Capire la democrazia
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La democrazia è un sistema di convivenza che consente di
superare i conflitti senza che l’impiego della forza distrugga la società o generi infelicità. Serve a regolare l’esercizio
di poteri in conflitto limitandoli nel tempo e nella loro estensione. Una volta
che si è radicata in un corpo sociale, ne consente anche l’evoluzione senza che
esso venga disperso nel corso di conflitti violenti. Per questo la democrazia viene
mantenuta sempre in una fisiologica instabilità, in modo da consentire le
dinamiche sociali di potere, ma in una instabilità controllata, come accade nei
reattori nucleari per la produzione di energia elettrica, nei quali le reazioni
di fissione nucleare, capaci di produrre potenze distruttive, vengono moderate
e contenute, ma comunque attivate.
Gli esseri umani, in particolare nelle società contemporanee
estremamente complesse in particolare per essere composte da vastissime moltitudini
di individui, dipendono dalle loro società per la sopravvivenza. Un gruppo di
esseri umani diventa società quando manifesta la capacità di azione collettiva.
Le azioni individuali devono quindi essere coordinate, per produrre un’azione
collettiva. Questo coordinamento è dato da dinamiche di potere che coinvolgono
individui e gruppi di individui. Ad un certo punto un individuo o, più spesso,
un gruppo di individui riesce ad imporsi e a dettare le linea collettiva:
questa è una situazione di potere. Essa tende sempre a prolungarsi nel tempo e
ad estendersi, finché non incontra una resistenza. In questo momento si produce
una situazione di conflitto sociale che arcaicamente veniva risolta prevalentemente
mediante la violenza collettiva e, progressivamente, producendosi delle culture
dalle società umane, quindi evolvendo le società umane, anche con altre
modalità che preservassero la società dall’essere sfasciata nel conflitto. In
particolare questo avvenne, e ancora avviene, mediante la produzione del
diritto. Il diritto è uno dei modi in cui si possono limitare i poteri collettivi e privati in modo
che non giungano a confitti distruttivi. E’ integralmente una produzione
sociale, che si basa essenzialmente sull’esperienza storica e sociale delle
conflittualità sociali. Oggi siamo abituati a pensare il diritto come un sistema
di ordini di autorità pubbliche, quindi di leggi, ma esso non si genera
solo in quel modo, anzi, per millenni, la legge non ne fu la fonte prevalente.
Una volta accettata l’idea che alla società convenga limitare i conflitti
sociali per preservare la sua integrità e quindi la sua efficacia per la
sopravvivenza collettiva, essa costituisce un valore, e un valore molto
importante, che è anche tra quelli fondamentali nelle concezioni democratiche. Come
risolvere senza violenza i conflitti sociali? Mediante la pratica dell’equità,
che implica una certa proporzionalità negli scambi e una certa ragionevolezza
nella pretesa dell’esercizio di poteri pubblici, sugli altri. L’equità e la ragionevolezza sono altri valori tipici del diritto, ma anche
molto rilevanti nelle concezioni democratiche. Sono espressione dell’idea di dignità
della persona che si trova inserita
in una società, persona della quale i poteri sociali, privati o collettivi, non
possono, appunto per ragione di equità, fare ciò che vogliono, a loro arbitrio.
Le democrazie contemporanee si distinguono da quelle antiche, medievali e
moderne (che si sono sviluppate dalla fine del Settecento alla metà del
Novecento) per aver molto sviluppato l’idea di dignità della persona umana, fino a fare un valore fondamentale, attorno al quale ruotano tutti
gli altri. Precisamente le concezioni contemporanee della democrazia riconoscono ad ogni persona umana una dignità che non può essere lesa da alcun potere pubblico
o privato, che quindi viene limitato. Questa concezione di dignità è uno
sviluppo del pensiero sociale cristiano, dall’epoca in cui le masse europee
iniziarono ad affermarsi politicamente. Essa è anche insegnata dalla dottrina
sociale cattolica, sebbene la Chiesa cattolica sia stata storicamente uno dei
più accaniti avversari della democrazia contemporanea, fino addirittura a scomunicarla
nel 1901, con l’enciclica Le gravi controversie sulle relazioni economiche del
papa Vincenzo Gioacchino Pecci, regnante come Leone 13°. Solo a partire dal 1939,
dopo aver preso consapevolezza dei disastri che la compromissione con i
fascismi mondiali aveva provocato, la posizione iniziò a cambiare, fino a
giungere nel 1991, con l’enciclica Il Centenario del papa Karol Wojtyla, ad un riconoscimento
dell’utilità dei processi democratici nel governo delle società civili, per
indurne la pacifica evoluzione nel senso di sviluppare la dignità delle
persone. La democrazia è in genere ancora negata nell’organizzazione
ecclesiastica, da cui lo sciocco e superficiale detto “La Chiesa non è una
democrazia”: chi ne fa uso mostra di non avere consapevolezza della realtà
sociale della Chiesa e delle sue dinamiche di potere, a cui certamente converrebbero
processi democratici. Può accadere che ne abbia consapevolezza, ma tema che con
la democrazia venga mutato un sistema di potere che lo avvantaggia o, molto
spesso, teme, una volta scelta la strada della democrazia, si perda il
controllo del corpo sociale dei fedeli. In effetti la democrazia consente l’evoluzione
delle società. Del resto solo una concezione mitica della nostra Chiesa, e in particolare
della sua gerarchia, può condurre a negare che essa sia mutata anche su aspetti
essenziali. Ma l’evoluzione è stata storicamente molto travagliata e a prodotto
atroci sofferenze e violenze. Le guerre di religione sono
cessate, nelle loro manifestazioni più eclatanti, con l’affermarsi dei processi
democratici. Essi hanno portato a riconoscere la dignità delle persone anche
nei confronti delle autorità religiose e, in particolare, a negare validità pubblica
alla loro pretesa di incondizionata sottomissione. Questa pretesa non è però ancora sopita ed
è legata al valore dell’obbedienza
incondizionata all’autorità
religiosa, che senz’altro non è evangelico e umilia la dignità delle persone.
In quest’ottica, la vera libertà starebbe nella rinuncia alla propria libertà, quindi
alla propria dignità. Si crede, in questo modo, di prevenire i conflitti
sociali e di preservare l’unità del gregge,
risolvendo i confitti sociali
mediante la pretesa, appunto, di sottomissione. La sottomissione non è certamente un valore democratico. La democrazia
conosce, nelle dinamiche di potere, il valore dell’adesione, a seguito di
dibattito pubblico secondo procedure democratiche, e quello della resistenza, quando pace, equità, ragionevolezza e dignità sono minacciate da poteri
che si manifestano dispotici, in quanto pretendano sottomissione arbitraria, e
ciò anche se si tratti di poteri maggioritari. La resistenza è un dovere
democratico anche contro la tirannia
della maggioranza, come venne
definita dai primi teorici dei processi democratici. La democrazia non tollera
alcun potere arbitrario, che si pretenda illimitato e voglia sottomissione, perché
contrario alla dignità delle persone. Non tutto in democrazia è nell’arbitrio
delle maggioranze: non lo sono la pace, l’equità, la ragionevolezza, la dignità
delle persone.
Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente Papa – Roma, Monte
Sacro, Valli.