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Metodi
di sinodalità – 5 –
Un anno
speciale
[Dal discorso di Papa Francesco ai
rappresentanti del 5° Convegno nazionale della Chiesa italiana , tenuto a
Firenze il 10 Novembre 2015 nella basilica di Santa Maria del Fiore]
La
riforma della Chiesa […] non si esaurisce nell’ennesimo piano per cambiare le
strutture. Significa invece innestarsi e radicarsi in Cristo lasciandosi
condurre dallo Spirito. Allora tutto sarà possibile con genio e creatività.
La
Chiesa italiana si lasci portare dal suo soffio potente e per questo, a volte,
inquietante. Assuma sempre lo spirito dei suoi grandi esploratori, che sulle
navi sono stati appassionati della navigazione in mare aperto e non spaventati
dalle frontiere e delle tempeste. Sia una Chiesa libera e aperta alle sfide del
presente, mai in difensiva per timore di perdere qualcosa. Mai in difensiva per
timore di perdere qualcosa. E, incontrando la gente lungo le sue strade, assuma
il proposito di san Paolo: «Mi sono fatto debole per i deboli, per guadagnare i
deboli; mi sono fatto tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno» (1
Cor 9,22).
[…]
Ma
allora che cosa dobbiamo fare, padre? – direte voi. Che cosa ci sta chiedendo
il Papa?
Spetta
a voi decidere: popolo e pastori insieme. Io oggi semplicemente vi invito ad
alzare il capo e a contemplare ancora una volta l’Ecce Homo che
abbiamo sulle nostre teste. Fermiamoci a contemplare la scena. Torniamo al Gesù
che qui è rappresentato come Giudice universale. Che cosa accadrà quando «il
Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria e tutti gli angeli con lui, siederà sul
trono della sua gloria» (Mt 25,31)? Che cosa ci dice Gesù?
[…]
Ai
vescovi chiedo di essere pastori. Niente di più: pastori. Sia questa la vostra
gioia: “Sono pastore”. Sarà la gente, il vostro gregge, a sostenervi. Di
recente ho letto di un vescovo che raccontava che era in metrò all’ora di punta
e c’era talmente tanta gente che non sapeva più dove mettere la mano per
reggersi. Spinto a destra e a sinistra, si appoggiava alle persone per non
cadere. E così ha pensato che, oltre la preghiera, quello che fa stare in piedi
un vescovo, è la sua gente.
Che
niente e nessuno vi tolga la gioia di essere sostenuti dal vostro popolo. Come
pastori siate non predicatori di complesse dottrine, ma annunciatori di Cristo,
morto e risorto per noi. Puntate all’essenziale, al kerygma. Non
c’è nulla di più solido, profondo e sicuro di questo annuncio. Ma sia tutto il
popolo di Dio ad annunciare il Vangelo, popolo e pastori, intendo. Ho espresso
questa mia preoccupazione pastorale nella esortazione apostolica Evangelii
gaudium (La gioia del Vangelo - cfr nn. 111-134).
A
tutta la Chiesa italiana raccomando ciò che ho indicato in quella Esortazione:
l’inclusione sociale dei poveri, che hanno un posto privilegiato nel popolo di
Dio, e la capacità di incontro e di dialogo per favorire l’amicizia sociale nel
vostro Paese, cercando il bene comune.
[…]
Che
Dio protegga la Chiesa italiana da ogni surrogato di potere, d’immagine, di
denaro. La povertà evangelica è creativa, accoglie, sostiene ed è ricca di
speranza.
[…]
Vi raccomando anche, in maniera speciale,
la capacità di dialogo e di incontro. Dialogare non è negoziare. Negoziare è
cercare di ricavare la propria “fetta” della torta comune. Non è questo che
intendo. Ma è cercare il bene comune per tutti. Discutere insieme, oserei
dire arrabbiarsi insieme, pensare alle soluzioni migliori per tutti. Molte
volte l’incontro si trova coinvolto nel conflitto. Nel dialogo si dà il
conflitto: è logico e prevedibile che sia così. E non dobbiamo temerlo né
ignorarlo ma accettarlo. «Accettare di sopportare il conflitto, risolverlo e
trasformarlo in un anello di collegamento di un nuovo processo» (Evangelii
gaudium, 227).
[…]
La
Chiesa sia fermento di dialogo, di incontro, di unità. Del resto, le nostre
stesse formulazioni di fede sono frutto di un dialogo e di un incontro tra
culture, comunità e istanze differenti. Non dobbiamo aver paura del dialogo:
anzi è proprio il confronto e la critica che ci aiuta a preservare la teologia
dal trasformarsi in ideologia.
Ricordatevi
inoltre che il modo migliore per dialogare non è quello di parlare e discutere,
ma quello di fare qualcosa insieme, di costruire insieme, di fare progetti: non
da soli, tra cattolici, ma insieme a tutti coloro che hanno buona volontà.
E senza paura di compiere l’esodo
necessario ad ogni autentico dialogo. Altrimenti non è possibile comprendere le
ragioni dell’altro, né capire fino in fondo che il fratello conta più delle
posizioni che giudichiamo lontane dalle nostre pur autentiche certezze. È
fratello.
[…]
Mi
piace una Chiesa italiana inquieta, sempre più vicina agli abbandonati, ai
dimenticati, agli imperfetti. Desidero una Chiesa lieta col volto di mamma, che
comprende, accompagna, accarezza. Sognate anche voi questa Chiesa, credete in
essa, innovate con libertà. L’umanesimo cristiano che siete chiamati a vivere
afferma radicalmente la dignità di ogni persona come figlio di Dio, stabilisce
tra ogni essere umano una fondamentale fraternità, insegna a comprendere il
lavoro, ad abitare il creato come casa comune, fornisce ragioni per l’allegria
e l’umorismo, anche nel mezzo di una vita tante volte molto dura.
Sebbene
non tocchi a me dire come realizzare oggi questo sogno, permettetemi solo di
lasciarvi un’indicazione per i prossimi anni: in ogni
comunità ,in ogni parrocchia e istituzione, in ogni Diocesi e circoscrizione, in
ogni regione, cercate di avviare, in modo sinodale, un approfondimento
della Evangelii gaudium, per trarre da essa criteri pratici e per
attuare le sue disposizioni, specialmente sulle tre o quattro priorità che
avrete individuato in questo convegno. Sono sicuro della vostra
capacità di mettervi in movimento creativo per concretizzare questo studio. Ne
sono sicuro perché siete una Chiesa adulta, antichissima nella fede, solida
nelle radici e ampia nei frutti. Perciò siate creativi nell’esprimere quel
genio che i vostri grandi, da Dante a Michelangelo, hanno espresso in maniera
ineguagliabile. Credete al genio del cristianesimo italiano, che non è
patrimonio né di singoli né di una élite, ma della comunità, del popolo di
questo straordinario Paese.
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Voglio prendere sul serio questa obiezione: “Stai parlando solo del
cammino sinodale, ma la vita dell’Azione Cattolica non è solo questo, c’è
dell’altro”.
Inizio osservando che quest’anno c’è stata
la proposta di dedicare al cammino sinodale una riunione sulle tre del mese.
Quindi ci sarà certamente dell’altro. Chi ha ripreso a venire agli incontri, sa
infatti che nelle altre due riunioni stiamo seguendo il percorso formativo
dell’Ac Questione di sguardi, che è molto ricco e interessante.
Bisogna dire però che il cammino sinodale, soprattutto nella fase di consultazione
che si concluderà il 15 agosto 2022, è un evento molto importante, che richiede
tutta la nostra attenzione e la nostra partecipazione, perché i nostri vescovi
desiderano ascoltarci e ci hanno mandato un Interrogativo
fondamentale e Dieci domande perché noi si risponda, dopo averne discusso
insieme sinodalmente, vale a dire facendo uno sforzo speciale per
trovare una posizione condivisa che corrisponda ad impegni che collettivamente
assumiamo. La collaborazione con i
vescovi nell’apostolato, in particolare in quello che da persone laiche
operiamo nella società nella quale siamo immersi, è la ragion d’essere
dell’Azione Cattolica. Noi non siamo solo un gruppo di spiritualità o un gruppo di preghiera. Devo essere io a
ricordarlo alle altre persone del gruppo che, come me, hanno trascorso una vita
in Azione Cattolica?
Questo cammino sinodale è dedicato alla riforma della Chiesa, lo ha
detto il Papa nel discorso di Firenze del 2015 ai partecipanti al Convegno
ecclesiale nazionale In Gesù Cristo il nuovo umanesimo, il quale viene considerato l’avvio del processo
sinodale delle Chiese italiane, che è in corso contemporaneamente a quello per
la Chiesa universale. In particolare si tratta di indirizzare con più decisione
la Chiesa verso gli obiettivi indicati negli scorsi anni Sessanta dal Concilio
Vaticano 2°. Uno dei principali temi è quello di realizzare forme di
partecipazione alla vita ecclesiale da parte delle persone laiche che
corrispondano al principio di pari dignità battesimale. L’idea che solo a preti
e religiosi appartenga la vita di Chiesa e alle persone laiche competa di
operare solo nella società civile non corrisponde a ciò che il Concilio
Vaticano 2° deliberò. Infatti l’attivismo di clero e religiosi nella società
civile ha continuato ad essere molto intenso anche dopo il concilio, mentre
alle persone laiche si sono aperti ampi spazi di partecipazione alla vita di
Chiesa, anche se in quest’ultimo campo hanno avuto più difficoltà. Si è detto
che non dovevano clericalizzarsi, ma, in genere, le persone laiche non
desiderano questo. In realtà nel clero e tra i religiosi si è vissuta con una
certa preoccupazione questo nuovo impegno da parte di persone che si era
abituati a vedere più che altro come platea liturgica. E, per la verità, a
lungo si è preferito frenarle lungo quella via. Questo disagio a cui mi sono riferito
si nota, ad esempio, nell’affrontare il tema del nuovo ministero ecclesiale
del catechista, istituito da papa
Francesco con la lettera apostolica Motu Proprio [una legge
ecclesiastica d’iniziativa del papa] Antiquum Ministerium [Un antico ministero]
del 10 maggio 2021. Ricevuta la patente
di catechista, non diverranno dei so-tutt’io?
Osservo che il centro del nuovo ministero laicale non è distribuire una patente, ma incaricare
di una missione, e che la formazione permanente che è prevista per i catechisti è al servizio
di essa; e poi penso che, quanto al so-tutt’io, non credo che le persone laiche che sentono la
vocazione per quel ministero abbiano alcun desiderio di seguire i cattivi
esempi (che certamente ci sono nella Chiesa). In realtà, rispetto a quello che
si faceva nella nostra parrocchia negli anni
’70, il decennio in cui fu iniziato il rinnovamento della catechesi, la
formazione dei catechisti certamente è carente, anzi mi pare che semplicemente
non si faccia. E sono loro stessi, per quel che so, a invocarla, ma non si fa.
Poiché il cammino sinodale coinvolge tutto il mondo, esso avrà una
rilevanza vicina a quella di un Concilio, anche se non tratterà di
ridefinizioni dogmatiche. Dovremmo trattarlo come un impegno tra i tanti?
Quando i nipoti ci chiederanno “Tu dov’eri, che hai fatto?”, gli dovremo rispondere che, sì, c’era questo
cammino sinodale, uno del gruppo ne parlava tanto, “Mario, sì Mario, mi pare
che si chiamasse”, ma che noi si è
preferito non eccedere e, tutto sommato, s’è continuato a fare come prima,
perché, in fin dei conti, i sinodi sono cose da preti, e questo nonostante che i vescovi ci avessero
espressamente interpellato come persone laiche?
Quanto
al Papa: come si fa a non sorreggere una persona come Francesco che ci parla
con il cuore come a Firenze?
Sento dire talvolta, da questo e da quello, che lui non è d’accordo
con il Papa. Chi lo dice? Un grande teologo o almeno una persona sulla scia
di un grande teologo? Una persona che sa di storia e filosofia? No, uno
qualunque come me. Si sa poco di tutto, non si ha tanta voglia di imparare, ma
all’evidenza si sovrastima quello che si sa e allora ce se ne esce di non
essere d’accordo con il Papa. Poi magari ci si definisce tradizionalisti,
ma non certo quanto alla severa (un tempo) tradizione di sottomissione al Papa. Magari si segue un
Papa del passato, del quale comunque si sa poco o nulla, più che altro un nome
e una certa vaga fama. Un’affermazione di quel genere poteva costare molto cara a un prete e a un religioso, un tempo, quello appunto della tradizione alla quale fanno riferimento certi tradizionalisti.
Ma allora, tu non vuoi bene al Papa?, rinfacciarono a Primo Mazzolari,
grande anima, per metterlo in difficoltà di fronte ai suoi superiori. E lui ci
scrisse sopra un formidabile libretto: “Anch’io voglio bene al Papa”. E,
oggi, sul suo esempio, considerando tutti quelli che superficialmente si
permettono di dire che non sono tanto d’accordo con il Papa, grido
invece “Voglio bene al Papa!”. Ma
non perché adesso dice e scrive cose che mi emozionano, ma perché, povera anima
cristiana, si è sobbarcato questo pesantissimo fardello di essere nostro Papa,
e mi pare come crocifisso ad esso, veramente alla sequela di Gesù, e sta realmente
vivendo questo supremo ministero
secondo gli stessi principi che predica a noi, umiltà, disinteresse, gioia
evangelica, e predica
incessantemente il vangelo, e non abita
nella reggia dei suoi predecessori, ma nello stesso albergo in cui si era
sistemato venendo a Roma per il Conclave che l’ha eletto. Povero, povero Papa, ti
voglio bene!
Se
io considero una figura di un Papa del passato come Alessandro 6° Borgia, il
quale regnò in religione e su Roma per undici anni dal 1492, ed ebbe amanti e
figli, uno dei quali creò arcivescovo a 17 anni e cardinale l’anno successivo,
e considero che fece impiccare e bruciare sul rogo il frate domenicano Giacomo
Savonarola, grande anima, perché lo criticava pubblicamente e aspramente per la
sua vita dissoluta, posso concludere che, tutto sommato, non sono
d’accordo con quella decisione di
quel Papa, e, in generale, certamente non considero quel Papa un esempio
di vita religiosa né di episcopato: ma parlo sulla base di ciò che so di
lui e di fatti storici sui quali si è ragionato molto. Non posso dire, lo ammetto francamente, di essere stato proprio sottomesso ai Papi della mia vita, che comunque mi sono
stati tutti veramente molto cari, ma
certo ho avuto per loro un grandissimo rispetto, soprattutto tenendo conto
della mia pochezza rispetto a loro, i quali furono realmente grandi anime.
Perché è così che mi hanno educato a fare in Azione Cattolica e capisco che ci
sono buoni motivi per farlo.
E
ora che Papa Francesco, il Papa, non un qualche Papa del passato, ma
proprio il nostro Papa, ci esorta in modo così accorato a che in ogni comunità, in ogni parrocchia e
istituzione, in ogni Diocesi e circoscrizione, in ogni regione, si cerchi di
avviare, in modo sinodale, un approfondimento della Evangelii gaudium, per
trarre da essa criteri pratici e per attuare le sue disposizioni, e, ora, per
partecipare alla consultazione del Popolo di Dio che è in corso nel cammino sinodale, dovremmo
utilizzare mezze misure, fare un po’ e un po’, continuando a spendere
anche per altro questi pochi mesi, fino al 15 agosto dell’anno prossimo, in cui
siamo chiamati a rispondere alla domande dei vescovi su temi cruciali per noi, per loro
e per tutti gli altri? E, nell’informare le altre persone sulle nostre attività
di quest’anno, dovremmo mettere il Sinodo accanto a quell’altro che faremo,
come se non fosse l’evento epocale che è, come se noi non fossimo chiamati, dal
Papa (!), a metterci tutta l’anima?
Ragioniamo insieme su questo in modo sinodale e decidiamo.
Mario Ardigò – Azione Cattolica in San
Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli