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Sinodalità, conflitto, resistenza
da: Giuseppe Ruggieri, Chiesa sinodale, Editori
Laterza 2016, anche in e-book e Kindle
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Come abbiamo già
ricordato, la prima testimonianza della prassi sinodale che noi abbiamo, quella
dell’Anonimo riportato da Eusebio [Eusebio di Cesarea, vissuto tra il Terzo e
il Quarto secolo, vescovo palestinese divenuto uno degli esperti dei quali
l’imperatore romano Costantino I si valse nella sua grandiosa riforma
politico-religiosa dell’antico impero romano], Storia ecclesiastica V,
16, 10, riferisce che «i fedeli dell’Asia [denominazione che all’epoca indicava
una vasta regione dell’Anatolia occidentale], dopo essersi riuniti per questo
più volte e in più luoghi della provincia, e dopo aver esaminato le recenti
dottrine e averle dichiarate sacrileghe, condannarono quell’eresia
[l’orientamento montanista, diffuso dalla metà del Secondo secolo, che
si rifaceva alla predicazione di Montano
e che era connotato dall’importanza che si dava a rivelazioni di tipo
carismatico, alla rigidità etica e all’attesa di un’imminente fine del mondo
con il ritorno del Cristo». I più autorevoli studiosi dei sinodi preniceni
[antecedenti al Concilio di Nicea, città nei pressi di Bisanzio-Costantinopoli
(l’attuale Istanbul) convocato, celebrato e presieduto dall’imperatore
Costantino I nel 325], come Fisher e Lumpe, notano che si parla dei fedeli e
non del clero e dei vescovi, che d’altra parte non erano certante esclusi.
Esiste
oggi, almeno nella chiesa italiana, uno scollamento tra il magistero dei
vescovi e la vita vissuta di gran parte del popolo di Dio e degli stessi preti.
Per superare questa impasse attuale della vita ecclesiale l’unica strada
mi sembra quella della ripresa della prassi sinodale a tutti i suoi livelli, dalle parrocchie fino
alle assemblee diocesane e a quelle episcopali. E la prassi sindale non è
riservata ai quadri, all’Azione Cattolica, agli esponenti dei movimenti, ma a
tutti coloro che partecipano della stessa mensa eucaristica. E’ stato questo,
spesso, il peccato orginale di tanti sinodi postconciliari [successivi al
Concilio Vaticano 2°, celebrato a Roma tra il 1962 e il 1965], ridotti ad
espressione delle varie centrali pastorali.
Ancora,
con una sottolineatura forse ripetitiva, ma a mio avviso sempre necessaria, la
prassi sinodale non è da configurarsi sotto la categoria della democrazia della
chiesa. Certo i sinodi, lungo la storia della chiesa, hanno sempre accolto le
prassi della formazione del consenso vigenti nelle società del loro tempo: da
quella del sinedrio e del senato a quella delle corporazioni medievali, fino ai
moderni criteri delle maggioranze qualificate dei due terzi o assolute. Si
tratta sempre della necessaria adeguazione degli strumenti storici del
consenso. Ma più profondamente il sinodo resta un evento sponsale, dove il
consenso supera la materialità dei contenuti, che possono restare anche non del
tutto perfetti, ed è invece il senso vero della chiesa come sacramentum
unitatis [=latino: significa sacramento di unità, istituzione che
rappresenta e genera l’unità voluta dal Cielo] reso possibile dallo spirito: sinfonia
spirituale. E allora si esige una conversione di tutti, pastori e fedeli.
Il futuro della chiesa e della sua vitalità evangelica non sta in una religione
civile, nell’astuzia ecclesiastica di porsi come collante di una società
frantumata, ma in una chiesa della partecipazione nella comune responsabilità
verso il vangelo che abbiamo ricevuto.
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Undici
anni fa, quando con la mia famiglia entrai nell’Azione Cattolica parrocchiale,
la trovammo una realtà sociale in crisi, come assediata in un contesto nel
quale sembravano avere più credito orientamenti totalitari di fondamentalismo
integralistico, che non tolleravano il pluralismo e lo consideravano come una
minaccia, un cedimento ad un mondo intorno che veniva ritenuto cattivo e come
tale da condannare.
Ricordavo però la situazione della parrocchia negli anni ’70, quando mia
madre vi era stata catechista. Una società con tanti giovani, e tante giovani
coppie con bambini e ragazzi, nella quale la gran parte dei fedeli, spinti in
questo dai preti più giovani, era entusiasta per le novità che erano derivate
dal Concilio Vaticano 2°. Io, dopo
avervi ricevuto la prima formazione religiosa catechistica, non la frequentavo, perché a lungo fui
coinvolto nell’esperienza dello scoutismo che feci nella vicina parrocchia
degli Angeli Custodi a piazza Sempione. Ma anche quando lasciai lo scoutismo
non mi ci immersi nuovamente, forse perché, appunto, ci operava mia madre e i
giovani vogliono emanciparsi dai genitori. Ora me ne rammarico. Entrai in FUCI,
gli universitari cattolici, e poi presi a frequentare la parrocchia di mia
moglie, San Saba sull’Aventino, retta da clero gesuita. L’assistente
ecclesiastico del gruppo giovani che là frequentai ci sposò. Dopo sposato
rimasi qualche anno fuori Roma, in Abruzzo, e poi tornai nella città, andando a
vivere nel rione San Saba. Nel 1991 tornai nel quartiere Valli, nel territorio
della parrocchia, dove era in corso un esperimento di riforma ecclesiale di
impronta neo-comunitaria molto intenso e determinato. La mia principale
obiezione verso di esso era quella politica, perché si trattava di un movimento
con caratteristiche di destra e, come mi parve, spiccatamente anticonciliare,
nonostante che si valesse delle grandi e nuove opportunità offerte ai movimenti
laicali dal Concilio. Io invece mi ero formato nel cattolicesimo democratico di
ispirazione dossettiana. Comunque le mie figlie ricevettero in parrocchia la
loro prima formazione religiosa. Ripresi a frequentare più da vicino la
parrocchia nell’autunno del 2011 dopo alcuni problemi di salute, in particolare
ortopedici, poi all’epoca risolti, che mi limitarono un po’ negli spostamenti.
Vi trovai attivo un gruppo di Azione Cattolica, concepito però come esperienza
residuale e ad esaurimento, destinato a persone irriducibili, non integrabili
nell’esperienza neo-comunitaria di cui dicevo. L’assistente ecclesiastico del
gruppo, comunque, un europeo non italiano, poco addentro alla storia del
cattolicesimo italiano e a quella dell’Azione Cattolica in particolare, si era
formato nel movimento all’epoca egemone, che considerava superata
l’associazione.
Nel
gennaio del 2012 iniziai a tenere un blog per fare memoria della Chiesa del Concilio,
della quale in Italia l’Azione Cattolica era stata ed era ancora, come tuttora
è, parte molto importante. Pensavo anche, con quello strumento, di attirare
gente nuova nel gruppo, di appassionarla a un modo di essere e fare Chiesa tanto diverso da quello
pesantemente marcato dal clericofascismo che aveva preceduto la riforma
conciliare, espresso anche dal cosiddetto partito romano, i clericali
che a Roma erano stati ed erano implacabili avversari dei conciliari, e che ancora si manifestava, ma anche dai
fondamentalismi integralistici e dagli spiritualismi estatici che si erano andati diffondendo nel
postconcilio, tutte tendenze accomunate dall’essere reazionarie rispetto ai
principi conciliari. A dieci anni dall’inizio del blog devo dire che le mie speranze sono andate
deluse, anche se, indubbiamente, ho raggiunto migliaia di persone in tutto il
mondo: non sono riuscito però a far appassionare alla nostra Azione Cattlica quelle alle quali era diretto
il mio sforzo. Del resto, ora lo capisco meglio, questo è il problema dello
strumento telematico che avevo utilizzato. Ho senz’altro raggiunto molte
coscienze, ma a noi servivano braccia.
La
pandemia di Covid 19, che ha iniziato a manifestarsi larvatamente dopo le feste
natalizie del 2019, poi è esplosa con conseguenze gravissime in tutta Europa e
ancora sta dilagando, suscitando, a differenza che negli esordi, moti sociali
di disperazione che minacciano di disgregare la costruzione europea, il
gioiello di pace e progresso al quale i cattolici democratici italiani hanno
dato un contributo importante, insieme ai cristiani democratici dell’Europa
occidentale, ha dato al nostro gruppo parrocchiale di Azione Cattolica un colpo
durissimo. E questo nonostante che si sia tentato di continuare a lavorare
insieme, trasferendo le nostre riunioni in videoconferenza Meet e tenendoci in
contatto con una lettera mensile. Mi pare si sia persa l’abitudine di
partecipare alle riunioni. I più anziani, certo, hanno gravi problemi di salute che li limitano anche nei brevi tragitti e quelli che stanno un po’ meglio
temono ora la ripresa dei contagi della malattia Covid 19: i numeri purtroppo
stanno peggiorando. Ma c’è anche, è indubbio, che ci si è disabituati a venire
al gruppo: ci si accontenta di venire a messa e allora, infiacchito
l’anelito ideale per il quale venire in AC era considerato parte di una missione
religiosa, si scelgono le messe più comode e quelle che per altri motivi
attirano di più. I vescovi, del resto, temevano che accadesse una cosa simile e
la loro esperienza di pastori non tradiva. E’ accaduto proprio così.
L’abbiamo detto l'altro ieri, nel primo incontro sinodale del nostro gruppo: la gente ha ripreso a venire
a messa, anzi alcune delle messe domenicali in parrocchia sono veramente
affollate, ma pochi si impegnano nelle altre attività, poche decine, su una
popolazione di battezzati che può stimarsi in circa ottomila persone, stando
alle statistiche nazionali. Stiamo raschiando il fondo del barile, ha
detto sconsolato Sergio, che si è collegato in videoconferenza da una
parrocchia bolognese. Bologna è stata storicamente una delle realtà ecclesiali
più effervescenti in materia di attuazione dei principi conciliari.
Siamo
un piccolo resto e il richiamo biblico di quest’espressione non riesce a
consolarci, perché sembra che il Cielo si sia scordato di noi. La meditazione
sui libri dei grandi profeti della Bibbia, quelli che esortavano il popolo in
periodo di esilio, però, aiuta a capire. Niente di nuovo. Ma, bisogna
aggiungere, chi poteva immaginare, all’inizio dello scorso decennio, l’avvento
di un Papa come Francesco e la spettacolare ripresa del Concilio Vaticano 2° da
lui promossa in tutto il mondo? Si era ancora in quello che molti avevano
cominciato a definire un lungo inverno ecclesiale, durante il quale ogni
fermento era stato rigidamente combattuto e gli innovatori emarginati e
scoraggiati. E ora, ecco, tutto potrebbe cambiare, anche se nell’Italia di oggi
si è, in fondo, ancora in mezzo al gelo, come accade in certe regioni del Nord
Europa, ancora in pieno inverno mentre da noi già ci affascina e riscalda il
dolce clima mediterraneo. L’Azione Cattolica, duramente avversata dalle forze
ecclesiali reazionarie, è stata storicamente una dei principali agenti della
riforma conciliare e lo è tuttora, con le sue iniziative di formazione,
partecipando al cammino sinodale che si è aperto, con le sue preziose
intelligenze, con la sua editoria che ha resistito e sta ancora resistendo in
questi tempi molto difficili. Noi ne siamo parte. Ma parte ancora viva?
L’8
dicembre si celebrerà l’annuale festa dell’adesione all’Azione Cattolica. Sarà
l’occasione per fare un bilancio, un esame di coscienza e formulare propositi
per il futuro. Dovremo forse arrenderci ai nostri avversari e ammettere che,
sì, il nostro era un gruppo ad esaurimento e che, con gli anni, si è,
appunto, esaurito? I gruppi muoiono se non riescono a rigenerarsi.
Sarebbe
bello pensare alla nostra Chiesa come ad un’esperienza pacificante, ma non lo è
mai stata purtroppo, e questo fin dalle origini. Ecco che, nel brano della Storia
ecclesiastica di Eusebio di Cesarea che Giuseppe Ruggieri ha citato nel suo
Chiesa sinodale e che ho sopra
trascritto, si parla già di dure lotte in cui si dà degli eretici ad altre
persone animate da una diversa religiosità. L’intolleranza verso il pluralismo
è stata una nostra antica piaga. Non siamo cambiati poi molto, anche se la
democrazia contemporanea ha tolto alle religioni il potere di fare troppo male,
come ancora continuano a fare dove democrazia non c’è. Non sappiamo ancora bene
fare i conti con il pluralismo, che è sentito in genere come indisciplina,
disobbedienza. Ma, mi pare, poi ognuno è tentato di essere obbediente
verso chi gli pare. In realtà, in
un’ottica evangelica, l’obbedienza non è solo quella verso ad
un’autorità, ma quella che rende possibile l’agàpe
Ognuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli
altri superiori a se stesso [dalla lettera di Paolo ai Filippesi, capitolo
2, versetto 3b – Fil 2,3b]
per cui, come ricorda Ruggieri, san Benedetto,
nel capitolo 71 della sua Regola comandò:
«Non solo nei confronti dell’abate tutti
debbono il bene dell’obbedienza, ma i fratelli debbono allo stesso modo
obbedirsi vicendevolmente, sapendo che per questa strada dell’obbedienza
andranno a Dio».
Non
riconosco questa obbedienza, che in certi contesti viene considerata
parola sinonimo di fede, nell’inesorabile ostracismo che in certi
contesti è stato riservato all’Azione
Cattolica italiana fin dagli anni ’80 da parte di altri gruppi ecclesiali.
Resistere è un dovere, e anche un dovere
religioso, come dimostra l’esempio dei nostri martiri.
Ne ha
parlato il Papa qualche giorno fa, il 12 novembre, ad Assisi,
in un discorso in occasione della Giornata mondiale dei poveri
Cosa vuol dire
resistere? Avere la forza di andare avanti nonostante tutto, andare
controcorrente. Resistere non è un’azione passiva, al contrario, richiede il
coraggio di intraprendere un nuovo cammino sapendo che porterà frutto.
Resistere vuol dire trovare dei motivi per non arrendersi davanti alle
difficoltà, sapendo che non le viviamo da soli ma insieme, e che solo insieme
le possiamo superare. Resistere ad ogni tentazione di lasciar perdere e cadere
nella solitudine e nella tristezza. Resistere, aggrappandosi alla piccola o
poca ricchezza che possiamo avere. […] Resistere con la memoria, oggi. […] dolori,
speranza e non si vede l’uscita, ma la speranza forte […].
Resistere al Covid 19, ad un ambiente sociale
che non ci è favorevole perché preda della disperazione, ai nostri irriducibili
avversari, nella Chiesa e fuori, all’isolamento, all’età anziana con i suoi
acciacchi, alla difficoltà di farci nuovi amici, resistere come missione ecclesiale.
E’ un compito collettivo. Ha bisogno dell’impegno
di una collettività, che deve essere rinnovato giorno dopo giorno, anno dopo
anno, e anche passato di generazione in generazione.
Eravamo pochi all’incontro di ieri, troppo
pochi. Devo riconoscerlo francamente. E degli altri, in fondo, non sappiamo
veramente che pensano in materia di resistenza. Non ci sono, ci mancano. La
loro assenza pesa.
Che fare, dunque?
Mario Ardigò –
Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli.