuto definisce l’associazione una palestra di democrazia. Il metodo democratico ha a che fare con i valori, non solo con le procedure, le votazioni,  per l’attribuzione degli incarichi. Tra quei valori è molto importante quello della formazione, anche mediante auto-formazione. La formazione rende capaci di pensiero autonomo  e quindi creativi. La formazione alla democrazia, che deve comprendere un vero tirocinio ad essa, rende possibile l’azione collettiva, superando, integrandole, le differenze caratteriali e di punti di vista, in modo da non dover sempre dipendere da un superiore istituito dall’alto per pacificare.  C’è, in definitiva, qualcosa di molto importante che ci accomuna ed è la nostra fede religiosa. D’altra parte ogni persona la vive in modo creativo, non si tratta semplicemente di adeguarsi a modelli della tradizione validi universalmente, per la donna e per l’uomo, per il bambino, il giovane o l’anziano, per chi vive nel mondo e per chi vorrebbe vivere fuori del  mondo (tuttavia legiferando sul mondo), per la persona sana e per quella malata, per l’oppresso come per l’oppressore e via dicendo. Leggo che a volte i laici di fede sono accusati di volersi costruire una fede a modo loro, secondo le rispettive esigenze personali, come quando si va al supermercato e qualcosa si sceglie e qualcos’altra la si scarta. E’ un addebito ingiusto e che largamente dipende da una visione clericalizzata del popolo dei credenti. Non c’è un modello di fede che vada bene per tutti. Ci sono del resto moltissime questioni aperte a livello teologico, che non conviene superare come nel nostro triste passato con delle specie di scomuniche. Ma anche nella pratica quotidiana, bisogna prendere consapevolezza che una parte dell’etica religiosa che ancora viene insegnata non è sostenibile. E certe volte sono proprio i metodi di insegnamento che non vanno, troppo centrati sulla forza dell’autorità, quando poi la storia ci dimostra chiaramente che l’autorità raramente ci piglia  nelle questioni che travagliano in particolare la vita dei laici. Del resto è effettivamente così che va nelle questioni di fede: finché ci si mantiene sulle generali, certi problemi sono avvertiti quasi solo dai teologi, quando invece si passa alle questioni pratiche e si osservano da vicino tutto si complica. Certo, abbiamo una teologia dogmatica spietata ma una pastorale piuttosto comprensiva, però questa non è una soluzione che soddisfi veramente. Un laicato consapevole potrebbe contribuire a superare questo stato di cose. Inutile cercare soluzioni nelle teologie correnti: la teologia ragiona sempre su ciò che è stato già acquisito per altra via, è un riflessione a posteriori. Bisogna cambiare, o almeno provare a cambiare, poi i teologi seguiranno. Una certa familiarizzazione con i ragionamenti teologici serve, perché i nostri vescovi e i nostri preti hanno fondamentalmente una cultura teologica,  parlano  teologico,  e se se ne è completamente digiuni non ci si intende, ma senza eccedere, perché il metodo della teologia porta  in genere a creare ostacoli insuperabili da parte della teologia stessa, ma superabilissimi nella pratica delle relazioni umane.

  Il contadino esce, guarda il cielo, e capisce se farà brutto tempo o non, e se è tempo di seminare o di mietere: è scritto. Ma di questi tempi questo non è più tanto vero per la questione dell’epidemia in corso. Finirà? Quando? Ne sappiamo ancora troppo poco per rispondere.  I ritmi della nostra vita ne risultano molto alterati. La stessa incertezza colpisce. Non si riescono più a are previsioni affidabili.  Rimane certo lo scorrere del tempo, per cui inesorabilmente ci si fa più anziani, così come rimangono le stagioni, perché il cosmo è indifferente al nostro problema biologico,  e ruota, ruota, ruota, ma la fede è un fatto sociale e se la vita sociale è colpita, addirittura certe volte interdetta, la fede ne risente.

  Mi pare che nei mesi scorsi si sia data troppa importanza alla sospensione delle attività liturgiche con la partecipazione effettiva della gente. Si è visto che si poteva ovviare con le riprese televisive. La pratica della fede non è solo liturgia, che spesso appare come la recita di certi copioni in una serie di rappresentazioni clericali che si succedono senza fine. E’ la nostra fede che riempie di senso vitale le liturgie a cui partecipiamo, ed è in questo che effettivamente essere realmente presenti è differente dall’assistere in televisione. Allora, però, occorre esercitarsi in quella nostra fede, svilupparla, praticarla attivamente, farla reagire con ciò che ci accade intorno. In modo, ad esempio, da essere capaci di liturgia anche quando non siano praticabili quelle consuete, dirette dal clero. Non  è possibile concludere che o la messa o nulla. Naturalmente anche a questo si è poco o nulla formati. Ed è un problema serio.

  Dunque,  per tutti noi l’anno di attività associativa che ci attende sarà molto impegnativo, richiederà di imparare e praticare cose nuove, perché stiamo vivendo tempi nuovi, terribili anche, ma essenzialmente nuovi. Ci sarà una fatica da affrontare, resistenze anche interiori da superare. Perché in genere ci hanno insegnato ad essere piuttosto conservatori e, facendoci anziani, lo diveniamo naturalmente. Ma i tempi nuovi scompaginano la tradizione, anche solo intesa come l’insieme delle nostre care consuetudini. Del reato non ci sono stati promessi così, tutti nuovi, i tempi che ci hanno insegnato ad attendere?

 

 Per chi vi volesse approfondire segnalo i seguenti link:

Statuto AC Nazionale:

http://www0.azionecattolica.it/aci/chi/statuto/statuto.pdf

Atto normativo diocesano:

http://sacricuoriroma.altervista.org/joomla/images/Azione_Cattolica/ac_roma.pdf

 

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1.1

Per cominciare a capire l’AC

 

Nello statuto nazionale (articoli 1 e 2) dell’Azione Cattolica è scritto che essa è fatta di laici che si impegnano liberamente, per impregnare dello spirito evangelico le varie comunità e i vari ambienti. Più avanti (art.3) è scritto che gli associati si impegnano in particolare anche ad informare dello spirito cristiano le scelte da loro compiute con propria responsabilità personale, nell’ambito delle realtà temporali (cioè, traducendo dal gergo teologico, nella società civile). E, ancora, (art.11) che quella in Azione Cattolica  è un’esperienza popolare e democratica.  Essa poi è presentata come rivolta alla crescita della comunità cristiana  e si dice animata dalla tensione verso l’unità, da costruire partendo da diverse esperienze e condizioni di vita. Nell’Atto Normativo Diocesano della Diocesi di Roma è scritto che l’esperienza in Azione Cattolica  è una palestra di democrazia e di responsabilità civile.

 La storia. Dalla fine del Settecento cominciano a diffondersi e ad essere attuati, a partire dall’Europa, ideali democratici di organizzazione sociale. Si produce una profonda e tragica frattura tra l’organizzazione di vertice della Chiesa cattolica, espressa dal clero, e i movimenti democratici. Essa attraversa i popoli evangelizzati. In Italia si complica per l’interferenza del potere temporale dei Papi con la questione dell’unità nazionale. L’esperienza storica dell’Azione Cattolica  è stata la manifestazione di vari tentativi di  realizzare, senza rompere l’unità ecclesiale,  una partecipazione di popolo alla missione della Chiesa attuata con maggiore responsabilità laicale e secondo criteri di non esclusiva soggezione gerarchica, sia ideale e programmatica che pratica, almeno nelle cose che riguardano l’organizzazione della società civile. In ciò consiste appunto la sua tendenziale democraticità. L’impegno nel sociale è venuto poi assumendo anche il  significato di un tentativo di comporre la plurisecolare diffidenza dei vertici ecclesiali, e quindi anche della teologia ritenuta ortodossa dall’autorità, verso le acquisizioni delle scienze contemporanee, sia naturali che umane. Infine, dal punto di vista politico, quello di mediare per giungere al superamento del risentimento storico del papato per la perdita del potere temporale in Italia e della storica indifferenza dei vertici ecclesiali verso i regimi politici democratici rispetto a quelli non democratici o addirittura antidemocratici (venuta meno solo nel 1944 con il radiomessaggio natalizio del Papa Pio XII, mentre ancora agli inizi del secolo il Papa allora regnante aveva condannato l’idea di una democrazia cristiana). Con ciò è chiaro che si è trattato di un’azione che ha riguardato non solo la società civile, ma anche la stessa Chiesa. Essa si inquadra in un movimento storico di pensiero e di azione i cui ideali hanno trovato ampia espressione nei documenti del Concilio Vaticano II (svoltosi a Roma, nella Città del Vaticano, dal 1962 al 1965).   A partire da tale evento l’Azione Cattolica, sotto la presidenza di Vittorio Bachelet, ha fatto della piena attuazione, nella Chiesa e nel mondo, dei principi stabiliti da Concilio Vaticano II  uno dei suoi principali obiettivi.

  Due sono i campi in cui un gruppo di Azione Cattolica può dare un proprio caratteristico contributo: l’approfondimento dei temi del Concilio Vaticano 2° e la pratica della democrazia nella vita di fede. Questo può servire per fare spazio agli altri, per aprirsi agli altri, per convivere serenamente con il pluralismo della società del nostro tempo, che si riflette anche nelle nostre collettività religiose. L’esperienza dell’Azione Cattolica nacque nell’Ottocento proprio con queste finalità, scegliendo una strada diversa da quella dell’intransigentismo  dell’epoca, della dura opposizione contro ogni moto di progresso sociale: oggi si direbbe del fondamentalismo. Essa si propose di far uscire le collettività religiose da una condizione di arretratezza culturale, sociale e politica e di separatezza dal contesto nazionale. Un impegno che appare sempre attuale. Infatti è sempre viva in religione la tentazione di bastare a se stessi, la paura di perdersi in un contesto in cui ogni opzione di vita ha lo stesso valore e vengono a mancare solide fondamenta. In realtà si tratta di ricostruire pazientemente, di epoca in epoca, le città degli esseri umani, secondo l’auspicio di Giuseppe Lazzati, dove essi possano vivere liberi e felici. Senza una visione di fede è arduo riuscirci, anche se storicamente le religioni sono state anche fonte di oppressione e di infelicità. Eppure l’era delle democrazie contemporanee si apre, nel nord America di fine Settecento, con rivoluzionari che affermano solennemente che  tutti gli uomini sono “creati” uguali  e per questo hanno diritto alla ricerca della felicità: ecco la fede religiosa che libera. Lo ha ricordato papa Francesco nel suo viaggio negli Stati Uniti  d’America del 2017.

 

1.2

Cercatori di verità

(26-9-18)

 

1. Per orientarci in società in quello che facciamo, abbiamo bisogno di convinzioni affidabili su come va il mondo, sul passato, su quello che si prevede nel futuro e sul senso della vita. Quando queste convinzioni sono condivise da gruppi sociali diventano  verità in quei gruppi. Sono ritenute socialmente affidabili le convinzioni che funzionano in ciò che ci servono, innanzi tutto per essere accettati in società, ma anche per difendersene, per farla funzionare, e per sopravvivere negli ambienti naturali, pieni di rischi. Sono verità quelle che fanno funzionare le nostre automobili e gli smartphone. Ne siamo convinti anche se non arriviamo a comprenderle in dettaglio, perché funzionano. Può apparire strano  dirlo, ma anche per le verità religiose è un po’ così. Le verità, di solito, vengono sottoposte a costante revisione: innanzi tutto per i processi di apprendimento sociale che progrediscono (e talvolta regrediscono) e poi perché, al variare delle società che le espressero, anch’esse devono cambiare, altrimenti non servono più. Una verità, pertanto, è legata a un gruppo sociale e a un’epoca. Tutte le verità compresenti in un gruppo sociale e in un tempo sono tra loro collegate: quelle sul senso della vita, ad esempio, dipendono anche dalla concezione di come va il mondo e di come è andata nel passato. Oggi riteniamo inaffidabili molte verità degli antichi, ma i posteri, probabilmente, faranno lo stesso con le nostre. Bisogna dire che, però, molte delle verità oggi credute sono legate con quelle del passato: spesso ne costituiscono più che altro un’evoluzione, un adattamento. Questo accade spesso in religione. Non   crediamo  più negli antichi dei, ma non crediamo in un modo molto diverso dagli antichi: gli antropologi, anzi, riconoscono l’antica religiosità in diversi atteggiamenti di oggi. L’antichissima narrazione biblica su Adamo ed Eva, che  in parte  ha analogie con quelle di altre religioni degli antichi in merito ai primi esseri umani, oggi non è più considerata verità  in senso storico,  ma rimane verità  in senso religioso.

  Esistono verità  assolute,  vale a dire resistenti al cambiamento dei corpi sociali nei quali sono diffuse? In religione di solito si è convinti di sì, ma, quando si va nel particolare, vediamo che molti rimaneggiamenti ci sono stati e, anche dove certe verità sono espresse con parole antiche, oggi le comprendiamo in modo diverso dagli antichi. Si spiega la cosa dicendo che, nel tempo e secondo le varie società, esse si sono capite diversamente e, in genere, meglio, con più profondità. In effetti c’è stata una loro diversa inculturazione. Sono penetrate in culture diverse che le hanno intese in modi diversi. Ogni epoca vi ha lasciato qualcosa. Ragionandoci sopra si possono individuare questi lasciti culturali e anche tentarne un’opera di escissione per così dire chirurgica. Ma poi sempre anche noi si lascerà in quelle antiche verità qualcosa di nuovo, perché devono legarsi a società nuove e, se non vi riescono, non possono permearle. Questo è appunto il lavoro della  mediazione culturale.

  Studiando i nostri  testi sacri possiamo renderci conto molto bene di queste caratteristiche delle verità credute in società. E di come certe verità, che vengono ritenute ad un certo momento non più o meno   affidabili sotto certi punti di vista, mantengono validità sotto altri, ad esempio quando si parla del senso della vita.

  Oggi in religione non si è più obbligati a credere  che gli esseri umani furono  creati  esattamente come li vediamo adesso (anche se c’è chi ancora lo crede). Ma  è così che la Creazione  viene presentata nelle Scritture e a lungo, in religione, la si è pensata così. L’evoluzionismo, la convinzione che i nostri organismi siano il risultato di lunghi processi biologici di metamorfosi che ci accumunano agli altri mammiferi, è stato da poco  digerito dalla teologia, e non del tutto. E’ ritenuto una verità in ambito scientifico, vale a dire un’idea affidabile ampiamente condivisa nelle comunità scientifiche che spiega come siamo arrivati ad essere come siamo, e ciò naturalmente solo  fino al momento in cui  essa sia provata come inaffidabile e sostituita con un’altra che non sia ritenuta tale. I teologi ci hanno spiegato che, comunque, l’evoluzionismo non mette in questione il senso religioso della vita e, in particolare, l’idea diCreazione, che significa produrre vita e natura dotate di senso, proprio come scritto nella Bibbia. Anche nell’evoluzione delle specie viventi si può scorgere un senso religioso. I racconti biblici sulla Creazione funzionano ancora come verità in quell’ambito, anche se non sono più creduti come tali  quali spiegazioni scientifiche degli eventi biologici che portarono alle metamorfosi delle specie fino a noi.

  Ci furono tempi in cui si diede molta importanza al provare l’esistenza di Dio, impiegando  argomenti logici basati anche sull’osservazione dei fatti della natura e della nostra psicologia. Poi ci si   è convinti che è fatica sprecata. Di fronte alle tante ragionevoli obiezioni poste dagli increduli, in definitiva noi pur sempre amiamo Dio e perciò crediamo, e tuttavia anche ragioniamo, ma quel nostro ragionare non è un provare, bensì l’inquadrare armonicamente quelle religiose tra le altre nostre convinzioni, quelle che ci servono in società. Si ricorda quel detto dello scrittore russo Fëdor Dostoevskij secondo il quale, se gli avessero dimostrato che Dio non esiste, egli avrebbe tuttavia continuato ad amarlo. Quella su Dio non è una di quelle verità che abbia bisogno di essere provata  per essere ritenuta affidabile. Per questo resiste ad ogni confutazione, ed anche a quella, contenuta nelle stesse Scritture, secondo la quale “Dio, nessuno lo ha mai visto”.

  Nel processo giudiziario vediamo bene esemplificato il dramma che riguarda le  verità che usiamo in società. Cerchiamo di convincerci in modo affidabile di come è andato un certo fatto storico, che ipotizziamo come illecito e si vorrebbe come tale sanzionare. Cerchiamo prove, le colleghiamo con dei ragionamenti: proponiamo una certa ricostruzione. Ma è andata sicuramente così? Arriviamo a convincercene, e dobbiamo farlo perché una decisione, in un senso o in un altro va comunque presa. Arriva a diventare irrevocabile, non più confutabile in sede giudiziaria con i mezzi ordinari. Ad essa il condannato è inchiodato, come lo fu il nostro Maestro. “Che cosa è la verità?, gli aveva chiesto il suo giudice. Fatto sta che oggi non si è più convinti di quella verità giudiziaria, che lo coinvolse così crudelmente. Accade anche nei processi di oggi. Sono previste però possibilità di  revisione delle decisioni giudiziarie, quando vengano fuori prove decisive affidabili che ne dimostrino l’ingiustizia. La verità giudiziaria, come quella scientifica, non ha la pretesa di essere assoluta  e definitiva. La principale controindicazione alla pena di morte è che, dopo la morte del condannato, la revisione giudiziaria diventa inutile: rimane solo il lavoro degli storici, per i fatti di rilevante interesse sociale.

  Abbiamo ancora bisogno di verità? Certamente. La società, altrimenti, non potrebbe esistere e funzionare, organizzarsi come tale. Abbiamo bisogno di convinzioni sociali ritenute affidabili e ampiamente condivise. Prima dell’avvento dell’era delle ferrovie non si sentiva la necessità di tecniche di misurazione del tempo orario, ora per ora, con precisione al minuto,  uniformi a livello nazionale o addirittura internazionale, salvo che per fare il punto in navigazione. Dopo fu diverso: anche se l’alba non arriva alla stessa ora in una città rispetto ad un’altra e il giorno comincia quindi in orari diversi a seconda dei posti, gli orari di partenza e di arrivo dei treni non dipendono da quello e se un treno parte alle sette a Roma, arriva alle 10 e qualcosa a Milano indipendentemente dall’orario dell’alba. Altrimenti come si farebbe a programmare i viaggi in treno? L’orario ferroviario è una verità  nel senso che ho precisato.

  Abbiamo anche bisogno che alcune di queste verità, quelle più importanti,  non siano nelle mani dei potenti del momento, e anzi arrivino a obbligare anche loro, come è, ad esempio, per i valori costituzionali nel nostro regime democratico. Gran parte delle verità religiose sono appunto del tipo che va maggiormente preservato. Quelle tecnologiche o sulla natura possono mutare rapidamente, ma quelle sul senso della vita, no. Nel senso della vita siamo infatti compresi noi stessi,  con la nostra dignità, la nostra felicità, il nostro destino sociale.

 I teologi sanno riconoscere quel nucleo di verità che è rimasto stabile, nelle nostre convinzioni religiose, dai primi tempi, nonostante le molte varianti culturali, con i conseguenti apporti, e nonostante che tante altre affermazioni, tanti altri racconti, non siano più considerati verità  in tutti i sensi in cui li si pensava tali. Chiamano quel nucleo deposito di fede e ci dicono che  è molto importante non solo preservarlo, ma anche  tramandarlo, ciò che richiede necessariamente dimediarlo  attraverso i tempi e le società. Mediare  non significa  tradire, ma interpretarlo (non solo tradurlo) in modo che funzioni anche in epoche e società diverse da quelle originarie, mantenendo il suo senso profondo, ciò che lo rende santo,  che appunto significa da preservare religiosamente, ma non per semplice puntiglio dotto di eruditi, bensì per amore. Depositandolo in altre culture, mediandolo, le comprendiamo in ciò che amiamo. 

 Oggi si preferisce dire che siamo  cercatori  di verità, piuttosto chepossessori,  volendo intendere che siamo sempre impegnati ad approfondire quelle che permangono stabili nel tempo, perché hanno a che fare con il senso della vita, e a capire sempre meglio, in maniera sempre più affidabile, il contorno, le altre. Della ricerca  della verità fa parte anche la sua critica, il vaglio per stabilirne la perdurante affidabilità. Come pure quel lavoro che definiamo di mediazione culturale, che serve a tramandare e trasferire le verità più importanti anche oltre le società e i tempi che le originarono. Ad alcuni esso pare indebito perché  la verità è la verità, dicono, e non si accorgono che, così concludendo, fanno però sempre riferimento ad una certa versione della verità, socialmente e temporalmente collocata, ad esempio quella che si ricava dal catechismo del 1905 di san Giuseppe Sarto - Pio 10°. Alla fine restringendo la verità in una specie di recinto culturale, oltre il quale non ce ne sarebbe più, la si costringe in una prigione e non le si consente di fare il lavoro che serve in società, innanzi tutto parlando alla sua gente in maniera tale che possa essere capita. E’ un po’ l’obiezione che viene posta al Catechismo della Chiesa cattolica, deliberato nel 1992 come documento normativo, limitativo della ricerca teologica, non solo come strumento per la formazione dei fedeli.

  Gli antichi dei e le antiche religioni passarono: è un monito serio. Non è che gli antichi fossero irreligiosi, come, sbagliando, a volte li riteniamo. Non avrebbero perso tempo, in quel caso, a costruire quei grandi templi che ancora oggi ammiriamo. E’ che, ad un certo punto, in un  processo non istantaneo ma che richiese circa settecento anni, da quando il greco Socrate cominciò a parlare dell’insufficienza delle concezioni religiose del suo tempo a quando la nostra fede si affermò nell’impero romano intorno al Mediterraneo, certe verità non furono più suscettibili di mediazioni affidabili in società e vennero sostituite da altre di cui ci si convinse. Potrebbe succedere anche alle nostre verità di fede? Potrebbe, se abbandoniamo il lavoro di mediazione culturale e di inculturazione.

 Ai tempi nostri c’è una certa libertà nel credere in certe verità, come quelle religiose o quelle in materia medica. Questo non significa che si sia effettivamente più liberi, in generale, in materia di verità. Oggi, ad esempio, si dà molta importanza ai fatti economici, ed è come se ad ognuno sia assegnato un prezzo che ne definisce il valore sociale. Si è liberi di dire di non credere in un dio, ma se non si crede  ai fatti economici si finisce in rovina, e sempre meno ci si sente impegnati a soccorrere chi cade. Qualche volta la cosa viene presentata come il conflitto tra il Dio della Bibbia e il dio-denaro. Criticare quest’ultimo, mettendo in questione il sistema sociale che lo esprime, può essere piuttosto pericoloso. Può costare la libertà e addirittura la vita. E’ un sistema di valori che sta mutando. Cercare di spiegarne,  e innanzi tutto spiegarsene, le ragioni è una  parte di quel rendere ragione della propria fede, che è un obbligo importante del fedele religioso. Non basta ripetere a memoria la dottrina ricevuta, come una volta si faceva da bambini con i nostri vecchi catechismi  a domande e risposte per la Prima Comunione correnti ancora per tutti gli scorsi anni Sessanta, fino al rinnovamento  della catechesi del decennio succesivo. Questo lavoro del rendere ragione, che è confrontarsi con le verità del proprio tempo, e innanzi tutto sulla questione della verità, è un parte importante del lavoro che ci si aspetta da un laico di fede. Perché egli deve difendere e promuovere i valori di fede, le verità  religiose, nella società del suo tempo.  Non si tratta di provare  le realtà soprannaturali, le quali in quanto tali non sono suscettibili di essere provate, ormai lo abbiamo capito, ma di accreditare nella società del proprio tempo il senso religioso della vita, quello basato sulla  misericordia tra gli umani che si irradia anche a tutta la natura intorno, perché quella società cambi nel senso giusto, in questo trovando compagni ben oltre la cerchia di chi è esplicitamente religioso.

2.   Le verità, le convinzioni socialmente condivise, mutano con il cambiare delle società in cui sono diffuse. Le società cambiano per successioni delle generazioni o per commistioni con altre società. La formulazione delle verità, in riti e ideologie, segue il loro affermarsi in società e, in generale, le istituzioni che hanno il compito sociale di formalizzare le verità resistono al cambiamento.

  L’idea di un’umanità tutta compresa in un’unica famiglia è molto antica nella nostra fede e corrisponde alla situazione sociale in cui si affermò alle origini: quella di un grande impero multinazionale. Tuttavia essa subì delle metamorfosi al variare della situazione politica europea. La fede si venne nazionalizzando, venendo a legarsi con società meno aperte, ad etnie e regni. Il processo seguì la divisione sociale. La divisione comportava la guerra, ma quest’ultima era considerata come un fatto naturale, come i terremoti e i cicloni atmosferici. Ogni società si costruiva così il suo dio, ma la teologia non vedeva contraddizione con una fede di impronta universalistica. Le conquiste europee in Africa, America ed Asia crearono problemi più seri. In particolare, in Africa e in America, si venne a contatto con culture molto distanti da quelle europee e anche con culture primitive. La comune umanità, che era evidente, faticò ad essere affermata culturalmente, anche in religione. Convissero varie formulazioni teologiche, quelle universalistiche, quelle nazionalistiche, quelle di impronta razzista basate su un primato etnico. Queste ultime furono alla base della colonizzazione religiosa degli europei.

  La nostra teologia si mostrò piuttosto duttile alle esigenze sociali. Così, ciascun popolo, ciascuno stato, poteva immaginare di avere un proprio  dio e, a livello mondiale, gli europei di avere un diritto di dominio di origine divina, come strumento per l’evangelizzazione.

  La situazione cominciò  a mutare a partire dalla fine del Settecento, con l’affermarsi delle democrazie di popolo. Si compresero le origini sociali delle sofferenze sociali, compresi i conflitti e, pertanto, anche delle guerre. Lo sfruttamento sociale dei ceti più poveri e il razzismo cominciarono ad essere intesi come peccati sociali, colpe da cui redimersi. A partire dalla Prima Guerra Mondiale la riflessione coinvolse il problema della guerra e di un ordine internazionale pacifico. Anche la guerra cominciò ad essere pensata come un peccato collettivo, non più quindi come un fenomeno naturale, ma come un prodotto sociale che, con giuste riforme, poteva essere evitato. Dopo la Seconda Guerra Mondiale il medesimo orientamento coinvolse anche la valutazione del colonialismo europeo. Il pensiero sociale cristiano in materia precedette, e determinò, le pronunce del nostro Magistero, in particolare di quello dei Papi. Riprese vigore, a partire dagli anni Sessanta, la teologia universalistica delle origini, ma intesa secondo le esigenze sociali del momento e il mondo nuovo che si era creato. La globalizzazione  della nostra fede precedette di molto quella dell’economia e, in un certo, senso la prefigurò e sostenne. Questo orientamento si manifestò in maniera spettacolare nel magistero di san Karol Wojtyla, il quale arrivò a proporre l’immagine di radici  cristiane dell’Europa che ne avrebbero imposto la pacificazione in un nuovo ordine internazionale per preservare la pace. Questa visione non aveva in realtà riscontri storici: la storia europea, fin dall’affermarsi della nostra fede sul continente, dal Quarto secolo, era stata un lungo seguito di conflitti, anche a sfondo religioso. La possiamo immaginare come una  retropia, l’immaginare un passato migliore, ma mai esistito, a cui tornare. Un passato alternativo. Il fatto che, nel corso del Novecento, si fosse affermata una frattura tra società in cui la fede religiosa era tra le verità ammesse e altre in cui essa era vivamente contrastata e ridotta al rango di credenza tollerata, quindi tra regimi di democrazia capitalista e regimi comunisti, non poteva cambiare la realtà di un passato aspramente conflittuale nel quale la comune fede religiosa non era stata mai un deterrente sufficiente alle guerre e, anzi, spesso era stata all’origine di esse.

  La dottrina sociale ancora corrente sulla pace iniziò a essere diffusa nel 1939, al manifestarsi della minaccia di una nuova guerra mondiale, e da allora non ha mai cessato di esserlo. Essa corrispondeva a una situazione sociale che considerava la pace un valore importante. Ai tempi nostri la situazione sta cambiando. Sembra che risorgano gli dei nazionali. Si sta proponendo una corrispondente teologia, che, anch’essa, cerca in passati immaginari degli  esempi sociali a cui tornare. L’epoca dei sovrani assoluti, da essa mitizzata, non fu infatti propizia per l’affermazione della nostra fede, perché fu caratterizzata da aspri conflitti religiosi e quindi da valori e fatti contrastanti con quelli evangelici, che pure venivano proclamati. Ma la si propone come più religiosa  di quella delle democrazie, basata sulla libertà di coscienza, disperando di ottenere l’unità delle anime altro che con la forza, la coercizione. Questa è la posizione di quei neo-fascismi di egoismo nazionale che vanno sotto il nome di sovranismi, i quali hanno come slogan quello antievangelico “Prima noi!”. Essi sono insofferenti dell’attuale teologia universalistica e del suo principale esponente vivente, il Papa regnante. Con fatti concludenti e con la battaglia delle idee cercano di contrastarla e di ottenerne delle metamorfosi, innanzi tutto cercando da sradicarla dai corpi sociali di riferimento. Utilizzano a questo fine la paura ancestrale di un’invasione aliena. Cercano inoltre di modificare politicamente la legislazione sociale e le istituzioni ispirate ai suoi principi umanitari. Si tratta, in particolare, della Costituzione italiana vigente  e dell’Unione Europea, con la sua Carta dei diritti, nella cui realizzazione sono stati fortemente impegnati quelli della nostra fede, sull’ispirazione della dottrina sociale diffusa dagli anni ‘40 del secolo scorso. Avevano l’obiettivo di un ordine internazionale pacifico, che in effetti si è prodotto a lungo.