Capire la democrazia - 10
Radicare la democrazia nelle istituzioni a partire da
tirocini democratici nelle realtà di
base.
Quando si cerca di spiegare di democrazia si parte in genere dalle
regole, perché la si vede essenzialmente come uno dei metodi per fare ordine nella società e, per questo, come molto legata alle
sue istituzioni. La democrazia,
quindi, come adesione ad un sistema di
regole vissute come norme di buona
creanza sociale, ma alla cui
creazione non si è collaborato. Un po’
come le convenzioni della lingua parlata e scritta e quelle sul modo di vestire.
E le istituzioni come presidio di quelle regole, in una sorta di polizia sociale.
Certo, anche la democrazia esprime istituzioni e quindi ha le sue regole,
ma esse non ne sono la caratteristica principale e la sua ragion d’essere.
Anche altri regimi politici non democratici hanno istituzioni e regole e, con
esse, si propongono di mantenere un ordine sociale, quindi,
fondamentalmente, di stabilizzare un ceto assetto di potere sociale, secondo il
quale c’è chi domina e chi è dominato e chi domina vive meglio. In democrazia,
invece, ci si propone di assecondare i moti sociali che pongono in conflitto i
gruppi che compongono le società, consentendo il cambiamento sociale, e quindi
anche quello di regole e istituzioni, senza che le dinamiche di conflitto distruggano
le società o generino infelicità sociale nei processi di dissoluzione o di
repressione. Il suo metodo politico è quello della limitazione di ogni potere
mediante la pressione della partecipazione popolare attiva attraverso il dialogo
sociale e la persuasione personale. Il principio fondante della democrazia è che
nessuno potere sociale sia illimitato: questo fa spazio per la partecipazione.
Proprio perché ci si propone di assecondare il movimento sociale che deriva dal
mutare fisiologico delle società, la democrazia è tenuta programmaticamente in
una condizione di instabilità controllata. Proprio quella che i regimi non
democratici temono.
La nostra dottrina sociale è
ancora piuttosto affascinata dall’idea che, a livello mondiale, ci debba
essere, e vada quindi istituita, un’autorità superiore che metta
ordine nel mondo e lo mantenga,
mettendo in tal modo fine ai confitti sociali. E’ il modo in cui si ripropone
il modello medievale dell’impero
religioso. In questa concezione il governo della società è essenzialmente
affare di istituzioni, che si vorrebbero coordinate tra loro in modo che ce ne sia una al vertice alla quale
sia riconosciuto il massimo potere e che quindi spenga i conflitti. Fino al
magistero di papa Francesco, i Papi nella loro dottrina sociale in genere si
rivolsero, infatti, ai governanti, vale a dire alle persone che esercitavano
autorità politica nelle istituzioni di governo, dando loro dei precetti d’azione, che, al di là della loro formulazione come regole
solamente morali, avevano la natura
di direttive politiche, come quella, che ricorre spesso dagli anni ’40 del
secolo scorso, di porre fine alle guerre. Questo accade perché la teologia
della dottrina sociale in materia di democrazia è veramente poco sviluppata, anche
nel magistero di papa Francesco, e questo sebbene, in esso, abbia un posto
molto rilevante l’idea di popolo. In
realtà la democrazia è essenzialmente cosa che riguarda coloro che, nella
concezione politica che distingue governanti
e governati, sono indicati
come i governati. È infatti un metodo che li vuole elevare alla partecipazione
al governo della società senza mai farne dei governanti, vale a dire dei monopolisti del potere politico
mediante il controllo delle istituzioni. Quindi vuole abolire la distinzione
tra governanti e governati. La partecipazione democratica al
governo, in quanto pluralistica e programmaticamente nonviolenta, può avvenire solo nel dialogo, nel quale ai partecipanti sia riconosciuta la medesimo dignità politica e sociale: questa è la politica secondo la concezione democratica. E’ molto
chiaro che la nostra Chiesa è ancora strutturata, invece, secondo il modello governanti / governati e quindi quando
superficialmente, alle proposte dei cristiani persuasi della democrazia, si
sbotta “Ma la Chiesa non è una democrazia”,
si dice una cosa vera. Ma se poi si vuole anche intendere che la Chiesa non potrà essere mai una
democrazia, perché le è connaturata l’autocrazia secondo la quale è stata organizzata fin dall’alto Medioevo, e
la religione svanirebbe con una diversa organizzazione, si dice una cosa senza
fondamento, perché, non solo, dal punto di vista concettuale, la Chiesa potrebbe senz’altro assimilare i
processi democratici senza alcun danno per l’essenziale della fede, anzi con
molti vantaggi per essa, ma dall’esperienza storica di altre Chiese cristiane
emerge che la democrazia può effettivamente essere realizzata anche in
religione. La profonda diffidenza delle istituzioni religiose cattoliche,
quindi dei nostri governanti religiosi, vale a dire della gerarchia religiosa cattolica, verso i processi
democratici, comporta che la formazione religiosa non comprende ancora, se non per
il ceto intellettuale, una formazione ai processi democratici e, anche dove si
fa, con la prescrizione di agire democraticamente solo fuori della Chiesa, pena il
disconoscimento e l’emarginazione. Questo è stato finora il destino di chi ha
cercato di agire e pensare diversamente. La nostra Chiesa è fondamentalmente ancora
organizzata come un’autocrazia sacrale
che umilia i governati. E questa
umiliazione, vista come manifestazione di obbedienza
filiale, di docilità, viene
addirittura presentata come una virtù. Questo effettivamente ostacola i
processi democratici che richiedono, invece, una elevazione
in dignità e la consapevolezza della propria
dignità sociale.
Ecco che cosa la filosofa Hanna Arendt scrisse su questi temi [da uno
dei saggi raccolti nel libro Che cosa è
la politica, edito da Einaudi anche in e-book]:
«[…] Dietro i
pregiudizi nei confronti della politica
si celano la paura che l’umanità possa autoeliminarsi mediante la politica e gli strumenti di
violenza di cui dispone , e, in stretta connessione con tale paura, la speranza
che l’umanità si ravveda e, anziché se stessa, tolga di mezzo la politica,
ricorrendo a un governo universale che dissolva
lo stato in una macchina amministrativa, risolva i conflitti politici
per via burocratica e sostituisca gli eserciti con schiere di poliziotti. Certo
tale speranza è del tutto utopica se per politica si intende, come normalmente
avviene una relazione tra governanti e governati. In questa ottica, invece di
una abolizione del politico otterremmo una forma dispotica di governo di
dimensioni mostruose, in cui lo iato tra governanti e governati assumerebbe
proporzioni così gigantesche da impedire
qualunque ribellione, e tanto più
qualunque forma di controllo dei governanti da parte dei governati. Tale
carattere dispotico non cambierebbe neppure qualora in quel regime mondiale non
si potesse più individuare una persona, un despota; infatti il dominio
burocratico, il dominio mediante l’anonimità degli uffici, non è meno dispotico
perché “nessuno” lo esercita; al contrario: è ancora più terribile, perché nessuno
può parare o presentare reclamo a quel Nessuno. Se però per politico si intende
una sfera del mondo dove gli uomini si
presentano primariamente come soggetti attivi, e dove conferiscono alle umane
faccende una stabilità che altrimenti non le riguarderebbe, la speranza appare
tutt’altro che utopica. L’eliminazione
degil uomini in quanto soggetti attivi è riuscita spesso nella storia, sebbene
non a livello mondiale: sia sotto forma di quella tirannide che oggi ci sembra antiquata, dove la volontà
di un uomo pretendeva totale libertà di azione, sia sotto forma del moderno
totalitarismo, dove si vorrebbe liberare la presunta superiorità dei processi e delle “energie storiche”
impersonali e sottomettervi gli uomini.»
Data l’importanza politica che la nostra Chiesa ha sempre avuto nelle
questioni italiane, tutto ciò ha inciso molto negativamente nell’acculturazione
democratica della nostra gente, in particolare a partire dal durissimo
contrasto del Papato, nell’Ottocento, contro l’irredentismo italiano durante il
nostro Risorgimento. Tra pochi giorni ricorre il centocinquantesimo
anniversario della soppressione, mediante conquista militare cruenta, con
decine di morti da ambo le parti, dello
Stato Pontificio da parte del Regno d’Italia, il 20 Settembre 1870. Una istituzione ormai obsoleta, quel regno del
Papato nel Centro Italia, rifiutava ostinatamente di evolvere, e, anche in quel
caso, come sempre quando si affrontano temi simili, fu questione di potere
politico e di proprietà, non di religione (tra i precetti evangelici, quello di
costituire un regno territoriale religioso in Italia - o altrove - non
c’è). Ma la tragedia più grande non fu quella, quanto invece la susseguente decisione
del Papa all’epoca regnante, Giovanni Battista Mastai Ferretti - Pio 9°, nel
2000 proclamato beato, di ordinare ai
cattolici, sotto pena di scomunica, di non partecipare alla democrazia
nazionale nel Regno d’Italia, e questo per sostenere le rivendicazioni
territoriali del Papato su Roma. E, in effetti, il governo nazionale del Regno
d’Italia, quello che aveva deciso la conquista del regno pontificio, era
espresso da una democrazia liberale, anche se escludeva ancora le donne, gli
incolti, i meno abbienti. La democrazia e il liberalismo, che della democrazia aveva posto i fondamenti
culturali, erano temuti dal Papato come fonte di insubordinazione, di usurpazione di poteri sacralizzati e di predazione dei patrimoni delle
istituzioni religiose. Contro di essi si cercò di far insorgere il popolo italiano nel presupposto che fosse rimasto
nonostante tutto nella condizione di gregge sottomesso all’autocrazia sacrale del Papato. Questo
sostanzialmente l’ordine di idee sotteso anche alla prima dottrina sociale, in dura polemica politica con il liberalismo e il
socialismo (il movimento che intendeva promuovere l’elevazione sociale del proletariato - proprio così definito
nell’enciclica Le novità, del 1891, del papa Leone 13°- Vincenzo
Gioacchino Pecci). In realtà i
processi democratici che da fine Ottocento coinvolsero anche il laicato
cattolico portarono poi, in un lungo e travagliato processo nel quale l’Azione
Cattolica fu protagonista, a ridefinirne il senso, appunto in direzione dei
principi democratici. Questo consentì poi ai cattolici democratici italiani di
avere un ruolo assolutamente di primo piano nella costruzione della nuova
Repubblica democratica, dopo la vittoria sul fascismo mussoliniano, e poi nel governo nazionale fino al 1994. Ciò
però fu possibile solo quando, dal 1939, il Papato richiese il superamento del
fascismo mediante processi democratici, con una serie di radiomessaggi che
costituirono la nuova base ideologica in particolare per i gruppi intellettuali
in Azione Cattolica. Quindi, in fondo, l’emancipazione
politica dall’autocrazia religiosa è ancora da
conquistare. Finché non ci sarà dal Papato un via libera per costruire, all’interno
del pensiero sociale cattolica, una sezione sulla democrazia che trovi base
anche in una teologia sulla democrazia (la
dottrina sociale è considerata una branca della teologia), è poco probabile che
accada qualcosa di nuovo e che quindi si inneschino processi di reale riforma.
Questo non toglie che si possa cominciare dalla base, nelle realtà di
prossimità come le parrocchie, da un
tirocinio pratico di democrazia, negli spazi (pochi), lasciati
liberi, per acquisirne dimestichezza e imparare come fare, e anche per convincersi che funziona. Questo tirocinio potrebbe poi essere progressivamente
esteso, tenendo conto che, come in genere si scrive, la democrazia è in crisi
un po’ in tutti i settori della società, anche in quelli che la praticavano, e,
in questa condizione, assumono un rilievo preponderante le istituzioni, però sempre meno collegate a una vita democratica diffusa e quindi sentite sempre più distanti e
indifferenti, e quindi avviate verso una sorta di tirannia istituzionale, in
quella che recentemente si è denominata, con una certa ironia, democratura, vale a dire un sistema
sostanzialmente di dittatura ma formalmente ancora democratico.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San
Clemente papa - Roma, Monte Sacro - Valli