Dall’Ufficio catechistico nazionale
Ripartiamo insieme
-
Linee guida per la catechesi in italia in tempo di Covid 19
Introduzione
«Iniziare processi, più che occupare spazi».
Questa affermazione di Papa Francesco (cfr. Evangelii gaudium, n. 223) ha come
ispirato e accompagnato il lavoro corale di tutti noi negli ultimi mesi:
dell’Équipe dell’Ufficio Catechistico Nazionale, dei Direttori degli Uffici
diocesani e regionali e delle loro rispettive équipe, della Consulta nazionale,
dell’Azione Cattolica e dell’Agesci, nonché di alcuni Uffici pastorali della
CEI. Sono nati così i Laboratori ecclesiali sulla catechesi, che ci hanno visti
impegnati da maggio a luglio del 2020. La partecipazione consapevole e fattiva
di ogni attore ha fatto sì che diventasse una operazione davvero comunitaria.
In questo senso, vogliamo pensare che si sia trattato di un processo
paradigmatico, che cioè ci ha insegnato un metodo duplicabile ancora ovvero di
uno stile ecclesiale. Da questo lavoro comunitario è scaturito il primo testo
che viene proposto qui di seguito: la Sintesi dei Laboratori ecclesiali sulla
catechesi. È una foto realistica della catechesi nella nostra Chiesa italiana
scattata “dal basso”, da quanti cioè operano con costanza e generosità sul
campo. Se le immagini possono essere a volte non del tutto gradevoli, sono
tuttavia vere. Nei mesi segnati dal lockdown la vita, quel percorso
affascinante e misterioso che riguarda ciascuno di noi, ha riservato sorprese,
sofferenze, disincanti, slanci e tante altre esperienze che non avevamo messo
nel conto. Per i credenti e per tanti non credenti è stata l’occasione per
porsi la domanda su Dio. La Chiesa in tutte le sue articolazioni si è
interrogata anche sulle sue prassi, a cominciare dall’evangelizzazione,
provando a restare aderente al reale per quanto questo possa apparire nuovo e
disorientante. Nessuno però si è tirato indietro di fronte alla sfida di
ascoltare la realtà, il punto di partenza di ogni catechesi.
Partendo da questa istantanea, scattata con
maestria e sincerità, l’Équipe dell’UCN ha elaborato poi una riflessione che si
è tradotta nel secondo testo di questo documento: Per dirci nuovamente
“cristiani”. Spunti per un discernimento pastorale alla luce di At 11. Ci siamo
chiesti quale luce potesse gettare la Parola di Dio sulla realtà appena
descritta. Ne è scaturito un testo che intende offrire alcune chiavi di lettura
per decodificare il presente e soprattutto per decidere nuove vie evangeliche
nel prossimo futuro. A noi sembra questo il tempo per una conversione
ecclesiale, che consenta di trovare maggiore aderenza alla vita delle persone e
maggior efficacia nell’azione catechistica. Alla libertà e alla creatività
delle realtà ecclesiali locali suggeriamo quindi qualche pista da percorrere e
qualche elemento utile al discernimento delle priorità pastorali. Pensiamo che
questo documento, nella sua articolazione in due parti, possa costituire uno
strumento utile per i Vescovi, i Direttori degli Uffici Catechistici e i
catechisti stessi che sono in prima linea nella fase di ripartenza del nuovo
anno pastorale.
Mons.
Valentino Bulgarelli
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Sintesi dei Laboratori ecclesiali sulla catechesi
Introduzione
Sulla
stessa barca
All’inizio del 2020 anche le Chiese locali in
Italia si sono trovate a vivere la drammatica situazione della pandemia: tutti
improvvisamente eravamo «sulla stessa barca» (Francesco, Veglia a Piazza S.
Pietro, 27 marzo 2020). Per noi ritrovarsi sulla stessa barca significa non
solo soffrire insieme, ma anche condividere in modo responsabile lo stesso impegno
e la stessa meta.
Il Triduo
pasquale
L’emergenza sanitaria ha costretto a passare
dalla normalità frenetica e satura di
impegni alla novità quieta e disorientante del lockdown, durante il quale
abbiamo assistito agli effetti devastanti della pandemia: malattia e morte. Ma
là dove prevalevano il dolore del Venerdì Santo e il silenzio del Sabato Santo,
i cristiani hanno cominciato a cogliere i bagliori della Domenica di
risurrezione (cfr. CEDAC, È risorto il terzo giorno; CEI, Incontriamo Gesù, n.
41).
Annuncio
e liturgia
Anche le consuetudini pastorali ne hanno
risentito, quasi obbligate a spostare il loro baricentro là dove la vita
chiamava. Essere prossimi a tante persone reali ha significato riconoscere
implicitamente una debolezza della nostra Chiesa: la mancata corrispondenza tra
partecipazione ai sacramenti e formazione alla vita cristiana (Francesco,
Evangelii gaudium, n. 63). Ci siamo accorti che l’assenza dell’Eucarestia ha
spinto diverse persone ad impegnarsi maggiormente nella cura spirituale e altre
a ridurre la partecipazione alla Messa domenicale: una certa disaffezione verso
la liturgia induce a pensare all’urgenza di una diversa catechesi sui
sacramenti. Se è vero che l’Eucaristia resta centrale quale “culmine e fonte”
della vita cristiana (Lumen gentium, n. 10), ciò che abbiamo vissuto ci spinge
a rinnovarne il modo in cui è proposta e celebrata. Ma anche alla necessità di
una rinnovata catechesi sulla centralità dell’Eucaristia nella vita cristiana.
Carità
Nel periodo del lockdown buona parte dell’annuncio
è passata attraverso l’azione di quanti si sono impegnati nella carità, ad
esempio nella distribuzione di generi alimentari e farmaci, mostrando così il
volto di una Chiesa madre che si prende cura in modo concreto dei più
bisognosi. Si è trattato di una testimonianza reale dell’essere credenti (cfr.
CEI, Incontriamo Gesù, n. 18), che non disgiunge l’annuncio dalla carità.
Prendersi cura delle persone significa adesso accompagnare il passaggio da una
pratica caritativa o religiosa occasionale alla maturazione di una scelta di
fede consapevole e stabile.
Nuovi
strumenti
Molte comunità e tanti singoli volenterosi
hanno esplorato nuovi linguaggi e strumenti per trasmettere la fede. Mentre era
evidente la passione e la creatività, emergeva anche la necessità e l’urgenza
di una formazione specifica sul valore e l’utilizzo degli ambienti digitali.
Ricominciare
o ripartire?
Ed ora? Più o meno consapevolmente, molti
vorrebbero tornare alla “normalità pastorale” di sempre. È questo un indice
della fatica ad interiorizzare la portata del cambiamento in atto e la
conseguente opportunità ecclesiale. È importante rifuggire la tentazione di
soluzioni immediate e cercare piuttosto di discernere una nuova gerarchia
pastorale: quali prassi pastorali mettere in secondo piano o persino
tralasciare e quali mettere in cima e privilegiare? Si tratta di una salutare
“potatura” per ricominciare e non soltanto ripartire. Il tempo nuovo che si è
aperto ci interroga: cosa significa essere discepoli del Signore Gesù oggi? Ci
basta andare in chiesa o siamo invitati a vivere diversamente la comunità? Che
cosa è stato significativo in questi mesi? Come essere annunciatori del Vangelo
in questo tempo specifico?
Quattro punti su cui porre l’accento
Le nostre Chiese locali si trovano a
fronteggiare alcune sfide cruciali. Eppure Papa Francesco ci ricorda che
proprio le «sfide esistono per essere superate. Siamo realisti, ma senza
perdere l’allegria, l’audacia e la dedizione piena di speranza! Non lasciamoci
rubare la forza missionaria!» (Francesco, Evangelii gaudium, n. 109). Abbiamo
individuato quattro punti su cui porre l’accento per una rinnovata prassi
ecclesiale: l’ascolto, la narrazione, la comunità e la creatività.
1.
L’ascolto
L’ascolto fa parte della spiritualità biblica
del credente. Questo presuppone di accettare di non avere già una risposta
pronta, di non dare nulla per scontato. L’ascolto richiede una sana empatia e
rende aderenti alla realtà della persona. Solo questo atteggiamento consente di
immergere la vita nella Parola di Dio con libertà e senza forzature o finzioni.
Solo da un simile ascolto, fedele alla vita, scaturisce il prendersi cura
dell’altro secondo i suoi bisogni reali e i ritmi della sua progressione di
fede, avendo fiducia che il Signore è all’opera in ogni situazione.
2. La
narrazione
Chi si sente ascoltato con amore racconta se
stesso di fronte al volto del Padre, che Gesù ha svelato. Insegnare a
raccontarsi significa aiutare a riconoscersi discepoli di Cristo in ascolto
costante del Maestro e gli uni degli altri. La catechesi basata su ascolto e
narrazione alla luce della Parola di Dio valoNuovi strumenti Ricominciare o
ripartire? 1. L’ascolto 2. La narrazione 5 rizza la famiglia e la comunità
quali luoghi principali della vita e della fede. La famiglia e gli adulti, con
la loro vita ordinaria, aiuterebbero a superare l’impostazione solo finalizzata
ai sacramenti e l’attenzione rivolta quasi esclusivamente ai bambini e ai
ragazzi (cfr. CEI, Incontriamo Gesù, n. 29).
3. La
comunità
La comunità non è un dato a priori e non
corrisponde tout court alla parrocchia, anche se questa è il luogo ecclesiale
naturale in cui immaginare l’essere comunità che riparte. Accanto e nella
parrocchia non vanno dimenticate però le associazioni e i movimenti, che spesso
hanno nella parrocchia il loro “campo base” ma che sviluppano anche percorsi
pastorali specifici come quelli legati all’Iniziazione Cristiana o
all’apostolato di ambiente. In realtà, la comunità è prima di tutto un luogo
interiore e poi relazionale di ascolto, di narrazione, di confronto con la
Parola di Dio e di annuncio. Non si può più presumere che quanti si radunano
per l’Eucaristia siano comunità. Non si possono nemmeno dimenticare le persone
che si sono allontanate e che per vari motivi stentano a ristabilire un
rapporto con la Chiesa. Compito dei formatori e dei catechisti è quello di
riallacciare i legami in nome del Vangelo. Le strutture parrocchiali e
diocesane sono quindi chiamate a rinnovarsi, passando dai progetti tradizionali
ad un’attenzione all’esistenza concreta delle persone (cfr. CEI, Incontriamo
Gesù, 66). In quest’ottica, “fare comunità” significa dare slancio alle
relazioni, liberandole dalla tentazione del possesso o dei numeri e facendo emergere
il contributo di ciascuno. Uno sguardo contemplativo e intriso di Parola di Dio
consentirà di portare la vita reale nella preghiera domestica e nella
celebrazione eucaristica
4. La
creatività
La comunità cristiana creativa non rincorre
la retorica del nuovo a tutti i costi, ma individua le priorità e l’essenziale
dell’annuncio: il kerygma (cfr. Francesco Evangelii gaudium, n. 164). Un
esempio di questa creatività è l’annuncio che trova spazio nel mondo dei social
media. Questo nuovo ambiente può essere a servizio della catechesi: non
sostituisce quel “corpo a corpo” in cui si esprime fisicamente la gioia
contagiosa del Vangelo (cfr. Francesco, Evangelii gaudium, n. 88). Inoltre
l’annuncio, che è sempre realisticamente attento al qui ed ora delle persone,
non potrà non tenere conto della situazione economica e sociale che si sta
aprendo. Abitare tutti i luoghi e i linguaggi in relazione all’annuncio del
Vangelo è dunque una sfida che richiede creatività e realismo da parte di tutti
soggetti ecclesiali impegnati nell’evangelizzazione.
Cinque trasformazioni pastorali
Quale volto rinnovato possiamo sognare per la
catechesi delle nostre comunità cristiane? Papa Francesco ci aiuta con le sue
parole: «Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché
le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura
ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo
attuale, più che per l’autopreservazione» (Evangelii gaudium, n. 27). La scelta
missionaria è un sogno coraggioso e potente, che può trasformare tutto e che
inizia a farsi concreto quando modifica le relazioni. Siamo coscienti
dell’urgenza di vivere e annunciare il Vangelo in chiave missionaria (cfr. CEI,
Incontriamo Gesù, n. 71). Il sogno e il realismo consentono di individuare
alcune piste concrete. Quelle che provengono dal lavoro svolto tra Uffici
Catechistici diocesani e regionali, dalle Associazioni laicali nonché in
collaborazione con alcuni Uffici pastorali della CEI, sono affidate al
discernimento delle diocesi e delle parrocchie: tempi, modi, formazione e
gestione dei piccoli gruppi, momenti per la celebrazione dei sacramenti, ecc.
Emerge l’opportunità, quindi, di una stretta e proficua collaborazione tra
uffici diocesani, parrocchie, associazioni e movimenti ecclesiali.
1. Calma
sapiente
Le incognite di questo tempo esigono che si
resista alla tentazione di preparare progetti pastorali troppo dettagliati.
Siamo invitati a dedicare tempo sufficiente ai consigli pastorali e ai vari
organismi di partecipazione attiva per interrogarci insieme su che cosa è
necessario. Vorremmo riscoprire il primo annuncio, che è “primo” perché
“principale” (cfr. Francesco, Evangelii gaudium, n. 164). Con questo spirito è
doveroso pensare anzitutto alle sorelle e ai fratelli che in questi mesi hanno
smesso di animare le nostre comunità, facendo loro sentire di quanta attenzione
fraterna sono oggetto. Sentiamo di dover riscoprire l’ispirazione catecumenale
della catechesi (cfr. Incontriamo Gesù, n. 52), che non si limita ad indicare
la scansione celebrativa dei sacramenti, ma apre la strada ad una nuova
identità di credenti e di comunità che annunciano la fede ricevuta. Riprendere
con calma significa destinare un tempo disteso alla formazione, all’ascolto e a
processi decisionali che coinvolgano l’intera comunità. Non è opportuno
affannarsi a recuperare frettolosamente i sacramenti che non sono stati celebrati
l’anno passato. I criteri per individuare il momento opportuno per i riti di
iniziazione restano, nel limite del possibile, la formazione condivisa, il
dialogo e il discernimento insieme con la famiglia, le esperienze significative
e la dignità celebrativa comunitaria degli stessi, mai ridotti a gesti privati
o di gruppo. Il contesto ecclesiale è genuino quando la comunità condivide con
famiglie e ragazzi i vissuti fraterni, la carità e la preghiera: solo allora
sarà possibile vivere i sacramenti. In vista di una ripresa sapientemente calma
anche gli ambienti vanno resi più sicuri, puliti e adattati in modo creativo.
2. Ritmi
e risorse reali
Durante il lockdown ci si è resi conto ancora
una volta di quanto sia delicata e fondamentale la missione evangelizzatrice
delle famiglie. Più che riflettere su come coinvolgere le famiglie nella
catechesi abbiamo compreso di dover assumere la catechesi nelle famiglie. Ma
per far questo bisogna partire dai loro ritmi e dalle loro risorse reali,
valorizzando ciò che c’è piuttosto che stigmatizzare ciò che manca. La
parrocchia sia molto attenta ad offrire strumenti adeguati per vivere la fede
in casa: la preghiera familiare e l’ascolto della Parola siano sostenuti
attraverso sussidi semplici, suggerimenti per il coinvolgimento del nucleo
familiare con pratiche di vita evangelica ed iniziative di carità. Il servizio
dei catechisti non sostituisce, ma sostiene il mandato missionario degli sposi
e dei genitori. Le norme di cautela sanitaria costringono poi a formare piccoli
gruppi per la catechesi: questa è l’occasione per una conoscenza reciproca più
profonda, per relazioni più attente di fraternità e di cura reciproca. Il
numero più contenuto di bambini o ragazzi consentirà ai catechisti di creare
più facilmente un contatto con le famiglie stesse, riallacciando i legami che
in questi mesi si sono allentati. Si potrà far sì che gli spazi usuali del
catechismo non resti l’unico luogo degli incontri, spostandosi piuttosto in
altri ambienti nei quali fare esperienza di iniziazione. Alcune famiglie
potranno a volte ospitare il piccolo gruppo nella propria abitazione. Si
potranno vivere esperienze di catechesi attraverso l’arte oppure si potranno
fare esperienze di servizio con l’aiuto della Caritas parrocchiale o diocesana
o di altre associazioni ecclesiali. La parrocchia potrà avviare occasioni di
narrazione della Parola o di partecipazione attiva alla liturgia. Siamo
invitati ad usare la stessa creatività anche per i ritmi degli incontri,
valorizzando la Domenica e i tempi forti dell’anno liturgico. Il segreto resta
quello di elaborare itinerari chiari e condivisi con appuntamenti regolari. Si
potrà passare dalla catechesi come attività di un singolo catechista ad un
mandato missionario condiviso di tutto il gruppo dei catechisti, accompagnati
da alcuni coordinatori, insieme ad educatori, animatori ed evangelizzatori.
Questa pluralità di figure esprime meglio la ricchezza della comunità, rispetto
ad una figura non di rado lasciata sola in un compito così delicato e
difficile. Qualora poi queste figure non fossero disponibili, sarà necessario
confrontarsi con le famiglie stesse, sostenendo il più possibile il loro
compito. In questa ottica, il ruolo oggi spesso frainteso dei padrini del
battesimo potrebbe essere rilanciato in ottica missionaria: qualcuno di loro
potrebbe esser disponibile e motivato a onorare l’impegno preso.
3. Cura
dei legami
Durante il lockdown il digitale ha occupato
prepotentemente la ribalta: non si tratta solo di strumenti di comunicazione,
ma di un vero e proprio ambiente che influenza quanti lo abitano (cfr. Christus
vivit, n. 86). La comunicazione digitale contemporanea cambia dunque anche il
modo di relazionarsi: richiede contenuti sobri, ma soprattutto una competenza
diversa nella cura delle relazioni (cfr. Francesco, Evangelii gaudium, nn.
128-129). Le parrocchie, le associazioni e i movimenti sono chiamati a
riflettere e a formare all’uso intelligente e non ingenuo dei media. Si avverte
l’esigenza di nuove figure a servizio della comunicazione, che aiutino le
comunità ad essere attente a valori come la trasparenza, l’inclusione, la
responsabilità, l’imparzialità, la tracciabilità, la sicurezza e la privacy.
Dopo la sorpresa iniziale è ora tempo di attrezzarsi per continuare in modo
sapiente gli incontri online. Non si tratta di porre in alternativa la presenza
fisica e quella online, ma di far sì che ogni ambiente favorisca una relazione
verace. Nessun legame si improvvisa o si auto-conserva, ma richiede cura, tempo
e passione (Evangelii gaudium, n. 88). In quest’ottica, la catechesi come
azione eminentemente ecclesiale non può non essere inclusiva. La Chiesa, che è
madre sapiente, guarda la realtà dal basso ovvero a partire dai più piccoli:
questo si traduce in un atteggiamento di accoglienza delle persone con
disabilità. Durante il lockdown diverse iniziative encomiabili hanno garantito
questa attenzione pastorale, confermando ad esempio che i piccoli gruppi
favoriscono tale inclusione: si tratta ora di rendere queste esperienze un vero
e proprio stile ecclesiale.
4.
Immersione nel kerygma
In genere, i tempi dell’iniziazione cristiana
in parrocchia sembrano dettati più dal calendario scolastico che da quello
liturgico. I ritmi della liturgia potrebbero invece offrire alla catechesi un
respiro diverso: si potrebbe attendere l’inizio dell’anno liturgico ed iniziare
gli incontri con l’Avvento, dedicando i mesi precedenti alla formazione,
all’ascolto, alla cura dei legami. In questo modo, una maggiore attenzione
sarebbe accordata ai tempi forti, per poi integrare i mesi estivi come parte mistagogica
di un anno non ancora terminato. Nell’anno liturgico si dispiega infatti il
kerygma, centro dell’annuncio cristiano. La salvezza inaugurata dal Risorto si
celebra nella Pasqua domenicale, che si apre alla condivisione fraterna
soprattutto con i più poveri. La Settimana Santa ne fa rivivere i passaggi fino
alla pienezza della Pentecoste. La centralità del mistero dell’Incarnazione è
rinnovato ogni anno nel Natale del Signore. Avvento e Quaresima dettano i tempi
dell’attesa e della conversione. L’essenziale della fede trova qui una traccia
tradizionale e sicura. Inoltre, l’anno liturgico consente la lettura continua
di buona parte della Sacra Scrittura, seguendo lo schema del Lezionario.
La centralità della
domenica chiede una particolare creatività, affinché l’Eucaristia mostri tutta
la sua ricchezza di simboli e linguaggi. Le norme igieniche e sanitarie, che
riguardano anche le assemblee liturgiche, possono diventare occasione per
un’accoglienza più accurata. Celebrare rispettando il distanziamento non
impedisce di rilevare i codici simbolici dei riti: la fraternità, i gesti, il
canto, la proclamazione, l’ascolto, il silenzio, i profumi ed i colori. Proprio
in questo contesto la Chiesa italiana ha ricevuto il dono della terza edizione
del Messale Romano: sarà opportuno che la sua accoglienza passi attraverso
momenti specifici di formazione.
5.
Vissuto personale
Nella formazione offerta al clero, ai
catechisti, ai religiosi, alle religiose e ai laici si abbia il coraggio di
dare tempo all’ascolto e alle narrazioni di vita, per evitare un ritorno
scoraggiato, ispirato solo alle attività consuete e non intriso di speranza
evangelica. Rinnovare le motivazioni missionarie di chi annuncia permette di
integrare le fatiche e le sfide di questo tempo. La Chiesa ha ormai maturato la
convinzione che l’annuncio e la catechesi non si possano limitare
all’iniziazione cristiana dei bambini e dei ragazzi. Si sente l’esigenza che le
comunità non solo avviino alla fede, ma accompagnino anche la persona in tutta
la sua crescita. In particolare, si vorrebbe dare nuova linfa alla catechesi di
adolescenti e giovani, che attraversano quella delicata fase in cui si prendono
decisioni cruciali sulla vita e sulla fede, e alla catechesi degli adulti, che
a loro volta possono essere testimoni credibili e affidabili per le nuove
generazioni di credenti. Per i catechisti, poi, si abbia cura di organizzare
momenti di formazione che includano accoglienza, ascolto e incoraggiamento. Non
serve offrire a tutti le medesime proposte: è più piuttosto opportuno dare vita
ad un accompagnamento personalizzato, con i percorsi differenziati che
rispondano alle domande sorte nella vita di ciascuno.
Conclusione
«Peggio di questa
crisi, c’è solo il dramma di sprecarla» (Francesco, Omelia di Pentecoste, 31
maggio 2020). Anche in questo tempo il Signore accompagna il suo popolo perché
senta vicino il suo Pastore. Si tratta adesso di avere il coraggio di prendere
l’iniziativa, di primerear, di fare il primo passo, senza subire le situazioni
come una fatica. Siamo chiamati piuttosto ad essere una Chiesa dalle porte
aperte, capace di prendere l’iniziativa, di coinvolgersi e di accompagnare
(cfr. Francesco, Evangelii gaudium, n. 24).
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Per dirci nuovamente “cristiani” Spunti per un
discernimento pastorale alla luce di At 11
Premessa
Cosa vuole dire essere “cristiani” nel tempo
della pandemia e dopo l’esperienza del lockdown? Quale insegnamento possono
trarre le nostre Chiese locali e la catechesi in generale da questa stagione
dell’umanità? Come può la comunità cristiana modificare se stessa per essere
più aderente al Vangelo e più capace di annunciarlo al mondo di oggi? Quale
luce per il discernimento giunge alla Chiesa dalla Parola di Dio? Il contesto
sociale in cui la Chiesa è inserita è in continua trasformazione. Il lockdown
ha messo in evidenza alcuni limiti pastorali che la prassi abitudinaria non consentiva
di vedere, perché ci si accontentava del “si è sempre fatto così” che di fatto,
però, rischiava di non intercettare più le persone nella concretezza della loro
vita. Paradossalmente, però, proprio questo è il tempo favorevole per
modificarsi, per tornare a fidarsi del Signore Risorto che opera nella storia e
per leggere i “segni dei tempi” come ha saputo fare la prima comunità
cristiana, assecondando l’azione dello Spirito e accogliendo il mondo nella sua
concretezza senza inutili idealismi o finzioni. D’altra parte questo è
l’atteggiamento del Dio biblico, che in prima istanza accoglie l’uomo così
com’è: non lo lascia però così com’è, ma lo fa evolvere nel rispetto della sua
libertà. La nostra Chiesa può finalmente apprendere questo stile biblico:
accogliere le persone nella realtà della loro vita, comprenderle in profondità
e proporre loro cammini di crescita nella fede. Da una pastorale
prevalentemente preoccupata di programmi e strutture ad una pastorale attenta
alle persone concrete. In questo senso la comunità ecclesiale può riscoprire la
propria vocazione di mediatrice dell’incontro tra Dio e l’uomo.
Pensare che la pastorale e la catechesi
possano riprendere come prima del lockdown sarebbe una ingenuità e una
occasione perduta. La pandemia sta lasciando strascichi che rendono il
quotidiano più incerto: molti dovranno fare i conti con crisi lavorative e
sociali, mentre le famiglie si scoprono sole nel compito di educare i figli.
Sentiamo il bisogno di ritrovare una dimensione comunitaria, che ci consenta di
uscire insieme dalla crisi. In questo contesto, la comunità ecclesiale può dire
la sua, ad esempio diventando un ‘‘ 11 luogo in cui si impara la fiducia: è
questo l’anello che lega le relazioni, da quelle familiari a quelle amicali. Si
tratta di un atteggiamento che anima tante azioni quotidiane: del resto, se la
vita fosse ispirata da diffidenza o paura si ricadrebbe in una nevrosi
paralizzante.
La comunità cristiana primitiva si è trovata più
volte in momenti storici delicati. Il brano degli Atti degli Apostoli, che
racconta degli albori della Chiesa di Antiochia (At 11,19-26), fotografa uno di
questi momenti. Proprio i credenti che attraversarono creativamente quella
crisi si meriteranno di essere chiamati per la prima volta “cristiani”.
Rileggendo quell’episodio si scorgono elementi che possono essere utili per
riscoprire e tradurre nel nostro presente alcuni tratti del proprium cristiano.
L’episodio di At 11,19-26
19.In quei
giorni quelli che si erano dispersi a causa della persecuzione scoppiata a
motivo di Stefano erano arrivati fino alla Fenicia, a Cipro e ad Antiochia e
non proclamavano la Parola a nessuno fuorché ai Giudei. 20. Ma alcuni di loro, gente di Cipro e di Cirene, giunti ad Antiochia,
cominciarono a parlare anche ai Greci, annunciando che Gesù è il Signore. 21. E la mano del Signore era con loro
e così un grande numero credette e si convertì al Signore. 22. Questa notizia giunse agli orecchi della Chiesa di Gerusalemme,
e mandarono Barnaba ad Antiochia. 23.
Quando questi giunse e vide la grazia di Dio, si rallegrò ed esortava tutti a
restare, con cuore risoluto, fedeli al Signore, 24. da uomo virtuoso qual era e pieno di Spirito Santo e di fede. E
una folla considerevole fu aggiunta al Signore. 25. Barnaba poi partì alla volta di Tarso per cercare Saulo: 26. lo trovò e lo condusse ad
Antiochia. Rimasero insieme un anno intero in quella Chiesa e istruirono molta
gente. Ad Antiochia per la prima volta i discepoli furono chiamati cristiani.
Si tratta del racconto della fondazione di
una nuova comunità: la Chiesa di Antiochia. Questo evento determina lo
spostamento dei confini ecclesiali, dalla sola Gerusalemme ai territori fuori
dalla Palestina. L’evento traumatico della morte di Stefano, il primo martire
(At 6,8-7,60), consiglia ad alcuni credenti di lasciare la Città Santa e di
trasferirsi altrove (At 11,19a; cfr. At 8,1.4). Ad Antiochia alcuni si limitano
a “proclamare la Parola” ai soli Giudei (At 11,19b); ma altri decidono di
parlare di Gesù anche ai Greci (At 11,20). La conseguenza è che «un grande
numero credette e si convertì al Signore» (At 11,21).
Presto la notizia di questa nuova situazione
ecclesiale effervescente, anche se forse un po’ disordinata, arriva alle
orecchie dei capi della Chiesa di Gerusalemme, che mandano Barnaba per
verificare (At 11,22). Questi constata la grazia di Dio in azione ad Antiochia
(At 11,23-24a). Si sposta poi a Tarso a prelevare Saulo (At 11,25), perché lo
aiuti a predicare proprio lì.
Quattro piste per ricominciare
1. La
diffusione della Parola di Dio
Se l’episodio di At 11 inizia con l’evento
drammatico della morte di Stefano, un risvolto singolare è l’imprevista
diffusione della Parola di Dio: l’annuncio che «Gesù è il Signore» (At 11,20)
non si ferma infatti alla Chiesa madre di Gerusalemme, ma si diffonde in
territori nuovi. Il dolore genera un nuovo zelo. I credenti si disperdono ma al
contempo si diffondono: persi tra le genti, diventano veri annunciatori del Risorto.
Nel prossimo anno pastorale immaginiamo una catechesi sempre più squisitamente
biblica, che parta dal cuore del kerygma cristiano: «Il Signore è risorto». Si
tratta di una parola non vuota, ma che sa rispondere al male con il bene, alla
morte con la vita. Questo annuncio pasquale potrà tornare a risuonare in modo
libero nelle forme e nei luoghi che il lockdown aveva forse forzatamente
creato: nel contesto familiare, nei social media, nei piccoli gruppi
organizzati per la preghiera spontanea e per la meditazione della Parola di Dio.
2.
L’esortazione dei pastori
Nel racconto di Atti un ruolo essenziale è
giocato dalla Chiesa madre di Gerusalemme (At 11,22): accortasi della grazia
carismatica in azione, interviene in questo caso con l’invio di Barnaba, «uomo
buono/virtuoso, pieno di Spirito Santo e di fede» (At 11,24a). La sua virtù
umana nonché la sua vita di fede lo rendono adatto ad intervenire, perché le
sue scelte sono spirituali ed ecclesiali, e non determinate da preoccupazioni
di mero controllo o repressione (At 11,23). Barnaba capisce che la grazia del
Risorto è all’opera: allora ne gioisce e lavora per rendere questa situazione
non occasionale ma salda e costante. Abbiamo bisogno di pastori – cioè vescovi
e presbiteri – che, come Barnaba, “figlio dell’esortazione” (cfr. At 4,36),
sappiano svolgere lietamente e con larghezza di vedute il compito di
“esortare”: cioè accompagnare, incoraggiare, stimolare, favorire e far crescere
i semi di Vangelo già presenti nella vita delle persone, sollecitando e
attivando la collaborazione e la corresponsabilità di altri. Nei momenti più
difficili della pandemia tanti hanno dato prova di una generosità che ha il
profumo del martirio cristiano: sarebbe bello profittare di questo tempo per
“confermare” l’azione dello Spirito nelle esperienze concrete di abnegazione
dei medici, di responsabilità delle forze dell’ordine, di servizio dei
volontari, di accoglienza tra familiari. Si tratta di prendere sul serio
l’umano nei suoi aspetti migliori, per riconoscerlo e valorizzarlo.
3. Il
coraggio dell’annuncio.
Barnaba
compie un altro gesto molto istruttivo e maturo: chiede aiuto. Così si reca a
Tarso per prelevare Saulo (cfr. Gal 1,18-24; 2,1) e tornare con lui ad
Antiochia. Non è una operazione di strategia ecclesiale: è il gesto di un
credente adulto verso un fratello e collaboratore nella evangelizzazione.
Barnaba si era già fatto garante di Paolo, aveva spiegato agli altri credenti
la parabola della sua vita e il suo percorso di fede (At 9,27-28): anche in lui
aveva operato la grazia di Cristo, sia pure in modo inusuale. Barnaba e Saulo,
così diversi eppure così essenziali nella Chiesa: l’uno è il mediatore,
l’adulto che conferma la grazia, il facilitatore della comunione; l’altro è
colui che era stato vinto dal Risorto, divenuto poi missionario del Vangelo e
apostolo delle genti. La stagione della ripartenza all’inizio dell’anno
pastorale dovrebbe vedere sorgere dei “nuovi Saulo”: catechisti, formatori ed
educatori che abbiano orizzonti grandi e il coraggio di percorrere nuove vie di
evangelizzazione. Perché non immaginare ambienti per il catechismo che non
siano più sale al chiuso, ma spazi aperti? Perché non spiegare ad esempio ai
bambini la creazione, mostrando il cielo stellato? Perché non provare a
sfruttare i monumenti sacri e le opere artistiche delle nostre città per
introdurre nei grandi misteri della fede? Perché non percorrere i sentieri
dentro e fuori le città per insegnare il senso della costante compagnia di Dio,
della crescita nella fede, della comunione ecclesiale? Perché non andare ad incontrare
comunità di altre confessioni cristiane e religioni presenti nel territorio,
per valorizzare i punti in comune e insegnare ad apprezzare le differenze?
4. Il
tempo dello Spirito
Nel racconto di Atti 11 è lo Spirito Santo
che anima Barnaba (At 11,24). In realtà, lo Spirito Santo pervade tutti i
personaggi della storia della salvezza e in particolare degli inizi della
Chiesa: «Tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in
altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi» (At
2,4). Lo Spirito Santo è un operatore divino tanto nascosto quanto essenziale
nella vita della Chiesa, sia carismatica che istituzionale. Se il tempo del
lockdown ci ha fatto tornare alle radici della fede cristiana meditando sul mistero
pasquale (cfr. CEDAC, È risorto il terzo giorno), il nuovo anno pastorale
potrebbe essere il tempo in cui sviluppare il tema dell’opera dello Spirito
nella vita dei cristiani. Potrebbe essere opportuno proporre il senso del
discernimento spirituale, della intelligenza umana illuminata dallo Spirito: ai
più giovani questo servirebbe per le grandi decisioni sul proprio stato di
vita, ma aiuterebbe tutti ad imparare a fare scelte quotidiane secondo la
volontà di Dio. La vita nello Spirito indurrebbe a trovare prassi evangeliche
concrete di fraternità e di solidarietà, che sembrano oggi ancora più urgenti.
Sarebbe anche l’occasione per rimettere al centro la questione della
progressione personale, della crescita nelle varie fasi della esistenza umana per
diventare davvero adulti nella fede. A tutti i cristiani si potrebbe rivolgere
la formazione per diventare accompagnatori spirituali, guide nel cammino verso
la maturità della vita cristiana. La Sacra Scrittura tornerebbe ad essere il
libro di tutta la vita, il libro della catechesi.
Per un discernimento pastorale
Cosa vuol dire essere “cristiani” oggi? La
Chiesa è chiamata ad evangelizzare, ad esprimere in termini sempre attuali la
lieta novella del mistero pasquale: il Signore Gesù, crocifisso per amore, è
veramente risorto. Questo è il cuore dell’evangelo: il Dio biblico ha da sempre
instaurato con la sua creatura un rapporto di amore senza riserve e mai del
tutto interrotto. In quest’ottica, evangelizzare significa creare le condizioni
perché ogni persona si lasci amare dal Dio Crocifisso e Risorto e così impari a
sua volta ad amare gli altri. Alla luce di questo kerygma ci si può interrogare
su cosa sia davvero prioritario oggi per la comunità credente. In un’ottica
prospettica, si può dire che alla Chiesa interessa accompagnare ciascuno nei
passaggi di vita, piuttosto che il semplice espletamento di un precetto; far
vivere e far maturare l’esperienza sacramentale; alimentare e nutrire una
speranza affidabile; attivare processi di trasformazione, piuttosto che cercare
affannosamente soluzioni immediate. Per far questo, può essere utile ribadire
la concezione cristiana della persona umana. La nostra è una antropologia totale
e dinamica: è totale perché tiene in considerazione tutte le dimensioni
dell’uomo (corpo, intelletto, volontà, emotività, spirito, etc.); è dinamica
perché intende la persona in continua crescita. Inoltre, la persona si evolve
in pienezza con gli altri: nei rapporti con la famiglia di origine, nelle
relazioni amicali, nel confronto con un maestro spirituale, nella
responsabilità verso i più piccoli e i bisognosi. L’orizzonte del dovere è
inglobato nella bellezza di una vita vissuta con gioia in ogni sua stagione.
Questa è la proposta di percorsi di crescita nella fede, che la Chiesa può
ancora avanzare all’uomo di oggi. Con il dovuto discernimento e gli opportuni
adattamenti, le Chiese locali in Italia possono darsi un tempo per rimettere al
centro il kerygma e trovare forme sempre più capaci di intercettare la vita
delle persone nelle loro diverse stagioni. Così, dopo aver riletto in modo
sapienziale quanto è emerso dai Laboratori ecclesiali sulla catechesi, siamo
consapevoli che anche la Chiesa italiana si trova in un delicato tempo di
passaggio, che è anche una grande opportunità. Infatti, se da un lato
riprenderà al più presto la proposta catechistica con le dovute precauzioni
sanitarie, dall’altro sentiamo forte l’esigenza di un nuovo discernimento sulla
realtà pastorale e sociale e sul rilancio dei percorsi catechistici.
L’Équipe dell’Ufficio Catechistico Nazionale