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Metodi di sinodalità – 11 –
Dinamica di gruppo
Un gruppo sinodale, vale a dire nel quale sia possibile produrre una reale interrelazione tra i suoi partecipanti, non può che essere un piccolo gruppo, quindi composto di non più di una trentina di persone, e questo per nostri limiti cognitivi di specie che ci rendono incapaci di interazioni profonde in gruppi più ampi.
Il limite c’è, ma poiché è naturale, vale a dire costitutivo
di come siamo, tendiamo a non accorgercene. Del resto nelle istituzioni abbiamo trovato il modo di superarlo. Un
esempio? Il Governo italiano è composto da 24 persone e ne dirige decine di
milioni. Le norme giuridiche di struttura istituzionale realizzano varie forme
di coordinamento tra i vari gruppi istituzionali, in modo da ordinarne l’azione
pubblica. Ne troviamo un esempio nella seconda parte della nostra Costituzione
repubblicana.
https://www.senato.it/istituzione/la-costituzione
Anche la nostra Chiesa è strutturata secondo
istituzioni e norme. Un tempo queste ultime erano un complesso di documenti
piuttosto difficile da studiare e da capire: dal 1917 la Chiesa, seguendo
l’esempio degli stati, si è data un Codice
di diritto canonico, che raduna in
modo razionale le regole più importanti. Quello
attualmente vigente è stato deliberato dal Papa nel 1983, per adeguarne la
legislazione ai principi formulati negli anni Sessanta dal Concilio Vaticano
2°, obiettivo che, a detta di non pochi studiosi, non è stato pienamente
raggiunto.
https://www.vatican.va/archive/cod-iuris-canonici/cic_index_it.html
I Papi vi ha apportato diverse modifiche e papa Francesco, in particolare, ha
riformato profondamente la procedura giurisdizionale (le modifiche entreranno
in vigore nel mese di dicembre 2021), ha modificato struttura e funzionamento
del Sinodo dei vescovi, ha ammesso le donne ai
ministeri laicali del Lettorato e dell’Accolitato e ha istituito il nuovo ministero laicale del Catechista.
Quando si parla di riforma ecclesiale ci si riferisce anche a cambiamenti di quel
sistema molto complesso di norme e istituzioni che rende possibile pensare nei particolari le attività delle nostre
Chiese locali e della Chiesa universale, stabilire chi può decidere che cosa e
come. E, tuttavia, nonostante la numerosa umanità che si riconosce in ciò che
intendiamo con Chiesa, rimane il fatto che si agisce sempre per piccoli
gruppi, che poi entrano in relazione tra loro in un fermento che tende
sempre a superare le forme istituzionali stabilite, connotandole in senso
personalistico. Una cosa è, ad esempio, parlare del parroco come figura
istituzionale, che è replicata migliaia di volte in tanti posti, e le norme ci
danno un’idea generale di ciò che le compete di fare, per quanto tempo, come, e
per chi, e altra è parlare del nostro
parroco, don Remo e di noi.
C’è una sinodalità delle istituzioni, anche
delle grandi istituzioni ecclesiali, che si è espressa, ad esempio, nei Concili
ecumenici e locali, e che troviamo anche
nei lavori del Sinodo dei vescovi e in quelli diocesani. In quest’ambito con sinodalità
si vuole intendere che si vuole fare
uno sforzo particolare per raggiungere il più ampio consenso senza usare
violenza o altre forme di coercizione. Storicamente molte volte non ci si è
riusciti e si è passati, come dire, a vie di fatto. In questi casi si è
preferito tentare di eliminare i dissenzienti, criminalizzandoli. Nel Concilio
Vaticano 2°, svoltosi a Roma dal 1962 al 1965, invece, si raggiunse, nelle
varie votazioni che si fecero, un consenso veramente molto ampio, anche se
certamente non l’unanimità, nonostante che l’oggetto dei suoi lavori fosse
specificamente la Chiesa, un tema che storicamente si era rivelato molto
controverso. Ciò ha determinato, non di rado, l’utilizzo di formule di
compromesso, di dire una cosa senza escludere l’altra, che poi, nella fase
attuativa hanno creato problemi e incomprensioni. A detta di diversi studiosi è
questa la ragione per cui quel Concilio ha inciso ancora poco sulle istituzioni
ecclesiali. Tuttavia si ricorda che si è già dato il caso di Concili il cui recepimento ha tardato a venire: di
solito si fa l’esempio del primo Concilio considerato ecumenico, quello di
Nicea del 325, i cui deliberati si
affermarono solo dopo diversi decenni. Ma non fu il solo.
La sinodalità nelle istituzioni di base, nei nostri ambienti
religiosi di prossimità, mio zio Achille ne scrisse come dei nostri mondi
vitali, quello che danno senso alle nostre esistenze, è però altra
cosa. Richiede una profonda intesa, come quella che si può realizzare solo nei
piccoli gruppi. Appunto perché si vuole innanzi tutto produrre senso,
non un sistema di governo, anche su scala limitata.
Il piccolo gruppo è un ambiente sociale in costante fermento e,
se non è tale, è un gruppo morto. Perché, bisogna esserne consapevole, i gruppi
di questa specie possono realmente morire. Accade anche alle
istituzioni, sebbene siano costruite per durare oltre le vite e le intese
personali dei loro partecipi, ma più spesso esse si trasformano. La loro
storica ci parla delle loro trasformazioni. Se non riescono a trasformarsi,
diventano inutili per il governo delle società di riferimento e, divenendo
obsolete, vengono abbandonate, anche quando non vengono abbattute. Ad esempio,
gira ancora tra noi una nobiltà di stirpe, ci sono, come nei secoli
passati, principi, duchi, conti e marchesi, ma nel nostro contesto repubblicano
sono solo un fenomeno di costume, non hanno più alcun rilievo politico. La 14°
delle Disposizioni transitorie e finali della nostra Costituzione lo prevede
espressamente: “I titoli nobiliari non sono riconosciuti”.
La parrocchia è un’istituzione ecclesiastica,
nel senso che ho sopra precisato, ma viene definita, anche dal Codice di
diritto canonico vigente, in linea con il Concilio Vaticano 2°, come una comunità:
Canone 515 - comma1°. La parrocchia è una determinata comunità di
fedeli che viene costituita stabilmente nell'àmbito di una Chiesa particolare,
la cui cura pastorale è affidata, sotto l'autorità del Vescovo diocesano, ad un
parroco quale suo proprio pastore.
Tuttavia, per farne realmente
una comunità non basta scriverlo in
una norma giuridica che regola l’istituzione.
Una comunità si realizza
mediante relazioni interpersonali profonde che si possono creare solo nei
piccoli gruppi. Tuttavia, in genere, la parrocchia non è un piccolo gruppo, ma è un ambiente sociale
molto più ampio. Questo richiederà di articolarne la struttura in piccoli
gruppi tra loro coordinati. Il modo di coordinarli non è ancora scritto nelle
regole sull’istituzione e non conviene nemmeno farlo, se non a grandi linee,
perché il coordinamento deve farsi tenendo conto delle caratteristiche di quei
piccoli gruppi, ma vi deve essere. Le norme sul Consiglio pastorale
parrocchiale prevedono un’Assemblea parrocchiale, che da noi non si
è mai tenuta e che non potrebbe realmente funzionare se tutti i parrocchiani un bel momento decidessero di
venire in parrocchia per riunirsi. In teoria i fedeli cristiani che vivono
nella parrocchia possono stimarsi in circa ottomila. I praticanti,
intesi come le persone che vengono in chiesa con una qualche regolarità, possono stimarsi
in circa mille. Questo rende chiaro che, anche attuando una sinodalità
comunitaria, dovrà farsi ricorso a una struttura istituzionale per ottenere
un sufficiente coordinamento. Ad oggi il coordinamento è assicurato solo dal
clero, posto che del Consiglio pastorale parrocchiale si sa poco e probabilmente non è più una
realtà molto viva, sebbene sia un’istituzione partecipativa prevista dal Codice
di diritto canonico, mentre l’Equipe pastorale non è un organismo
partecipativo, ma solo ausiliario del clero. Questa struttura porta al
prevalere del carattere gerarchico, che è poco consono alla sinodalità,
che comporta sempre una qualche collaborazione della comunità nelle
decisioni che la riguardano.
Quanto ai piccoli gruppi
si pone il problema della loro animazione.
La materia è studiata dal
ramo della psicologia che si occupa della dinamica di gruppo. Dagli anni ’70 è
divenuta parte del curricolo formativo degli operatori pastorali professionali,
ad esempio di quelli che studiano catechetica. Probabilmente rientrerà
anche nella formazione culturale del nuovo ministero laicale del catechista.
Attualmente nelle parrocchie mi pare che, preti a parte, si debba improvvisare,
in mancanza di una specifica formazione.
L’animatore è quella figura che consente al piccolo gruppo
di superare le crisi alle quali
periodicamente e fisiologicamente va incontro.
Bisogna dire che,
nell’attuazione di una sinodalità matura, ad un certo punto il ruolo
dell’animatore verrà assunto da persone scelte dal gruppo stesso, una volta che
si formerà una certa tradizione nella vita sociale del gruppo. Allora i più
anziani formeranno i più giovani e questi ultimi li sostituiranno quali
animatori. Questa è, in genere, la situazione dei gruppi di Azione Cattolica.
In un gruppo sinodale parrocchiale, che quindi si formi al di fuori delle
denominazioni associative esistenti e anche con lo scopo di superare le
divisioni da esse indotte, probabilmente all’inizio occorrerà incaricare animatori
non scelti dai membri del gruppo,
che però dovranno darsi tra i principali obiettivi quello di realizzare
un’animazione ad opera di persone scelte dal gruppo stesso. Altrimenti la
sinodalità non si realizzerà veramente e il gruppo diventerà dipendente
dall’animazione per così dire esterna.
Il primo scoglio di fronte
al quale ci si trova nell’animazione di un piccolo gruppo è quello del tempo che
i partecipanti intendono porre a disposizione dell’attività di gruppo.
Partecipare alle istituzioni, in modi che sono di necessità altamente
formalizzati, fa risparmiare tempo, ma, anche, si impegna poco di sé nelle
relative attività. Quanto ci mettiamo a votare, nelle elezioni politiche o
amministrative?
Il tempo è ciò che di più
prezioso abbiamo e, istintivamente, non siamo disposti a impiegarlo per
attività poco gratificanti o poco utili. In particolare: non basta essere
religiosi e addirittura persone di chiesa per decidere di spendere tutto
il tempo che occorre per partecipare in modo sinodale ad un gruppo religioso.
Di questi problemi sono
informato fin da giovane perché ne ho letto sui libri di testo di mia madre di
quando studiava catechetica nella vicina Università salesiana. In particolare ho sempre avuto tra le mani un
libretto che ho trovato molto utile, di Gennaro Luce, Dinamica di gruppo,
LMS 1977. E’ scritto in termini semplici e si trova ancora in commercio, usato.
Ma vi sono molti altri testi equivalenti e più aggiornati.
Si deve sempre avere un
motivo forte per partecipare a un
piccolo gruppo con relazioni molto intense. Tra i motivi più frequenti vi sono status,
servizio, vantaggi personali, tradizione, amicizia, l’attività specifica svolta
collettivamente, e più frequentemente un misto di vari motivi.
Motivare alla partecipazione può essere un scoglio duro
per una persona che decida di fare l’animatrice di un piccolo gruppo.
Gli ostacoli alla
partecipazione che di solito si manifestano sono: timore (anche delle
relazioni con altre persone che si conoscono poco), ignoranza, mancanza di
tempo, mancanza di valori, scarso interesse per ciò che il gruppo si propone di
fare.
Inoltre bisogna fare attenzione a non sprecare
il tempo collettivo: dopo due riunioni che non vanno bene, in cui non si creano
interesse ed empatia sociale, la gente comincia a disertare.
E, in particolare, non
basta leggere di sinodalità, ma
occorre appassionarvisi. Nel lessico di papa Francesco, bisogna essere appassionati
non appassiti, perché la vita senza passione è come la pasta in bianco
senza sale.
Chi visse i tempi della
prima fase dei tentativi di dare attuazione al Concilio Vaticano 2° ancora ne
sente in sé l’entusiasmo. E’ ciò che si vorrebbe rigenerare, per ora senza
tanto successo in Italia, con i cammini sinodali che sono in corso.
Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte
Sacro, Valli