Capire la democrazia - 11
11.1. Costruire uno spazio democratico.
Uno spazio
democratico è un ambiente sociale in cui ogni potere, che origina dal
suo interno o dall’esterno, è accettato solo
come limitato, innanzi tutto dalla
facoltà di critica delle persone che interagiscono in quella società, e poi
dalla dignità di quelle stesse persone, che fonda quella facoltà di
critica che viene riconosciuta a ciascuna dalle altre. In uno spazio democratico è
abolita la distinzione tra governanti e governati,
perché ogni persona è ammessa ad interagire nell’azione di governo e ne ha
quindi la responsabilità. In uno spazio democratico viene ripudiata
l’imposizione e la tentazione della sottomissione,
vale a dire il potere arbitrario sulle altre persone e il cedimento ad esso per
quieto vivere o nell’interesse proprio particolare. Questi sono principi
fondamentali dell’agire democratico, della convivenza democratica. Nella nostra
Costituzione sono sintetizzati nella proposizione: «La sovranità
appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della
Costituzione» [art.1 della
Costituzione]. Sovranità
significa potere che non riconosce poteri superiori. Quest’idea di sovranità
è stata ripudiata dalla nostra Costituzione repubblicana, perché prevede dei limiti ad essa. Una sovranità limitata significa che il principio supremo della nostra
democrazia repubblicana, l’unico veramente sovrano,
è l’abolizione della sovranità stessa. In una democrazia il popolo non è sovrano al modo
e nel senso dei despoti del passato, ma nel senso che si ripudia ogni
arbitrio nell’esercizio del potere e anche del proprio potere. Una regola che ingloba un principio fondamentale della convivenza democratica e che però non fonda la nostra democrazia, ma ne deriva: storicamente, infatti, la democrazia precedette l’approvazione della Costituzione
repubblicana. Infatti quest’ultima fu deliberata democraticamente da
un’Assemblea Costituente, tra il 1946 e il 1947: viveva già nel popolo, in esso
si era già creato uno spazio democratico,
una convivenza democratica. L’agire democratico precede sempre la fase deliberativa, della
decisione. Ed essa non si risolve solo in una votazione in cui prevale la
maggioranza, perché non c’è democrazia senza decisione partecipata mediante il
dialogo e il confronto dialettico e certe cose in democrazia non sono soggette
alle maggioranze, ad esempio il principio che non sono ammessi poteri
illimitati e la dignità delle persone.
La democrazia non è un comando, e anzi se venisse intesa in questo modo non
sarebbe mai possibile realizzarla effettivamente perché quel comando sarebbe manifestazione di un potere
illimitato, ma un modo di convivere in società e dunque, per le persone, è una conquista culturale e necessita di una adesione personale e collettiva. Il nostro istinto
sociale ci porterebbe infatti fatalmente a costruire società non democratiche basate su rapporti di
dominio mediante la violenza e la frode, e l’ineguaglianza in dignità tra le
persone. Le società dei primati, gli animali che biologicamente ci sono più
simili, ci appaiono organizzate secondo quel principio, e così gran parte delle
società del passato prima dell’avvento delle democrazie contemporanee in Europa,
che si manifestò a fine Settecento su presupposti ideologici costruiti dal
secolo precedente dal liberalismo e
su quelli sociali determinati dallo sviluppo di un ceto borghese. Il movimento democratico contemporaneo si distingue dalle
democrazie precedenti perché tende ad allargare universalmente i principi
democratici, mentre prima erano legati a spazi più limitati, di ceto innanzi
tutto e poi di etnia e poi di cittadinanza e nazionalità. Questo ha portato a
cercare di applicarli anche alla politica estera, che in genere veniva ritenuta
come l’ambiente delle situazioni di dominio mediante la forza. In un contesto
di entità le quali tutte rivendicavano una loro sovranità, quindi rifiutavano ogni potere superiore, di istituzioni
come di principi, al dunque i conflitti, quando si facevano insanabili, si
risolvevano con la violenza. E’ stata proprio la nostra dottrina sociale la
corrente culturale che maggiormente ha influito in questo processo, anche se
non ha ancora maturato una teologia della democrazia. I suoi sviluppi sono
stati integrati con principi democratici mediante il lavoro dei cattolici
democratici. Una delle più eclatanti sue manifestazioni è stata addirittura la
costruzione dell’Unione Europea, il cui vessillo, come mi piace sempre di
ricordare, è, nelle intenzioni dell’artista che lo creò, dichiaratamente
mariano, la corona di dodici stelle della narrazione del libro dell’Apocalisse,
in campo blu. Nella costruzione dell’Unione Europea ebbero un ruolo cruciale
partiti democristiani europei in tutte le sue fasi, fino alla spettacolare
rapidissima inclusione di molte delle nazioni europee che negli anni ’90
uscirono dai regimi socialisti di stampo sovietico. E tuttora il personaggio
politico riconosciuto come centrale nelle politiche europee è la democristiana
Angela Merkel.
Con tutto ciò la conquista culturale della democrazia va ripetuta di
generazione in generazione, perché democratici
non si nasce, si diventa. Ecco quindi la necessità di una formazione
permanente alla democrazia, che non è innanzi tutto un apprendere nozioni, ma un agire nel concreto, a partire dal proprio ambiente
sociale quotidiano. Le regole della democrazia a quel livello non sono
fissate, ma derivano dall’esperienza di democrazia che si fa con le
altre persone, in uno spazio democratico. Nell’agire si decide se aderire.
L’adesione implica l’impegno a diffondere e sviluppare, perché senza di esso ha
poco senso la democrazia, non riesce a raggiungere i suoi fini, che sono quelli
di creare una società sempre più liberata dalla violenza e dall’infelicità che
ne consegue, nei processi rivoluzionari come nella repressione, e in cui ogni
persona possa vedere riconosciuta la propria dignità. La democrazia è sempre liberazione dall’umiliante sottomissione. Nessuna sottomissione si ottiene senza violenza e la
violenza che sottomette, umilia. Il primo movente di un processo democratico è
quando si diffonde l’anelito a liberarsi dalle umiliazioni sociali che generano
infelicità. Chi accetta di sottomettersi non può essere per il momento coinvolto in
processi democratici, ma non è detto: la democrazia, come la nostra fede, si
diffonde per contagio, da ambiente sociale ad ambiente sociale, da persona a
persona, perché la felicità, come anche il male purtroppo, è contagiosa.
11.2. Nel piccolo
gruppo. Sopra ho tratteggiato grandiosi processi
storici che hanno visto l’affermarsi di processi democratici in Europa prima, e
poi nel mondo, ma, in un tirocinio democratico, bisogna cominciare dal piccolo
e dalle realtà di prossimità. Può
sembrare più facile, ma non lo è. Questo perché nel piccolo gruppo, in circoli di non più di una quarantina di persone,
ad esempio nel nostro gruppo parrocchiale di Azione Cattolica, si ha
un’interazione dell’incontro diretto, le altre persone non sono solo tipi (i romani, i trasteverini,
gli anziani, i giovani), ma ci si impongono con la loro soggettività. Scrivono
Peter L. Berger e Thomas Luckmann, in La
realtà come costruzione sociale, in Italia edito da Il Mulino:
«[…] le relazioni con
gli altri nell’incontro diretto sono ampiamente flessibili. In termini
negativi, è relativamente difficile
imporre rigidi modelli all’interazione dell’incontro diretto. Qualunque
modello venga introdotto sarà continuamente modificato dall’interscambio di
significati soggettivi, estremamente variegato e sottile, che si verifica. Per
esempio, io posso vedere l’altro come uno intrinsecamente ostile e agire nei
suoi confronti secondo un modello di “relazioni ostili”, così come io le
intendo. Nell’incontro diretto però l’altro può porsi di fronte a me con
atteggiamenti e atti diretti che contraddicono
questo modello, magari fino al punto
da indurmi ad abbandonare il
modello come inapplicabile e a non considerare più l’altro come nemico. In
altre parole lo schema non può reggere il confronto con la massiccia testimonianza della soggettività dell’altro che è accessibile
per me nell’incontro diretto.
All’opposto, è molto più facile per me non tener conto di questi segni fintanto
che non incontro l’altro faccia a
faccia. Perfino in una relazione così relativamente “stretta” come si può
intrattenere per corrispondenza, io posso con più efficacia respingere le espressioni di amicizia dell’altro come
non corrispondenti di fatto al suo
atteggiamento soggettivo nei miei
confronti, semplicemente perché nella corrispondenza mi manca l’immediata,
continua e massiccia presenza reale della sua espressività.»
La democrazia
nel piccolo gruppo è una sfida non
facile per i principianti, come, in fondo, tutti noi in genere siamo negli
ambienti cattolici nei quali la democrazia è veramente poco praticata e si vive
un po’ in una condizione permanente di gregge. Sentir parlare di democrazia, spesso distrattamente come si
fa ascoltando le omelie nelle messe abituali, è poco impegnativo, ma lascia
anche poco; parlare o scrivere
di democrazia lo è di più, ma e nel fare, nell’agire democratico, con persone che sono molto più significative
delle molte altre che ci passano accanto nella vita quotidiana senza lasciare
traccia in noi, di quelle che spesso si
incontreranno solo una volta nella vita,
può riservare molte soprese, belle e brutte, innanzi tutto nella nostra
capacità personale di dialogo, pazienza e persuasione.
Un piccolo gruppo nel quale si voglia
sperimentare un tirocinio democratico richiederà un’attività preliminare per
vagliare moventi e aspettative di chi vi partecipa. Alcune aspettative della
sfera emotiva o religiosa non possono essere soddisfatte nella prima fase,
caratterizzata da una condizione di stato
nascente. E’ come quando, da
ragazzo, negli scout mi insegnarono ad accendere un fuoco da campo: bisogna partire
scegliendo i rametti piccoli e secchi con cui innescarlo, poi, una volta che le
fiamme hanno preso ci si possono buttare dentro anche pezzi più grossi e
addirittura rami non completamente secchi. Non tutti sono pronti, e capaci
emotivamente, a rinunciare alla sottomissione
e ad assumersi l’impegno critico
verso ogni potere che pretenda di sottrarsi alla contestazione e alla verifica.
Ma non tutti sono pronti ad accettare di ripudiare il tentativo di imporre per sottomettere.
Lo stato nascente di un gruppo piccolo di tirocinio democratico
deve vedersi in persone che scelgano un’amicizia
non soffocante, non avida, e, nello stesso tempo, generosa e aperta, ma anche
costante, pervicace. La democrazia infine è sempre spazio di delibera, si discute per decidere che fare. Un
piccolo gruppo di tirocinio democratico deve proporsi uno scopo che non sia
semplicemente quello del discutere: questo significa che ad esso deve essere
riconosciuta un certo spazio di azione collettiva in cui le decisioni
democraticamente prese possano essere attuate. All’inizio esso, ad esempio,
riguarderà la programmazione degli incontri.
Mario
Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli