Capire la democrazia - 9
9.
Istituzioni e comunità
9.1.
Un’istituzione sociale è un’organizzazione
che si vuole rendere stabile dandole regole che possano essere cambiate solo
con precise procedure e ottenendole il riconoscimento da parte delle altre istituzioni, in un sistema di relazioni
ordinato secondo altre regole, per il quale alcune istituzioni sono tra loro pari ordinate, alcune subordinate ed
altre sovraordinate ad altre.
L’istituzione è stata una conquista culturale
molto antica dell’umanità: essa, ci dicono gli antropologi, risale addirittura
a tempi preistorici, quindi a quando ancora non ci si tramandava il ricordo del
succedersi degli eventi sociali. Essa è strettamente collegata all’esercizio di
poteri sociali, dalle cui relazioni emergono le regole di convivenza pubblica, che è quella non limitata agli ambienti
familiari e amicali.
Attraverso le istituzioni i poteri sociali
diventano stabili e si perpetuano, addirittura di generazione in generazione.
Il potere politico, vale a dire quello che
riguarda il governo delle società, e la proprietà, quel complesso di poteri che
le persone esercitano sulle cose, ma che storicamente è stato imposto anche sugli
esseri umani, sono i principali moventi per la creazione di istituzioni sociali.
Nelle narrazioni evangeliche ci si accorge
presto che, nella vita delle prime comunità di seguaci del Maestro, l’istituzione
non è presente, e questo anche se, per ragioni essenzialmente ideologiche, di
legittimazione dell’esercizio di poteri religiosi si cerca in quella prima
esperienza di vita di fede un accredito per istituzioni che furono di molto
successive.
Una delle ragioni della mancata istituzionalizzazione
religiosa nei primi tempi può essere vista nella mancanza di esigenze
propriamente politiche e di problemi relativi alla proprietà. Verso la politica
dell’epoca, si praticava un blando anarchismo e si cercava più che altro di
marcare i confini tra la sfera pubblica, che è il campo della politica, e quello
interpersonale, che fu lo spazio privilegiato per la prima diffusione della buona
novella.
Hannah Arendt, in uno dei saggi raccolti nel
libro Che cosa è la politica, pubblicato postumo nel 1993 e attualmente
disponibile in commercio (anche in e-book) edito da Einaudi [si tratta di un
testo di difficile lettura che richiede come minimo il livello di conoscenze
che si raggiunge nell’ultimo anno delle scuole superiori], cita una frase dello
scrittore cristiano Tertulliano, vissuto
nel 2° secolo, il quale esercitò una grande influenza nella formazione della
prima teologia cristiana: «Niente è più estraneo a noi cristiani
della cosa pubblica»
[dal trattato Apologetium, 38].
Arendt sostiene che le prime tendenze antipolitiche del cristianesimo si
devono al fatto che all’origine fu centrato
su ciò che è essenziale per la convivenza umana nelle relazioni interpersonali.
9.2.
Sappiamo però che, già alla fine del
1° secolo della nostra era, le nostre comunità di fede presero a istituzionalizzarsi, a organizzarsi
in istituzioni sociali, come emerge ad esempio nel pensiero di Clemente Roma,
al quale è intitolata la nostra parrocchia, vescovo di Roma vissuto nel 1°
secolo, da quello di Eusebio di Cesarea, vescovo di Cesarea in Palestina vissuto
nel Quarto secolo, molto ascoltato dall’imperatore Costantino, e da quello di Gelasio, vescovo di Roma vissuto
nel Quinto secolo, e, soprattutto, da Agostino vescovo di Ippona, nell’attuale
Algeria, uno dei maggiori teologi della cristianità di tutti i tempi, vissuto tra il Quarto e il Quinto
secolo.
Quella istituzionalizzazione delle Chiese cristiane
fu una delle più importanti delle loro molte metamorfosi rispetto alle comunità
delle origini. Una volta istituzionalizzate, in particolare intorno ad episcopati
monarchici, esse presso ad entrate in relazione con le istituzioni politiche
del loro tempo, divenendo anch’esse tali.
L’istituzionalizzazione specificamente
politica delle nostre Chiese fu un fatto decisivo nella conquista dei popoli al
cristianesimo, nella sua nuova versione istituzionalizzata, quando la pressione
per la conversione venne sorretta anche dalla coercizione politica, e quindi
anche dalla violenza politica. In questo contesto di istituzionalizzazione
della religione, acquistò sempre più rilevanza il clero, costruito come classe
sacerdotale, secondo una teologia che prendeva liberamente spunto dai modelli
sacerdotali israelitici presenti nelle Scritture. Ma la acquistarono anche gli ordini
religiosi monastici, e successivamente altri tipi di ordini religiosi, nei cui
ambiti si rivivevano, ma in spazi ben delimitati dalle loro istituzioni, interni ad esse, le esperienze
di libertà evangelica delle origini, quindi anche di separazione dalla
politica. Clero e religiosi, istituzionalizzandosi, presero ad esercitare poteri
propriamente politici sul resto della società, ma anche ad accumulare
proprietà. La Chiesa cattolica è accreditata oggi per essere uno dei maggiori
proprietari di immobili in Italia e vi possiede, addirittura, una istituzione
organizzata come uno stato, la Città del Vaticano a Roma.
Sia la politica che le proprietà vennero considerate
strumenti essenziali per sostenere l’evangelizzazione dei popoli. Questa è la
situazione nella quale ai tempi nostri ancora ci troviamo, anche se, negli anni ’60
del Novecento, prese corpo quel movimento di riforma religiosa volto a recuperare
l’esperienza di comunità amicale delle origine, secondo una nuova teologia del “Popolo
di Dio”, che assimila anche elementi dei principi democratici contemporanei. La riforma venne deliberata, infine, durante il Concilio Vaticano 2°, svoltosi a Roma tra il 1962 e il 1965, ma in gran parte attende ancora di essere attuata, in particolare per quanto la posizione dei laici cattolici, tuttora piuttosto marginale e umiliante.
Tra quella teologia comunitaria e la teologia
e la dottrina delle istituzioni religiose si
è conseguentemente creata una certa tensione, che si manifesta anche in
una realtà sociale di base come la parrocchia. Infatti, una volta che si riusciti a radunare una comunità viva, le regole
delle istituzioni, tramandate addirittura da secoli, sono sentite come troppo
coercitive e, soprattutto, poco rispettose della dignità delle persone che si
sono incontrate comunitariamente, in quanto pretendono sottomissione a poteri
autocratici e fondamentalmente insindacabili. D’altra parte, istituzioni
religiose che tengano conto solo delle loro regole di organizzazione, con il
principale obiettivo di perpetuarsi mantenendo certi poteri politici e sociale e la disponibilità delle loro proprietà, senza avere in sé comunità vive, e cioè
attive e creative, perdono rapidamente attrattiva sociale, e, dove non possano più valersi della coercizione politica e della pressione ambientale al conformismo perbenistico per mantenere la loro presa sociale, perdono
senso, rimanendo solo vuote burocrazie.
Mario
Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli