Difficile immaginare il
popolo
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IL 17 ALLE 17!
La nostra chiesa parrocchiale, cuore delle Valli |
Le riunioni del gruppo AC San Clemente in presenza, in parrocchia, riprenderanno nel mese di ottobre, in data che sarà comunicata su questo blog e, ai soli soci, anche per posta ordinaria.
La prima riunione on
line, con l’applicativo Google Meet, si terrà sabato 17 ottobre, alle ore 17.
Per partecipare:
a)acquisire un account
Google;
b)inviare a
mario.ardigo@acsanclemente.net una email comunicando il proprio nome, la email
usata per registrarsi su Google e con la quale si vuole partecipare, la
propria parrocchia e i temi di interesse.
A chi ha richiesto
di partecipare verrà inviato via email il codice di accesso.
I dati delle persone non iscritte al gruppo di AC San Clemente verranno cancellati dopo ogni riunione e dovranno essere nuovamente inviati per partecipare alla riunione successiva.
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Le idee di popolo e
di nazione sono di nuovo al centro del dibattito
pubblico. Ne ha scritto anche il Papa. Vi propongo di iniziare a discuterne
anche tra noi. I testi di riferimento per il confronto sono la
sintesi dei temi politici dell’enciclica Laudato
si’ che pubblicato sul blog acvivearomavalli.blogspot.com (nei
post del 18 e del 22 settembre, e, comunque, l’intera enciclica per chi la
conosce meglio, leggibile su
http://w2.vatican.va/content/francesco/it/encyclicals/documents/papa-francesco_20150524_enciclica-laudato-si.html
Nel post del 22 settembre
scorso, "AC SAN CLEMENTE - 1° RIUNIONE CON GOOGLE
MEET", il programma dettagliato e tutte le istruzioni per
partecipare
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Popolo si è un po’ come gli stormi degli uccelli: una massa orientata, che va
verso una direzione e ci va tutta insieme. Ma gli stormi di uccelli, per quanto numerosi, e talvolta
come accade a Roma con gli storni molto numerosi, non sono mai tutto,
anzi tutti. L’idea di popolo va molto più in là di ciò che si vede. Ciò
che non si vede, si cerca di immaginarlo, e qui soccorre il mito, soprattutto
per evocare la direzione di quelle moltitudini che chiamiamo popoli. Il
problema è che proprio non ce la facciamo ad immaginarci veramente una moltitudine come un popolo, ad
esempio quella del popolo italiano. Alla fine ciò che ci appare nella
mente è un po’ sempre una folla e poi, in essa, dei gruppetti o
addirittura degli individui che prendiamo come simboli del popolo a cui
appartengono.
Nei miti che riguardano il popolo è su quei
simboli che riversiamo attributi emotivi e, allora, la nostra immagine di
popolo finisce per risentirne, perché una persona la collega, ad esempio, a
Giuseppe Mazzini, un’altra al Cavour e un’altra ancora al Papa Pio 9°, che di
Mazzini e Cavour fu un duro avversario. Infatti, se ci avviciniamo a una
società, l’indistinzione che caratterizza in genere l’idea di popolo,
come gruppo che comprende tutti, svanisce e ci si manifesta la realtà delle
società umane, che sono fatte di gruppi in interrelazione tra loro per questioni
di interesse, vale a dire per le direzioni che prendono e che a volta li
portano a collidere continuando a fronteggiarsi, altre a fondersi, altre a
separarsi, e, infine, recuperata precariamente una certa stabilità pacati i
conflitti, spesso a porsi in una gerarchia, dove c’è chi domina e chi è dominato, e rimane una tensione tra
loro.
Le narrazioni evangeliche in questo non ci
soccorrono. Raccontano, infatti, di un piccolo gruppo, in posizione blandamente
anarchica, quindi non rivoluzionaria, nei confronti dei poteri costituiti al suo
tempo, che provoca dinamiche piuttosto fluide intorno a sé. Non vediamo
costituirsi, dalla sua azione sociale, posizioni di potere stabilizzate che inducano il sorgere di un popolo. Lo avvicinano folle,
tra le quali poi si stagliano alcune persone che interagiscono con il
Maestro e i discepoli in una relazione interpersonale, con effetti riflessi sulla società, ma non politica in senso proprio. Come negli episodi della moltiplicazione prodigiosa del
cibo, dai quali non origina un’organizzazione sociale: finito l’episodio le
folle e i discepoli con il Maestro si separano.
Compare il popolo nell’inchiesta di Pilato sul Maestro, quando
gli fu portato prigioniero invocando che fosse giustiziato. Vennero le
autorità e il popolo, ma certamente non c’era tutta la gente della
città e nemmeno tutti gli israeliti, e quindi quel “popolo” non era
veramente il popolo. C’erano i capi religiosi e una folla orientata contro
il predicatore detenuto: quest’ultima popolo in quanto soggetta ad un’autorità, quindi
“stormo”, nel senso originario di brigata combattente secondo
ordini ricevuti. Non è il popolo come oggi cerchiamo di figurarcelo
quando usiamo quella parola.
«Sarete odiati da tutti i popoli a causa
del mio nome» [nel Vangelo secondo Matteo, capitolo 2, versetto 9]. Ecco,
qui la parola popolo appare usata
nel senso in cui oggi la intendiamo. In questo contesto, però, si prevede una
dinamica conflittuale, che in alcuni casi si è prodotta, soprattutto alle
origini, ma poi è mutata in quella di assimilazione e dominio, con
l’inculturazione dei cristianesimi in Asia, Europa e poi in tutto il mondo,
processo di scontro che però in certi posti è senz’altro ancora vivo, e allora ci immaginiamo popolo oppresso da altri popoli senza mai veramente riuscire a figurarci l'inverso. La situazione
italiana di oggi non è certamente quella del conflitto, tanto che la Repubblica
finanzia in maniera imponente la nostra Chiesa ed è rimasta legata ad essa con
trattati molto importanti e impegnativi noti come Patti Lateranensi,
conclusi del 1929 dal Regno d’Italia e revisionati in era repubblicana nel 1984. Il nostro
problema però è quello di capire se l’essere popolo abbia anche un significato per la nostra fede
e, in particolare, per la missione di evangelizzazione: quell’essere inviati.
A chi?
« “Andate dunque e fate discepoli tutti
i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito
Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed
ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo".», così traduce CEI 2008 Mt
28, 18-20, dal testo in greco antico.
« “Andate dunque e ammaestrate
tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello
Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato.
Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo"», così tradusse CEI 1974 lo stesso passo.
E così, la TILC - Traduzione interconfessionale in lingua corrente,
togliendo di mezzo “popoli” e “nazioni”: « “Perciò andate, fate
che tutti diventino miei discepoli; battezzateli nel nome del Padre e del
Figlio e dello Spirito Santo; 20 insegnate loro a ubbidire a tutto ciò che io vi ho comandato. E
sappiate che io sarò sempre con voi, tutti i giorni, sino alla fine del mondo”».
Il testo greco, dove quelle versioni traducono
popoli, nazioni e tutti, ha πάντα τὰ ἔθνη, che si legge pànta ta ètne: la prima
parola significa tutte, la seconda le, e la terza, che è
all’origine della parola italiana etnia, nel
greco antico significava sostanzialmente stirpi, genti legate
dalla convinzione di una comune discendenza, ma, nella Palestina al tempo del
Maestro, veicolava il concetto di genti straniere rispetto ai
Giudei, come si chiamavano tra loro gli ebrei
rimasti in Palestina dopo l’Ottavo secolo dell’era antica, quando molti altri
vennero deportati altrove.
E’thnos
non è
equivalente alla parola greca dèmos, che compone la parola italiana democrazia,
tanto importante nelle nostre ideologie politiche. I greci antichi fecero delle
loro etnie dei popoli-dèmos, costruendo costituzioni
attraverso la politica, che è il governare il popolo-dèmos,
mentre la democrazia è il popolo che governa se stesso. In definitiva,
il popolo-dèmos emerge dalle etnie mediante la politica. L’etnia
richiama prevalentemente gli aspetti naturali dei gruppi umani, il popolo
quelli culturali, tra i quali
principalmente la politica.
Ecco che il greco imparato poco e male al
liceo, per la mia qualità di pessimo studente, ora mi torna utile nella mia
meditazione religiosa. Ma essa naturalmente è veramente infima cosa rispetto
alla letteratura immensa che su ogni parola dei Vangeli è stata prodotta, e
nessuna persona umana può ormai dominarla. Nondimeno quella meditazione rimane uno dei principali doveri religiosi, la nostra spiritualità si fonda su di essa: affrontarla nel dialogo vero la arricchisce, oltrepassando i nostri limiti individuali, che sono anche del sapiente: nessuno riesce ormai a sapere tutto. Da qui l'utilità di incontri come quelli che abbiamo programmato, delle nostre riunioni come gruppo di AC San Clemente, e anche la ragione per cui, con lo strumento di Google Meet, vorremmo coinvolgere altri. Inoltre, come AC, uno dei nostri principali interessi è l'azione sociale, che esige appunto l'aprirsi sociale, in particolare per elevarsi alla politica democratica. E su questa via incontriamo il problema del popolo.
Mi sono convinto di questo, ma naturalmente è
argomento che nel dibattito con altre persone colte, o addirittura veramente
sapienti, potrebbe non reggere e richiedere di essere modificato (Il dialogo,
se è veramente tale, arricchisce. La sapienza circola): sulla questione popolare in senso
politico, il pensiero evangelico non ci dà precise istruzioni, in particolare
su come risolvere i conflitti sociali, non tanto per fare giustizia (che
comunque è molto importante), ma per orientare la gente e farne così ciò
che immaginiamo debba essere un popolo, quando cerchiamo di figurarcelo.
Mario
Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli